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STORIA DI UN POVERO PSICHIATRA

 

 

di Giuseppe Giannoni

Maitres à dispenser

 

 


    News del 2003                

BREVE NOTA DELL'AUTORE:    Queste poche pagine non sono un trattato di psichiatria né lo possono essere, sono soltanto lo spiegare ai miei ragazzi, agli amici dei miei ragazzi, ai miei amici la mia storia di psichiatra, quali sono state le idee che mi hanno guidato nella mia esperienza, quali gli intendimenti e la prassi del mio modo di fare terapia, tutto ciò anche per rendere più comprensibili le storie di quei casi zampillati dalla mia memoria, nei quali sesso, amore e follia si avviluppano e sfociano in angosciose esperienze umane. 

   

Recensioni dalla stampa 2003

 

  

 

News del 2005

 

                      Rivista Frenis Zero

             Anche la mia storia di psichiatra è una storia di amore e di follia, di amore verso il prossimo, quello più sventurato e perdente, e di follia, quella di stare sulle  barricate per essere sconfitto.

               Mi sono specializzato in psichiatria che non ero più tanto giovane, avevo quarantun anni, dopo avere esercitato la professione di medico per sedici anni, sedici anni fruttuosi per la mia formazione umana; ero uno di quelli che allora venivano chiamati medici di famiglia, (dice che ora sono rari come i cani gialli); al pari degli altri una specie di ospedale ambulante, si faceva di tutto dalla piccola chirurgia al cavare i denti, il ricovero in ospedale avveniva solo quando non se ne poteva fare a meno, a volte lo sentivamo al pari di una nostra sconfitta. Conoscevo la storia delle famiglie dei miei clienti, accettavo, quando capitava l'occasione, di mangiare un boccone da loro specie nelle case dei contadini, loro soddisfatti di avermi ospite, ed erano sempre pranzi succulenti anche se semplici, lì ho imparato l'arte del gourmet; ero invitato ai Matrimoni, ai Battesimi, alle Prime Comunioni, partecipavo ai loro lutti ed ai loro dolori, anch'io facevo un po' parte della loro famiglia.

          Di conseguenza mi ero imbattuto nei problemi psicopatologici che avevano destato il mio interesse; per informarmi sull'argomento cominciai a comprare e leggere libri, il primo, "Medico, Paziente e Malattia" del Balint poi i libri di Henry Stack Sullivan insieme ai "Principi di Psicoterapia" di Frieda Fromm- Reichmann; mi erano piaciuti perché pur intonati sulla psicanalisi non avevano il  linguaggio astruso degli psicanalisti, possedevano un linguaggio piacevolmente concreto  e didattico. Lessi anche altri libri editi da Feltrinelli nella collana di psichiatria e di psicologia clinica.

          Fu con tale bagaglio culturale che mi iscrissi alla scuola di specializzazione in Clinica delle Malattie Nervose e mentali  della clinica neuropsichiatrica di Firenze.

 

 

 

         L'impatto fu sconvolgente; ero vergine di quell'ambiente, durante il corso di laurea non ero andato a lezione neanche una volta, tanto la firma di frequenza si otteneva lo stesso, l'esame era fra i meno importanti. Rimasi comunque sconvolto.  Ne dedussi che dovevo mettere tutto al negativo, la psichiatria doveva essere l'esatto contrario di ciò che mi veniva insegnato e che vedevo fare. Avvertivo anche che, pur tenendo conto dell'arte medica con la quale piano piano mi ero appastato, dovevo crescere per promuovere in me l'arte psichiatrica.

               Dei tre anni del corso di specializzazione solo il primo lo passai nel reparto psichiatrico. Dopo un anno, sazio di quella psichiatria pur desiderando di fare lo psichiatra, insieme al dottor Taiti seguii il professor Barontini che dal reparto psichiatrico uomini era stato mandato nel reparto neurologico donne e devo riconoscere che quella esperienza mi fu utilissima. Ricordo due episodi: nel periodo in cui dopo essermi specializzato frequentavo il manicomio di Firenze come assistente volontario fui mandato per un controllo a domicilio di una donna vista come grave nevrotica, da poco dimessa dal manicomio, abitava nei pressi di Contea, dopo la Rufina; bastò vedere il fondo dell'occhio per diagnosticare una sclerosi a placche. In ambulatorio all'Impruneta un'amica collaboratrice farmaceutica mi portò a visita un poveromo che viveva in casa sua da sempre, faceva il giardiniere e l'uomo tutto fare, curato da molti mesi per depressione; lo vidi un po' barcollante nell'incedere, l 'aumento dei riflessi e la presenza del riflesso patologico di Babinski insieme a segni di ipertensione endocranica mi fece supporre la presenza di un tumore cerebrale confermato inoperabile da successive indagini. Un buon esame neurologico è sempre consigliabile prima di intraprendere un rapporto psico terapeutico.

               Mi specializzai con una tesi assegnatami dal professor Maleci, per la cui stesura non sarebbe bastata la vita di dieci psichiatri, dal titolo "L'importanza dell'ambiente sociale nel determinismo del disturbo psichico". Il breve tempo di un autunno mi dette modo di scrivere qualcosa, solo qualche accenno, sull'argomento però mi fornì l'occasione di affrontare quel tema fascinoso che già con la lettura del Sullivan mi aveva interessato. Così mi ritrovai in mano il diploma di specializzazione (ma in che?) ed entrai come assistente volontario nel manicomio di Firenze.

               Devo riconoscere che mi sentivo alquanto spaesato; continuavo ad esercitare la professione di medico di famiglia e frequentavo il manicomio. Smisi di fare il medico quando vinsi il concorso per aiuto.

               Mi precipitai a Roma per il primo congresso di Terapia Familiare (allora si chiamava così). Mi precipitai senza prenotazione, lo seppi all'ultim'ora. Sentivo la cosa mia, sentivo che quella era la mia psichiatria, che la psichiatria relazionale era la Psichiatria, avevo osservato da medico di famiglia cose e fatti che i signori psichiatri della clinica e del manicomio non avevano visto, avevo risolto i problemi di Marzia che ricorderò ne "la fuga", avevo già risolto il caso di Giacomo del breve capitolo di "Giacomo e Lucia". A Roma incontrai Bloch, incontrai Cancrini, incontrai Carmine Saccu, incontrai quel caro amico di Maurizio Coletti.     

               Successivamente ebbi modo di frequentare un corso di addestramento specifico di tre anni, così sono diventato psichiatra; però mi è sempre rimasta in corpo la rabbia contro la psichiatria della violenza e del controllo, contro la psichiatria delle cliniche e degli ospedali, sono diventato sempre più scettico e mordace dei gingillamenti psicanalitici. Mi si deve perdonare la mia cruda sincerità. Non sono aduso ai convenevoli accademici.

 

 

 

 

          Fare il medico non è soltanto servirsi di cognizioni scientifiche rigide e precise che certamente sono indispensabili, non è curare soltanto una malattia, un organo malato,bensì prendersi cura di un uomo malato, di un uomo sofferente, aiutarlo a superare la malattia considerandolo come un tutto, come una persona non come una cosa, adeguando le proprie cognizioni alla sua mentalità, alla sua cultura, alla sua personalità, intuendone i bisogni profondi, ciò che sta al dilà della malattia; con creatività e fantasia altrimenti si diventa macchinette semiautomatiche per distribuire farmaci, non sempre innocui ed utili, raramente efficaci, oppure in trasmettitori di risposte di esami clinici che magari non vengono né interpretati né collegati fra di loro, "alla TAC non hai nulla".

         Anche quella dello psichiatra è un'arte,un'arte ancora più arte del fare il medico; è un'arte non medica anche se a mio parere chi si prende cura di una persona con disturbi psichici dovrebbe essere un medico. Mi spiego: certe malattie neurologiche possono insorgere con disturbi che ricordano manifestazioni psicopatologiche ed, al contrario, a volte i disturbi psichici possono essere interpretati come sintomi di malattie neurologiche; in certi casi situazioni psicopatologiche possono causare disturbi viscerali. Non possedere una formazione medica e neurologica può portare  ad interpretazioni erronee, a conseguenze irreparabili, oltre al fatto che la eventuale necessità di usare gli psicofarmaci comporta la conoscenza dei rischi, delle controindicazioni, degli effetti sul versante puramente biologico conseguenti all'uso; mi si può rispondere che si può lavorare in équipe ma ho visto tanti mandati da Erode a Pilato creando tanta confusione quando non piuttosto l'alibi di un reciproco lavarsene le mani. Per altro anche la psicanalisi nacque accanto al malato come esperienza clinica, come atto medico. La psicanalisi andò poi in mano sopratutto a letterati, dagli psichiatri non fu allora accettata. In seguito è stata riappropriata anche da parte dei medici e degli psichiatri.

 

        La terapia psichiatrica è camminare al mezzo di due versanti, l'uno neuropsicologico somatico, l'altro antropologico sociale culturale.  A causa di ciò nel rapporto terapeutico lo psichiatra deve essere medico senza esserlo, deve dimenticarsi di essere medico ricordandosi di esserlo, un camminare sul filo del rasoio, sullo spartiacque tra il medico ed il non medico, cosciente di essere in presenza di una persona fisica che purtroppo è lì per essere aiutata a superare un disturbo psichico.

 

 

 

            Posizione  certamente  scomoda, forse un po' folle, certamente paradossale, per starci è indispensabile una grande fantasia ed una grande creatività. Posizione pericolosa e difficile perché lo psichiatra dovrebbe potersi astrarre e poter guardare sé stesso assieme agli altri, nel riverbero di emozioni e di reazioni proprie e degli altri.

             Al polo opposto sta il chirurgo al quale per niente si presentano tali problemi da affrontare; mentre opera deve essere soltanto un bravo tecnico, il paziente anestetizzato è staccato dal mondo , è diventato una macchina vivente con i propri parametri biologici ed il chirurgo, sofisticatissimo ed eccellentissimo idraulico, isola e congiunge canali e fili,stacca e riattacca pompe, chiude tubi che perdono oltre che a  portare via ciò che è bacato o marcio; senza provare sentimenti ed affettuosi tormenti bensì dimostrando una perizia la più fredda possibile. Poi, uscito di sala operatoria,gli è dato di tornare un bravo medico, una persona umanissima e piena di sentimenti.

             L'arte dello psichiatra impastata di sensibilità, di intuizione di ciò che è nascosto, di attenzione e di compartecipazione alla sofferenza umana di adattamento all'umore di chi gli sta davanti magari con ironica gentilezza, talvolta anche se raramente con studiata mordacità, crea condizioni ipnotiche senza ipnotizzare, ricerca continuamente la partecipazione fiduciosa senza la quale è inutile ogni fatica ed ogni impegno. E se uno non ha fantasia e sensibilità? può fare tanti altri mestieri,  l'idraulico, l'elettricista, il meccanico, il chimico, il ragioniere, il direttore della Banca d'Italia, il geometra, l'astronauta e così via. Lo psichiatra no.

           Ma non basta, deve anche rigettare le regole e la prassi della psichiatria che va per la maggiore, quella della stampa e della televisione, quella delle grandi cliniche psichiatriche.

               Oltre a ciò lo psichiatra deve avere una coscienza politica, non partitica ben inteso, politica nel più alto e civile significato, con lo stare dalla parte del più debole, del perdente, e chi è portatore di disturbi psichici specie dei più gravi è sempre un perdente; per fare lo psichiatra è indispensabile vivere l'idea che è categoricamente necessario ridare la libertà a chi l'ha persa, fargli riappropriare i suoi diritti civili e fare questo è fare politica. Per raggiungere tali obbiettivi è essenziale il contributo  degli organi di governo, centrali e periferici, che però quasi sempre, per non dire sempre, si mostrano indifferenti se non ostili, stare dalla parte del "paziente" c'è da andare contro i familiari e perdere voti è una cosa certa.

 

 

           Da troppo tempo il sofferente psichico, specie se grave, con l'aiuto della legge, è stato considerato un oggetto, pericoloso come un ordigno esplosivo, da manipolare, controllare e legare, un essere subumano col cervello bacato destinato a restare sempre tale, a rimanere sempre malato dato che l'incapacità di quella psichiatria a far superare quel male oscuro sfocia nel corollario  "dalla malattia mentale non si guarisce mai ". Quegli psichiatri che davano per oro colato il postulato essere il cervello la stessa cosa della mente, con gli psicofarmaci ebbero la possibilità da sempre sognata di rendere abulici gli agitati, senza anima, senza più la coscienza di se stessi, larve spettrali e li chiamarono guariti salvo poi ad ogni rialzare la testa, poiché  gli psicofarmaci non possono offrire un risultato definitivo, ne aumentavano la dose;con gli psicofarmaci fu formulato il cosidetto "cocktail litico", la cosidetta terapia del sonno, il tenere imbambolati, assonnoliti, sotto un costante controllo medico a causa della tossicità estrema delle dosi impiegate quei poveri ricoverati con la folle sicurezza che il dormire facesse cessare le angosce, le allucinazioni, i deliri; passato il sonno quegli sventurati  tornavano come prima. Ora non è più di moda.

          Certi psichiatri non sapendo fare di meglio hanno continuato, e continuano, a praticare le cosidetta terapie di shock. L'elettroshock, un elettrodo per tempia, una scarica elettrica che fa perdere la coscienza mentre il corpo è squassato da terribili e fortissime contrazioni muscolari di tipo epilettico seguite dal coma profondo e che un tempo causavano spesso fratture degli arti finché non si curarizzò il "paziente" iniettandogli farmaci curaro-simili che hanno la proprietà di abolire la contrattilità dei muscoli; in piena coscienza prima che si pensasse di anestetizzarlo con un barbiturico endovena che non faceva avvertire il dolore terrificante  del sentire la corrente.

                 Oppure lo shock insulinico, una iniezione di  insulina tale da determinare contrazioni epilettiformi  e coma profondo ed il "paziente", in piena coscienza vede la morte avvicinarsi, si vede costretto a sprofondare progressivamente nel coma; bontà loro dopo cinque ore di coma profondo viene somministrato lo zucchero per farlo cessare. La cura consiste dai 50 agli 80 shock nell'arco di tre mesi.

               Oppure lo shock  acetilcolinico, si inietta il più  rapidamente  possibile mezzo grammo di acetilcolina in due centimetri cubi di acqua distillata, lo shock ha inizio appena tolto l'ago alla svelta dalla vena.

                   Lo shock: "Prima fase o dei prodromi: il malato avverte un senso di soffocamento e di malessere e tende a modificare la posizione supina; durata 3-5 secondi."

             "Seconda  fase o  della tosse: il paziente esaurisce una lunga  fase espiratoria sotto forma di colpi di tosse secca molto ravvicinati, la coscienza è già sensibilmente obnubilata; durata 15-20 secondi."

                   "Terza fase o della perdita della coscienza o dello shock: con o senza l'accompagnamento di una prolungata inspirazione il malato si irrigidisce in una crisi tonica generalizzata, iperestendendo gli arti e ruotando all'indietro il capo ed i globi oculari. Scomparsa della coscienza. Pallore intenso; midriasi con rigidità allo stimolo luminoso; scomparsa del polso, corrispondente all'arresto della attività cardiaca". (Nota a fondo pagina: "Le ricerche elettrocardiografiche effettuate a Varese da Serena in questo senso sono state confermate  da Nic Waal e da Poort e Stigaart. Nic Waal ha anche direttamente constatato sotto uno schermo radiologico, l'arresto della attività cardiaca e diaframmatica per un periodo variabile dai 15" ai 45". Eccezionalmente sono stati osservati arresti da 60" a 140" ")  e continua: "da notare che i fenomeni di iperestensione possono configurare una vera e propria - ancorché fugace - fase di opistotono; durata 10"-15"."

                     "Quarta fase o del risveglio: ha inizio con brevi e disordinate scosse cloniche e si caratterizza essenzialmente attraverso l'imponenza delle manifestazioni neurovegetative; al pallore del volto si sostituisce un intenso arrossamento cui fanno immediato seguito sudorazione, lacrimazione, salivazione; la ripresa del respiro e del polso compare subito alla fine delle scosse cloniche, con immediata regolarizzazione dei ritmi biologici".  ( da: "Le terapie di shock" di Edoardo Balduzzi, Feltrinelli 1962, pagg. 88 e 89).

     Sconcerta nel leggere il trattato "scientifico" del Balduzzi il cinismo impudente, l'indifferenza totale nei confronti del forzato "paziente. Una perla a pagina 52, l'umanissima preoccupazione che "i pazienti non sottoposti ad insulino shock terapia non debbono essere costretti ad assistere alle varie fasi -alcune delle quali francamente impressionanti- del trattamento di Sakel" che sartebbe lo shock insulinico.

        Finito il trattamento dei vari tipi di shock quelli che non morivano venivano poi affidati, nelle cliniche psichiatriche e nei manicomi, ai cosidetti infermieri psichiatrici i quali spesso erano dei veri e propri aguzzini.

 

 

 

 

               La malattia mentale. Il termine di malattia mentale è fuorviante; intendendo malattia come a mio parere si dovrebbe intendere, non secondo la definizione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità concepita, penso, da politicastri sociologi non da medici la quale così recita: "La malattia è la mancanza di salute." O bravi! e la salute cosa è? "La salute è il completo benessere fisico, psichico e sociale". E così siamo tutti malati perché nessuno può essere nel completo benessere fisico, psichico e sociale, sotto questa angolatura anche il collo stretto della camicia è una malattia, anche le corna sono una malattia,  quando d'estate c'è afa siamo tutti malati; forse per questo mai come oggi si è andati dal medico anche per le bischerate, anche chi porta le corna va dal medico per togliersele, anche chi soffre il caldo va a farsi visitare dal medico.

               Se fosse stato un medico a stilare la definizione di malattia penso che l'avrebbe definita come l'alterazione anatomo patologica di un organo, di un sistema, di un apparato e ciò toglierebbe la possibilità di parlare di malattia mentale perché seppur arrampicandosi sugli specchi ancora non sono state trovate significative alterazioni anatomo patologiche del sistema nervoso nei disturbi psichici, neanche nei più gravi; neanche le coreografiche immagini colorate prese con le più sofisticate apparecchiature elettroniche dimostrano un qualche cosa di significativo. Per me è strano che psichiatri che si definiscono organicisti accettino la definizione di malattia indicata dalla organizzazione mondiale della sanità, bah, è proprio vero che tutto fa brodo.

               Lo  Schneider, che ho diligentemente studiato ed apprezzato nella sua aurea psicopatologia, dall'insieme dei disturbi psichici trae le malattie mentali vere e proprie, le psicosi, i disturbi psichici gravi che hanno una corrispondente alterazione anatomo patologica nel cervello; tali alterazioni determinano precisi e costanti sintomi a seconda che l'alterazione si sia prodotta in maniera acuta o lentamente nel tempo. Purtuttavia fra le psicosi ci mette anche la "schizofrenia" e la "psicosi maniaco-depressiva" pure se tali "psicosi" non presentano i sintomi propri e particolari delle alterazioni anatomo patologiche acute o croniche  del cervello ammettendo altresì che per adesso non si è riscontrata alcuna modificazione anatomo patologica del cervello stesso. Ed allora, che psicosi sono?

               Ce n'è una, una sola, di malattie mentali, un  grave turbamento mentale con alterazione anatomo-patologiche: la amenza. A seguito di un grave doloroso sbalordimento psichico la persona va incontro ad un cataclisma nel sistema ipotalamo-ipofisario ed al conseguente squilibrio idro-salino accompagnato da smarrimento della coscienza fino al coma; se non adeguatamente curata la forma morbosa porta a morte, sembra quasi un inconsapevole ed involontario suicidio per sfuggire a condizioni di vita non più vivibili. Altre malattie mentali non ne conosco.

               I "malati di mente"sono dei poveri disgraziati che l 'insipienza di una certa psichiatria ha condannato a vivere da malati, gravi per giunta.

 

 

 

        Ho visto negli anni '70 quella povera gente ed ho conosciuto anche quegli "infermieri", essi stessi abbrutiti da quell'ambiente, ho visto fare la strozzina, il malato agitato, malgrado le fortissime dosi di psicofarmaci, preso di spalle, il braccio che gli si serra intorno al collo, la stretta, l'improvvisa chiusura delle carotidi, il sangue che non arriva più al cervello e la conseguente caduta a terra privo di sensi; o l'altra strozzina, più crudele, il ricoverato urlante legato al letto ed allora un lenzuolo attorcigliato passato dal sotto, tra la fiancata del letto e la materassa, poi passato sul collo, poi passato dal sopra tra la materassa e la fiancata  del letto dalla parte opposta,e dopo ancora attorcigliato da un infermiere da una parte  ed un altro dall'altra, l'accorciarsi del lenzuolo, il premere sempre più sul collo come la garrota finché il malcapitato sveniva. E tentare di far loro riflettere su quel che stavano facendo muoveva un risolino e la solita frase: "Mi scusi dottore , lei è nuovo, forse lei ha letto troppi libri, noi abbiamo l'esperienza."

              Ho visto delle povere persone legate per giorni e giorni  con la camicia di forza al letto, sporchi di orina e di feci, con la bava alla bocca; nel 1975,  avendo dato l'ordine di non tenere legato a quel modo un povero giovane , ero aiuto di quel reparto,  fui redarguito per questa mia decisione dal primario del dottor Cossio il quale ebbe l'approvazione degli "infermieri" e del direttore. I sindacati, quelli rossi come il fuoco, erano d'accordo con questi metodi, per cambiare qualcosa si dovette lottare accanitamente anche con loro. Vidi anni dopo quella persona nel manicomio della clinica psichiatrica di Careggi, lo incontrai giù nell'ingresso, lo salutai stringendogli la mano, lui mi riconobbe e mi sorrise; gli domandai come stessero i genitori, lui mi rispose:"Dottor Giannoni io non ho genitori, sono figlio della scimmia". Aveva ragione, anche i genitori, a quel tempo, erano d'accordo che lui stesse legato al letto, avevo chiesto loro di protestare ma non mossero un dito.

               C'era a San Salvi, nel manicomio di Firenze, ancora alla fine degli anni '70, il reparto dei sudici dove era consuetudine vuotare sul pavimento i tegami della pasta asciutta e quei poveri disgraziati avventarsi come maiali a prenderla con le mani, portarsela alla bocca imbrodolandosi, tanto erano sudici di natura; ho visto al nono donne, la mattina, fare entrare in vasca quelle che la notte, legate al letto, avendo defecato ed orinato si erano sporcate ed un'infermiera con una sistola, un'altra con la granata lavare il dorso, il fondo schiena e le gambe a quelle disgraziate, ricordo il fetore di quei locali. Gli psichiatri arrivavano la mattina verso le nove, parlavano un po' con gli infermieri, prendevano il caffè gentilmente offerto, variavano le terapie spesso senza vedere il "paziente" e se ne andavano dopo aver firmato in bianco gli ordini di contenzione cosicché la sera se qualcuno si agitava veniva legato al letto dopo che era stato vergato il suo nome e cognome sul foglio e così si era a posto con la legge.

 

 

 

 

        E nella clinica psichiatrica di Firenze dove mi sono diplomato nel 1969, nel tempio della scienza psichiatrica i ricoverati per mangiare potevano usare soltanto il cucchiaio, per legge erano pericolosi a sé ed agli altri, la forchetta ed il coltello erano considerate armi, e si poteva vedere persone non ancora abbrutite tentare di mangiare col cucchiaio gli spaghetti, "ma perché" dicevo io  "fanno gli spaghetti? facciano i paternostri, le farfalline, la grandinina magari, ma non gli spaghetti", tentavano quei poveretti di prenderli col cucchiaio ma sguillavano, allora li tenevano fermi sul cucchiaio con le dita dell'altra mano e così se li accompagnavano alla bocca ungendosi , sporcandosi finché alla fine si adattavano a mangiarli con le mani; la frutta, la sbucciavano col manico del cucchiaio.

            La clinica psichiatrica! Piccole celle, c'erano anche nei vari reparti del manicomio, chiuse da una robustissima porta di rovere, chiavistelli a quattro mandate, uno spioncino di cristallo da poter chiudere dall'esterno per l'osservazione "clinica" di chi stava rinchiuso dentro per settimane e settimane; in una di queste celle una mattina, durante il "giro" del professore e degli psichiatri, lor signori erano più in là di qualche cella, mi fermai a parlare con un poveromo tutto ignudo, per terra un mucchio di alghe secche, il " vegetale", come lettiera, il letto era stato tolto altrimenti lo rompeva e si faceva male, e quest'uomo si era messo a raccontare le sue disgrazie a me che mi ero fermato ad ascoltarlo. Devo riconoscere che la situazione era quantomeno grottesca, io col camice, lui tutto nudo che mi teneva le mani, una foto da copertina dell' Espresso. Quando comparve sulla porta il direttore, il professor Maleci, quel poveretto pensò che anche a lui si poteva rivolgere ed andando verso di lui "mi aiuti, guardi in che condizione sono,non ho fatto nulla di male," gli gridò ed il professore tirandosi indietro, mentre gli infermieri bloccavano il malcapitato, con grande sussiego l'apostrofò "tu non sai chi sono io!" E quell'uomo ritornò furioso.  Io ed il carissimo dottor Taiti, compagno di corso ci guardammo esterrefatti, aveva del tragicomico quella risposta insulsa.

         Nelle stesse cliniche universitarie venivano fatti mirabolanti studi, non solo sui cristiani ma anche sugli animali; per esempio, per la docenza, da una professoressa, quella che ha inventato una sindrome turistico-psichiatrica tanto strombazzata da giornali e televisione, fu presentata una ricerca che aveva lo scopo di verificare l'esistenza nel sangue di "schizofrenici" di un tossina "schizofrenogenica" capace di trasmettere la malattia: si prendeva l'orina di un "malato" conclamato e la si iniettava in vena a dei poveri ratti, poverini, che dopo stavano tanto male.

 

 

          Sono più di dugent'anni che la "psichiatria", la psichiatria con la "p" maiuscola, la psichiatria delle cliniche psichiatiche, persevera con le solite crudeli castronerie, sempre le stesse crudeli castronerie, sempre le stesse.

        Da allora la psichiatria, serva di chi comanda e del più forte, nell'U.R.S.S. raggiunse il culmine, ha continuato a controllare, a tentare di domare, ad emarginare ed ha tramutato in alieni chi, soffrendo, esprime il suo disagio psichico. E per fare ciò si è ammantata di orpelli di scienza che passo passo si è dimostrata fasulla.

             La psichiatria con la p maiuscola, la psichiatria delle cliniche.

        Si è perseverato nel fare i medesimi sbagli non accorgendosi dell'errore di fondo: i problemi umani di convivenza, di relazione cui conseguono i patimenti ed i disordini psichici, talora gravissimi, vengono ridotti a malattie del cervello e come tali vengono "curati".

            Difatti secondo la psichiatria che va per la maggiore e che non è stata mai capace di dimostrare una qualsiasi alterazione anatomica cerebrale  "ancora no "  dicono  "ma verrà il giorno in cui ci riusciremo"  purtuttavia essendovi disturbi psichici che appaiono incomprensibili e fuori da ogni ordinaria logica, per forza, proprio perché incomprensibili devono essere ricondotti ad una alterazione cerebrale, anche se mai provata; dal comportamento strano, dai discorsi incoerenti, dai pensieri senza capo né coda è stato dedotto che soltanto un cervello malato, una malattia del cervello può causare quei sintomi mentre se il cervello non si fosse ammalato il comportamento sarebbe adeguato, i discorsi sarebbero coerenti, le idee ben  comprensibili.

              Un bel discorso davvero. Un bel sillogismo fasullo.

 

 

 

              E' quel "devono" a priori il basilare errore logico e metodologico che rende il disturbo psichico incomprensibile e lo fa diventare incurabile ed inguaribile se conseguentemente lo si vuol curare e guarire soltanto tramite interventi medici, farmaci o terapie di shock oppure, talora, con interventi chirurgici, vedi la lobotomia   che, senza uccidere fisicamente la persona, annienta ogni possibilità di vita umana. Ma non ci si è limitati solo a questo; io  ricordo di avere incontrato prima come medico di famiglia e poi da psichiatra uno degli ultimi rampolli di un'antichissima famiglia nobile toscana, gli avi avevano partecipato alle Crociate, il quale da giovane aveva cominciato a mettere gli occhi ma anche le mani sulle natiche delle contadine della grande fattoria di famiglia; la madre, donna bellissima discendente da un’atica nobilissima stirpe austriaca, non vide di buon occhio il fatto, lo stimò frutto di una terribile insania mentale, lui che si ostinava e si abbassava ad aver contatti con la gleba, tentò di farlo curare ma non fu possibile togliergli dalla testa quelle idee. Alla fine fu portato in Svizzera ed un valentissimo psichiatra sentenziò che poteva guarire soltanto con la castrazione, E fu castrato. Ne venne fuori un eunucone di due metri e passa che sapeva dire soltanto "beh, beh", un essere tonto di suo ed ancora più rintontito dagli psicofarmaci, davvero inguaribile, che talvolta scatenava la furia delle sue forze residue ed allora erano dolori per chi gli stava vicino.

 

 

 

 

         Nei riguardi della terapia psicanalitica ho provato sempre una motivata riluttanza, l'ho considerata una moda, un'alta moda, di lusso. Non ho misconosciuto che Freud abbia avuto grandi meriti nell'indicare interpretazioni di processi fisio- psichici anche se mi sono apparse troppo meccanicistiche, (si deve ricordare come Freud  fosse figlio del positivismo e della infatuazione storicistica dell'ottocento).  Freud basandosi sulla osservazione clinica ebbe l'intuizione del concetto di "catessi", termine che indica sostanzialmente anche la possibilità di una gradualità della eccitazione neuronica accanto alla deterministica stimolazione di  tipo "tutto o niente" dei neuroni,  anche se negli studi successivi non tenne conto della intuizione di quel concetto innovatore confermato da risultati sperimentali della neurofisiologia degli anni '50; ebbe anche l'intuizione del concetto di inibizione senza poi metterla a frutto e moderni studi di nerofisiologia hanno dimostrato che esistono determinati neuroni aventi la funzione inibitoria. E non possiamo disconoscere i concetti freudiani di difesa, di rimozione, di complesso, di conflitto, le intuizioni riguardo alla memoria ed alla formazione dell'io e gli studi sulla interpretazione dei sogni anche se questa spesso è  troppo personale; purtroppo la sua problematica  sessuale, che incentrò nel cosidetto complesso di Edipo e che riguardava lui e la sua formazione culturale e caratteriale, quel suo particolarissimo problema individuale lo fece diventare un problema generale.

                Ma la teoria psicanalitica non deriva soltanto dalla osservazione clinica sul malato bensì anche da altre fonti come ebbe a riconoscere lo stesso Freud negli studi a proposito dell'istinto. Vale a dire la psicanalisi è derivata anche da intepretazioni di concetti biologici ( ma che oggi sono inaccettabili). Infatti nella concezione degli istinti Freud presupponeva che l' "inerzia neuronica" fosse alla base della vita psichica ed in particolare della diade pacere-dolore, seguendo le idee dei suoi maestri strettamente ad indirizzo biologico e positivista secondo i quali il sistema nervoso era privo di attività spontanea, idea per tanti psichiatri ancora valida, (le cellule nervose, i neuroni, che funzionerebbero secondo la legge del "tutto o niente" e sarebbero inattive  in riposo, si caricherebbero se stimolate per poi scaricarsi del tutto al momento di essere sature a mo' di condensatori, ed il funzionamento del sistema nervoso avverrebbe secondo lo schema dell'arco diastaltico, l'insieme di un canale recettivo che carica di energia i neuroni centrali e di un canale effettore che scarica l'energia della quale quei neuroni sono saturi  verso la periferia e che si trasforma in atti, comportamenti , eccetera; questa in sintesi la neurofisiologia insegnatami  dal professor Spadolini nel corso di laurea nei lontani 1949-50 prima che successivi studi neurofisiologici avessere dimostrato che le cose non stavano a quel modo.)

               Altresì Freud pensò sempre che il dolore fosse causato dall'aumento di tensione dovuto all'eccesso di energia accumulata dall'insieme delle cellule nervose cerebrali mentre il piacere sarebbe provocato dallo scaricarsi dei neuroni, di tutti i neuroni che compongono la massa cerebrale, tutti tendenti alla "inerzia neuronica", alla pace del riposo . Si è dimostrato invece che il sistema nervoso ha una sua attività spontanea, è attivo anche quando è in riposo e che i centri del piacere sono distinti e separati da quelli dell'angoscia, da quelli della depressione,da quelli del dolore.

          La mia esperienza personale oltre a ciò che ho letto mi fa dire che i processi psichici non sottostanno soltanto al desiderare il piacere ed all'evitare il dolore bensì alla conservazione dell'integrità psicofisica e della sopravvivenza della persona cui anche l'evitamento del dolore contribuisce; tutto vi concorre, anche la coscienza consapevole, anche l'inconsapevolezza, anche l'oblio. E l'amore non è soltanto sesso anche se lo contiene. E l'orgasmo non è soltanto piacere; in una nostra piacevole conversazione Carlo Coccioli affermava che ha pure un preciso significato teleologico, quello della conservazione della specie, è anche la prova che la natura possiede uno scopo che prevede ed attua,una prova di verità metafisiche al dilà del transeunte, anche, in ultima analisi, di Dio.

               Mi ha poi sempre fatto uggia,poi, la verbosità di tanti testi psicanalitici insieme all'abitudine di dimostrare la verità con asserzioni interpretative preconcette ma anche tutte le pratiche di iniziazione ed i giuramenti all'ortodossia per poter essere accolti in quella congrega, in quella loggia.

              Sul piano strettamente terapeutico è da osservare che il rapporto tra lo psicanalista ed il paziente, analogamente alla prassi della psichiatria tradizionale, è sempre duale, non travalica il confine della persona in cura, non interviene direttamente sul contesto che è sempre escluso dallo spazio terapeutico. Addirittura non è neanche duale, lo psicanalista non si deve fare coinvolgere assolutamente nei tormenti, nei dubbi, nelle sofferenze del paziente, asetticamente deve astenersi e restare vigile difronte al possibile “tranfer”,  il passaggio di emozioni  tra l’uno e l’altro; il paziente resta in lotta con sé stesso per vincere sé stesso, un vero paradosso, condannato alla diuturna masturbazione dell’enorme, fantasmagorico  fallo del ricordo nascosto nel subconscio o addiritura nell’inconscio il che rappresenta una insuperabile contraddizione. Senza alcun coinvolgimento di coloro che  stanno al paziente  nella vita quotidiana, tra l'altro sarebbe difficile fare stendere sui lettini una famiglia di cinque, sei persone e, diciamolo,  anche buffo.  Nella terapia  psicanalitica non c’è il tu e perciò neanche il noi. La mia esperienza personale è stata del tutto diversa, mi sono fatto coinvolgere dalle persone che mi stavano davanti,  non divisi da lettini o da scrivanie (sempre espressione del potere e della paura, il potere genera sempre la paura di perderlo, chi non lo vuole ed al posto del potere ci mette il servizio non ha paura di perdere il potere), ed ho sofferto con loro, a volte non ho dormito di notte, troppo coinvolgente e duro, vero? ma così mi sono fatto sentire e mi sono sentito come uno di  loro, umano come essi erano umani come me, con immenso mio arricchimento e maturazione, anch’io potenzialmente con gli stessi  loro problemi  (in più, per ciò che mi riguardava personalmente, potevo ben affermare di aver sofferto davvero di quei disturbi considerati inguaribili e di averli superati, questo era alla base della speranza  che inducevo che anc’essi potevano superare.)

           Ho notato infine che di solito gli psicanalisti preferiscono trattare i casi inseribili nel quadro delle cosidette nevrosi mentre i casi gravi, le cosidette psicosi, sono o lasciate agli psichiatri od a questi giungono dopo infruttuose quanto lucrative terapie psicanalitiche quando non finiscono in suicidio.

 

 

 

 

            Lo studio e gli intenti terapeutici tanto della psichiatria tradizionale quanto della psicanalisi sono rivolti all'individuo singolo sia che si punti l'interesse sul cervello colpito da alterazioni organiche fonte di malattie mentali sia che si indirizzi l'attenzione sulla psiche, sulla mente, ricettacolo di pregressi traumi emotivi che causerebbero il disturbo psichico, il  ricordo dei quali è tenuto celato nel cassetto dell'inconscio di quella psiche che è groviglio  di pulsioni , di desideri, di bisogno di soddisfazioni talora in certi casi repressi nella lotta tra l' "es", l' "io" ed il "super-io", una lotta del tutto interiore, gli stimoli esterni si indovano nella psiche, lì si insediano, la cura consiste nell'andare a ritroso nella storia personale  fino a raggiungere addirittura il tempo della vita intrauterina nella ricerca di quei traumi che danneggiarono la psiche; lo sconfinamento nel territorio dei castelli in aria è reale, ricercare il colpevole può diventare pericoloso e spesso lo diventa nel generare rancori e recriminazioni. 

            La psichiatria tradizionale si rivolge alle malattie del cervello di quella singola persona, il cervello visto come un sistema nervoso formato da neuroni che si collegano tra loro attraverso una sezione ricevente ed una trasmittente , neuroni che formano sottosistemi funzionali concepiti e percepiti intrinsecamente semplici e separati il cui funzionamento è ravvisato come meccanicamente predeterminato, un sistema chiuso.  Anche la nozione di mente  umana è fatta derivare da postulati meccanicistici, è considerata essa stessa un sistema chiuso.

             Nella formazione del medico, almeno al tempo in cui frequeventai l'università durante il corso di laurea e durante il corso di  specializzazione, la mente era un'araba fenice, misconosciuta e lasciata in disparte se non in disprezzo; vi erano, fuori dalla facoltà di Medicina, cattedre ed istituti retti e diretti da letterati nei quali ci si occupava di psicologia, un ambiente sdegnoso di collegarsi con lo studio  medico dell'uomo, lì si faceva notomia della mente dissezionando le singole funzioni, l'ideazione, il pensiero, la memoria, l'intelligenza, la volontà, l'affettività, studiate singolarmente  con esperimenti di laboratorio quando non si facevano intorno alla mente discorsi  gestaltici o psicanalitici frequentemente cervellotici anche se fascinosi. E quei letterati  facevano terapie. La psicologia comunque restava sempre descrittiva e superficiale anche se dichiarava di studiare il profondo.

             La conseguenza di tali "scienze", la psicologica e la psichiatrica, fu quella di introdurre l'uomo nei laboratori di psicologia facendolo diventare una cavia staccata dalla sua vita di relazione, fu costringere il "paziente" allo scopo di essere studiato e curato ad essere segregato nelle cosidette cliniche psichiatriche e nei cosidetti ospedali psichiatrici, ad essere rinchiuso in celle con lo spioncino per l'osserazione "clinica".

 

 

 

 

         La cura nei luoghi psichiatrici diventava allo stesso tempo una condanna ritenuta giusta e necessaria, l'esclusione dal mondo civile una logica conseguenza, il "malato di mente" schedato come un delinquente pericoloso a sé ed agli altri.

             Sono solito affermare che la fortuna di San Francesco di Assisi fu che ai suoi tempi non c'era la psichiatria. Altrimenti suo padre l'avrebbe portato dallo psichiatra "Dottore, lui sta male, si è denudato difronte a me ed al Vescovo, ha disperso i miei averi ed i miei beni onestamente e faticosamente accumulati, lui parla con gli uccelli e con i lupi. Dottore lo curi bene, stia pur certo che la ricompenserò, a costo di finire il patrimonio perché se lui sta bene anch'io sto bene." Non avremmo avuto né il Cantico delle Creature né il messaggio di pace e di fratellanza che ci lasciò. Francesco sarebbe finito in manicomio senza più tornare fuori.

             Oggi quella psichiatria usa mezzi e metodiche raffinatissime e sofisticate non rendendosi conto che sono assurde ed inutili, usa i computers, la T.A.C., la risonanza magnetica, precisissimi metodi di analisi chimiche per dimostrare la presenza o meno di mediatori chimici nel cervello, le serotonine,  l'adrenalina, le endorfine e via dicendo, e suggerisce che lo star male dipende dall'eccesso o dalla mancanza di quei mediatori chimici mentre la cura consiste, tramite i farmaci, nel riequilibrare la presenza. Bene, se la mancanza delle endorfine è la causa del dolore si potrebbe somministrare un pò di eroina che alle endorfine somiglia e costa meno. Non ci si stupisca: un farmaco antidepressivo è stato reclamizzato come pillola della felicità, purtroppo senza avere il potere di darla.

 

 

 

 

 

             Mi è dato di pensare che la psichiatria sia ancora all'anno zero nel senso che le recenti acquisizioni  che riguardano i disturbi mentali  non sono state recepite, parlo della psichiatria che va sotto il nome di psichiatria relazionale che al momento è l'unica prassi psichiatrica utile e fruttifera; però purtroppo ancora sono in auge vecchie concezioni psichiatriche obsolete ed inefficaci.

              La stessa legge di riforma psichiatrica , la 180, pur fornendo al nostro paese le norme sull'assistenza psichiatrica le più avanzate nel mondo purtuttavia non ha saputo dare indicazioni precise sul versante di una proficua psichiatria capace di rendere alle persone sofferenti di disturbi psichici la soddisfazione di sentirsi liberi, anche dagli psichiatri,ed insieme la possibilità di riacquistare il proprio posto nella società e nella famiglia; la legge neanche addita che questo deve essere il fine della attività psichiatrica.

           Del resto non poteva essere altrimenti. La legge nacque in un periodo politico particolare quando l'utopia di una certa sinistra sbandierava che era sufficiente votare P.C.I. per risolvere tutti i problemi e dare a tutti la felicità  ed in quest'ambito Psichiatria Democratica fu una punta di diamante, il P.C.I. di San Salvi connotava come segno di guarigione il fatto che un ricoverato fosse stato convinto dagli infermieri comunisti a dare il voto al P.C.I. invece che alla D.C. come prima faceva indotto a ciò dalle suore o dal cappuccino. Psichiatria Democratica,nome tanto altisonante e sirenico quanto insulso come se la Psichiatria dovesse avere una colorazione politica , che purtuttavia ebbe il merito di denunziare le violenze e le incongruenze dell'ospedale psichiatrico e della psichiatria tradizionale, anch'io all'inizio ne feci parte perchè l'ospedale psichiatrico e la vecchia psichiatria dovevano scomparire.

          Ed era pure presente  in quel periodo una spinta barricadera , che purtroppo poi portò alle Brigate Rosse, per la quale il tutto e subito era l'aspettativa ed il sogno. Non che a mio parere l'analisi politica fosse sballata, sballata e controproducente fu la prassi  nel contesto consumistico che già aveva abbagliato anche il cosidetto proletariato, una prassi rozza, verbosa, quante assemblee nelle quali parlavano sempre gli stessi a ridire sempre le stesse cose, arrogantemente violenta,egualitaria in maniera assurda, a tutti il sei politico anche senza avere studiato, a tutti il salario anche non lavorando. Condividevo l'analisi politica sulla società e sulla scuola ma non quel modo di fare, anch'io viaggiavo in eskimo, la divisa dei contestatori ma non accettavo le loro conclusioni. Si  strumentalizzò anche don Milani e la "lettera ad una professoressa" ma conoscevo bene don Milani, ero di casa a Barbiana, lì si studiava in modo diverso che nelle scuole pubbliche, senza vacanze e domeniche, la lingua straniera veniva parlata, la protesta contro la bocciatura era indirizzata ai programmi astratti ed inutili della scuola pubblica ed alla ingiusta spartizione dell'insegnamento fra i "pierini" ed i figli della povera gente e queste considerazoni servirono invece a tanti insegnanti per non bocciare più nessuno ma anche per non durare più fatica ad insegnare, in un appiattimento generale ai livelli più bassi e la sinistra di allora a dare loro ragione. Don Milani mi aveva parlato anche di un'altra sua conclusione , coloro il cui lavoro fosse un'attività sociale, medici, insegnanti, sindacalisti, preti, avrebbero dovuto frequentare una scuola particolare, un liceo umanistico nel quale ad esempio si studiasse tre lingue straniere e lo studio della storia non fosse basato su guerre e battaglie bensì sulle sofferenze dei deboli e degli umili, di coloro che non hanno avuto il potere ma di queste idee non se ne è saputo nulla in giro.

            Sull'altro versante stava una gran parte del governo e la stragrande maggioranza della classe medica.

                 La legge 180 accontentò tutti, fu il primo frutto di un compromesso che successivamente sarebbe diventato storico. Si poteva chiudere i manicomi, la legge ordinava che si dovevano chiudere, ma si poteva anche continuare a tenerli aperti, si poteva fare la psichiatria di Psichiatria Democratica ma si poteva continuare a fare la psichiatria sostenuta dal professor Di Lorenzo, il padre del famigerato ministro, che tuonò contro le innovazioni; fu un salvare capra e cavoli, la capra delle cliniche private e delle cliniche universitarie ed i cavoli della sistemazione clientelare di assistenti sociali che in seguito si dimostrarono inutili, di psicologi, di sociologi, di dottori psichiatri, di infermieri, della creazione dei nuovi manicomini delle case famiglia e dei laboratori protetti, isole di lavoro inutile quando non  di sfruttamento da parte di ditte fornitrici di lavoro nero; "aperietur mons et nascetur ridiculus mus", la favola di Fedro del monte che si ingravidò gonfiando e poi "si aprì e ne nacque un ridicolo topo".

              Nessun accenno in quella legge alle nuove ottiche psichiatriche relazionali, alla nuova prassi psichiatrica. Nessun accenno agli obbrobri dei metodi di contenzione ed al divieto di metterli in atto.

                Ed il vecchio continuò, continuò nelle cliniche universitarie, continuò nelle cliniche private, è da ricordare che la Regione Toscana ha foraggiato quì a Firenze due case di cura psichiatriche, la Casa di Cura Poggio Sereno e la Casa di Cura Villa dei Pini convenzionandosi con loro e devolvendo loro risorse economiche notevolissime sottraendole così ai servizi psichiatrici pubblici, e la legge non lo prevedeva; lì si  è continuato a praticare la prassi della vecchia psichiatria inconcludente ma economicamente fruttifera per chi la pratica. Ma il vecchio continuò anche negli ospedali civili che furono forniti di reparti psichiatrici, chiusi a chiave come i vecchi reparti manicomiali, per fare ciò che si faceva in manicomio e nei quali fu impegnata una presenza preponderante di infermieri e di psichiatri quando la legge prevedeva che il momento ospedaliero fosse il meno importante.  Il vecchio mascherato da estremamente innovativo entrò anche nei reparti medici degli ospedali civili in quanto, novità voluta e decisa da illuminati capameni con tanto di titolo di professore, in quei reparti medici furono ricoverati casi psichiatrici acuti e gravissimi, quelli che non potevano essere curati a domicilio, con conseguenze incresciose facilmente intuibili; non si tenne conto che mettendo accanto ad un sofferente di cuore una persona agitata si creava nel cardiopatico, nei suoi parenti, negli infermieri dell'ospedale un risentimento che sfociava nel rifiuto della legge 180 , "meglio prima col manicomio". L'esperienza è durata qualche anno e si è conclusa con l' istituzione in un reparto psichiatrico nell'ospedale stesso senza cambiare la legge che non lo prevede.          

            Si continuò a produrre costantemente malati cronici, e non poteva essere diversamente, tenuti sotto controllo costante dai servizi psichiatrici in una altalena di ricoveri e di dimissioni. Del resto ho costatato che gli psichiatri di Psichiatria Democratica sono allo stesso tempo sbandieratori del cosidetto sociale ma anche accaniti prescrittori di psicofarmaci tramite i quali pensano e credono di curare e con i quali attuano il "doveroso" controllo sociale perpetuo.

                La Psichiatria è ancora all'anno zero, tutti dicono di avere ragione. Per questo a mio parere sarebbe opportuno costituire servizi psichiatrici omogenei a seconda delle vari concezioni psichiatriche, l' équipe ancorata alla psichiatria tradizionale, l'équipe di Psichiatria Democatica, l'équipe psicanalitica, l'équipe relazionale, e così via. Non ci sarebbe più posto ad alibi di sorta; dopo cinque anni si dovrebbero tirare le somme e vedere quanti nuovi cronici sono sopraggiunti, quanti dei vecchi cronici hanno raggiunto una vita sociale autonoma, quanti sono stati  ricoverati in strutture ospedaliere, quanti psicofarmaci sono stati prescritti; con serietà, senza barare, questi i parametri validi per la verifica.  

 

 

 

 

 

                 Detto questo sento la necessità di spiegare o meglio tentare di spiegare, in relazione e conseguenza delle mie esperienze e cognizioni , il funzionamento e le disfunzioni della mente al fine di una migliore comprensione delle vicende umane tratteggiate nelle brevi storie  che seguiranno.

          Senza dubbio il cervello e tutto il sistema nervoso è dal punto di vista anatomo-fisiologico una macchina strabiliante e meravigliosa, complicatissima, il più complesso apparato del corpo umano e senza di questo la mente non ci sarebbe. La caratteristica la più peculiare che lo rende diverso da tutti gli altri organi ed apparati, e della quale non è mai abbastanza sottolineare l'importanza, è la plasticità, il possedere cioè la proprietà di non essere soggetto a leggi a priori, altrimenti come si spiegherebbe la fantasia umana, proprietà che si manifesta sia con la capacità di non rispondere sempre in modo univoco ma di potere scegliere tra una gamma vastissima di risposte anche imprevedibili, sia con l'attitudine di adattarsi al mondo esterno e captarne i messaggi, selezionarli gestendo poi le proprie reazioni alle reazioni degli altri. Scrive Penfield: "in un certo senso è possibile dire che il cervello dell'uomo è forgiato dalla stessa mente"  "naturalmente" scrive altrove "in primo luogo ci deve essere il cervello ma il punto da me sottolineato è che nelle aree non somatiche della corteccia il precoce condizionamento, la programmazione,  struttura intere aree"  con la possibilità, aggiungo io, di un decondizionamento e quindi di una nuova strutturazione. Vi è dunque la possibilità che la struttura ed il funzionamento del cervello siano condizionati dalla vita di relazione, sia nel bene che nel male.

             Si producono così modificazioni della " macchina" cerebrale al di fuori di un meccanico deteminismo tanto che la realtà, in particolare quella interpersonale sistemica, può essere da noi vissuta, a seconda degli specifici stati d'animo del momento e dei nostri personali consueti modi di pensare, diversamente da come altri la possono vivere.

 

 

 

 

             L'asse cerebro spinale  è dunque un sistema aperto  nel quale è presente un flusso di energia, di comunicazioni, che vengono scambiate con l'ambiente del quale fa parte, in un vorticoso susseguirsi di retroazioni circolari che possono portare  ed a risultati identici partendo da condizioni iniziali diverse, ed a risultati diversi partendo da identiche situazioni iniziali. Tale modo di considerare il funzionamento della "mente-sistema nervoso", e di conseguenza le relazioni umane,tale metodo scientifico che ha soppiantato, anche al di fuori dell'ambito psichiatrico, vecchi modi di organizzare la scienza oggi totalmente sorpassati, permette di configurare una psichiatria  umana, foriera di risultati terapeutici un tempo impensabili ed inconcepibili da quella falsa psichiatria basata su reperti cadaverici, anatomo patologici, insieme all'osservazione fuorviante ed inconcludente del "malato" in un reparto ospedaliero avulso dal suo contesto relazionale.

        E' necessario insistere nel dire che l'attività del sistema nervoso, della macchina, anche se di natura del tutto particolare, è indispensabile alla vita psichica, per le sensazioni, per le emozioni, i sentimenti, i desideri,i ricordi, le espressioni intellettive e del pensiero, per la coscienza. La nostra mente però è ad un altro livello della attività biologico-neuronale, è ad un metalivello. Ed è funzionale alle interrelazioni tra noi e gli altri, specie con chi ci è prossimo, tra noi e l'ambiente , pur utilizzando l'attività neuronale.

            Il cervello  sempre attivo, i neuroni sempre in attività. Neanche nel sonno più profondo e nel coma i neuroni interrompono il proprio funzionamento, pur non essendo stimolati dall'esterno continuamente scaricano impulsi; la stimolazione dall'esterno modula l'attività dei neuroni, non la determina, anche  perché l'energia che ci stimola dall'esterno, la luce, il suono, la pressione, è di natura totalmente diversa da quella del sistema nervoso, le interfacce sensoriali, la pelle, l'occhio, l'orecchio non sono conduttori di energia bensì trasduttori. Inoltre le stesse informazioni che provengono dall'ambiente vengono selezionate e non tutte vengono accolte cosiccome quelle provenienti dall'interno, ad esempio dalla memoria, possono essere o no portate alla coscienza.

 

 

 

             Perciò il cervello umano è tanto complicato quanto meraviglioso o meglio i due cervelli, i due emisferi, la cui finalità è diversa l'uno dall'altro, uno sede della razionalità dell'uno più uno fa due, della concretezza, del ragionamento logico, della conoscenza analitica, attivo sopratutto nella veglia; invece l'altro, attivo anche nel sonno quando diventa dominante, sede della fantasia e dei sogni, della sintesi, della capacità di associare cose e  fatti dissimili fra di loro, di catalogare cose a seconda  della loro funzione indipendentemente  dalla loro forma, sede del fascino della poesia, del ritmo del verso e della rima ( i messaggi pubblicitari mandati in rima superano meglio le eventuali resistenze razionali all'acquisto e giungono meglio allo scopo ponendoci momentaneamente in una specie di situazione ipnotica e quante sono le canzonettine e le rime nella pubblicità!)

             I due cervelli anatomicamente collegati funzionano sinergicamente. La mente rappresenta l'organizzazione dei dati elaborati dal cervello ma la sua natura è totalmente diversa dalla natura del cervello; ciò che produce l'officina è cosa del tutto diversa dall'officina anche se ne deriva, l'auto sta all'officina come la mente sta al cervello.

 

 

 

 

          Mi ha sempre meravigliato come gli uccelli sappiano costruire il loro nido, il loro nido particolare, il merlo costruisce il proprio, la rondine anche, il picchio, il martin pescatore, il cucule, senza che nessuno lo abbia loro insegnato. Tutto ciò mi ha fatto pensare che, accanto alla struttura neurologica che riguarda gli istinti, anche l'uomo abbia come dei viottoli neurologici per ciò che concerne le attività psico-fisiche ed in specie comportamentali, una specie di vie sinaptiche preferenziali, memorie di stratificazioni di esperienze passate, tramandateci, ed è un mistero, attraverso il susseguirsi di ere evolutive, schemi di interrelazioni neuroniche che al momento possono essere attivate o non attivare in un turbinio di retroazioni circolari; non parlo solo degli istinti ma di modelli di comportamento connaturati al pari degli istinti.

           E noi tutti li possediamo tutti, quei viottoli, il viottolo dell'ansia, dell'angoscia, della depressione, anche della peggiore e più pesante, della mania, del furore, del coraggio, della paura, della catatonia, del delirio, della fuga, pure il viottolo della schizofrenia. Noi tutti li possediamo tutti ed abbiamo il modo di seguirli in date circostanze. Ci può disturbare il dovere ammettere di averli e di doverli accettare; viottoli che, può sembrare incredibile, sono anche il modo di uscire da una situazione sentita più penosa ed insopportabile a doverla subire, a doverla affrontare. Fu illuminante per me leggere che persone considerate sanissime poste in una condizione di totale deprivazione sensoriale strutturavano gravissimi sintomi psicopatologici quali allucinazioni e deliri; anche in loro ci doveva essere il viottolo del delirio e della allucinazione che essi in quello stato non potevano fare a meno di prendere. Viottoli che d'altro canto non sono concrezioni immutabili, a noi sono dati come possibilità insieme alla plasticità del sistema nervoso centrale, si può passare da un viottolo all'altro, anche se talora è difficile; cessata la deprivazione sensoriale spariscono i deliri e le allucinazioni. In fondo la "disconferma" ed il "doppio legame", che incontreremo in avanti, causano attraverso l'indecidibilità una specie di deprivazione affettiva. Si pensi poi a ciò che accade nei fenomeni ipnotici: l'obbedire automaticamente, i movimenti involontari e le posture persistenti, le allucinazioni, la perdita della memoria, tutti i fenomeni, reversibili, che sembrano strani ed incomprensibili ma  anch'essi espressione di nostri viottoli neuronici.          

               Però possediamo anche il viottolo della tranquillità, della contentezza, della  soddisfazione, della gioia, dell'amore.

               Un grande psichiatra, Sullivan, giustamente affermò che in fondo siamo tutti umani, noi che ci diciamo sani ed i cosidetti folli.

 

 

 

 

            Viottoli sassosi ed accidentati, spesso vere "viae crucis", difficilmente abbandonabili perché nel mentre li percorriamo non riusciamo a scorgere altre vie percorribili, camminiamo tra due alte siepi che magari senza tanta fatica potremmo traforare; ma la difficoltà ad abbandonarli aumenta man mano che persiste il camminarci sopra, il pesticciare, l'esito  favorevole di una terapia è infatti più probabile se l'intervento è stato tempestivo e precoce. La terapia consiste nel fare evidenziare di essere in un viottolo, far comprendere che vi è la condizione di uscire fuori e di non rientrarvi  ed aiutare ad uscirne.

                     Il funzionamento fisiologico di quei percorsi neuronici e sinaptici genera la produzione di mediatori chimici rilevabili tramite analisi cliniche ma non è la presenza di questi mediatori l'essenza dello stare male bensì la messa in moto inconsapevole di quel sistema neuronale complesso il quale, se attivo, porta a manifestazioni psicopatologiche ed a comportamenti che sembrano inadeguati, e comporta  altresì la coscienza di sofferenze e disagi; messa in moto che è frutto di reiterate reazioni ed interpretazioni, di reazioni che si sviluppano in una trama di relazioni complesse, anche interneuroniche, nella quale siamo, in quel frangente, immersi.

               Non è dunque la concentrazione di quei particolari mediatori chimici bensì è la coscienza di vivere in quella particolare conformazione funzionale sinaptica che genera quello stato di animo, quelle idee, quei pensieri, quei comportamenti che allo stesso tempo sono messaggi e comunicazioni interpersonali. Lo psicofarmaco può forse modificare i processi biochimici della produzione di quei metaboliti  in qualche verso  bloccando il concatenarsi sinaptico che porta all'ansia, all'angoscia, al delirio, alle allucinazioni ma non selettivamente, allo stesso tempo inibisce il concatenarsi sinaptico che porta al senso di benessere, ai processi del pensiero e della ideazione; non modifica le relazioni degli altri nei confronti del  "paziente", anche se sarà calmo, nel modo che può essere, sarà ancor più sempre considerato malato, non cesseranno nei suoi confronti né la disconferma né i doppi legami, anzi l'essere considerato davvero "malato" come conferma il "professore" è già una disconferma, è già un doppio legame, lui darebbe segno di salute se accettasse di dichiararsi malato.

               Fa parte della mente anche l'irrazionalità, fa parte della mente l'attività consapevole e quella inconsapevole. Tengo a precisare che preferisco il termine "inconsapevole" a quello di "inconscio"; in fondo hanno lo stesso significato ma il secondo ha acquistato una valenza particolare tramite la psicanalisi, ha assunto il valore di "persona" dentro di noi, un altro "essere" che regola e contrasta il nostro agire razionale cui viene ricondotta ogni piè sospinto la nostra irresponsabilità e che diventa la  scusa del nostro mal agire.

               L'attività di uno di quei sottosistemi neurofisiologici deputato ad una particolare funzione in quanto collegato a tutto il resto può fare entrare in risonanza altri sottosistemi  oppure può metterne in sordina un altro ; ad esempio l'attenzione intensa e necessaria per svolgere un compito difficile può mettere in secondo piano ed anche escludere la ricezione di informazioni, come la presenza di forti emozioni può escludere l'attenzione e la possibilità di eseguire compiti difficili, in relazione sia alla gradualità della eccitazione  sia alla inibizione neuronica.

 

 

 

                  Le più gravi forme psicopatologiche, la cosidetta psicosi maniaco depressiva e la cosidetta schizofrenia delineano l'estrema, ultima difesa della individualità personale, attraverso il rifiuto, certamente paradossale, delle sofferte  modalità interattive distorte e paradossali.

 

 

 

L'una, la psicosi  maniaco depressiva, è il rinchiudersi in sé stessi nel totale rifiuto di mettere in atto la propria competenza, nella più profonda tristezza e nel più profondo abbandono come risposta adeguata all'incessante quotidiano subire la disconferma dei propri pensieri e dei propri atti, nell'impotenza, vera o presunta, è lo stesso,di reagire. Laing sulla disconferma scrive magistralmente nel suo " L'io diviso": "Si compie l'atto conclusivo di questo processo quando,trasmutando completamente come il soggetto agisce,cosa prova, che senso da alla sua situazione, si denudano di ogni valore i suoi sentimenti, si spogliano i suoi atti delle motivazioni, intuizioni e conseguenze, si sottrae alla situazione il significato che ha per lui e così egli è totalmente  mistificato ed alienato". Con ciò non si può sempre affermare che la controparte della relazione agisca deliberatamente nel togliere significato alle azioni, ai pensieri, alle richieste del paziente designato; sta però il fatto che se costui è indaffarato ed oblativo gli viene detto "ma non c'è bisogno di tutto codesto daffare, risparmiati", se premuroso "sei troppo premuroso",  se garbato  "ma smettila ci fare uggia con tutte codeste storie",  se sensibile  " sii più forte, te lo diciamo per il tuo bene" . Di  solito si è inconsapevoli, non ci si accorge fino in fondo di quel che si fa ma di fatto si manda il messaggio "tu non sei te, sei il pignolo, l'uggioso, l'eccentrico , il fissato"  e così via fino a giungere al " tu sei malato di mente" in una cieca mistificazione,in una alienazione progressiva cui contibuiscono nelle fasi finali anche taluni psichiatri che entrano in gioco. " Dottore, ha cominciato  all'improvviso a non fare più nulla, a dire di non sapere fare più nulla, ad avere idee di rovina " e lo psichiatra, che misconosce gli antefatti per lui come  non esistenti, di quella apparentemente improvvisa decisione, diventa lui stesso parte integrante della  disconferma, "siamo di fronte ad una malattia mentale molto grave, signori".

           Non soltanto il marito o la  moglie sono le uniche persone che intervengono nella disconferma, possono esserlo il capufficio, i colleghi di lavoro, i genitori, i figli,spesso sono i suoceri, la suocera specialmente, che entrano in azione; il suocero e la suocera che si pongono schierati dalla parte del figlio,  ad esempio, per non perderlo, per non lasciarlo nelle mani della nuora ( nella nostra cultura c'è una morbosa attenzione da parte della madre  verso il figlio, meno verso la figlia, la figlia è "destinata" a seguire il marito), nell'intento di vederlo vincente sempre nei confronti della moglie ed ancora acquiescente ai propri voleri  ed il figlio accetta tale aiuto, riconoscendosi un debole; la nuora magari da parte sua si fa in quattro, in quella congiuntura, nell'essere premurosa, attiva, sensibile, per farsi apprezzare, sente la necessità di porsi in una  posizione di inferiorità, desiderosa se non bisognosa di stima, lei non reagisce a quelle connotazioni e se le commenta le viene risposto che "lo facciamo per il tuo bene", " é perché ti vogliamo bene che ti diciamo a quel modo", "noi si scherzava", "è per darti un aiuto", " è per proteggerti", è col suo adeguarsi a quel tipo di relazione che anch'essa entra nel tragico gioco marcando così la necessaria complementarietà nella  relazione. Lo stesso può capitare al genero per un analogo comportamento dei genitori della moglie e della moglie stessa nei suoi confronti.

           Così scaturisce la fatale indecidibilità  che scatena in chi la prova il senso di inutilità, la perdita dello slancio vitale, i deliri, le allucinazioni, le false visioni, l'idea ossessiva del meglio levarsi di torno e di sopprimere talvolta ciò che ha più caro, i figli, tutto quell'incomprensibile per la psichiatria ufficiale e che resta incomprensibile se ci limitiamo ad osservare le singole persone e non il sistema di cui fanno parte. Se la persona "depressa" smettesse di darsi da fare allora verrebbe richiesto subito "perché, "perché ce l'hai con noi, cosa ti abbiamo fatto",  se avesse meno premure se ne meraviglierebbero adontandosi. E' l'impossibilità di ben decidere che porta la persona in una condizione psichica nella quale  le opportune considerazioni razionali sono escluse perché l'unica  possibile risposta adeguata è quella della follia in quella folle situazione relazionale; e dunque insorgono le allucinazioni, insorgono i deliri e gli altri sintomi e che talora porta a considerare la morte come l'unica via per uscire da quel terribile labirinto.

               Si ricordi l'esperimento, per quello che da esso si può estrapolare che però è significativo, del cane sottoposto a riflesso condizionato col cerchio e con l'ellisse; se si modifica sia il cerchio facendolo diventare progressivamente schiacciato ai poli sia l'ellisse facendola progressivamente restringere e somigliare ad un cerchio si arriva ad un punto tale che il cane, non distinguendo più quale sia la forma, o circolare od ellissoide, entra in uno stato di agitazione e di rabbiosa irrequietezza e non risponde più con la reazione condizionata.

 

 

 

                 Talvolta, come se si fosse girato un interruttore, si passa dalla depressione alla mania, alla opposta reazione con la quale si scatena una furia sfrenata di atti insani, una eccitazione impetuosa, i pensieri rapidissimi non hanno requie e si susseguono come folate di vento impetuoso passando da un'idea all'altra,nessun consiglio di calmarsi viene accettato anzi è causa di irritazione, non si ha bisogno di dormire, pure la sessualità erompe anche libertinamente; una energia inesauribile ed impensabile si libera a volere dimostrare a sé ed agli altri il proprio valore, quasi la sfida del "te lo faccio vedere io," riappaiono come per prodigio tutte le forze residue, e sono tante, magari con l'intima sensazione di uno straordinario benessere che esprime inconsapevomente la gioia di non accettare l'alienazione rigettando l'altrui disconferma, alienazione e disconferma cui la condotta maniacale è sottesa.  Ho visto in rare e fugaci pause della mania improvvisi scoppi di pianto, un uscire momentaneamente dal viottolo della mania e per un attimo avere la coscienza della tragedia.

               E' da ricordare che il  comportamento maniacale può manifestarsi anche senza alcuna precedente fase depressiva; porta però dentro di sè il nocciolo della disconferma e della depressione.

 

 

 

               L'intervento terapeutico, lungo, faticoso, difficile,consiste nel dipanare il viluppo relazionale smagando i tranelli della disconferma, nel fare riappropriare alla persona sofferente la consapevolezza del proprio valore e delle proprie esigenze utilizzando a tale fine la proclamata disponibilità , la compiacenza, la sollecitudine  dell'altra parte interattiva mettendo in forse timidamente, prudentemente, benevomente l'ostentata supercompetenza e facendo intravedere i vantaggi che possono derivare dall'abbandonare quel modo di fare; nell'eseguire le varie prescrizioni terapeutiche volte a modificare le interazioni interpersonali il paziente designato ed i familiari possono, consapevolmente od inconsapevolmente, provare di "sentirsi bene" ed è in questo provare di "sentirsi bene" che consiste la cura. Ci si può aiutare nell'intento anche con l'impiego degli psicofarmaci che non sono da demonizzare; pur essendo soltanto dei sintomatici, al pari dell'aspirina per la febbre possono aiutare a fare sopportare momentaneamente angosce e squilibri psichici, a rendere meno urenti i deliri, a stemperare le allucinazioni, ma non sono in grado di togliere le ragioni del disturbo psichico e ciò è bene chiarirlo bene sia ai familiari che al "paziente". Fare affidamento esclusivamente agli psicofarmaci è come se non si volesse far sentire il dolore ai piedi a qualcuno che porta scarpe strette con pillole e supposte pensando che il dolore sia causato da una malattia dei piedi; l'unica cura è far calzare scarpe più comode. La sofferenza psichica è camminare con scarpe strette, non dipende dal piede ma dalle scarpe.

               Troppo pragmatici? non direi. Se il disturbo psichico è determinato da incongrui modelli relazionali è proprio nel rimuoverli che si devono rivolgere gli intenti psicoterapeutici tralasciando di affrontare i vari "perché" ché ci farebbe arrivare inutilmente ad Adamo ed Eva ma insistendo sul "come" nelle questioni umane; un consiglio che già Dante ci  lasciò:  "Siate contenti, umana gente, al quia, /   ché, se potuto aveste veder tutto, /   mestier non era partorir Maria."

               Ho constatato, in diversi casi, un'altra possibilità di guarigione: la morte od una malattia grave del familiare, ad esempio del coniuge, che rappresentava la parte del potere faceva cessare la dinamica della disconferma e la persona "malata" ritrovava tutte le sue risorse, ritrovava l'equilibrio, abbandonava i deliri, tornava ad essere attiva e forte, capace di assistere il coniuge malato. Glielo facevo notare a suo tempo al compianto dottor Cattini in due casi ormai già cronici di depressione, due donne che abitavano nel paese dove lui era medico condotto, guarite in tali circostanze.

 

 

 

 

                E l'altro mistero antropologico, la cosiddetta schizofrenia?  la parola significa "rottura della mente", fu coniata dallo psichiatra svizzero Bleuler per indicare che in questa "malattia" certe funzioni mentali, (ci si  sta esprimendo secondo i canoni della psichiatria e della psicologia tradizionali  che dividono la mente in compartimenti stagni), sono del tutto alterate quali il pensiero, l'ideazione, l'affettività, la percezione della realtà, la volontà, la personalità, la continuità di sentirsi sé stessi,mentre altre funzioni, la memoria, la coscienza, l'orientamento sono conservate.  Un vero mistero: perciò una malattia del cervello. Furono isolate varie forme di schizofrenia a seconda dei sintomi riscontrati, la ebefrenica caratterizzata da ideazione e comportamenti infantilmente sciocchi, dal non distinguere il banale dal rilevante, dall'obbedire meccanicamente a tutti i comandi prendendoli alla lettera, "invece di essere così svogliato alla tua età dovresti essere un leone" e quello si mette a far finta di ruggire ed a mostrare le unghie ed i denti; la forma paranoidea denotata dai deliri e dalle allucinazioni; la catatonica, qualificata o dalla estrema taciturnità, dall' indolenza, da una postura con atteggiamenti strani e persistenti ore ed ore oppure nella forma catatonica agitata dalla agitazione psicomotoria irrefrenabile, anche violenta verso di sé e gli altri; infine la forma semplice che si manifesterebbe con sintomi attenuati che da parte loro influirebbero negativamente sulle capacità di affermarsi nel vivere civile.  

            Per curare questa "malattia", nelle cliniche psichiatriche, nei manicomi ci si è sbizzarriti con le più atroci crudeltà chiamate terapie; vicino ai pazienti stesi su divani psicanalitici  ci si è  compiaciuti di fantasie inconcludenti, si è tirato in ballo Edipo, si è parlato di vita intrauterina e di utero, di libido e di regressioni libidiche, di inondazione della coscienza da parte del processo primario, di io debole. Non si sono accorti dell'errore fondamentale, di considerare la persona  disturbata come isolata dal suo contesto, come una monade, come un sistema chiuso.

              Se invece si allarga il campo e si cerca di osservare con ottica relazionale

la natura della comunicazione nel sistema in cui vive lo "schizofrenico" ci si accorge che è presente , oltre alla disconferma continua nei suoi confronti, anche un modello di interazione paradossale fatto di messaggi e di ordini, che va sotto il nome di "doppio legame" in quel dato sistema interattivo che non può essere rifiutato pena la perdita di insopprimibili sicurezze reciproche,messaggi ed ordini che non possono essere rifiutati, devono per forza essere ubbiditi, ma possono essere ubbiditi solo se si disubbidisce a quegli ordini perché quell'ordine è strutturato in maniera tale che affermando qualcosa afferma nello stesso tempo anche un altro qualcosa che annulla la prima affermazione.

               Mi spiego.  Di  un tale tipo è l'ingiunzione fatta spesso da genitori di un particolare stampo che temono la fine della dipendenza del figlio perché ad esempio hanno  bisogno di avere  a loro legato un figlio ancora non adulto psicologicamente malgrado gli anni, e mandano l'imposizione "alla tua età devi essere indipendente" al figlio tuttora troppo legato a loro e da loro dipendente economicamente e affettivamente; se per caso il figlio, proprio per obbedire a quell'ordine fa qualcosa che dimostra la propria indipendenza ma che dispiace ai genitori disubbidisce alla asserzione del dovere restare ancora a loro legato e dipendente e quindi di non fare nulla che a loro dispiaccia; né però può restare a loro dipendente perché il comando afferma il contrario. Non è la richiesta di un preciso favore che può o non può essere soddisfatta bensì un ordine generico e vago e indefinito nel quadro "tu starai bene soltanto se noi staremo bene". Sono tanti gli ordini di questo tipo dettati nella più grande inconsapevolezza. Non ne basta uno solo o pochi per scatenare i disturbi psichici che vanno sotto il nome di schizofrenia, ce ne vogliono tanti e ripetuti, ma quel tipo di relazione ne sforna ad ogni pie' sospinto. Per esempio non è sufficiente dire "studia la matematica" ma si deve ordinare  "tu devi studiare la matematica con piacere", quel  "devi"  e quel "con piacere" si annullano, non basterà infatti studiare perché se, pure studiando la matematica, quel ragazzo non  manifesterà una grande gioia ma  apparirà di malumore e teso nel fare violenza a se stesso , quel ragazzo sarà redarguito perché cattivo e disubbidiente; però per essere contento non dovrebbe studiare la matematica che non gli piace.

             

 

 

          In questo modello di interazione sta la cosidetta schizofrenia, non una malattia del cervello, piuttosto un rammulinare di feedbacks, una serie di reazioni  ad interpretazioni di reazioni, una serie di interpretazioni di interpretazioni di richieste e di ordini indecidibili, analogo al rispecchiarsi di specchi contrapposti. Il comportamento di tutti i componenti di quella relazione esprime esso stesso  una intrepretazione di una interpretazione, ed il comportamento è quindi folle non solo di chi è considerato malato ma anche di tutti  gli altri elementi di quel sistema. Il comportamento è folle seppure adeguato a quel tipo di relazione.

          "E' pazzia ma  c'è del metodo" come ebbe a far notare nella pazzia di Amleto il grande Shakespeare già qualche secolo fa. Non fu capita dagli psichiatri quella splendida intuizione.

           In tale ottica i sintomi della malattia diventano comunicazioni in un sistema relazionale assurdo e distorto.

          Se la "psicosi maniaco depressiva" insorge in persone adulte la "schizofrenia" è propria dell'età giovanile, si manifesta in concomitanza dello svilupparsi della personalità del bambino, del ragazzo, del giovane durante le fasi della progressiva necessaria autonomia dai genitori, nell'affermarsi di una nuova individualità. Ogni famiglia ha una propria continuità storica, ogni famiglia possiede una tramandata maniera di fare, ogni famiglia ha un suo modo di riassestarsi nel continuo divenire  di nuove fasi vitali ; in alcune si sviluppa metodicamente quella forma di comunicazione paradossale che sottende la "schizofrenia".

          Il giovane è la persona più fragile in quel contesto, più facilmente incappa nella rete ; non è sempre il primogenito ad incapparvi , di solito ne basta uno che fa da parafulmine agli altri fratelli. Ma non sempre il ragazzo ed il giovane sono i destinatari di "doppi legami", anche l'adulto può subirli, magari insieme alla "disconferma" che in qualche modo può essere vista come  "doppio legame". Ne scaturiscono quelle cosidette "psicosi deliranti" nelle quali domina il delirio accompagnato talora da allucinazioni.

               E' un dato di fatto, è bene ricordarlo, che per il "paziente designato" chi invia i "doppi legami" e chi mette in atto la disconferma è persona di importanza vitale verso la quale è portato ad avere fiducia, dalla quale non si aspetta un qualsiasi sopruso, non si rende conto come possa star male con loro, per lui non può essere che una grande sorpresa il sentirsi con loro in quelle condizioni, mi è capitato di osservarlo in tante occasioni. Quanto questa "sorpresa" insieme alla indecidibilità gioca un ruolo importante nel viraggio del suo stato mentale? Gioca un ruolo nella deprivazione affettiva?

 

 

 

 

               Tutto ciò comporta l'entrare in un'altra dimensione psichica, l'entrare in quei viottoli della follia,viene da pensare che il modello intersinaptico, le vie neuroniche del funzionamento mentale si siano commutate, l'emisfero della razionalità e del ragionamento logico messo in disparte e che si privilegi anche nella veglia quello dei sogni e della fantasia, delle più ardite analogie, ecco che viene fuori quel particolare tono di voce che pare pregno di sogno e che, durante gli incontri terapeutici, quando quei nodi della follia per un attimo si sciolgono , quando per breve tempo si intravede l'assurdità della situazione,viene abbandonato, mi è capitato tante volte ed allora l'ho fatto sempre notare agli astanti ed allora il "paziente" mi ha detto "ha ragione, dottore, per un attimo mi sono sentito bene" ; ecco il modo particolare di gestire il parlare; ecco che nel contenuto dei deliri viene nascosta un'immagine reale oniricamente mascherata, ecco nelle allucinazioni le paure e l'angoscia di non riconoscere più sé stesso cui è stata tolta la capacità di volere,che è comandato da centrali radar, c'è la quarta dimensione dalla quale sorgono voci e comandi, il "deja vu" dei pensieri rubati, dei pensieri trasformati in parole come nel sogno , la coscienza di vivere inconsapevolmente una vita naturale che non appare tale   (questa per me è l'essenza interiore della follia) ecco il parlare per immagini concrete, il comunicare analogicamente col comportamento che, come ogni comunicazione analogica, è approssimativo, impreciso, ambiguo nel significato, comportamento che è simbolico come simbolici sono sempre i sogni. Un comportamento  anche estroso e che può suscitare curiosità e fascino,un giullare, un artista  "ci sono tante più cose in cielo che nella tua filosofia, o Orazio", forse è per tale ragione che l'artista viene spesso considerato  pazzo,

            Ricordo una persona , anzi un personaggio. Abitava in un paesino vicino a Firenze, in una casupola buia e fuligginosa insieme alla vecchia madre, una vecchina raggrinzita, mi sembrò ancora  maliziosamente volpina ed alquanto velenosa da come parlava del figlio; lui oramai da tempo  "schizofrenico" viveva in un mondo tutto suo. Aveva per amico un falegname dal quale si faceva dare i piccoli ritagli di legno, di pochi centimetri quadri di superficie,  rettangoli, quadrati, triangoli di diversa misura e di diverso spessore, qualcuno tagliato a quartabono, lui li ordinava accostandoli per costruire immagini logiche anche di un metro quadro e mi portava ad ammirarle spiegandomele con suoni gutturali, parole mozze e mangiate,parole in libertà incomprensibili, mi faceva vedere quelle costruzioni effimere, molecole logiche non incollate, tenute insieme dalla forza di gravità perché, contornate da una cornice, stavano ritte, fragili, preziose nella loro povertà, affascinanti, intrasportabili , Mondrian non  arrivò a tanto;costruzioni leggere,frangibili,complicate, razionalmente irrazionali come leggera, frangibile, complicata, razionalmente irrazionale era la sua vita.

              Non solo. Aveva fabbricato in legno, novello mastro Geppetto, un suo Pinocchio alto una ottantina di centimetri, ( mi è venuto da supporre pensando a questo Pinocchio ed a quelli di Venturino e di Collodi che siano frutto del desiderio di avere un figlio senza l'intervento di una donna, una specie di partenogenesi maschile, in fondo anche nel Pinocchio di Collodi la Fatina non è la mamma bensì la coscienza morale umana di Pinocchio intravista come intervento magico, come del resto è magica la coscienza umana, la Fatina che appare sempre nei momenti critici a tentare di fargli da guida, tramite la quale Pinocchio da burattino diventa un bambino e che non riappare più sulla scena quando, incarnandosi in lui,Pinocchio   cambia  natura, forse questo è il messaggio pedagogico di Collodi l'uomo cessa di essere un burattino quando acquisisce la coscienza di essere un uomo; il grillo parlante non rappresenta la coscienza bensì il rimorso delle cattive azioni.  Lui, il nostro amico, che pur non avendo mai sperimentato una relazione con l'altro sesso era bisognoso di un figlio l'aveva generato da solo e lo portava a spasso su un carrettino a due ruote anche questo  costruito con le proprie mani, il suo Pinocchio purtroppo non camminava da solo, ed insieme andavano ad un piccolissimo pezzettino di terra,  minuscolo, il loro campo dei miracoli, dove seminava qualche chicco di seme e qualche mezza lira nella speranza di vedere spuntare l'albero dalle monete luccicanti, lui e quel suo figliolo di legno unica consolante soddisfazione della sua vita grama.

              Sembra che lo "schizofrenico" viva da attore, che segua il copione della inautenticità nell'assere autentico. Non viene capito il perché lui segua il suo viottolo fantasioso; così gi altri lo consideramno pazzo.

                 E' un linguaggio particolare lo "schizofrenichese".  Per capirlo si deve tenere conto dei tanti significati nascosti e non solo nel linguaggio verbale ma anche in quello non verbale più vero e più sincero perché spontaneo, perché non dominabile dal controllo della volontà; si deve tener conto delle azioni, dei silenzi, della mimica, delle posture, del tono della voce, i significati ed i contenuti sono soltanto suggeriti da larvate allusioni, anche con i deliri e le allucinazioni. Quanta verità nascosta è comunicata col delirio! Ricordo Mario, uno schizofrenico da lunga data, era sui cinquantacinque ed aveva cominciato a stare male a ventun'anni, gli era morto dapprima il padre e poi la madre, viveva con la pensione di reversibilità del padre e la sua pensione sociale, rimpolpata con l'assegno di accompagnamento anche se era autosufficiente, in tutto sul milione e seicentomila lire, per sé spendeva pochissimo, metteva tutto da parte. Cominciò a dire che, pur chiudendo a chiave la casa, la gente gli entrava ugualmente dentro. "Mario, non è possibile." "No dottore, guardi, quì, in questo baule c'era trecentomila lire che avevo messo proprio io e ora non ci son più." Rimasi perplesso. Sapevo che la sorella aveva la chiave di casa, qualche volta andava a fargli un po' di faccende, non glielo ricordai ma mandai l'infermiera dalla sorella a sentire se per caso, a fin di bene, avesse preso le trecentomila lire senza dire niente a Mario; dopo aver tergiversato ammise che era stata lei a prenderle, "che vuole signorina, lei lo sa come è Mario, pensavo che le sciupasse." La sorella che pensava di fare interdire Mario e vendere la casa dei genitori, che Mario aveva ereditato, per pagare la nuova casa che insieme al marito aveva fatto costruire. L'ereditò insieme ai risparmi quando Mario morì. Un caso analogo quello della Checca anche lei delirante, che accusava la vicina di entrare in casa sua a prenderle i suoi ricami, quei meravigliosi lenzuoli di lino da lei ricamati, quelle meravigliose tovaglie da lei decorate di pizzo, il pizzo che un tempo facevano in quel di Tavarnelle Val di Pesa, pur se cambiasse continuamente serratura; ma non pensava che sempre dava la copia della chiave al nipote intenzionato a mandarla in un ospizio per malati di mente e che faceva di tutto perché la zia andasse fuori di testa. E così poteva entrare in possesso anche della casa della Checca come alla fine riuscì.

               Uguale attenzione deve essere prestata agli altri componenti del sistema interattivo, al loro linguaggio verbale e non verbale, al loro comportamento, alle loro reazioni.

               E' esperienza comune a tanti psichiatri che la "malattia" serva a qualcuno: l'esistenza del "paziente" nella famiglia permette la continuazione dell'omeostasi, della stabilità del sistema il cui cambiamento è sentito come pericoloso. Ricordo come, all'inizio di una terapia con i genitori insieme ai fratelli ed al "paziente designato", la madre mi venne a trovare da sola e mi portò un quaderno. "Tenga, dottore, forse ciò che vi è scritto potrà aiutarla, ci sono i miei segreti". Vi erano le deliranti invocazioni ad un amante immaginario del quale aveva bisogno per continuare a vivere,povera donna, l'invito ed il ringraziamento per esserle stato vicino nella notte e dentro il quaderno vi era la cartolina del Ratto delle Sabine del Giambologna; era per dirmi "stai attento, c'è anche questo problema, non andare troppo in là con la terapia, può succedere un disastro in famiglia peggiore dell'attuale."

               Non sempre il ragazzo od il giovane sono i destinatari del "doppio legame". Anche l'adulto può subirlo magari insieme alla disconferma che in qualche modo può essere intesa come "doppio legame". Ne scaturiscono quelle cosidette "psicosi deliranti" nelle quali dominanano  i deliri acompagnati talvolta dalle allucinazioni.

               E' un dato di fatto che per il "paziente designato" coloro che inviano i "doppi legami" e che  mettono in atto la disconferma sono persone di importanza capitale, di importanza vitale, verso le quale è portato ad avere fiducia, dalle quali non si aspetterebbe mai un qualsiasi sopruso o tranello ed in quella situazione di disagio non accetta né sopporta né si può rendere conto come possa stare male con essi, è possibile che per lui sia un'insopportabile sorpresa quel sentirsi con loro in quelle condizioni. In qualche modo quella "sorpresa", oltre alla indecidibilità, quasi si trattasse di un condizionamento ipnotico gioca un ruolo nel viraggio del suo stato mentale? gioca un ruolo nella deprivazione affettiva?

 

 

 

             Come muoversi, che fare, nel tentare la terapia?

                Si deve sopratutto lavorare nel contesto e sul contesto, individuando il nodo della relazione distorta, mettendo in evidenza anche pragmaticamene le incongruenze cioè, se possibile ed utile, facendo vivere a tutti durante la seduta terapeutica le situazioni paradossali.Ma anche togliendo a tutti il convincimento di essere difronte ad una malattia, operazione difficilissima perché l'idea di "malattia" del congiunto toglie ad ognuno qualsiasi responsabilità e poi perché il comune pensiero a questo riguardo è continuamente rinforzato da tutti i mezzi di comunicazione che restano al servizio di sorpassate concezioni psichiatriche cui stanno alla base ingentissimi interessi economici ed è un vero e proprio andare contro corrente l'affermare il contrario. Altresì è indispensabile togliere il pregiudizio che non c'è più nulla da fare, dando fiducia e speranza, facendo esperimentare i vantaggi del cambiamento anche se difficile e doloroso, aiutando tutti a formulare richieste chiare  ed univoche, ad accettare emozioni e sentimenti senza sconfessarli con preconcetti e travisamenti così da far dileguare l'indecidibilità dei messaggi e delle richieste, non "criminalizzando" nessuno dandogli la colpa di ciò che accade, non aggredendo di petto e direttamente il problema bensì arrivando ad esso per vie traverse.  Senza il rifiuto degli psicofarmaci quando ci vogliono, nella dose più bassa possibile per ottenere il risultato voluto, con la competenza di usare quello giusto tenendo conto dei sintomi .

           Io mi sono servito anche delle barzellette, tante volte più significative e fruttuose di tanti bei discorsi.                                                                                     

                Può essere necessario a volte allontanare dal suo ambiente la persona più manifestamente disturbata che però non deve essere medicalizzata ricoverandola in ospedale bensì accolta in un ambiente non medico, in un ambiente sereno e tranquillo simile ad un albergo ( qualcuno potrebbe dire come una famiglia ma sarebbe un paradosso in certi casi) nel quale possa riprendere fiato, fare una pausa per avere l'opportunità di  superare la fase critica , spesso drammatica, del disturbo.Tale  necessità  si può  verificare anche nei casi gravi di depressione.

 

 

 

 

            

             Vi è pure un'altra fonte di disagi psichici: è che il nostro "me", il nostro essere che agisce consapevolmente od inconsapevolmente per sodisfare istinti e bisogni e che rappresenta la componente di base fondamentale della nostra vita psichica, non è mai solo neanche quando non abbiamo nessuno accanto. Accanto al nostro "me" che pensa, che agisce, che parla, che vuole c'è sempre l' "io" che controlla, che può sembrare un'altra persona ma non lo è, è soltanto una specie di clonazione  dei circuiti neuronici che determinano il "me", è la nostra coscienza che ci fa riflettere su noi stessi, che ci fa riflettere sul "me" che viene costantemente giudicato, l' "io" che ci viene offerto fino dalla nascita ma altresì ampliato e rinforzato e talvolta anche modificato, molte volte anche straziato e distorto dall'educazione, l' "io" che può frenare gli istinti, e lo stare insieme agli altri implica checché se ne pensi il controllo sugli istinti, li può incanalare o sublimare ma talora, rintoppandoli  in pertugi troppo stretti, in particolare gli istinti sessuali, causa ingorghi e straripamenti generando sofferenze e disordini oppure  scatenandoli li rende furiosamente sfrenati, violenti e la violenza genera orribili delitti, l' "io" che in certe, tante circostanze è in contrasto col  più impulsivo "me", pur essendo , l' "io" ed il "me", profondamente mescolati e confusi nel magma sinaptico dove forse camminano su vie parallele nei circuiti neuronici, forse hanno paralleli addentellati nel riverbero degli impulsi interneuronici,l' "io" ed il "me" che talora si sovrammettono e si sommano , talaltra si contrastano e si elidono, chissà. Forse proprio quì è riposta la substantia della natura umana, più stupefacente,più misteriosa, più sublime ma anche più infima e bestiale di quanto non sia  la natura degli animali, pure dei più intelligenti, e che porta l'uomo a pensare a Dio, al Demonio, all'Anima.

                  L' "io" che è coscienza morale,che ci fa distinguere il bene dal male, anch'essi talvolta camaleonti che a noi si mascherano l'uno con l'altro tanto da non essere chiaro quale sia il bene e quale il male.

          Non c'è la peggio quando l' "io" diventa superbo, arrogante, pedante, cocciuto, permaloso, stizzito col "me"; per forza allora si aprono i viottoli del furore, della paura, dell'ansia, dell'angoscia, della tristezza; allora il soma stesso, il cuore, lo stomaco, l'intestino, la vescica vanno a fare da parafulmine, attraendo su di loro l'interesse e le preoccupaziomi, deviano i contenuti del problema che sta a monte e lo negano.

               Purtroppo noi allo stesso tempo siamo: ciò che non si può fare a meno di essere, ciò che siamo in verità e ciò che vorremmo essere. Come fare a non uscire dal solco?

 

 

 

             Che fare in questi casi?

          Erasmo, il grande Erasmo da Rotterdam, nell'elogio che la pazzia fa di sé stessa mi indicò a suo tempo il da farsi. L' "Elogio della Follia" fu scritto per scherzo,uno scherzo brioso e gustoso ma quanto pieno di saggezza e di intuizioni profonde! una satira spassosa sulle persone importanti, sui sapienti, sui prelati, che quanto più si stimano saggi  tanto più si dimostrano stolti e, di contro, una bonaria esaltazione della follia salutare che è vera saggezza nel suo benevolo abbraccio. Che altro se non pazzia è l'amore? si domanda. Il segreto per vivere sereni e felici è avere sempre accanto la Filautia, l'amore per se stessi, il piacere a sé stessi,chi non piace a sé stesso non conclude nulla. Se errare è umano non si deve chiamare infelice chi sbaglia, l'uomo è fatto in maniera che non può non sbagliare, questa la sorte data a tutti. Non deve compiangersi l'uomo perché non sa galoppare a quattrro zampe, né deve essere chiamato infelice il cavallo perché non sa la grammatica!

            Così Erasmo afferma che siamo tutti umani.

            Accettarsi con un pizzico di autoironia, con un briciolo di derisione scherzosa e con tanta umiltà nella coscienza di essere tutti dei poveri diavoli, che solo tramite l'autoironia  e l'umiltà di volersi bene diventano simpatici a sé stessi ed agli altri.

            Questo il fine che tante volte, direi sempre, mi sono preposto nel mio fare lo psichiatra, con gli altri ed anche con me stesso.

 

 

 

 

           Dunque la terapia relazionale è un metodo sicuro ed infallibile? Certamente no,è da ricordare che anche con tale metodologia e tale prassi terapeutica  qualche caso risulta irrisolto, " il tutti  sta  nelle buchette" come dice un proverbio toscano e la modestia  dell'accettare l'inadeguatezza personale ed il disdegnare l'onnipotenza deve  essere costantemente la guida ad ogni azione umana; con sicurezza  però si deve concludere che difronte alla mole dei casi psichiatrici sono di numero esiguo i fallimenti di contro al generale fallimento della psichiatria tradizionale che considera un ottimo risultato l'annullare totalmente attraverso l'uso perpetuo degli psicofarmaci la personalità del "paziente" che non potrà mai, secondo quella prassi, scappare dalle grinfie del controllo psichiatrico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

         

 

 

 

          

              

 

           

 

 

 

              

              

        

 

(CONTINUA -fine della prima parte)
                       
Recensioni bibliografiche 2003
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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