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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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Frenis Zero  Publisher

     

 "Strutture intermedie nel lavoro di rete in psichiatria dell’adolescenza" 

di Giancarlo Rigon

 

 

 

Questo testo è stato pubblicato all'interno del libro "Strutture intermedie nel lavoro di rete in psichiatria dell’adolescenza" a cura di Giancarlo Rigon, Lucia Zucchi e Emanuela Cocever,  (Erickson, 2011, http://www.erickson.it/Libri/Pagine/Scheda-Libro.aspx?ItemId=39757). Si ringraziano sentitamente l'autore del presente testo e la casa editrice per il permesso alla riproduzione su Frenis Zero.

 


 



 


Scheda Bibliografica:

Curatori: Giancarlo Rigon, Lucia Zucchi e Emanuela Cocever

Editore: Erickson

Luogo di Pubblicazione: Trento

Anno di Pubblicazione2011

 

ISBN: 978-88-6137-828-5


Prezzo: € 23,00

 


 

            

 

   

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

Edizioni "Frenis Zero"

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AA.VV., "Lo spazio  velato. Femminile e discorso psicoanalitico"                             a cura di G. Leo e L. Montani (Editors)

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Confini della psicoanalisi

Anno/Year: 2012 

Writings by: A. Cusin, J. Kristeva, A. Loncan, S. Marino, B. Massimilla, L. Montani, A. Nunziante Cesaro, S. Parrello, M. Sommantico, G. Stanziano, L. Tarantini, A. Zurolo.

 

"The Voyage Out" by Virginia Woolf 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-97479-01-7

Anno/Year: 2011 

Pages: 672

Prezzo/Price: € 25,00

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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Preface: Alberto Angelini

ISBN: 978-88-903710-5-9

Anno/Year: 2011 (2nd Edition)

Prezzo/Price: € 18,00

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"Psicoanalisi e luoghi della negazione" a cura di A. Cusin e G. Leo (Editors)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian,  A. Cusin, N. Janigro, G. Leo, B.E. Litowitz, S. Resnik, A. Sabatini Scalmati, G. Schneider, M.  Šebek, F. Sironi, L. Tarantini.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-4-2

Anno/Year: 2011

Pages: 400

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"Lebensruckblick"

by Lou Andreas Salomé

(book in German)

Author:Lou Andreas Salomé

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-97479-00-0

Anno/Year: 2011

Pages: 267

Prezzo/Price: € 19,00

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"Psicologia   dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-903710-3-5

Anno/Year: 2011

Pages: 158

Prezzo/Price: € 18,00

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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-2-8

Anno/Year: 2010

Pages: 520

Prezzo/Price: € 30,00

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OTHER BOOKS

"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

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Pages: 224

Prezzo/Price: € 20,00

 

"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

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ISBN 88-8229-567-2

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Il malessere degli adolescenti

Da più parti e da molto tempo si segnala il crescente malessere degli adolescenti e dei giovani e l’aumento verticale dei casi in cui il malessere assume una chiara connotazione psicopatologica.

In un recente articolo (Rigon G.,Costa S. e Fioritti A., 2009) abbiamo documentato questo aggravarsi della situazione sia dal punto di vista sociale che delle salute mentale. La società italiana si caratterizza per un marcato indebolimento della rete di sostegno sia familiare sia tra i pari, che rende tutti più isolati e più fragili. I principali cambiamenti sociali avvenuti in Italia negli ultimi 25 anni, ci hanno infatti reso un Paese con una minore coesione sociale, nel quale gli individui  sono più istruiti, più ricchi, più occupati, ma anche più disuguali e più vulnerabili.

Per quel che riguarda le condizioni di salute mentale in età evolutiva, peraltro strettamente intrecciate a quelle sociali, vale ricordare l’aumento del 6,5% dei casi di gravi situazioni  psicopatologiche che si è registrato  in quattro anni presso il Day Hospital[1], spesso secondo la  modalità dell’urgenza psichiatrica; i casi di  tentato suicidio che sono cresciuti  del 33% ; le consulenze psichiatriche richieste dal carcere minorile: più 20%; le richieste di intervento psichiatrico urgente per i minori stranieri non  accompagnati, che sono salite addirittura del 50%.

E’ in questo contesto che si colloca la presentazione dell’esperienza della struttura semiresidenziale, definita anche, in letteratura, come centro semiresidenziale, o struttura diurna o struttura intermedia, e da noi , confidenzialmente, semiresidenza; dai nostri pazienti, con ancora maggiore confidenza e semplicità, “semi”.[2]

Il termine ‘struttura intermedia’ evidenzia come essa  sia necessariamente collocata fra altre. Nel nostro caso, la struttura di cui parliamo  rappresenta un importante tassello inserito nel complesso sistema di risposta alla psicopatologia in adolescenza della attuale Area Dipartimentale di NeuroPsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza  (NPIA) del Dipartimento di Salute Mentale di Bologna.  

 

Le strutture intermedie come risposta terapeutica

Il nostro Centro Semiresidenziale è stato  pensato come una struttura intermedia, inserita nella rete dei servizi territoriali, “al servizio del servizio territoriale” come troviamo scritto nei primi documenti che illustravano il progetto di costituzione del Centro.

In quegli stessi documenti, è indicato il  riferimento scientifico e tecnico ai principi della psicoterapia istituzionale (Jeann Oury, Bettelheim, Tosquelles)  e delle comunità terapeutiche (T. Main, Maxwell Jones, R. Hinshelwood) .

Scorrere, seppur velocemente, questa storia, ha il senso della contestualizzazione della identità del Centro, per chiederci quale senso e quale corrispondenza rispetto ai bisogni  ha ancora oggi una struttura di questo tipo, quale appropriatezza, per dirla nei termini tecnici di oggi. 

 

Definizione di struttura intermedia

Citavo, più sopra, il termine  “ struttura intermedia”; Vediamone allora, una possibile definizione, alla quale farà seguito un  breve excursus relativo alle Comunità Terapeutiche.

Secondo una definizione de “L’Information Psychiatrique” del 1979, le “strutture intermedie potrebbero collocarsi: a valle dell’ospedale , ma anche in opposizione dialettica indispensabile con esso, senza costituire ancora modi di habitat e di vita completamente indipendenti e realizzando così dei tempi transitori (…); a monte dell’ospedale, queste strutture intermedie devono svilupparsi anche per essere il luogo di accoglimento di stati di crisi, permettendo così di risparmiare delle ospedalizzazioni”.

In questa ottica parlare di “strutture intermedie” in psichiatria, per noi significa, parlare non solo di servizi come un Day Hospital o un Centro Diurno terapeutico, in quanto collocati fra ospedale e territorio, ma di “comunità terapeutiche”, o, per usare l’espressione utilizzata  dai colleghi francesi, di psichiatria e psicoterapia istituzionale, perché organizzati secondo i criteri di dette comunità, che vedremo fra poco.

 

Storia della comunità terapeutica e i fattori curativi

Le Comunità Terapeutiche (CT) si inseriscono nel filone  storico di critica alle istituzioni psichiatriche e di questa  sono state anzi una significativa  espressione. Questo movimento ha radici antiche, verso la fine del XVIII secolo con Pinel, e successivamente, tra gli anni venti e quaranta del novecento, ha visto diverse significative esperienze e alcune decisive acquisizioni concettuali: negli Stati Uniti  con Moreno, Kurt Lewin , H.S. Sullivan, ed in Germania con Herman Simon.

Negli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale, le esperienze dei campi di prigionia e di concentramento portarono François Tosquelles e Bruno Bettelheim, a pensare che l’universo concentrazionario, nella sua assoluta brutalità, era pur sempre una dimensione comunitaria che  poteva essere trasformata nel suo opposto per poter curare; sulla  base di questa idea prese corpo l’esperienza dell’Ospedale di  Saint-Alban e quella della Orthogenic School di Chicago.

La nascita delle comunità terapeutiche viene unanimemente ricondotta al periodo in cui  Bion e Rickman, nel corso della seconda guerra mondiale, lavorando con i soldati ricoverati, si resero conto che occorreva offrire loro la opportunità  di comprendere che la soluzione  dei problemi  non era nelle mani degli ufficiali, ma dipendeva dalle loro capacità di impegno e di lavoro. 

A Tom Main, che subentrò a Bion nella direzione della sezione psichiatrica di Northfield, si deve il termine stesso di Comunità Terapeutica nonché la prima formulazione teorica dei suoi principi fondanti.

Parlando dell’esperienza inglese e della nascita delle comunità terapeutiche va ricordato Maxwell Jones che nel dopoguerra caratterizzò nella prospettiva “socioterapica” le Comunità Terapeutiche presso l’Henderson Hospital.

Negli anni successivi alla guerra, in Francia vi fu un grande sviluppo di esperienze comunitarie che sono state un importante punto di riferimento anche per le successive esperienze italiane.

 

Volendo indicare gli elementi fondamentali che caratterizzano la Comunità terapeutica, si possono elencare i seguenti. (Ferrata A., Foresti,G., Pedriali E., Vigorelli. M., 998) 

 

-                       L’integrazione fra competenze, gruppi ,ottiche diverse; la Comunità diviene quindi una risorsa terapeutica globale che cura con il suo funzionamento integrato; gruppo dei pazienti, gruppo dei curanti, famiglie, rete sociale costituiscono nel loro insieme il dispositivo di cura.

-                       La Comunità offre ai pazienti una dimensione spaziale e temporale definita, offre cioè un “luogo” di incontro e confronto che predispone condizioni affettive favorevoli 

-                       L’esperienza guppale è il metodo di lavoro principale adottato dai curanti

-                       Il lavoro comunitario attiene fondamentalmente  alla condivisione della vita quotidiana e ai modi nei quali questa viene organizzata.

-                       Il progetto terapeutico è  personalizzato, formulato cioè in maniera  diversa per ciascun paziente

-                       Alla base della partecipazione alla vita della Comunità sta l’ipotesi di un possibile percorso evolutivo.

-          Una formazione continua  degli operatori centrata sulla possibilità di riflettere  sull’esperienza e sul proprio coinvolgimento emotivo; a questo scopo regolari gruppi di supervisione sono un requisito essenziale per garantire un funzionamento comunitario che sia in grado di governare le dinamiche di cui è oggetto e soggetto al tempo stesso.

 

Questi aspetti non solo caratterizzano una Comunità terapeutica, ma  definiscono anche un metodo di cura, che gli autori francesi, come detto, chiamano “psichiatria  e psicoterapia istituzionale”  e che può essere realizzato in situazioni diverse come i Centri Diurni ed  i Day Hospital, come vedremo essere il nostro caso, oppure gli ambulatori e altre strutture territoriali (Merini A., 2002).

Le esperienze di comunità terapeutiche riportate più sopra mostrano come esse abbiano riguardato comunità per adulti; molto meno numerosi  sono le esperienze e gli studi relativi all’età evolutiva che, proprio per il concetto intrinseco di “evolutività” possiede caratteristiche molto peculiari.

In questa fascia di età, infatti, in ottica terapeutica, il compito primario, più ancora che con gli adulti,  è quello di riavviare un processo evolutivo bloccato o distorto nella regressione e nella sintomatologia, riuscendo quindi a riattivare il percorso di sviluppo, restaurare uno spazio di pensiero e favorire un funzionamento alternativo a quello modellato sulla patologia.

Considerando la situazione del nostro Paese, possiamo dire che in Italia il movimento di riforma delle strutture psichiatriche si è manifestato tardivamente, ma ha conseguito positivi e rilevanti risultati che sono tutt’oggi di esempio con la Legge del 1977 che stabilisce la chiusura delle  scuole speciali,  e, per quel che riguarda la psichiatria, con la Legge 180 del 1978,  che prevede il superamento delle strutture manicomiali. L’importanza di queste leggi sta anche nel riconoscere l’esistenza, nei bambini come negli adulti, della sofferenza psichica e la conseguente necessità di curarla e non di isolarla e soffocarla. 

A fronte di questi aspetti positivi, si deve riconoscere che nel nostro Paese si è creato un vuoto di studi e di esperienza che si riflette in una debolezza culturale specifica i cui effetti negativi si fanno particolarmente sentire in questi anni, nei quali  viene fortemente riproposta, a livello sociale,  la risposta comunitaria, ma la sua riproposizione avviene secondo una visone frammentata sulla base del criterio della sintomatologia (comunità specifiche per pazienti anoressiche, altre per pazienti bulimiche, altre ancora  per disturbi borderline, …); si tratta di una proposta fortemente tecnicizzata all’apparenza, ma in realtà improntata esclusivamente alla risposta  al sintomo, lontana dal modello originario delle Comunità Terapeutiche centrato sulla persona e sulle sue relazioni sociali,  che rappresenta invece tutt’oggi, a mio parere, un riferimento preciso per il  Centro Semiresidenziale.

Un importante riscontro a sostegno di  questa visione delle Comunità ci viene dai positivi risultati che riscontriamo nei ragazzi che abbiamo trattato nel corso di questi anni. Tutti gli studi di follow-up che abbiamo condotto, anche il più recente e sofisticato dal punto di vista metodologico, che compare in questo libro nel paragrafo curato da  Casagrande e altri,  ci  confermano che tutti i ragazzi sono migliorati, in grado maggiore o minore, e che il miglioramento si mostra stabile nel tempo. 

 

La nascita della Semiresidenza

L’idea di dotare i servizi territoriali di psichiatra infantile di una struttura terapeutica per rispondere in modo adeguato alle condizioni psicopatologiche gravi,  data da molti anni.

Possiamo rintracciare i passaggi di questo percorso e il significato che questa struttura semiresidenziale intendeva assumere sul piano culturale, in una relazione, mai pubblicata,  che fu presentata in occasione di un Convegno tenutosi a Bolzano nel Luglio del 1999, a distanza di due anni e mezzo dall’avvio dell’esperienza. La relazione era intitolata “L’intervento clinico integrato nella patologia psichiatrica in età adolescenziale: prima esperienza di un Centro Semiresidenziale”, e in essa avevamo scritto:  “La struttura semiresidenziale di cui presenteremo le ragioni per le quali fu pensata, le finalità e le caratteristiche operative assieme ad una prima valutazione dell’esperienza sin qui compiuta, può essere considerata come il risultato del cambiamento che sta avvenendo nei servizi di neuropsichiatria infantile.

Si tratta di un centro diurno per preadolescenti ed adolescenti con gravi disturbi psicopatologici che è attivo dal gennaio del 1997 a Bologna, come parte integrante dei servizi di neuropsichiatria infantile della città, ma aperto ad una utenza proveniente dall’area provinciale.

Tra le ragioni che hanno spinto alla costruzione del progetto, sta senza dubbio al primo posto la necessità di rafforzare i servizi territoriali di neuropsichiatria infantile, dotandoli di uno strumento terapeutico che fosse al contempo specifico per i disturbi psicopatologici e capace di potenziare l’efficacia terapeutica degli interventi.

Questa duplice esigenza, sentita da tempo, fonda sul riconoscimento dell’esistenza della sofferenza psichica dei bambini, degli adolescenti e delle loro famiglie. Si può certamente dire che, mentre tale riconoscimento, e per conseguenza la sua specificità e differenza rispetto all’handicap, era scontato in ambito specialistico, ciò non era sempre compreso o accettato a livello sociale ed istituzionale. Basti pensare, per quel che riguarda leggi e norme statali e regionali, che in esse non era rintracciabile sino a pochi mesi fa, la dizione “disturbo psicopatologico” oppure “disturbo psichiatrico” riferita ai minori.

La costituzione di questo Centro Diurno dimostra che questa differenza fra disturbo psicopatologico ed handicap è stata ora intesa sia dagli organismi amministrativi locali (Comune e Regione che hanno materialmente contribuito all’avvio del progetto) sia dal Servizio Sanitario Nazionale che lo gestisce direttamente attraverso l’USL. Questo salto di qualità nella programmazione e nella gestione dei servizi sanitari e sociali esprime evidentemente  anche un significativo salto di qualità sul piano culturale: si può ora davvero  pensare che i disturbi di comportamento o di apprendimento dei bambini e degli adolescenti non siano più visti soltanto come la conseguenza di una insufficiente dotazione intellettiva o di una mancanza di educazione, oppure, più semplicemente, come dei “capricci”,  ma piuttosto come il segnale di un malessere psichico a cui va dato ascolto e risposta.

La necessità di una risposta specifica per i disturbi psicopatologici dei bambini e degli adolescenti è confermata anche dai dati epidemiologici di cui veniamo disponendo con progressiva ampiezza ed affidabilità. Essi ci dicono che i disturbi psicopatologici oscillano, per prevalenza, intorno al 17% della popolazione generale per età.

L’ esigenza più sopra richiamata  relativa alla necessità di rafforzare l’efficacia terapeutica degli interventi territoriali, ci ha portato a pensare ad una struttura “ad alta densità terapeutica”; vedremo più avanti il significato che per noi riveste questa espressione.

 Il percorso per giungere alla realizzazione della semiresidenza è stato piuttosto lungo.

Il lavoro  a favore della integrazione scolastica e sociale dei bambini disabili che ha caratterizzato i servizi territoriali di neuropsichiatria infantile  dal momento della loro costituzione nei primi anni settanta, da un certo momento in poi si è accompagnato alla consapevolezza della insufficiente  capacità di risposta di questi servizi di fronte alle situazioni psicopatologiche gravi, complesse od urgenti; in sostanza, quelle che richiedono interventi intensivi tecnicamente qualificati,  pluriprofessionali, prolungati nel tempo, con un assorbimento di energia che è difficilmente affrontabile da parte degli operatori del territorio. 

In anni passati abbiamo avuto modo di segnalare queste difficoltà: ad esempio,  in occasione di un Convegno sulle comunità terapeutiche  scrivevamo (Rigon G., Martelli M., Nardocci F., 1986): “anche nei Servizi per l’Infanzia si sta ponendo con sempre maggiore urgenza il problema di avere a disposizione strutture di tipo semiresidenziale o residenziale. Questo bisogno si è manifestato a partire dalla constatazione di una insufficienza degli strumenti specifici con cui operano le équipe territoriali: interventi in ambito scolastico, visite domiciliari ed attività ambulatoriale"

Ancora nello stesso anno, in una relazione dedicata ai fattori terapeutici nella psicoterapia dei bambini psicotici dopo avere esposto le ragioni a favore del modello territoriale contro quello istituzionale, scrivevamo (Loperfido E., Rigon G., Martelli M., 1986): “Siamo consapevoli che anche i Servizi Territoriali corrano il rischio di involuzioni da «istituzionalizzazione», riteniamo però che le loro caratteristiche costitutive stiano a maggiore salvaguardia contro questa eventualità. È necessario piuttosto ridurre la dispersione di energie, e quindi di competenza e di efficacia, che sembra caratterizzarli strutturalmente.

All’interno di questo impegno di valorizzazione, si può prevedere che questi Servizi vengano dotati di strutture diurne di cui abbiano diretta gestione, dove sia possibile condurre in maniera intensiva particolari trattamenti terapeutici ed educativi, fermi restando la frequenza dei bambini nella scuola normale e la loro permanenza in famiglia.”

Dopo questa citazione, la relazione tenuta a Bolzano si concludeva dicendo: “Questo scrivevamo allora a proposito dei bambini psicotici, e questo è quanto si è voluto fare costruendo la semiresidenza per preadolescenti e adolescenti  con gravi disturbi psicopatologici della quale vi parlo oggi. Sono dunque occorsi più di dieci anni per arrivare a concretizzare un'idea.”

 

La Semiresidenza nel percorso per l’urgenza psichiatrica in età evolutiva.

Uno dei principali cambiamenti  che si sono realizzati nella Semiresidenza  prese avvio fra il 2000 e il 2001, in coincidenza con l’inizio dell’attività dell’altra struttura intermedia di cui è dotato il  Servizio NPIA: il Day Hospital di Psichiatria e Psicoterapia dell’età evolutiva, che ha sede presso un ospedale generale, l’Ospedale Maggiore.

 Questa seconda struttura aggiungeva un importante tassello al percorso terapeutico in risposta alle situazioni urgenti e gravi che si presentano i età evolutiva.  [3]

Il percorso terapeutico per le urgenze psichiatriche in età evolutiva si inscrive nel più generale percorso clinico dell’ Area Dipartimentale di Neuropsichiatria dell’Infanzia  e dell’Adolescenza (NPIA) che si  presenta oggi, a Bologna, in questo modo:

 

 

 

 

E’ da sottolineare come  questa organizzazione preveda, come detto, che i Servizi specialistici siano al servizio del Servizio Territoriale. 

Tutte le richieste di visita  passano infatti attraverso il Servizio Territoriale che rimane  responsabile del caso anche quando i bambini o gli adolescenti sono in trattamento presso i Centri specialistici, dunque anche quando frequentano la Semiresidenza. Abbiamo avuto modo di constatare che questo aspetto del  percorso clinico è di assoluta importanza perché garantisce la continuità della presa in carico, evitando pericolosi vuoti o lungaggini, che fanno spesso “perdere il caso”, al momento della dimissione  dai Centri specialistici.

Nello schema dei percorsi clinici riportato sopra, è da notare che le situazioni  urgenti e gravi  vengono accolte e trattate presso la U.O. di Psichiatria e Psicoterapia dell’Età evolutiva, che, proprio per questa ragione, è l’unica  Unità Operativa del Servizio ad avere un accesso diretto da parte dei Servizi di Pronto Soccorso Ospedalieri o dei  cittadini. In questi casi, viene subito data comunicazione al Servizio territoriale, prendendo contatto con il referente territoriale se il caso è già in carico al Servizio, o con il Responsabile dell’area territoriale competente se il soggetto é al suo primo contatto con il Servizio in modo che venga individuato un referente clinico che si farà carico della situazione al momento della dimissione. 

Nell’area di Bologna, il percorso dell’urgenza in psichiatria dell’età evolutiva, non è purtroppo a tutt’oggi completato: esso manca ancora dei posti letto dedicati per ricovero ordinario, programmato o urgente.

Si tratta di una grave carenza che costringe questi ragazzi al ricovero assieme agli adulti: una carenza contraria ad ogni buon senso, e ad ogni appropriatezza, ma che è stato sino ad oggi impossibile superare.

 

Le emergenze socio educative

Trattando il tema delle urgenze psichiatriche in età evolutiva, è opportuno richiamare il problema delle emergenze socio educative, o psicosociali,  in età evolutiva.

Mi riferisco a  quei casi, pochi ma come accade per le urgenze psichiatriche vere, di grande complessità e difficoltà di gestione, che si caratterizzano per il fatto che con il suo comportamento, il bambino mette in scacco l’ambiente sociale, solitamente quello scolastico o quello famigliare. In queste situazioni viene solitamente richiesto un intervento psichiatrico urgente, mentre a nostro parere, questo non è indicato, rischiando anzi di essere controproducente perché sposta sul terreno sanitario psichiatrico un problema, indubbiamente dirompente, che va mantenuto sul piano educativo e sociale, per evitare tutte quelle distorsioni che vanno sotto il nome di psichiatrizzazione. Per questa ragione è importante tenere distinte le due situazioni. In letteratura  c’è convergenza nel definire urgente  la situazione in cui è necessario prendere una decisione adottando un intervento terapeutico tempestivo a causa della perentorietà della richiesta del paziente, sia per la perdita di tolleranza da parte dell'ambiente e per una interpretazione soggettiva del medico anche in una condizione di apparente tranquillità clinica. Il concetto di emergenza così come descritto da alcuni autori, rappresenta una situazione in cui il medico viene chiamato con urgenza, ma nella quale l'intervento può essere rimandato a tempi successivi; pertanto nell'emergenza l'elemento psicopatologico gioca un ruolo secondario rispetto alle problematiche psicosociali.( M.Casacchia, 1994)

Il tema dell’appropriatezza degli interventi sanitari di fronte a quadri di emergenza psicosociale e del rischio di delega alla psichiatria del controllo sociale di comportamenti ritenuti pericolosi è poco discusso in psichiatria dell’età evolutiva, probabilmente in relazione alla relativa rarità del fenomeno che oggi appare, invece, in aumento. Di questo argomento ci siamo recentemente occupati analizzando una casistica personale (Rigon G., Costa S., 2009), e concludevamo che “il disturbo della condotta non rappresenta solitamente una condizione clinica che richiede per la tutela della salute di chi ne soffre la misura terapeutica del ricovero e non rientra nei quadri clinici da considerare come urgenze psichiatriche vere”. Tutti i casi da noi analizzati mostravano infatti  le caratteristiche delle emergenze psicosociali; essi avevano  in comune una situazione di crisi acuta del sistema di accoglienza degli adulti; una mancanza di adeguata capacità di risposta sul piano educativo e sociale che, in assenza di alternative, aveva portato ad effettuare ricoveri che, a posteriori, furono giudicati  impropri.

Piuttosto che del ricovero psichiatrico, in questi casi c’è bisogno di rafforzare il lavoro di rete ed il confronto con i diversi Servizi, Enti ed attori implicati nella tutela dei minori, mantenendo ferma da parte dei neuropsichiatri infantili la specificità della competenza di intervento tecnico a tutela della salute del minore e giudicando quindi appropriati (e cioè attuabili) solamente gli interventi sanitari relativi alle situazioni di urgenza clinica ed al contrario non appropriati ( e potenzialmente dannosi) quelli in risposta alle situazioni di emergenza psicosociale.

 

Tipologia clinica degli utenti  del Centro Semiresidenziale e conflitto fra  gruppi

Il cambiamento della Semiresidenza in relazione alla apertura del Day Hospital, che  richiamavo più sopra, si realizzò in conseguenza della diversa, più grave patologia  che presentavano i pazienti, provenienti, con sempre maggiore frequenza proprio dal Day Hospital.

Questo servizio è divenuto infatti uno dei nuovi invianti per il Centro semiresidenziale, stimolando modificazioni della organizzazione interna in ragione della tipologia clinica e dei bisogni assistenziali dei soggetti proposti, di cui tratterò più avanti.

La tipologia degli utenti che è stata seguita con successo e che attualmente è in carico al Centro è costituita da ragazzi con diagnosi di schizofrenia, di disturbo di personalità di diverso tipo (borderline, narcisistico, antisociale) e di disturbo della condotta.

Per quanto riguarda l’età, la fascia di intervento si estende dagli 11 ai 19 anni.

 

- E’ da sottolineare un importante elemento di novità per quello che riguarda le modalità d’invio e di conseguenza il tipo di risposta richiesto alla struttura. Infatti nel 55,6% dei casi, la procedura d’ingresso è stata in urgenza perché trasferiti da ospedali psichiatrici per adulti, dove si trovavano ricoverati oppure perché il quadro psicopatologico era causa di una situazione familiare non più sostenibile.

 

E’ importante sottolineare che in questi casi gravi e giunti in situazione di urgenza, l’intervento terapeutico offerto in Semiresidenza è stato, specie inizialmente, quantitativamente massiccio ma qualitativamente sovrapponibile a quello fornito negli altri casi tradizionalmente accolti nella struttura.  Rispetto quindi alle novità apportate da questo tipo di utenza in semiresidenza, uno degli aspetti più importanti è stata senza dubbio la difficoltà nella gestione del maggiore coinvolgimento emotivo che questi casi urgenti hanno comportato per gli operatori, sia singolarmente che come gruppo operativo.

Questo maggiore coinvolgimento si è manifestato, infatti, anche sul piano della dinamica istituzionale attraverso l’accentuazione dei timori di non riuscire  a mantenere l’impegno terapeutico verso “i vecchi utenti” o a dare quanto necessario ai nuovi; oppure nel timore che l’ingresso dei nuovi non sarebbe stato tollerato dagli altri ragazzi e per conseguenza, per meglio "proteggerli", sarebbe stato bene diluire nel tempo la loro presenza in Semiresidenza.

A queste paure e tensioni  si è fatto fronte potenziando specie nel periodo successivo all’ingresso, la discussione dei casi e la loro supervisione di gruppo, dando particolare attenzione al  confronto tra le varie professionalità che lavoravano sui casi

La necessità di continuare a somministrare la terapia psicofarmacologia che questi ragazzi avevano iniziato in Day Hospital in ragione della gravità della sintomatologia, ha rappresentato un altro cambiamento importante per la Semiresidenza. Si poneva infatti la necessità di somministrare da parte degli educatori i farmaci di cui tutti questi ragazzi avevano bisogno durante la frequenza in Semiresidenza. Le resistenze rispetto a questo punto erano motivate dal timore di trasformare questo luogo da struttura educativa in un reparto ospedaliero. Il conflitto su questo punto fra l’ équipe sanitaria e quella educativa fu molto acceso, tanto da far temere la rottura della collaborazione. Se ne uscì positivamente prendendo coscienza che i due gruppi non conoscevano le ragioni culturali e professionali che sostenevano il punto di vista  psichiatrico e quello pedagogico riguardo alla sofferenza psichica degli adolescenti e al come intervenire per alleviarla.

Era quindi necessario porre rimedio a questo, e ciò avvenne attraverso l’organizzazione di un ciclo di seminari interni, che si tennero il sabato mattina,  e nei quali medici ed educatori si alternavano come docenti [4]

Va ricordato che la partecipazione degli educatori a questi seminari fu riconosciuta dalla loro Cooperativa come parte del loro orario di formazione; questo riconoscimento credo testimoni concretamente l’alto grado di collaborazione raggiunto fra il Servizio sanitario pubblico e un Ente del cosiddetto privato sociale [5] 

Questa positiva esperienza rappresenta anche un buon esempio di come il conflitto, in questo caso fra due gruppi professionali, se adeguatamente gestito, diviene il motore positivo dello sviluppo anche per quel che riguarda le istituzioni. 

In tema di conflitto tra gruppi, merita citare quello manifestatosi fra l’équipe che operava nel Day Hospital, e funzionava quindi da inviante verso la Semiresidenza, e quella della Semiresidenza che si trovava a dover ricevere i pazienti inviati spesso in urgenza, senza seguire  quindi  il percorso di ammissione definito per coloro che venivano segnalati dal Servizio Territoriale, interferendo spesso  con i programmi e i percorsi di ammissione già avviati.

In questo caso si cercò di trovare una soluzione affidandosi alla formalizzazione del percorso per il passaggio dal Day Hospital alla Semiresidenza. Lo schema concordato servì indubbiamente a rimettere i rapporti sul binario giusto sul piano operativo a tutto vantaggio dei  pazienti.

 

Schema d’invio pazienti dal D.H.  alla Semiresidenza

Chi è l’inviante

Qual’è il quadro clinico attuale

Per quale finalità è richiesto l’inserimento in Semiresidenza

Per quanto tempo è richiesto l’inserimento

Qual’è l’équipe di riferimento territoriale

A che punto sono i contatti con questa équipe

 

Schema di accoglimento in Semiresidenza di pazienti inviati dal D.H. :

Verifica della disponibilità organizzativa all’interno della Semiresidenza (data di inizio della frequenza;  tempo disponibile per la frequenza: mezza giornata, giornata intera, quali giorni sono disponibili per la frequenza) 

Definizione del clinico e dell’educatore referente del caso in Semiresidenza

Elaborazione del progetto d’intervento nel breve periodo

Elaborazione delle valutazioni conclusive e loro discussione con l’équipe inviante del Day Hospital e quella di competenza territoriale

 

Come si vede, il protocollo è teso a dare ordine ai rapporti tra le due équipe, salvaguardando le specificità dei diversi ambiti.

Anche in questo caso, come in quello descritto sopra, relativo alla contrapposizione fra medici ed educatori, la proposta organizzativa concreta (in quel caso i seminari interni, in questo, gli schemi procedurali), ha l’ambizione di  fornire una occasione, una sede e delle regole condivise secondo le quali affrontare il conflitto in modo che esso risulti un motore di sviluppo e non una ragione di blocco o di involuzione per i pazienti e per il sistema curante.

 

L’impostazione terapeutica della semiresidenza.

Nonostante i cambiamenti avvenuti nella tipologia clinica e nei rapporti fra Semiresidenza ed équipe invianti, di cui si è appena detto, la struttura ha mantenuto nel tempo la sua caratteristica di comunità terapeutica di cui si possono presentare gli elementi caratterizzanti dal punto di vista clinico. Essi  mirano a tradurre nella pratica quotidiana tre principi da noi ritenuti fondanti:

  1. svolgere un intervento che sia coerente con il progetto terapeutico più generale elaborato e condotto dalle équipe  territoriali invianti

  2. agire all’interno e verso l’esterno della Semiresidenza secondo i criteri della comunità terapeutica

  3. fornire interventi finalizzati all’integrazione fra:

-lavoro terapeutico individuale e intervento istituzionale

                        - intervento clinico e intervento educativo

                        - interventi clinici realizzati all’interno e all’esterno

                          della struttura

                        - mondo interno e realtà esterna

 

Tempo di permanenza definito

Fra gli elementi che caratterizzano l’intervento nel nostro Centro Semiresidenziale, vi è il tempo definito di permanenza degli utenti. Esso viene preliminarmente individuato assieme alla équipe inviante nell’ambito della definizione di un progetto terapeutico condiviso. Già al momento dell’ingresso, viene dunque precisato al soggetto e alla sua famiglia, in presenza dell’équipe territoriale inviante, che la presenza nel Centro avrà un termine stabilito, coerente con il progetto terapeutico personalizzato condiviso da tutti.

La definizione di un tempo limitato di permanenza nella struttura spinge a contrastare l’inerzia istituzionale che caratterizza i casi di patologie complesse; disporre di un tempo di lavoro limitato ci obbliga  inoltre alla valutazione di punti critici inerenti sia la personalità del soggetto sia il suo contesto ambientale (familiare, scolastico, ….), identificando quali sono gli elementi che maggiormente condizionano il permanere in una condizione patologica.

Per poter mettere correttamente a fuoco tali aspetti è necessaria una valutazione diagnostica strutturale del soggetto e delle sue relazioni, valutazione che deve comprendere non solo le carenze, le anomalie  e  i deficit, ma anche gli aspetti peculiari e positivi del suo  funzionamento e l’individuazione delle risorse del contesto. 

 

Rapporto con l’équipe territoriale inviante

Lo stretto rapporto con l’équipe inviante è un altro aspetto caratteristico della modalità di intervento del Centro Semiresidenziale. L’équipe territoriale rimane titolare della gestione del caso e del progetto globale su di esso; è all’interno di questo progetto globale,  e per un tempo definito, che si inserisce l’intervento della Semiresidenza, al termine del quale il soggetto ritorna totalmente in carico ai servizi territoriali. A partire dalla proposta di invio, si struttura una stretta collaborazione clinica ed operativa fra le due équipe, quella inviante e quella della Semiresidenza, per una precisazione, innanzitutto, del quadro diagnostico del soggetto e delle varie componenti di personalità ed ambientali che ad esso contribuiscono. 

La possibilità di unificare differenti interventi in un unico progetto che veda coinvolti come protagonisti  il soggetto e la famiglia, si è dimostrato un punto positivo di svolta per molte situazioni.

Durante la presentazione del caso da parte dell’équipe inviante viene fatta una valutazione sulla possibilità di ottenere un cambiamento strutturale nel soggetto in tempi medio-brevi; se questo obiettivo preliminare sembra perseguibile, segue un periodo di circa un mese, in cui, in accordo con il ragazzo e con la sua famiglia, viene svolta un’osservazione sia dal punto di vista educativo che da quello clinico.

Il confronto fra gli elementi così raccolti porta alla stesura di un progetto di intervento che viene  discusso con l’équipe inviante e, una volta concordato,  sarà proposto al soggetto e alla famiglia.

La collaborazione con l’équipe territoriale prosegue quindi con incontri periodici a cadenza mensile in cui viene fatto un aggiornamento del caso e in cui viene verificata e messa a punto la prosecuzione dell’intervento.

In previsione del termine della frequenza presso la Semiresidenza a seguito del raggiungimento degli obiettivi prefissi nel progetto,  viene concordata una graduale diminuzione della presenza nel Centro a cui corrisponde un progressivo, parallelo, aumento della presa in carico da parte dell’équipe territoriale.

Seguendo questa metodologia di lavoro ci siamo più volte trovati nella condizione di poter facilitare, rendendolo più agevole e più concretamente fruttuoso per tutte le figure implicate, il passaggio del caso dal servizio di psichiatria infantile al servizio di psichiatria per adulti, consentendo un lavoro in rete che spesso è, nella realtà territoriale, difficoltoso o puramente formale.

 

Densità terapeutica ed intervento integrato

Il trattamento svolto in semiresidenza si prefigge l’obiettivo di  sviluppare un intervento integrato ad “alta densità terapeutica”  volto a ottenere, in tempi definiti,  cambiamenti strutturali stabili nella  personalità dell’utente e quindi un suo concreto miglioramento nella qualità di vita e nelle relazioni con se stesso e con l’ambiente.

Per poter ottenere un obiettivo così ambizioso, oltretutto in un limite di tempo circoscritto e definito, è necessario orientarsi verso una terapia focale ed attivare un forte investimento di figure professionali che operino su diversi ambiti in maniera integrata.

Il lavoro terapeutico istituzionale prevede l’interazione di diversi aspetti:

1.  Intervento educativo finalizzato a migliorare l’autonomia, ad aumentare le capacità relazionali, la tolleranza alla frustrazione e il controllo delle proprie reazioni rispetto ad essa.

2.  Colloqui individuali ad indirizzo psicodinamico offerti per fornire uno spazio di sostegno e di confronto al fine di  elaborare le difficoltà incontrate nella quotidianità rispetto alle proposte degli educatori, alle relazioni familiari e scolastiche. Questi colloqui possono poi esitare in una vera e propria psicoterapia individuale.

3.  A metà strada fra l’intervento educativo e quello psicoterapico si collocano quelli di psicomotricità, musicoterapia [6] ed arteterapia che hanno rappresentato, in modo diverso a seconda delle differenti caratteristiche di ogni soggetto, momenti importanti in cui vengono portati ed elaborati contenuti affettivi ed esperienziali molto profondi, che spesso non sono facilmente raggiungibili con gli adolescenti attraverso i convenzionali colloqui psichiatrici.

4.  Un intervento di sostegno secondo l’indirizzo psicodinamico è offerto a tutte le famiglie;  in alcuni casi esso si è strutturato come una vera e propria presa in carico psicoterapica, mentre in altri funge da momento di confronto reciproco fra genitori e figli sugli accadimenti più legati alla quotidianità e sulle possibilità di gestione e di miglioramento delle dinamiche familiari.

 

Perché i quattro aspetti ora elencati non risultino una semplice sommatoria di interventi, c’è bisogno di un fattore che li integri in maniera che l’insieme sia rafforzato nel suo effetto terapeutico dalla sinergia dei singoli interventi che a sua volta rafforza l’azione di ciascuno di essi. Nel nostro caso l’elemento integrante è rappresentato dalla impostazione organizzativa e funzionale del Servizio in chiave psicoterapica, come l’abbiamo intesa quando abbiamo definito i due significati, distinti e complementari, che per noi riveste il termine psicoterapia; essi sono:

·        una impostazione organizzativa e funzionale del Servizio che prevede in tutti gli interventi l’analisi del contesto, l’attenzione alle dinamiche relazionali del paziente, dei genitori, degli operatori sanitari coinvolti e che si traduce in un rispetto, un ascolto di quanto portato dal paziente nelle situazioni di malessere e nell’analisi di ciò, attraverso un modello diagnostico di tipo strutturale, volta alla identificazione dei punti di forza e non solo degli elementi sintomatologici del quadro nosografico. Solo a questa condizione infatti è realmente perseguibile la stesura di un programma terapeutico globale volto alla reale modificazione del quadro clinico che vede inizialmente coinvolto il Servizio Ospedaliero, ma che prevede già da subito una investitura ed una connessione con il Servizio Territoriale di riferimento.

·        un tipo di trattamento che, integrato agli altri strumenti dell’armamentario dello psichiatra infantile (educativi, sociali, farmacologici, ecc.), viene offerto all’utenza secondo un modello di riferimento psicodinamico, con una attenzione preferenziale per i soggetti in cui è prevedibile un buon risultato con un intervento focale, intensivo e limitato nel tempo.” (Costa S., 2002)

 

 

 

 

 

 

Importanza della formazione sul campo

Riconsiderando le diverse esperienze fatte in Semiresidenza riguardanti la formazione, voglio  richiamarne due che giudico particolarmente positive: quella dei seminari congiunti fra il gruppo degli psichiatri e quello degli educatori ricordata più sopra, e quella della supervisione, che come detto, era articolata in due momenti: quello riservato al gruppo degli educatori e quello dedicato all’intera équipe della Semiresidenza. [7] 

A mio parere, nell’ambito del lavoro che si svolge nelle comunità per minori, la supervisione dei casi condotta da chi ha competenza psicopatologica,  ha l'obiettivo di qualificare il lavoro educativo per sostenere i ragazzi  e le ragazze che  sono accolti nelle comunità a proseguire il loro sviluppo affettivo e sociale, e per aiutarli  a superare le difficoltà, i limiti e le distorsioni personali, che si frappongono ad un loro adeguato sviluppo psicosociale.

Ritengo che la modalità secondo la quale si svolge la discussione del caso si debba caratterizzare per il fatto che il supervisore cerchi innanzitutto di mettere in evidenza il sapere empirico contenuto in quanto gli educatori hanno messo in pratica nel lavoro portato in discussione; si tratta dunque di far emergere le competenze che gli operatori, nel trattamento del caso, hanno dimostrato di possedere già. Questo primo passaggio consentirà poi di affinare le competenze professionali chiedendo agli educatori di individuare i riferimenti concettuali relativi alla teoria e alla tecnica che sono impliciti nei diversi momenti in cui è scomponibile l’intervento educativo.

Questa operazione si accompagna, nel corso della supervisione, ad un lavoro interdisciplinare rappresentato dal confronto fra le due discipline chiamate a collaborare per meglio operare sul caso: la pedagogia e la psichiatria dell’età evolutiva. Nell’ambito di questo confronto, il supervisore propone una lettura in chiave psicologica e psicopatologica del materiale portato in discussione, ricavandone elementi utili sia alla definizione di un profilo del funzionamento psicologico generale del soggetto interessato, sia ad illuminare le dinamiche di gruppo interne ed esterne alla comunità.  

Un tale confronto interdisciplinare richiede indubbiamente l'uso di un vocabolario utilizzabile in comune, che permetta a ciascuna disciplina di dialogare con l'altra pur mantenendo il proprio linguaggio specialistico. La costruzione progressiva di un tale vocabolario, fatta in comune dagli educatori e dal supervisore, rappresenta un altro aspetto qualificante di questo tipo di supervisione.

 

Considerazioni finali

Al termine della presentazione della storia delle comunità  terapeutiche, dei criteri clinici e organizzativi che hanno guidato l’impostazione della nostra Semiresidenza e la sua collocazione radicata nella rete dei servizi di psichiatria per l’ età  evolutiva, ci si può chiedere che quale valore oggi può ancora rappresentare una struttura terapeutica così concepita.

Riportavo all’inizio del capitolo i dati relativi all’aumento del malessere e della patologia psichiatrica tra i bambini e gli adolescenti, che in maniera sempre più accentuata registriamo in questi ultimi anni; in riferimento a questo andamento così negativo, possiamo  dire che una struttura come la semiresidenza  risulta sicuramente utile.

C’è anche un aspetto di carattere più generale per il quale, a mio avviso, strutture psichiatriche ispirate ai principi della comunità terapeutica conservano oggi un grande valore.

Uno dei principali protagonisti della nascita delle comunità terapeutiche, premesso che (Hinshelwood, 1998)  “ il nostro lavoro dipende principalmente da ciò che pensiamo che le persone siano”, afferma, con riferimento critico alla logica di mercato che ha prevalso in Gran Bretagna a partire dagli ottanta del secolo scorso,  che “ abbiamo ora opinioni assai diverse circa quello che sono gli esseri umani, su come dovrebbero convivere e sui valori che li sostengono. A causa dell’egemonia del monetarismo e delle politiche sociali che ne sono derivate, gli esseri umani ora vengono considerati membri della società in base a ciò che essi scelgono e consumano… Non solo il denaro è diventato  la principale fonte di potere, ma il consumo è divenuto il valore determinante all’interno della nostra società ” .

Possiamo senza dubbio dire che questa situazione è divenuta comune a tutta l’Europa, e che accompagna nel mondo il fenomeno che chiamiamo globalizzazione, portando con sé la tendenza a far prevalere in ciascuno di noi l’apparire e l’avere rispetto all’essere, e falsificando di conseguenza l’essenza delle relazioni interpersonali.

Il valore che oggi hanno esperienze fondate sui principi delle comunità terapeutiche consiste a mio parere, nel riaffermare concretamente, attraverso il lavoro clinico e i positivi risultati raggiunti sul piano terapeutico, la centralità della persona e l’importanza  che per essa rivestono le relazioni umane sia nel favorire un sano sviluppo che nel recupero della patologia mentale.

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

Casacchia M, Urgenze in Psichiatria, diagnosi e terapia  Masson, Milano, 1994

 

Costa S., Intervento ospedaliero diurno nei casi gravi ed urgenti in psichiatria dell’età evolutiva, in: Rigon G., Costa S., (a cura di)  (2002) Interventi in psichiatria e psicoterapia dell’età evolutiva, Milano, Franco Angeli, pp. 33-44.

 

Ferrata A., Foresti,G.,  Pedriali E.,  Vigorelli. M., a cura di  (1998) “La comunità terapeutica” , Milano, R. Cortina Editore

 

Hinshelwood, R. D. (1998), Pressioni culturali sulla comunità terapeutica: fattori interni ed esterni. In A. Ferrata, G. Foresti, E. Pedriali, M.Vigorelli (a cura di) La comunità terapeutica, Milano, Raffaello Cortina Editore, pp. 56-65.

     

L’Information Psychiatrique, 55, 4, 1979, p. 401

 

Loperfido E., Rigon G., Martelli M.,  Psicosi infantili e servizi territoriali nella provincia di Bologna: studio di alcune correlazioni epidemiologiche ed operative  In Il bambino psicotico a cura di Strologo E., Boccardi G., Montoli Perani R., Pierluigi Lubrica Editore, Bergamo, 1986)

 

 

Merini A. La psicoterapia nel Centro di Salute Mentale. In: Rigon G, Costa S. Interventi in

psichiatria e psicoterapia dell’età evolutiva. Milano: F. Angeli, 2002, p. 101-123.

 

 

Rigon G., Martelli M., Nardocci F.  Alcune riflessioni sulla esperienza della comunità educativa di del Servizio per l’età evolutiva di Sassuolo  In La lezione delle Comunità terapeutiche, a cura di Ferrari G. e A. Merini, CLUEB Editrice, Bologna, 1986; pp. 191-195.

 

Rigon G., Costa S. Urgenze cliniche ed emergenze psicosociali:appropriatezza degli interventi sanitari  In Aspetti psicopatologici e psichiatrici nella cura e nella tutela del bambino e dell’adolescente a cura di Battistella P.A., Gatta M., Mabilia M., CLEUP, Padova, 2009. pp. 149-160 

 

 

Rigon G.,Costa S. e Fioritti A. (2009), Consideraciones sobre la organizacion del servicio de psichiatrìa de la edad evolutiva en Italia “Psicopatologia y Salud Mental”, vol. 14, pp. 57 – 64



[1]  Il Day Hospital è la struttura del Servizio di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza di Bologna deputata a trattare i casi psicopatologici urgenti e gravi.

[2] In un biglietto di saluto al momento della dimissione, una ragazza aveva scritto: “ … dalle Alpi alle Ande un grido si espande: semi 6 grande!”

[3] Al Day Hospital ho fatto già riferimento più sopra; la sua impostazione terapeutica, i risultati conseguiti, il valore terapeutico degli interventi educativi sono presentati in questo libro, da Stefano Costa nel capitolo Progettare nell’incertezza nelle situazioni di urgenza psichiatrica in età evolutiva: sfida e risultati dell’integrazione multiprofessionale fra pedagogia e psichiatria infantile.

 

[4] I temi presentati dagli psichiatri furono: le finalità della semiresidenza nel contesto del Servizio di neuropsichiatria infanzie  e adolescenza, la storia delle comunità terapeutiche, il disturbo di personalità borderline, i meccanismi di difesa; gli educatori presentarono la pedagogia istituzionale, il maternage e la relazione educativa, il gioco. 

 

[5] Su questo importante aspetto si veda il contributo fornito di Franca Guglielmetti in questo libro .

 

[6] L’attività è presentata in questo libro nel capitolo di Barbara Zanchi La musicoterapia in Semiresidenza: un approccio espressivo alla relazione terapeutica.

 

[7] Al tema della supervisione sono dedicati in questo libro gli articoli di Fabiano Bassi, Stefano Bolognini, Adriana Grotta

 

 

 


         

 

     


        

             

 

 

 

   

 

 


 

 

 

 

 

 

 


 


 
 
 
 
   

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
 

 

   
   
 

 

   
   
   
 

 

   
   
   
   
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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