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BUON COMPLEANNO A JEAN STAROBINSKI

 

 

 

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Maitres à dispenser

Il prossimo 17 novembre Jean Starobinski compirà 90 anni. Svizzero di lingua francese, si laureò in lettere classiche ed in medicina e ha insegnato sia letteratura francese che storia della medicina all'Università di Ginevra. Per l'occasione vogliamo proporre questo suo testo autobiografico.
 

 

Nato a Ginevra, cresciuto a Ginevra, ho avuto accesso con un po' di ritardo alla cittadinanza legale. Se fossero rimaste le categorie politiche dell'epoca di Rousseau, lo statuto giuridico che mi attendeva sarebbe stato quello di "abitante" e non di "cittadino". Ho sempre abitato il quartiere - Plainpalais - nel quale avevano preso dimora i miei genitori al loro arrivo dalla Polonia nel 1913, e dove hanno trascorso una vita felice. E' il quartiere dell'Università e dell'Ospedale. Erano venuti per compiere i loro studi di medicina, e anch'io vi ho fatto i miei. Rousseau, per parte sua, aveva lasciato Ginevra a 16 anni, per poi dichiararsi a distanza cittadino di Ginevra sul frontespizio del suo primo libro, pubblicato a Parigi. In effetti la sua conversione giovanile al cattolicesimo l'aveva privato della cittadinanza. Richiese in seguito la reintegrazione, ma più tardi - quando i suoi libri furono condannati nella sua città natale - fece atto di rinuncia. La mia prima scuola, la "Maison des Petits", fu quella che era stata voluta dallo psicologo Edouard Claparède, fondatore dell'Institut Jean-Jacques Rousseau. In questo modo, la mia prima educazione è stata decisamente sotto il segno di Jean-Jacques.

I miei genitori provenivano dalla Polonia, ma nel 1913 la Polonia attuale faceva ancora parte dell'Impero russo. Il ricordo che ne avevano entrambi era la medaglia con il profilo della grande Caterina, che premiava i risultati del loro esame di maturità. Le scuole secondarie russe insegnavano, in modo eccellente, le lingue e la matematica. Mio padre, a Ginevra, ha persino dato lezioni di francese ai suoi compagni. La data del suo arrivo fu quella dell'ultimo anno di una vecchia Europa. Non ho fatto, sino a oggi, un solo viaggio nel paese d'origine dei miei genitori, tuttavia il mio legame con la Polonia non è scomparso, grazie all'amicizia che mi lega al mio collega storico Bronislaw Baczko, anch'egli studioso dei Lumi e di Rousseau, che ha lasciato il suo paese dopo i fatti del 1968.

Alla fine del corso di studi in Lettere, nel 1942, avevo scelto un soggetto di laurea, accettato e incoraggiato da Marcel Raymond, sul gioco dell'apparenza e della maschera in Stendhal e in altri testimoni. Il mio primo libro è stato così un'antologia di Stendhal, edita a Friburgo nel 1943 dall'editore Egloff. Ma anche la medicina mi tentava, iscritta nella tradizione di famiglia, e per la sua contiguità con le scienze umane, dal lato della psichiatria. Ne ero motivato anche dalla lettura di Canguilhem, Il normale e il patologico, e di Binswanger. La filosofia aveva fatto parte dei miei studi letterari e gli studi di medicina mi sembravano un prolungamento della filosofia, un po' come per mio padre. Facendo a Ginevra conoscenza di Pierre Jean Jouve nel 1942, avevo anche incontrato Blanche Reverchon, sua moglie, che era medico e psicanalista. Essa faceva parte del gruppo dei primi traduttori di Freud in francese. Vedevo dunque quanti fossero i punti di contatto tra la letteratura e la medicina!

Il mio praticantato si è svolto nell'ambito della medicina interna nell'Ospedale cantonale di Ginevra, dal 1948 al 1953. Dopo un periodo di insegnamento della letteratura a Baltimora, tra il 1953 e il 1956, sono ancora stato interno all'Ospedale Psichiatrico Universitario di Cery (Losanna) dal 1957 al 1958. Intanto la mia tesi di dottorato in storia letteraria su Rousseau, La trasparenza e l'ostacolo, veniva pubblicata. E' lì, nella biblioteca dell'Ospedale psichiatrico, nel 1958-59, che ho scritto la Storia del trattamento della malinconia, che mi ha fatto conferire, qualche mese più tardi, il titolo di Dottore in medicina dall'Università di Losanna.

L'insegnamento a Baltimora mi fu affidato grazie alla generosa amicizia di Georges Poulet, di cui avevo fatto conoscenza negli incontri di Royaumont, nel 1948. Debbo molto a quelle riunioni dell'History of Ideas Club di Johns Hopkins, ove si ritrovavano, ogni anno, storici, filosofi, scienziati, filologi (penso in particolare a Spitzer); così che, rientrato a Ginevra, il primo insegnamento al quale sono stato chiamato, nel 1958, si intitolava "Storia delle idee". L'insegnamento della letteratura francese non si è aggiunto, esplicitamente, che nel 1965, quando Marcel Raymond è andato in pensione.

Mi sono a lungo esercitato con il pianoforte, per mio diletto, per il piacere della lettura degli spartiti, per ritornare a quelli più cari per meglio interpretarli. E, nel caso di Ravel, al suo Tombeau de Couperin. Un tempo, interrompendo la lettura o la scrittura, mi concedevo un intervallo per cimentarmi con una sonata di Scarlatti o una suite di Bach. Mi capitava anche, tra amici, di partecipare a serate musicali. La frase musicale, quella classica, con la sua libertà misurata, ha qualcosa di commovente, fin quasi alle lacrime. Come in una sinfonia di Haydn, di cui non ricordo ora il numero di catalogo, quando ascolto il minuetto a rovescio, ove una suite di note prima si dipana e poi si rovescia, con sapienza e levità. E' interamente governata dall'intelligenza, ma vi affiora la flessibilità di un essere naturale, come di una pianta.

 

Insegnamento, ricerca, scrittura. Ho ricevuto una lista dei miei corsi registrati e conservati nell'Università di Ginevra. Vi scopro un titolo: La coscienza del corpo: Valéry, Supervielle, Michaux. Ecco, resta uno dei miei progetti attuali, rileggere un certo numero di testi letterari, per scoprire ciò che essi dicono dell'attenzione di un soggetto al proprio corpo, un "ascolto di sé" che il linguaggio scientifico  chiama "cenestesia". Ho pubblicato articoli sul tema, ma il libro non è ancora pronto.

Ci sono infatti scrittori che sussurrano per il loro lettore-confidente, e altri, gli autori di pamphlets, che alzano la voce o si fanno imbonitori. Tengo molto a riconoscere la qualità d'attenzione che richiedono i differenti generi di elocuzione. La ricerca alla quale ho fatto allusione, parlando della mia curiosità per la "cenestesia", tocca un aspetto dell'individualismo moderno, in ciò - anche - che può comportare di patologico; l'attenzione portata da un autore o dai suoi personaggi, a ciò che nel loro corpo li disturba. Il saggio, in una forma libera, mi ha sempre tentato e mi è parso meglio corrispondere ai miei mezzi. Ammiravo la bella scrittura di Roger Caillois nei suoi saggi pubblicati nel "Minotaure". Mi sono sempre augurato che il mio lavoro fosse in rapporto con il tempo che vivevo. Con uno sguardo sulle ricerche di Kerenyi, di Dumézil e di Ludwig Binswanger, mi ero proposto un lavoro di comparazione relativo ai miti di discesa agli inferi nel loro rapporto con le leggende di fondazione. Non certo la medicina avrei dovuto apprendere per portare a compimento questi sogni, ma l'etnologia o l'antropologia. Pure, ciò che è rimasto di quei primi disegni, è il gusto dei percorsi tematici, e di un comparatismo di largo respiro. Lo si dovrebbe sentire nel mio Largesse o anche nelle Enchanteresses.

E tale è il saggio: il saggista deve saggiarsi, da sé a sé, ma a proposito di qualcosa che gli importi più ancora che se stesso, in una cura della verità che esige, in tutti i campi, l'espressione la più giusta.