Il malessere degli adolescenti
Da
più parti e da molto tempo si segnala il crescente malessere degli
adolescenti e dei giovani e l’aumento verticale dei casi in cui il
malessere assume una chiara connotazione psicopatologica.
In
un recente articolo (Rigon G.,Costa S. e Fioritti A., 2009) abbiamo
documentato questo aggravarsi della situazione sia dal punto di
vista sociale che delle salute mentale. La società italiana si
caratterizza per un marcato indebolimento della rete di sostegno sia
familiare sia tra i pari, che rende tutti più isolati e più
fragili. I principali cambiamenti sociali avvenuti in Italia negli
ultimi 25 anni, ci hanno infatti reso un Paese con una minore
coesione sociale, nel quale gli individui
sono più istruiti, più ricchi, più occupati, ma anche più
disuguali e più vulnerabili.
Per
quel che riguarda le condizioni di salute mentale in età evolutiva,
peraltro strettamente intrecciate a quelle sociali, vale ricordare
l’aumento del 6,5% dei casi di gravi situazioni
psicopatologiche che si è registrato
in quattro anni presso il Day Hospital, spesso secondo la modalità
dell’urgenza psichiatrica; i casi di
tentato suicidio che sono cresciuti
del 33% ; le consulenze psichiatriche richieste dal carcere
minorile: più 20%; le richieste di intervento psichiatrico urgente
per i minori stranieri non accompagnati,
che sono salite addirittura del 50%.
E’
in questo contesto che si colloca la presentazione dell’esperienza
della struttura semiresidenziale, definita anche, in letteratura,
come centro semiresidenziale, o struttura diurna o struttura
intermedia, e da noi , confidenzialmente, semiresidenza; dai nostri
pazienti, con ancora maggiore confidenza e semplicità, “semi”.
Il
termine ‘struttura intermedia’ evidenzia come essa
sia necessariamente collocata fra altre. Nel nostro caso, la
struttura di cui parliamo rappresenta
un importante tassello inserito nel complesso sistema di risposta
alla psicopatologia in adolescenza della attuale Area Dipartimentale
di NeuroPsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza
(NPIA) del Dipartimento di Salute Mentale di Bologna.
Le strutture intermedie come risposta
terapeutica
Il
nostro Centro Semiresidenziale è stato
pensato come una struttura intermedia, inserita nella rete
dei servizi territoriali, “al servizio del servizio
territoriale” come troviamo scritto nei primi documenti che
illustravano il progetto di costituzione del Centro.
In
quegli stessi documenti, è indicato il
riferimento scientifico e tecnico ai principi della
psicoterapia istituzionale (Jeann Oury, Bettelheim, Tosquelles)
e delle comunità terapeutiche (T. Main, Maxwell Jones, R.
Hinshelwood) .
Scorrere,
seppur velocemente, questa storia, ha il senso della
contestualizzazione della identità del Centro, per chiederci quale
senso e quale corrispondenza rispetto ai bisogni
ha ancora oggi una struttura di questo tipo, quale
appropriatezza, per dirla nei termini tecnici di oggi.
Definizione
di struttura intermedia
Citavo,
più sopra, il termine “
struttura intermedia”; Vediamone allora, una possibile
definizione, alla quale farà seguito un
breve excursus relativo alle Comunità Terapeutiche.
Secondo
una definizione de “L’Information Psychiatrique” del 1979, le
“strutture intermedie potrebbero collocarsi: a valle
dell’ospedale , ma anche in opposizione dialettica indispensabile
con esso, senza costituire ancora modi di habitat e di vita
completamente indipendenti e realizzando così dei tempi transitori
(…); a monte dell’ospedale, queste strutture intermedie devono
svilupparsi anche per essere il luogo di accoglimento di stati di
crisi, permettendo così di risparmiare delle ospedalizzazioni”.
In
questa ottica parlare di “strutture intermedie” in psichiatria,
per noi significa, parlare non solo di servizi come un Day Hospital
o un Centro Diurno terapeutico, in quanto collocati fra ospedale e
territorio, ma di “comunità terapeutiche”, o, per usare
l’espressione utilizzata dai colleghi francesi, di psichiatria e psicoterapia
istituzionale, perché organizzati secondo i criteri di dette
comunità, che vedremo fra poco.
Storia
della comunità terapeutica e i fattori curativi
Le
Comunità Terapeutiche (CT) si inseriscono nel filone
storico di critica alle istituzioni psichiatriche e di questa
sono state anzi una significativa
espressione. Questo movimento ha radici antiche, verso la
fine del XVIII secolo con Pinel, e successivamente, tra gli anni
venti e quaranta del novecento, ha visto diverse significative
esperienze e alcune decisive acquisizioni concettuali: negli Stati
Uniti con Moreno, Kurt
Lewin , H.S. Sullivan, ed in Germania
con Herman Simon.
Negli
anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale, le
esperienze dei campi di prigionia e di concentramento portarono François
Tosquelles e Bruno Bettelheim, a pensare che l’universo
concentrazionario, nella sua assoluta brutalità, era pur sempre una
dimensione comunitaria che poteva
essere trasformata nel suo opposto per poter curare; sulla
base di questa idea prese corpo l’esperienza
dell’Ospedale di Saint-Alban
e quella della Orthogenic School di Chicago.
La
nascita delle comunità terapeutiche viene unanimemente ricondotta
al periodo in cui Bion
e Rickman, nel corso della seconda guerra mondiale, lavorando con i
soldati ricoverati, si resero conto che occorreva offrire loro la
opportunità di
comprendere che la soluzione dei
problemi non era nelle
mani degli ufficiali, ma dipendeva dalle loro capacità di impegno e
di lavoro.
A
Tom Main, che subentrò a Bion nella direzione della sezione
psichiatrica di Northfield, si deve il termine stesso di Comunità
Terapeutica nonché la prima formulazione teorica dei suoi principi
fondanti.
Parlando
dell’esperienza inglese e della nascita delle comunità
terapeutiche va ricordato Maxwell Jones che nel dopoguerra
caratterizzò nella prospettiva “socioterapica” le Comunità
Terapeutiche presso l’Henderson Hospital.
Negli
anni successivi alla guerra, in Francia vi fu un grande sviluppo di
esperienze comunitarie che sono state un importante punto di
riferimento anche per le successive esperienze italiane.
-
L’integrazione fra competenze, gruppi ,ottiche diverse; la
Comunità diviene quindi una risorsa terapeutica globale che cura
con il suo funzionamento integrato; gruppo dei pazienti, gruppo dei
curanti, famiglie, rete sociale costituiscono nel loro insieme il
dispositivo di cura.
-
La Comunità offre ai pazienti una dimensione spaziale e
temporale definita, offre cioè un “luogo” di incontro e
confronto che predispone condizioni affettive favorevoli
-
L’esperienza guppale è il metodo di lavoro principale
adottato dai curanti
-
Il lavoro comunitario attiene fondamentalmente
alla condivisione della vita quotidiana e ai modi nei quali
questa viene organizzata.
-
Il progetto terapeutico è
personalizzato, formulato cioè in maniera diversa per ciascun paziente
-
Alla base della partecipazione alla vita della Comunità sta
l’ipotesi di un possibile percorso evolutivo.
-
Una formazione continua
degli operatori centrata sulla possibilità di riflettere
sull’esperienza e sul proprio coinvolgimento emotivo; a
questo scopo regolari gruppi di supervisione sono un requisito
essenziale per garantire un funzionamento comunitario che sia in
grado di governare le dinamiche di cui è oggetto e soggetto al
tempo stesso.
Questi
aspetti non solo caratterizzano una Comunità terapeutica, ma
definiscono anche un metodo di cura, che gli autori francesi,
come detto, chiamano “psichiatria e psicoterapia istituzionale”
e che può essere realizzato in situazioni diverse come i
Centri Diurni ed i Day
Hospital, come vedremo essere il nostro caso, oppure gli ambulatori
e altre strutture territoriali (Merini A., 2002).
Le
esperienze di comunità terapeutiche riportate più sopra mostrano
come esse abbiano riguardato comunità per adulti; molto meno
numerosi sono le
esperienze e gli studi relativi all’età evolutiva che, proprio
per il concetto intrinseco di “evolutività” possiede
caratteristiche molto peculiari.
In
questa fascia di età, infatti, in ottica terapeutica, il compito
primario, più ancora che con gli adulti,
è quello di riavviare un processo evolutivo bloccato o
distorto nella regressione e nella sintomatologia, riuscendo quindi
a riattivare il percorso di sviluppo, restaurare uno spazio di
pensiero e favorire un funzionamento alternativo a quello modellato
sulla patologia.
Considerando
la situazione del nostro Paese, possiamo dire che in Italia il
movimento di riforma delle strutture psichiatriche si è manifestato
tardivamente, ma ha conseguito positivi e rilevanti risultati che
sono tutt’oggi di esempio con la Legge del 1977 che stabilisce la
chiusura delle scuole
speciali, e, per quel
che riguarda la psichiatria, con la Legge 180 del 1978, che prevede il superamento delle strutture manicomiali.
L’importanza di queste leggi sta anche nel riconoscere
l’esistenza, nei bambini come negli adulti, della sofferenza
psichica e la conseguente necessità di curarla e non di isolarla e
soffocarla.
A
fronte di questi aspetti positivi, si deve riconoscere che nel
nostro Paese si è creato un vuoto di studi e di esperienza che si
riflette in una debolezza culturale specifica i cui effetti negativi
si fanno particolarmente sentire in questi anni, nei quali
viene fortemente riproposta, a livello sociale,
la risposta comunitaria, ma la sua riproposizione avviene
secondo una visone frammentata sulla base del criterio della
sintomatologia (comunità specifiche per pazienti anoressiche, altre
per pazienti bulimiche, altre ancora
per disturbi borderline, …); si tratta di una proposta
fortemente tecnicizzata all’apparenza, ma in realtà improntata
esclusivamente alla risposta al
sintomo, lontana dal modello originario delle Comunità Terapeutiche
centrato sulla persona e sulle sue relazioni sociali,
che rappresenta invece tutt’oggi, a mio parere, un
riferimento preciso per il Centro
Semiresidenziale.
Un
importante riscontro a sostegno di
questa visione delle Comunità ci viene dai positivi
risultati che riscontriamo nei ragazzi che abbiamo trattato nel
corso di questi anni. Tutti gli studi di follow-up che abbiamo
condotto, anche il più recente e sofisticato dal punto di vista
metodologico, che compare in questo libro nel paragrafo curato da
Casagrande e altri, ci
confermano che tutti i ragazzi sono migliorati, in grado
maggiore o minore, e che il miglioramento si mostra stabile nel
tempo.
La nascita della Semiresidenza
L’idea
di dotare i servizi territoriali di psichiatra infantile di una
struttura terapeutica per rispondere in modo adeguato alle
condizioni psicopatologiche gravi,
data da molti anni.
Si
tratta di un centro diurno per preadolescenti ed adolescenti con
gravi disturbi psicopatologici che è attivo dal gennaio del 1997 a
Bologna, come parte integrante dei servizi di neuropsichiatria
infantile della città, ma aperto ad una utenza proveniente
dall’area provinciale.
Tra
le ragioni che hanno spinto alla costruzione del progetto, sta senza
dubbio al primo posto la necessità di rafforzare i servizi
territoriali di neuropsichiatria infantile, dotandoli di uno
strumento terapeutico che fosse al contempo specifico per i disturbi
psicopatologici e capace di potenziare l’efficacia terapeutica
degli interventi.
Questa
duplice esigenza, sentita da tempo, fonda sul riconoscimento
dell’esistenza della sofferenza psichica dei bambini, degli
adolescenti e delle loro famiglie. Si può certamente dire che,
mentre tale riconoscimento, e per conseguenza la sua specificità e
differenza rispetto all’handicap, era scontato in ambito
specialistico, ciò non era sempre compreso o accettato a livello
sociale ed istituzionale. Basti pensare, per quel che riguarda leggi
e norme statali e regionali, che in esse non era rintracciabile sino
a pochi mesi fa, la dizione “disturbo psicopatologico” oppure
“disturbo psichiatrico” riferita ai minori.
La
costituzione di questo Centro Diurno dimostra che questa differenza
fra disturbo psicopatologico ed handicap è stata ora intesa sia
dagli organismi amministrativi locali (Comune e Regione che hanno
materialmente contribuito all’avvio del progetto) sia dal Servizio
Sanitario Nazionale che lo gestisce direttamente attraverso l’USL.
Questo salto di qualità nella programmazione e nella gestione dei
servizi sanitari e sociali esprime evidentemente
anche un significativo salto di qualità sul piano culturale:
si può ora davvero pensare
che i disturbi di comportamento o di apprendimento dei bambini e
degli adolescenti non siano più visti soltanto come la conseguenza
di una insufficiente dotazione intellettiva o di una mancanza di
educazione, oppure, più semplicemente, come dei “capricci”,
ma piuttosto come il segnale di un malessere psichico a cui
va dato ascolto e risposta.
La
necessità di una risposta specifica per i disturbi psicopatologici
dei bambini e degli adolescenti è confermata anche dai dati
epidemiologici di cui veniamo disponendo con progressiva ampiezza ed
affidabilità. Essi ci dicono che i disturbi psicopatologici
oscillano, per prevalenza, intorno al 17% della popolazione generale
per età.
L’
esigenza più sopra richiamata
relativa alla necessità di rafforzare l’efficacia
terapeutica degli interventi territoriali, ci ha portato a pensare
ad una struttura “ad alta densità terapeutica”; vedremo più
avanti il significato che per noi riveste questa espressione.
Il
percorso per giungere alla realizzazione della semiresidenza è
stato piuttosto lungo.
Il
lavoro a favore della integrazione scolastica e sociale dei bambini
disabili che ha caratterizzato i servizi territoriali di
neuropsichiatria infantile dal
momento della loro costituzione nei primi anni settanta, da un certo
momento in poi si è accompagnato alla consapevolezza della
insufficiente capacità di risposta di questi servizi di fronte alle
situazioni psicopatologiche gravi, complesse od urgenti; in
sostanza, quelle che richiedono interventi intensivi tecnicamente
qualificati, pluriprofessionali,
prolungati nel tempo, con un assorbimento di energia che è
difficilmente affrontabile da parte degli operatori del territorio.
In
anni passati abbiamo avuto modo di segnalare queste difficoltà: ad
esempio, in occasione
di un Convegno sulle comunità terapeutiche
scrivevamo (Rigon G., Martelli M., Nardocci F., 1986):
“anche nei Servizi per l’Infanzia si sta ponendo con sempre
maggiore urgenza il problema di avere a disposizione strutture di
tipo semiresidenziale o residenziale. Questo bisogno si è
manifestato a partire dalla constatazione di una insufficienza degli
strumenti specifici con cui operano le équipe territoriali:
interventi in ambito scolastico, visite domiciliari ed attività
ambulatoriale"
Ancora
nello stesso anno, in una relazione dedicata ai fattori terapeutici
nella psicoterapia dei bambini psicotici dopo avere esposto le
ragioni a favore del modello territoriale contro quello
istituzionale, scrivevamo (Loperfido E., Rigon G., Martelli M.,
1986): “Siamo consapevoli che anche i Servizi Territoriali corrano
il rischio di involuzioni da «istituzionalizzazione», riteniamo
però che le loro caratteristiche costitutive stiano a maggiore
salvaguardia contro questa eventualità. È necessario piuttosto
ridurre la dispersione di energie, e quindi di competenza e di
efficacia, che sembra caratterizzarli strutturalmente.
All’interno
di questo impegno di valorizzazione, si può prevedere che questi
Servizi vengano dotati di strutture diurne di cui abbiano diretta
gestione, dove sia possibile condurre in maniera intensiva
particolari trattamenti terapeutici ed educativi, fermi restando la
frequenza dei bambini nella scuola normale e la loro permanenza in
famiglia.”
Dopo
questa citazione, la relazione tenuta a Bolzano si concludeva
dicendo: “Questo scrivevamo allora a proposito dei bambini
psicotici, e questo è quanto si è voluto fare costruendo la
semiresidenza per preadolescenti e adolescenti
con gravi disturbi psicopatologici della quale vi parlo oggi.
Sono dunque occorsi più di dieci anni per arrivare a concretizzare
un'idea.”
La
Semiresidenza nel percorso per l’urgenza psichiatrica in età
evolutiva.
Uno
dei principali cambiamenti che
si sono realizzati nella Semiresidenza
prese avvio fra il 2000 e il 2001, in coincidenza con
l’inizio dell’attività dell’altra struttura intermedia di cui
è dotato il Servizio NPIA: il Day Hospital di Psichiatria e Psicoterapia
dell’età evolutiva, che ha sede presso un ospedale generale,
l’Ospedale Maggiore.
Questa
seconda struttura aggiungeva un importante tassello al percorso
terapeutico in risposta alle situazioni urgenti e gravi che si
presentano i età evolutiva.
Il
percorso terapeutico per le urgenze psichiatriche in età evolutiva
si inscrive nel più generale percorso clinico dell’ Area
Dipartimentale di Neuropsichiatria dell’Infanzia
e dell’Adolescenza (NPIA) che si
presenta oggi, a Bologna, in questo modo:
E’
da sottolineare come questa
organizzazione preveda, come detto, che i Servizi specialistici
siano al servizio del Servizio Territoriale.
Tutte
le richieste di visita passano
infatti attraverso il Servizio Territoriale che rimane
responsabile del caso anche quando i bambini o gli
adolescenti sono in trattamento presso i Centri specialistici,
dunque anche quando frequentano la Semiresidenza. Abbiamo avuto modo
di constatare che questo aspetto del percorso clinico è di assoluta importanza perché garantisce
la continuità della presa in carico, evitando pericolosi vuoti o
lungaggini, che fanno spesso “perdere il caso”, al momento della
dimissione dai Centri
specialistici.
Nello
schema dei percorsi clinici riportato sopra, è da notare che le
situazioni urgenti e
gravi vengono accolte e
trattate presso la U.O. di Psichiatria e Psicoterapia dell’Età
evolutiva, che, proprio per questa ragione, è l’unica
Unità Operativa del Servizio ad avere un accesso diretto da
parte dei Servizi di Pronto Soccorso Ospedalieri o dei
cittadini. In questi casi, viene subito data comunicazione al
Servizio territoriale, prendendo contatto con il referente
territoriale se il caso è già in carico al Servizio, o con il
Responsabile dell’area territoriale competente se il soggetto é
al suo primo contatto con il Servizio in modo che venga individuato
un referente clinico che si farà carico della situazione al momento
della dimissione.
Nell’area
di Bologna, il percorso dell’urgenza in psichiatria dell’età
evolutiva, non è purtroppo a tutt’oggi completato: esso manca
ancora dei posti letto dedicati per ricovero ordinario, programmato
o urgente.
Si
tratta di una grave carenza che costringe questi ragazzi al ricovero
assieme agli adulti: una carenza contraria ad ogni buon senso, e ad
ogni appropriatezza, ma che è stato sino ad oggi impossibile
superare.
Le emergenze socio educative
Trattando
il tema delle urgenze psichiatriche in età evolutiva, è opportuno
richiamare il problema delle emergenze socio educative, o
psicosociali, in età
evolutiva.
Mi
riferisco a quei casi,
pochi ma come accade per le urgenze psichiatriche vere, di grande
complessità e difficoltà di gestione, che si caratterizzano per il
fatto che con il suo comportamento, il bambino mette in scacco
l’ambiente sociale, solitamente quello scolastico o quello
famigliare. In queste situazioni viene solitamente richiesto un
intervento psichiatrico urgente, mentre a nostro parere, questo non
è indicato, rischiando anzi di essere controproducente perché
sposta sul terreno sanitario psichiatrico un problema, indubbiamente
dirompente, che va mantenuto sul piano educativo e sociale, per
evitare tutte quelle distorsioni che vanno sotto il nome di
psichiatrizzazione. Per questa ragione è importante tenere distinte
le due situazioni. In letteratura
c’è convergenza nel definire urgente
la situazione in cui è
necessario prendere una decisione adottando un intervento
terapeutico tempestivo a causa della perentorietà della richiesta
del paziente, sia per la perdita di tolleranza da parte
dell'ambiente e per una interpretazione soggettiva del medico anche
in una condizione di apparente tranquillità clinica. Il concetto di
emergenza così come
descritto da alcuni autori, rappresenta una situazione in cui il
medico viene chiamato con urgenza, ma nella quale l'intervento può
essere rimandato a tempi successivi; pertanto nell'emergenza
l'elemento psicopatologico gioca un ruolo secondario rispetto alle
problematiche psicosociali.( M.Casacchia, 1994)
Il
tema dell’appropriatezza degli interventi sanitari di fronte a
quadri di emergenza psicosociale e del rischio di delega alla
psichiatria del controllo sociale di comportamenti ritenuti
pericolosi è poco discusso in psichiatria dell’età evolutiva,
probabilmente in relazione alla relativa rarità del fenomeno che
oggi appare, invece, in aumento. Di questo argomento ci siamo
recentemente occupati analizzando una casistica personale (Rigon G.,
Costa S., 2009), e concludevamo che “il disturbo della condotta
non rappresenta solitamente una condizione clinica che richiede per
la tutela della salute di chi ne soffre la misura terapeutica del
ricovero e non rientra nei quadri clinici da considerare come
urgenze psichiatriche vere”. Tutti i casi da noi analizzati
mostravano infatti le
caratteristiche delle emergenze psicosociali; essi avevano
in comune una situazione di crisi acuta del sistema di
accoglienza degli adulti; una mancanza di adeguata capacità di
risposta sul piano educativo e sociale che, in assenza di
alternative, aveva portato ad effettuare ricoveri che, a posteriori,
furono giudicati impropri.
Piuttosto
che del ricovero psichiatrico, in questi casi c’è bisogno di
rafforzare il lavoro di rete ed il confronto con i diversi Servizi,
Enti ed attori implicati nella tutela dei minori, mantenendo ferma
da parte dei neuropsichiatri infantili la specificità della
competenza di intervento tecnico a tutela della salute del minore e
giudicando quindi appropriati (e cioè attuabili) solamente gli
interventi sanitari relativi alle situazioni di urgenza clinica ed
al contrario non appropriati ( e potenzialmente dannosi) quelli in
risposta alle situazioni di emergenza psicosociale.
Tipologia clinica degli utenti
del Centro Semiresidenziale e conflitto fra gruppi
Il
cambiamento della Semiresidenza in relazione alla apertura del Day
Hospital, che richiamavo
più sopra, si realizzò in conseguenza della diversa, più grave
patologia che
presentavano i pazienti, provenienti, con sempre maggiore frequenza
proprio dal Day Hospital.
Questo
servizio è divenuto infatti uno dei nuovi invianti per il Centro
semiresidenziale, stimolando modificazioni della organizzazione
interna in ragione della tipologia clinica e dei bisogni
assistenziali dei soggetti proposti, di cui tratterò più avanti.
La
tipologia degli utenti che è stata seguita con successo e che
attualmente è in carico al Centro è costituita da ragazzi con
diagnosi di schizofrenia, di disturbo di personalità di diverso
tipo (borderline, narcisistico, antisociale) e di disturbo della
condotta.
Per
quanto riguarda l’età, la fascia di intervento si estende dagli
11 ai 19 anni.
-
E’ da sottolineare un importante elemento di novità per quello
che riguarda le modalità d’invio
e di conseguenza il tipo di risposta richiesto alla struttura.
Infatti nel 55,6% dei casi, la procedura d’ingresso è stata in
urgenza perché trasferiti da ospedali
psichiatrici per adulti, dove si trovavano ricoverati oppure perché
il quadro psicopatologico era causa di una situazione familiare non
più sostenibile.
E’
importante sottolineare che in questi casi gravi e giunti in
situazione di urgenza, l’intervento terapeutico offerto in
Semiresidenza è stato, specie inizialmente, quantitativamente massiccio ma qualitativamente
sovrapponibile a quello fornito negli altri casi
tradizionalmente accolti nella struttura.
Rispetto quindi alle novità apportate da questo tipo di
utenza in semiresidenza, uno degli aspetti più importanti è stata
senza dubbio la difficoltà nella gestione del maggiore
coinvolgimento emotivo che questi casi urgenti hanno comportato per
gli operatori, sia singolarmente che come gruppo operativo.
Questo
maggiore coinvolgimento si è manifestato, infatti, anche sul piano
della dinamica istituzionale attraverso l’accentuazione dei timori
di non riuscire a
mantenere l’impegno terapeutico verso “i vecchi utenti” o a
dare quanto necessario ai nuovi; oppure nel timore che l’ingresso
dei nuovi non sarebbe stato tollerato dagli altri ragazzi e per
conseguenza, per meglio "proteggerli", sarebbe stato bene
diluire nel tempo la loro presenza in Semiresidenza.
A
queste paure e tensioni si
è fatto fronte potenziando specie nel periodo successivo
all’ingresso, la discussione dei casi e la loro supervisione di
gruppo, dando particolare attenzione al
confronto tra le varie professionalità che lavoravano sui
casi
La
necessità di continuare a somministrare la terapia
psicofarmacologia che questi ragazzi avevano iniziato in Day
Hospital in ragione della gravità della sintomatologia, ha
rappresentato un altro cambiamento importante per la Semiresidenza.
Si poneva infatti la necessità di somministrare da parte degli
educatori i farmaci di cui tutti questi ragazzi avevano bisogno
durante la frequenza in Semiresidenza. Le resistenze rispetto a
questo punto erano motivate dal timore di trasformare questo luogo
da struttura educativa in un reparto ospedaliero. Il conflitto su
questo punto fra l’ équipe sanitaria e quella educativa fu molto
acceso, tanto da far temere la rottura della collaborazione. Se ne
uscì positivamente prendendo coscienza che i due gruppi non
conoscevano le ragioni culturali e professionali che sostenevano il
punto di vista psichiatrico e quello pedagogico riguardo alla sofferenza
psichica degli adolescenti e al come intervenire per alleviarla.
Era
quindi necessario porre rimedio a questo, e ciò avvenne attraverso
l’organizzazione di un ciclo di seminari interni, che si tennero
il sabato mattina, e
nei quali medici ed educatori si alternavano come docenti
Va
ricordato che la partecipazione degli educatori a questi seminari fu
riconosciuta dalla loro Cooperativa come parte del loro orario di
formazione; questo riconoscimento credo testimoni concretamente
l’alto grado di collaborazione raggiunto fra il Servizio sanitario
pubblico e un Ente del cosiddetto privato sociale
Questa
positiva esperienza rappresenta anche un buon esempio di come il
conflitto, in questo caso fra due gruppi professionali, se
adeguatamente gestito, diviene il motore positivo dello sviluppo
anche per quel che riguarda le istituzioni.
In
tema di conflitto tra gruppi, merita citare quello manifestatosi fra
l’équipe che operava nel Day Hospital, e funzionava quindi da
inviante verso la Semiresidenza, e quella della Semiresidenza che si
trovava a dover ricevere i pazienti inviati spesso in urgenza, senza
seguire quindi
il percorso di ammissione definito per coloro che venivano
segnalati dal Servizio Territoriale, interferendo spesso
con i programmi e i percorsi di ammissione già avviati.
In
questo caso si cercò di trovare una soluzione affidandosi alla
formalizzazione del percorso per il passaggio dal Day Hospital alla
Semiresidenza. Lo schema concordato servì indubbiamente a rimettere
i rapporti sul binario giusto sul piano operativo a tutto vantaggio
dei pazienti.
Schema
d’invio pazienti dal D.H. alla
Semiresidenza
Chi
è l’inviante
Qual’è
il quadro clinico attuale
Per
quale finalità è richiesto l’inserimento in Semiresidenza
Per
quanto tempo è richiesto l’inserimento
Qual’è
l’équipe di riferimento territoriale
A
che punto sono i contatti con questa équipe
Schema di accoglimento in
Semiresidenza di pazienti inviati dal D.H. :
Verifica
della disponibilità organizzativa all’interno della Semiresidenza
(data di inizio della frequenza;
tempo disponibile per la frequenza: mezza giornata, giornata
intera, quali giorni sono disponibili per la frequenza)
Definizione
del clinico e dell’educatore referente del caso in Semiresidenza
Elaborazione
del progetto d’intervento nel breve periodo
Elaborazione
delle valutazioni conclusive e loro discussione con l’équipe
inviante del Day Hospital e quella di competenza territoriale
Come
si vede, il protocollo è teso a dare ordine ai rapporti tra le due
équipe, salvaguardando le specificità dei diversi ambiti.
Anche
in questo caso, come in quello descritto sopra, relativo alla
contrapposizione fra medici ed educatori, la proposta organizzativa
concreta (in quel caso i seminari interni, in questo, gli schemi
procedurali), ha l’ambizione di
fornire una occasione, una sede e delle regole condivise
secondo le quali affrontare il conflitto in modo che esso risulti un
motore di sviluppo e non una ragione di blocco o di involuzione per
i pazienti e per il sistema curante.
L’impostazione terapeutica della
semiresidenza.
Nonostante
i cambiamenti avvenuti nella tipologia clinica e nei rapporti fra
Semiresidenza ed équipe invianti, di cui si è appena detto, la
struttura ha mantenuto nel tempo la sua caratteristica di comunità
terapeutica di cui si possono presentare gli elementi
caratterizzanti dal punto di vista clinico. Essi
mirano a tradurre nella pratica quotidiana tre principi da
noi ritenuti fondanti:
-
svolgere un
intervento che sia coerente con il progetto terapeutico più
generale elaborato e condotto dalle équipe
territoriali invianti
-
agire
all’interno e verso l’esterno della Semiresidenza secondo i
criteri della comunità terapeutica
-
fornire
interventi finalizzati all’integrazione fra:
-lavoro
terapeutico individuale e intervento istituzionale
-
intervento clinico e intervento educativo
-
interventi clinici realizzati all’interno e all’esterno
della
struttura
- mondo interno e realtà esterna
Tempo di
permanenza definito
Fra gli
elementi che caratterizzano l’intervento nel nostro Centro
Semiresidenziale, vi è il tempo definito di permanenza degli
utenti. Esso viene preliminarmente individuato assieme alla équipe
inviante nell’ambito della definizione di un progetto terapeutico
condiviso. Già al momento dell’ingresso, viene dunque precisato
al soggetto e alla sua famiglia, in presenza dell’équipe
territoriale inviante, che la presenza nel Centro avrà un termine
stabilito, coerente con il progetto terapeutico personalizzato
condiviso da tutti.
La
definizione di un tempo limitato di permanenza nella struttura
spinge a contrastare l’inerzia istituzionale che caratterizza i
casi di patologie complesse; disporre di un tempo di lavoro limitato
ci obbliga inoltre alla
valutazione di punti critici inerenti sia la personalità del
soggetto sia il suo contesto ambientale (familiare, scolastico,
….), identificando quali sono gli elementi che maggiormente
condizionano il permanere in una condizione patologica.
Per
poter mettere correttamente a fuoco tali aspetti è necessaria una
valutazione diagnostica strutturale del soggetto e delle sue
relazioni, valutazione che deve comprendere non solo le carenze, le
anomalie e
i deficit, ma anche gli aspetti peculiari e positivi del suo
funzionamento e l’individuazione delle risorse del
contesto.
Rapporto
con l’équipe territoriale inviante
Lo
stretto rapporto con l’équipe inviante è un altro aspetto
caratteristico della modalità di intervento del Centro
Semiresidenziale. L’équipe territoriale rimane titolare della
gestione del caso e del progetto globale su di esso; è
all’interno di questo progetto globale,
e per un tempo definito, che si inserisce l’intervento
della Semiresidenza, al termine del quale il soggetto ritorna
totalmente in carico ai servizi territoriali. A partire dalla
proposta di invio, si struttura una stretta collaborazione clinica
ed operativa fra le due équipe, quella inviante e quella della
Semiresidenza, per una precisazione, innanzitutto, del quadro
diagnostico del soggetto e delle varie componenti di personalità ed
ambientali che ad esso contribuiscono.
La
possibilità di unificare differenti interventi in un unico progetto
che veda coinvolti come protagonisti
il soggetto e la famiglia, si è dimostrato un punto positivo
di svolta per molte situazioni.
Durante
la presentazione del caso da parte dell’équipe inviante viene
fatta una valutazione sulla possibilità di ottenere un cambiamento
strutturale nel soggetto in tempi medio-brevi; se questo obiettivo
preliminare sembra perseguibile, segue un periodo di circa un mese,
in cui, in accordo con il ragazzo e con la sua famiglia, viene
svolta un’osservazione sia dal punto di vista educativo che da
quello clinico.
Il
confronto fra gli elementi così raccolti porta alla stesura di un
progetto di intervento che viene
discusso con l’équipe inviante e, una volta concordato,
sarà proposto al soggetto e alla famiglia.
La
collaborazione con l’équipe territoriale prosegue quindi con
incontri periodici a cadenza mensile in cui viene fatto un
aggiornamento del caso e in cui viene verificata e messa a punto la
prosecuzione dell’intervento.
In
previsione del termine della frequenza presso la Semiresidenza a
seguito del raggiungimento degli obiettivi prefissi nel progetto,
viene concordata una graduale diminuzione della presenza nel
Centro a cui corrisponde un progressivo, parallelo, aumento della
presa in carico da parte dell’équipe territoriale.
Seguendo
questa metodologia di lavoro ci siamo più volte trovati nella
condizione di poter facilitare, rendendolo più agevole e più
concretamente fruttuoso per tutte le figure implicate, il passaggio
del caso dal servizio di psichiatria infantile al servizio di
psichiatria per adulti, consentendo un lavoro in rete che spesso è,
nella realtà territoriale, difficoltoso o puramente formale.
Densità
terapeutica ed intervento integrato
Il
trattamento svolto in semiresidenza si prefigge l’obiettivo di
sviluppare un intervento integrato ad “alta densità
terapeutica” volto a
ottenere, in tempi definiti, cambiamenti
strutturali stabili nella personalità
dell’utente e quindi un suo concreto miglioramento nella qualità
di vita e nelle relazioni con se stesso e con l’ambiente.
Per
poter ottenere un obiettivo così ambizioso, oltretutto in un limite
di tempo circoscritto e definito, è necessario orientarsi verso una
terapia focale ed attivare un forte investimento di figure
professionali che operino su diversi ambiti in maniera integrata.
Il
lavoro terapeutico istituzionale prevede l’interazione di diversi
aspetti:
1.
Intervento educativo finalizzato a migliorare l’autonomia,
ad aumentare le capacità relazionali, la tolleranza alla
frustrazione e il controllo delle proprie reazioni rispetto ad essa.
2.
Colloqui individuali ad indirizzo psicodinamico offerti per
fornire uno spazio di sostegno e di confronto al fine di
elaborare le difficoltà incontrate nella quotidianità
rispetto alle proposte degli educatori, alle relazioni familiari e
scolastiche. Questi colloqui possono poi esitare in una vera e
propria psicoterapia individuale.
3.
A metà strada fra l’intervento educativo e quello
psicoterapico si collocano quelli di psicomotricità, musicoterapia
ed arteterapia che hanno rappresentato, in modo diverso a seconda
delle differenti caratteristiche di ogni soggetto, momenti
importanti in cui vengono portati ed elaborati contenuti affettivi
ed esperienziali molto profondi, che spesso non sono facilmente
raggiungibili con gli adolescenti attraverso i convenzionali
colloqui psichiatrici.
4.
Un intervento di sostegno secondo l’indirizzo psicodinamico
è offerto a tutte le famiglie;
in alcuni casi esso si è strutturato come una vera e propria
presa in carico psicoterapica, mentre in altri funge da momento di
confronto reciproco fra genitori e figli sugli accadimenti più
legati alla quotidianità e sulle possibilità di gestione e di
miglioramento delle dinamiche familiari.
Perché
i quattro aspetti ora elencati non risultino una semplice sommatoria
di interventi, c’è bisogno di un fattore che li integri in
maniera che l’insieme sia rafforzato nel suo effetto terapeutico
dalla sinergia dei singoli interventi che a sua volta rafforza
l’azione di ciascuno di essi. Nel nostro caso l’elemento
integrante è rappresentato dalla impostazione organizzativa e
funzionale del Servizio in chiave psicoterapica, come l’abbiamo
intesa quando abbiamo definito i due significati, distinti e
complementari, che per noi riveste il termine psicoterapia; essi
sono:
·
una
impostazione organizzativa e funzionale del Servizio che prevede in
tutti gli interventi l’analisi del contesto, l’attenzione alle
dinamiche relazionali del paziente, dei genitori, degli operatori
sanitari coinvolti e che si traduce in un rispetto, un ascolto di
quanto portato dal paziente nelle situazioni di malessere e
nell’analisi di ciò, attraverso un modello diagnostico di tipo
strutturale, volta alla identificazione dei punti di forza e non
solo degli elementi sintomatologici del quadro nosografico. Solo a
questa condizione infatti è realmente perseguibile la stesura di un
programma terapeutico globale volto alla reale modificazione del
quadro clinico che vede inizialmente coinvolto il Servizio
Ospedaliero, ma che prevede già da subito una investitura ed una
connessione con il Servizio Territoriale di riferimento.
·
un
tipo di trattamento che, integrato agli altri strumenti
dell’armamentario dello psichiatra infantile (educativi, sociali,
farmacologici, ecc.), viene offerto all’utenza secondo un modello
di riferimento psicodinamico, con una attenzione preferenziale per i
soggetti in cui è prevedibile un buon risultato con un intervento
focale, intensivo e limitato nel tempo.” (Costa S., 2002)
Importanza della formazione sul
campo
Riconsiderando
le diverse esperienze fatte in Semiresidenza riguardanti la
formazione, voglio richiamarne
due che giudico particolarmente positive: quella dei seminari
congiunti fra il gruppo degli psichiatri e quello degli educatori
ricordata più sopra, e quella della supervisione, che come detto,
era articolata in due momenti: quello riservato al gruppo degli
educatori e quello dedicato all’intera équipe della
Semiresidenza.
A
mio parere, nell’ambito del lavoro che si svolge nelle comunità
per minori, la supervisione dei casi condotta da chi ha competenza
psicopatologica, ha
l'obiettivo di qualificare il lavoro educativo per sostenere i
ragazzi e le ragazze
che sono accolti nelle
comunità a proseguire il loro sviluppo affettivo e sociale, e per
aiutarli a superare le difficoltà, i limiti e le distorsioni
personali, che si frappongono ad un loro adeguato sviluppo
psicosociale.
Ritengo
che la modalità secondo la quale si svolge la discussione del caso
si debba caratterizzare per il fatto che il supervisore cerchi
innanzitutto di mettere in evidenza il sapere empirico contenuto in
quanto gli educatori hanno messo in pratica nel lavoro portato in
discussione; si tratta dunque di far emergere le competenze che gli
operatori, nel trattamento del caso, hanno dimostrato di possedere
già. Questo primo passaggio consentirà poi di affinare le
competenze professionali chiedendo agli educatori di individuare i
riferimenti concettuali relativi alla teoria e alla tecnica che sono
impliciti nei diversi momenti in cui è scomponibile l’intervento
educativo.
Questa
operazione si accompagna, nel corso della supervisione, ad un lavoro
interdisciplinare rappresentato dal confronto fra le due discipline
chiamate a collaborare per meglio operare sul caso: la pedagogia e
la psichiatria dell’età evolutiva. Nell’ambito di questo
confronto, il supervisore propone una lettura in chiave psicologica
e psicopatologica del materiale portato in discussione, ricavandone
elementi utili sia alla definizione di un profilo del funzionamento
psicologico generale del soggetto interessato, sia ad illuminare le
dinamiche di gruppo interne ed esterne alla comunità.
Un
tale confronto interdisciplinare richiede indubbiamente l'uso di un
vocabolario utilizzabile in comune, che permetta a ciascuna
disciplina di dialogare con l'altra pur mantenendo il proprio
linguaggio specialistico. La costruzione progressiva di un tale
vocabolario, fatta in comune dagli educatori e dal supervisore,
rappresenta un altro aspetto qualificante di questo tipo di
supervisione.
Considerazioni finali
Al
termine della presentazione della storia delle comunità
terapeutiche, dei criteri clinici e organizzativi che hanno
guidato l’impostazione della nostra Semiresidenza e la sua
collocazione radicata nella rete dei servizi di psichiatria per l’
età evolutiva, ci si
può chiedere che quale valore oggi può ancora rappresentare una
struttura terapeutica così concepita.
Riportavo
all’inizio del capitolo i dati relativi all’aumento del
malessere e della patologia psichiatrica tra i bambini e gli
adolescenti, che in maniera sempre più accentuata registriamo in
questi ultimi anni; in riferimento a questo andamento così
negativo, possiamo dire
che una struttura come la semiresidenza
risulta sicuramente utile.
C’è
anche un aspetto di carattere più generale per il quale, a mio
avviso, strutture psichiatriche ispirate ai principi della comunità
terapeutica conservano oggi un grande valore.
Uno
dei principali protagonisti della nascita delle comunità
terapeutiche, premesso che (Hinshelwood, 1998)
“ il nostro lavoro dipende principalmente da ciò che
pensiamo che le persone siano”, afferma, con riferimento critico
alla logica di mercato che ha prevalso in Gran Bretagna a partire
dagli ottanta del secolo scorso,
che “ abbiamo ora opinioni assai diverse circa quello che
sono gli esseri umani, su come dovrebbero convivere e sui valori che
li sostengono. A causa dell’egemonia del monetarismo e delle
politiche sociali che ne sono derivate, gli esseri umani ora vengono
considerati membri della società in base a ciò che essi scelgono e
consumano… Non solo il denaro è diventato
la principale fonte di potere, ma il consumo è divenuto il
valore determinante all’interno della nostra società ” .
Possiamo
senza dubbio dire che questa situazione è divenuta comune a tutta
l’Europa, e che accompagna nel mondo il fenomeno che chiamiamo
globalizzazione, portando con sé la tendenza a far prevalere in
ciascuno di noi l’apparire e l’avere rispetto all’essere, e
falsificando di conseguenza l’essenza delle relazioni
interpersonali.
Il
valore che oggi hanno esperienze fondate sui principi delle comunità
terapeutiche consiste a mio parere, nel riaffermare concretamente,
attraverso il lavoro clinico e i positivi risultati raggiunti sul
piano terapeutico, la centralità della persona e l’importanza
che per essa rivestono le relazioni umane sia nel favorire un
sano sviluppo che nel recupero della patologia mentale.
BIBLIOGRAFIA
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In La lezione delle Comunità terapeutiche, a cura di Ferrari
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Rigon G., Costa S. Urgenze
cliniche ed emergenze psicosociali:appropriatezza degli interventi
sanitari In Aspetti
psicopatologici e psichiatrici nella cura e nella tutela del bambino
e dell’adolescente a cura di Battistella P.A., Gatta M.,
Mabilia M., CLEUP, Padova, 2009. pp. 149-160
Rigon
G.,Costa S. e Fioritti A. (2009), Consideraciones
sobre la organizacion del servicio de psichiatrìa de la edad
evolutiva en Italia “Psicopatologia y Salud Mental”, vol.
14, pp. 57 – 64
Al
Day Hospital ho fatto già riferimento più sopra; la sua
impostazione terapeutica, i risultati conseguiti, il valore
terapeutico degli interventi educativi sono presentati in questo
libro, da Stefano Costa nel capitolo Progettare
nell’incertezza nelle situazioni di urgenza psichiatrica in età
evolutiva: sfida e risultati dell’integrazione
multiprofessionale fra pedagogia e psichiatria infantile.
I temi presentati dagli
psichiatri furono: le finalità della semiresidenza nel contesto
del Servizio di neuropsichiatria infanzie
e adolescenza, la storia delle comunità terapeutiche, il
disturbo di personalità borderline, i meccanismi di difesa; gli
educatori presentarono la pedagogia istituzionale, il maternage
e la relazione educativa, il gioco.
Su questo importante aspetto si
veda il contributo fornito di Franca Guglielmetti in questo
libro .
L’attività è presentata in
questo libro nel capitolo di Barbara Zanchi La
musicoterapia in Semiresidenza: un approccio espressivo alla
relazione terapeutica.
Al tema della supervisione sono
dedicati in questo libro gli articoli di Fabiano Bassi, Stefano
Bolognini, Adriana Grotta