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PROGRAMMA
VENERDI’ 18 SETTEMBRE-VENDREDI 18 SEPTEMBRE
8,30-9,00 Arrivo dei partecipanti- accueil des
participants
9,00-9,20 Apertura del convegno-ouverture du
colloque :
Cosimo TRONO
9,20-9,40 Andrea BALDASSARRO,
Breve antologia
psicoanalitica dell’onta e del pudore - Brève
anthologie psychoanalytique de la honte et de la
pudeur
9,40-10,00 Giuseppe LEO,
La vergogna e l’étà pericolosa -
La honte et l’âge dangereux
10,00-10,20 Eric BIDAUD,
Honte du corps et formations
esthétiques - Vergogna del corpo e formazioni
estetiche
Coordinatore-Discutant : Cosimo TRONO
10,20-11,00 Discussione-Discussion
11,00-11,30 Pausa caffé-pause café
11,30-11,50 Silvia LIPPI,
Vergogna, perversione e le donne
di Bataille - Honte, perversion et les femmes
de Bataille
11,50-12,10 Sabine PARMENTIER,
Gabriele
D’Annunzio, senza vergogna - Gabriele
D’Annunzio, sans honte
12,10-12,30 Gérard POMMIER,
La honte, sans nom…-
La
vergogna, senza nome…
Coordinatore-Discutant : Christian FIERENS
12,30-13,00 Discussione-Discussion
13,00-15,00 Pausa pranzo- déjeuner
15,00-15,20 Christian FIERENS,
Le noeud de la honte. Une
confession de Joyce - Il nodo della vergogna. Una
confessione di Joyce
15,20-15,40 Cosimo TRONO,
Fragments d’ « hontologie »
psychanalytique : L’Enfer de Dante, La Honte
de I. Bergman, M’Palermu de Emma Dante -
Frammenti di « ontalogia » psicanalitica :
L’Inferno di Dante, La Vergogna di I. Bergman, M’Palermu di Emma
Dante
Coordinatrice-Discutante : Sabine PARMENTIER
15,40-16,00 Discussione-Discussion
16,00-16-30 Pausa caffé-pause café
16,30-16,50 Tony BRACHET,
«
Honte au logis »,
psychanalyse de la question de l’Etre - « Honte
au logis », psicanalisi della questione dell’Essere
16,50-17,10 André JACOB,
Où est la honte aujourd’hui ?-
Dov’è la vergogna oggi ?
17,10-17,30 Paolo FABBRI,
La decenza e il riguardo : per
una grammatica delle maniere - La décence et
l’égard : pour une grammaire des manières
Coordinatrice-Discutante : Silvia LIPPI
17,30-18,00 Discussione-Discussion
Ore 18,00 Heures FINE 1a GIORNATA-FIN 1e JOURNEE
SABATO 19 SETTEMBRE-SAMEDI 19 SEPTEMBRE
8,30-9,00 Arrivo dei partecipanti - Accueil des
participants
9,00-9,20 Amalia GIUFFRIDA,
Sull’erotizzazione della
vergogna - Sur l’érotisation de la honte
9,20-9,40 Daniel BONETTI,
Osare la lingua che barbuglia -
Oser la langue qui bafouille
9,40-10,00 Marina BRECCIA,
La vergogna tra sentimento e
scissione - La honte entre sentiment et scission
Coordinatore-Discutant : Andrea BALDASSARRO
10,00-10,30 Discussione-Discussion
10,30-11,00 Pausa caffé-Pause café
11,00-11,20 Andrea BALDASSARRO,
Don Giovanni
senza colpa e senza vergogna - Don Juan
sans culpabili
11,20-11,40 Yves DANA,
Entre atomisation et libération –
L’abolition de la honte dans le champ
artistique -Tra atomizzazione e liberazione-
L’abolizione della vergogna nel campo artistico
11,40-12,00 Achille BONITO OLIVA,
La vergogna
dell’arte - La honte de l’art
Coordinatore-Discutant : Guy DANA
12,00-12,30 Discussione-Discussion
12,30-13,00 Conclusione del Convegno-Conclusion du
Colloque :
Silvia LIPPI, Andrea BALDASSARRO
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Qui a Roma, nel settembre
1953, il 26 e 27 settembre di 56 anni fa, durante un congresso rimasto
fondatore, organizzato all'Istituto di Psicologia dalla nuova
Société française de Psychanalyse(SFP) appena nata dalla
secessione dalla Société psychanalytique de Paris (SPP), Lacan
espose il suo celebre testo sulla parola e sul linguaggio
in psicanalisi. O, come disse Daniel Lagache in introduzione:<<le
relazioni del linguaggio e della psicanalisi>>. Questo articolo è
conosciuto da allora con il suo "made in" di <<discorso di
Roma>>. Esso segue di appena due mesi una conferenza pronunciata a
Parigi da Lacan sul Simbolico, l'Immaginario e il Reale che, nella
loro elaborazione nascente, , costituiranno i tre assi maggiori della
strutturazione identitaria, e quindi edipica, ed anche il filo
conduttore del Discorso di Roma. Titolo che da allora si abbrevia
sotto la sigla RSI. E' qui, oggi e domani, all'Istituto
Svizzero di Roma, all'ISR, che riprendiamo la riflessione ed è
come in uno specchio che rileggiamo ISR-RSI alla maniera di uno
scritto leonardiano. Ciò potrebbe riannodare, almeno lo speriamo, la
nozione che va sotto il nome di nodo di Borromeo e che lega
insieme i tre registri citati grazie anche ai quali il soggetto si
definisce enunciatore di una <<parola piena>>, più vicina alla sua
verità inconscia e alla parte di creatività necessaria all'esistenza.
Certo, da quest'anno cardinale
del 1953 molta acqua è scorsa sotto i ponti di Roma e le
segrete del Vaticano. La psicanalisi ha probabilmente sormontato quei
vagiti originari ai quali Lacan faceva allusione, traendola da
Aulo Gello che vedeva nel Mons Vaticanus l'etimologia del
vagire <<che designa i primi balbettii della parola>> (ibid.).
Forse è una troppo grande spaccatura semantica intendervi, quanto a
noi, un'assonanza con vagina, che metterebbe questi primi
vagiti direttamente in relazione con il luogo di matrice dal quale
essi sono emessi e emersi per la prima volta. Vorrei però credere che
ci siamo oramai inoltrati in un'epoca psicanalitica ove il
linguaggio ha rinnovato le sue fondamenta di vagiti vaginali,
secondo l'auspicio formulato da Lacan, e che questi rimangano
necessariamente permanenti non più per affermare e consolidare la
secessione di un movimento psicanalitico da uno zoccolo monolitico
- poiché il fantasma della Torre di Babele resta più vicino a noi che
ad ogni altra disciplina scientifica- ma che questi vagiti restino
operazionali per mantenere e rinnovare la successione, la
perennità, e la trasmissione della psicanalisi oggi, presso
le nuove generazioni di studenti, a volte troppo ignari della nostra
storia in movimento.
Per questo noi analisti sollecitiamo
la garanzia di rimanere nel linguaggio e nella parola,
ricercando la sanzione simbolica su ogni altra deriva e
regressione immaginaria o reale, non più soltanto per la nostra
disciplina (nel senso pieno e rigoroso del termine) e per
i nostri avanzamenti clinico-teorici più acuti ed innovatori. Ma
richiediamo questa garanzia anche e soprattutto alle discipline
annesse e non nel senso di integrate da una sottomissione al
nostro discorso da ratto delle Sabine - per dirla con una
metafora romana. Discipline alter-native (lo scrivo con un
tratto d'unione) che infondono alle nostre basi, tanto cliniche quanto
teoriche, una nuova produttività (per dirla economicamente) di
linguaggio, extraterritoriale ed interdisciplinare, che ci conservino
la freschezza innovatrice dei debutti freudiani. Per il quale Freud, i
creatori di linguaggi (<<letterario o poetico>> dirà lui nel "Dichter
und das Phantasieren") rimangono i nostri Maestri.
A questo scopo abbiamo ritenuto
indispensabile rimettere in discussione le basi, le fondamenta della
scoperta freudiana intorno alla parola-tema che non è propria del
nostro campo, che gli è anche marginale - come sono marginali le
parole dei nostri analizzandi riguardo ai nodi della loro
problematica, e che pure li chiarificano meglio di una lunga diatriba
lamentosa intorno alla loro sintomatologia - questa parola-tematica,
parola-bagaglio o attaccapanni è piuttosto una parola appartenente
all'utilizzo comune e popolare, a un universo concettuale diffuso in
altri campi della parola e del linguaggio. Parlo certo della
vergogna, ancora molto diffusa nel vocabolario, mentre ci
interrogheremo sulla sua scomparsa o la sua perdita, la sua
cancellazione, la sua negazione, rimozione, trasformazione,
proiezione, per come si vorrà accedervi. Da qui il titolo evocatore ed
anche provocatore del nostro convegno:<<Non c'è più vergogna...>>
ripreso da Lacan. Ed il suo campo <<...nella nostra cultura>> o
civiltà. Alla maniera di un invito ad altri discorsi, filosofico,
letterario, artistico, semiologico, di insegnarci ciò che la
psicanalisi ha ancora da dire, da trasmettere, sull'universalità della
sua scoperta. Augurandoci che questa apertura non sia a senso unico e
che, in quanto analisti, noi possiamo dare di nuovo il nostro apporto
alle discipline che costituiscono i nostri confini critici e dinamici
di esplorazione, e ai loro rappresentanti che oggi e domani ci danno
l'amicizia e ci offrono la fiducia necessaria con la loro presenza e
il loro intervento. Il secolo che si è chiuso un decennio fa non è
stato certo avaro di queste risorse reciproche - ricordate - a
cominciare dal movimento surrealista, proseguendo con le
ricerche etnologiche, semiologiche, linguistiche, antropologiche e
filosofiche. Anche se tutte non hanno riconosciuto il loro debito a
Freud, e viceversa non tutti gli analisti il loro debito ad altre
discipline. Chi di noi, per esempio, continua ad esplorare il campo
degli anagrammi, che Ferdinand de Saussure, di cui si
rammentano soltanto i Corsi di linguistica generale, si
vergognò quasi di aver aperto alla ricerca? E' solo così, con un
riannodamento e una ritessitura interdisciplinare, che la vergogna
riprenderà, penso, il suo valore simbolico di tappa di riconoscimento
dell'Altro, piuttosto che continuare a diffondersi, ad infiltrarsi nei
meandri di una realtà - cosa che non si può più negare - è divenuta,
nelle diverse sfere politiche, finanziarie, economiche, sociali,
vergognosamente desoggettivata, quindi oggettivante senza alcuna
vergogna.
Due parole sulle lingue di questo
convegno. L'italiano e il francese essendo quelle attraverso le quali
circoleremo, mi sembra opportuno accordare un certo rilievo in
apertura alla questione della traduzione. In psicanalisi noi non
facciamo che questo, alla fine, mettere l'analizzando in grado di
tradurre il suo discorso, i suoi sogni, lapsus e sintomi di ogni sorta
in un'altra lingua che lui stesso detiene e che lui parla a sua
insaputa (l'insaputa-che-sa= l'"unbewusste"). E' lì il senso
dell'Altra Scena (Andere Schauplatz) di cui parla Freud
per dire l'inconscio. In altre parole - è il caso di dire- noi diamo
al discorso dell'analizzando <<un'altra lettura>>(Lacan)
rispetto a ciò che pensava di dire. E' la ragione per cui - non certo
la sola, intervengono anche elementi di realtà dalla quale abbiamo
tentato di trarre profitto simbolico - è una delle ragioni per cui non
abbiamo lasciato la traduzione dei testi ai traduttori specialisti, né
alla messa in posa di cabine di traduzioni simultanee, come avviene
abitualmente nelle conferenze internazionali. A ciò abbiamo preferito
confrontarci col difetto delle lingue caro a Mallarmé, e quindi
anche coi difetti di traduzione. Pensiamo, noi organizzatori,-
ed è una supposizione che queste giornate dovranno aiutarci a capire
quanto sia valida - che l'inconscio parla meglio quando è sottomesso a
un ordine simbolico al quale la parola di ciascuno dovrà
assoggettarsi. Per dirla in breve, all'ordine grammaticale e
sintattico convenzionale, uguale per tutti, quello dei professionisti,
l'inconscio preferisce e si proferisce nelle faglie, nelle debolezze
ed errori, un un'espressione paratassica più vicina alla lingua dei
poeti ed all'infantile, che a quella dei funzionari del linguaggio (la
linguisticheria , come ben diceva Octave Mannoni). Per questo
alcuni tra di noi si sono sottoposti a tradurre gli interventi da una
lingua all'altra. Salvaguardando anche alcuni difetti di traduzione e
prendendo in conto l'adagio italiano rilevato da Freud del
traduttore-traditore. I due termini derivanti dal latino
traducere= condurre al di là, far passare attraverso o da un punto
all'altro qualcuno o un sentimento (dalla tristezza alla gioia, dal
serio al faceto, per esempio). E ciò ben conviene agli analisti
nella misura in cui non facciamo altro che questo in un senso
etimologico del termine. Cos'è il transfert in effetti? Dal
latino transfero= portare da un luogo all'altro, trascrivere, far
passare da una lingua in un'altra, far passare una parola da un
impiego in un altro, utilizzare metaforicamente, cambiare,
trasformare. Cos'altro è quindi il transfert se non un
mezzo per tradurre i movimenti pulsionali e
linguistico-semantici dell'analizzando, le sue parole e vagiti
balbuzienti, in un linguaggio che, attraverso l'analista si indirizza
ad un Altro? Così l'analista è sempre bilingue, traduttore ma
anche traditore nel senso di rivelatore.
Ma forse questa capacità a tradurre
- e dunque a tradire - è anche propria dell'artista, dello scrittore,
del filosofo. Poiché ogni relazione creatrice è una trasformazione,
sotto un'altra forma, di un dialetto interiore, ma anche un
tradimento, una rivelazione di qualcosa che l'io tende a mantenere
segreto. Penso che si possa dire che vi è un rapporto - direi quasi
una sinonimia, ma ciò resta da sviluppare - tra traduzione e
vergogna, malgrado l'apparente estraneità. Poiché anche la
vergogna traduce e tradisce i nostri stati affettivi di ostilità,
rifiuto, diniego, impudicizia, allontanamento dall'ideale, di allarme
per un periodo psichico... I casi clinici di cui si tratterà
mostreranno, credo, quanto la vergogna sia una presenza dell'altro
verso cui l'io si sente tradotto-tradito (come si dice:
tradurre qualcuno davanti alla giustizia o ad un'autorità). Così come
accade con il sintomo, il lapsus, il rebus dei sogni o degli atti
mancati, tutte formazioni rilevanti della traduttologia.
Ognuno è quindi portato a tradurre e
a tradire la lingua originaria, la lingua materna, il dialetto
pulsionale del corpo materno inscritto dalla nascita e ben prima del
nostro linguaggio, per rimaneggiarlo in discorso simbolico, in
discorso del padre. Poiché tale è la funzione del Nome del Padre,
separare il fanciullo dalla madre. Separarlo non soltanto dal corpo
pulsionale, arcaicizzante, fusionale, caotico e passionale, selvaggio
della madre, ma anche, e piuttosto, separarlo dalla lingua materna
originaria, per inscrivere il soggetto, tradurlo, transducere=
portare verso, al di là nella via complessa e ardua del simbolico,
via necessaria poiché è la sola che conduce al riconoscimento della
castrazione. Il primato del simbolico raccomandato da Lacan è
essenzialmente la risultante di un lavoro di traduzione di ciascuno,
del suo universo pulsionale e fantasmatico in discorso soggettivo,
quindi aperto all'Altro e al desiderio dell'Altro, al di fuori di ogni
fusione identificatoria e confusione immaginaria dei desideri, quindi
illusori. Se vi è perdita dei paletti simbolici, ci sarà perdita della
capacità di sentire la vergogna. La vergogna potrà quindi essere un
segnale di pericolo nel difficile passaggio traduttivo da una lingua
primaria a un discorso elaborato nella parola e nel linguaggio nella
creazione antropo-logica sotto tutti gli aspetti: artistico,
filosofico, letterario, sociale. Che non vi sia più vergogna - ed è
tutta la capacità di simboleggiare, di sublimare, di
transfer(t)-ire (per dirla con un neologismo), di situarsi come
soggetto della domanda di riconoscimento dell'altro che crollerà-:
è questo forse uno dei maggiori malesseri della cultura.
Si tratta per noi - ma ciò resterà
da dimostrare - di fare l'elogio della vergogna, l'elogio del
traditore che passa da una lingua all'altra senza sostituirne
alcuna a nessun'altra. Salvaguardando il valore soggettivo del
dialetto interno attraverso il quale - Freud ce lo indica - l'Es
parla. Dialetto interno che non ha nulla a che vedere col dialetto
caro a Bossi, che ignora lui stesso la lingua che lo parla a
sua insaputa.
Passare da una lingua all'altra sarà
anche passare da un discorso all'altro. Passare dalla psicanalisi alla
filosofia, alla letteratura, all'arte, alla semiologia. Tutti discorsi
culturali che elaborano la parola soggettiva dal momento che questa si
inventa, si trasmette, si afferma in una perpetua ricerca dell'Altro
in quanto <<tesoro di significanti>>, secondo l'espressione di
Lacan. La psicanalisi dimora nell'interrogazione del discorso
dell'Altro, nella questua dell'Altro del discorso, simbolico
quindi. O non sarà.
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