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 Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte  

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  INTRODUZIONE  DI COSIMO TRONO AL CONVEGNO "NON C'E' PIU' VERGOGNA NELLA CULTURA?" (Roma, Istituto Svizzero, 18-19 settembre 2008)

 

 

 

 

 
PROGRAMMA

 

 

VENERDI’ 18 SETTEMBRE-VENDREDI 18 SEPTEMBRE

8,30-9,00 Arrivo dei partecipanti- accueil des participants

9,00-9,20 Apertura del convegno-ouverture du colloque :

Cosimo TRONO

9,20-9,40 Andrea BALDASSARRO, Breve antologia psicoanalitica dell’onta e del pudore - Brève

anthologie psychoanalytique de la honte et de la pudeur

9,40-10,00 Giuseppe LEO, La vergogna e l’étà pericolosa - La honte et l’âge dangereux

10,00-10,20 Eric BIDAUD, Honte du corps et formations esthétiques - Vergogna del corpo e formazioni estetiche

Coordinatore-Discutant : Cosimo TRONO

10,20-11,00 Discussione-Discussion

11,00-11,30 Pausa caffé-pause café

11,30-11,50 Silvia LIPPI, Vergogna, perversione e le donne di Bataille - Honte, perversion et les femmes de Bataille

11,50-12,10 Sabine PARMENTIER, Gabriele D’Annunzio, senza vergogna - Gabriele D’Annunzio, sans honte

12,10-12,30 Gérard POMMIER, La honte, sans nom…- La vergogna, senza nome…

Coordinatore-Discutant : Christian FIERENS

12,30-13,00 Discussione-Discussion

13,00-15,00 Pausa pranzo- déjeuner

15,00-15,20 Christian FIERENS, Le noeud de la honte. Une confession de Joyce - Il nodo della vergogna. Una confessione di Joyce

15,20-15,40 Cosimo TRONO, Fragments d’ « hontologie » psychanalytique : L’Enfer de Dante, La Honte de I. Bergman, M’Palermu de Emma Dante - Frammenti di « ontalogia » psicanalitica : L’Inferno di Dante, La Vergogna di I. Bergman, M’Palermu di Emma Dante

Coordinatrice-Discutante : Sabine PARMENTIER

15,40-16,00 Discussione-Discussion

16,00-16-30 Pausa caffé-pause café

16,30-16,50 Tony BRACHET, « Honte au logis », psychanalyse de la question de l’Etre - « Honte au logis », psicanalisi della questione dell’Essere

16,50-17,10 André JACOB, Où est la honte aujourd’hui ?-

Dov’è la vergogna oggi ?

17,10-17,30 Paolo FABBRI, La decenza e il riguardo : per

una grammatica delle maniere - La décence et

l’égard : pour une grammaire des manières

Coordinatrice-Discutante : Silvia LIPPI

17,30-18,00 Discussione-Discussion

Ore 18,00 Heures FINE 1a GIORNATA-FIN 1e JOURNEE

SABATO 19 SETTEMBRE-SAMEDI 19 SEPTEMBRE

8,30-9,00 Arrivo dei partecipanti - Accueil des participants

9,00-9,20 Amalia GIUFFRIDA, Sull’erotizzazione della

vergogna - Sur l’érotisation de la honte

9,20-9,40 Daniel BONETTI, Osare la lingua che barbuglia -

Oser la langue qui bafouille

9,40-10,00 Marina BRECCIA, La vergogna tra sentimento e

scissione - La honte entre sentiment et scission

Coordinatore-Discutant : Andrea BALDASSARRO

10,00-10,30 Discussione-Discussion

10,30-11,00 Pausa caffé-Pause café

11,00-11,20 Andrea BALDASSARRO, Don Giovanni

senza colpa e senza vergogna - Don Juan

sans culpabili

11,20-11,40 Yves DANA, Entre atomisation et libération –

L’abolition de la honte dans le champ

artistique -Tra atomizzazione e liberazione-

L’abolizione della vergogna nel campo artistico

11,40-12,00 Achille BONITO OLIVA, La vergogna

dell’arte - La honte de l’art

Coordinatore-Discutant : Guy DANA

12,00-12,30 Discussione-Discussion

12,30-13,00 Conclusione del Convegno-Conclusion du

Colloque :

Silvia LIPPI, Andrea BALDASSARRO

 

 

 

 

 


Qui a Roma, nel settembre 1953, il 26 e 27 settembre di 56 anni fa, durante un congresso rimasto fondatore, organizzato all'Istituto di Psicologia dalla nuova Société française de Psychanalyse(SFP) appena nata dalla secessione dalla Société psychanalytique de Paris (SPP), Lacan espose il suo celebre testo sulla parola e sul linguaggio in psicanalisi. O, come disse Daniel Lagache in introduzione:<<le relazioni del linguaggio e della psicanalisi>>. Questo articolo è conosciuto da allora con il suo "made in" di <<discorso di Roma>>. Esso segue di appena due mesi una conferenza pronunciata a Parigi da Lacan sul Simbolico, l'Immaginario e il Reale che, nella loro elaborazione nascente, , costituiranno i tre assi maggiori della strutturazione identitaria, e quindi edipica, ed anche il filo conduttore del Discorso di Roma. Titolo che da allora si abbrevia sotto la sigla RSI. E' qui, oggi e domani, all'Istituto Svizzero di Roma, all'ISR, che riprendiamo la riflessione ed è come in uno specchio che rileggiamo ISR-RSI alla maniera di uno scritto leonardiano. Ciò potrebbe riannodare, almeno lo speriamo, la nozione che va sotto il nome di nodo di Borromeo e che lega insieme i tre registri citati grazie anche ai quali il soggetto si definisce enunciatore di una <<parola piena>>, più vicina alla sua verità inconscia e alla parte di creatività necessaria all'esistenza.

Certo, da quest'anno cardinale del 1953 molta acqua è scorsa sotto i ponti di Roma e le segrete del Vaticano. La psicanalisi ha probabilmente sormontato quei vagiti originari ai quali Lacan faceva allusione, traendola da Aulo Gello che vedeva nel Mons Vaticanus l'etimologia del vagire <<che designa i primi balbettii della parola>> (ibid.). Forse è una troppo grande spaccatura semantica intendervi, quanto a noi, un'assonanza con vagina, che metterebbe questi primi vagiti direttamente in relazione con il luogo di matrice dal quale essi sono emessi e emersi per la prima volta. Vorrei però credere che ci siamo oramai inoltrati in un'epoca psicanalitica ove il linguaggio ha rinnovato le sue fondamenta di vagiti vaginali, secondo l'auspicio formulato da Lacan, e che questi rimangano necessariamente permanenti non più per affermare e consolidare la secessione di un movimento psicanalitico da uno zoccolo monolitico - poiché il fantasma della Torre di Babele resta più vicino a noi che ad ogni altra disciplina scientifica- ma che questi vagiti restino operazionali per mantenere e rinnovare la successione, la perennità, e la trasmissione della psicanalisi oggi, presso le nuove generazioni di studenti, a volte troppo ignari della nostra storia in movimento.

Per questo noi analisti sollecitiamo la garanzia di rimanere nel linguaggio e nella parola, ricercando la sanzione simbolica su ogni altra deriva e regressione immaginaria o reale, non più soltanto per la nostra disciplina (nel senso pieno e rigoroso del termine) e  per i nostri avanzamenti clinico-teorici più acuti ed innovatori. Ma richiediamo questa garanzia anche e soprattutto alle discipline annesse e non nel senso di integrate da una sottomissione al nostro discorso da ratto delle Sabine - per dirla con una metafora romana. Discipline alter-native (lo scrivo con un tratto d'unione) che infondono alle nostre basi, tanto cliniche quanto teoriche, una nuova produttività (per dirla economicamente) di linguaggio, extraterritoriale ed interdisciplinare, che ci conservino la freschezza innovatrice dei debutti freudiani. Per il quale Freud, i creatori di linguaggi (<<letterario o poetico>> dirà lui nel "Dichter und das Phantasieren") rimangono i nostri Maestri.

A questo scopo abbiamo ritenuto indispensabile rimettere in discussione le basi, le fondamenta della scoperta freudiana intorno alla parola-tema che non è propria del nostro campo, che gli è anche marginale - come sono marginali le parole dei nostri analizzandi riguardo ai nodi della loro problematica, e che pure li chiarificano meglio di una lunga diatriba lamentosa intorno alla loro sintomatologia - questa parola-tematica, parola-bagaglio o attaccapanni è piuttosto una parola appartenente all'utilizzo comune e popolare, a un universo concettuale diffuso in altri campi della parola e del linguaggio. Parlo certo della vergogna, ancora molto diffusa nel vocabolario, mentre ci interrogheremo sulla sua scomparsa o la sua perdita, la sua cancellazione, la sua negazione, rimozione, trasformazione, proiezione, per come si vorrà accedervi. Da qui il titolo evocatore ed anche provocatore del nostro convegno:<<Non c'è più vergogna...>> ripreso da Lacan. Ed il suo campo <<...nella nostra cultura>> o civiltà. Alla maniera di un invito ad altri discorsi, filosofico, letterario, artistico, semiologico, di insegnarci ciò che la psicanalisi ha ancora da dire, da trasmettere, sull'universalità della sua scoperta. Augurandoci che questa apertura non sia a senso unico e che, in quanto analisti, noi possiamo dare di nuovo il nostro apporto alle discipline che costituiscono i nostri confini critici e dinamici di esplorazione, e ai loro rappresentanti che oggi e domani ci danno l'amicizia e ci offrono la fiducia necessaria con la loro presenza e il loro intervento. Il secolo che si è chiuso un decennio fa non è stato certo avaro di queste risorse reciproche - ricordate - a cominciare  dal movimento surrealista, proseguendo con le ricerche etnologiche, semiologiche, linguistiche, antropologiche e filosofiche. Anche se tutte non hanno riconosciuto il loro debito a Freud, e viceversa non tutti gli analisti il loro debito ad altre discipline. Chi di noi, per esempio, continua ad esplorare il campo degli anagrammi, che Ferdinand de Saussure, di cui si rammentano soltanto i Corsi di linguistica generale, si vergognò quasi di aver aperto alla ricerca? E' solo così, con un riannodamento e una ritessitura interdisciplinare, che la vergogna riprenderà, penso, il suo valore simbolico di tappa di riconoscimento dell'Altro, piuttosto che continuare a diffondersi, ad infiltrarsi nei meandri di una realtà - cosa che non si può più negare - è divenuta, nelle diverse sfere politiche, finanziarie, economiche, sociali, vergognosamente desoggettivata, quindi oggettivante senza alcuna vergogna.

Due parole sulle lingue di questo convegno. L'italiano e il francese essendo quelle attraverso le quali circoleremo, mi sembra opportuno accordare un certo rilievo in apertura alla questione della traduzione. In psicanalisi noi non facciamo che questo, alla fine, mettere l'analizzando in grado di tradurre il suo discorso, i suoi sogni, lapsus e sintomi di ogni sorta in un'altra lingua che lui stesso detiene e che lui parla a sua insaputa (l'insaputa-che-sa= l'"unbewusste"). E' lì il senso dell'Altra Scena (Andere Schauplatz) di cui parla Freud per dire l'inconscio. In altre parole - è il caso di dire- noi diamo al discorso dell'analizzando <<un'altra lettura>>(Lacan) rispetto a ciò che pensava di dire. E' la ragione per cui - non certo la sola, intervengono anche elementi di realtà dalla quale abbiamo tentato di trarre profitto simbolico - è una delle ragioni per cui non abbiamo lasciato la traduzione dei testi ai traduttori specialisti, né alla messa in posa di cabine di traduzioni simultanee, come avviene abitualmente nelle conferenze internazionali. A ciò abbiamo preferito confrontarci col difetto delle lingue caro a Mallarmé, e quindi anche coi difetti di traduzione. Pensiamo, noi organizzatori,- ed è una supposizione che queste giornate dovranno aiutarci a capire quanto sia valida - che l'inconscio parla meglio quando è sottomesso a un ordine simbolico al quale la parola di ciascuno dovrà assoggettarsi. Per dirla in breve, all'ordine grammaticale e sintattico convenzionale, uguale per tutti, quello dei professionisti, l'inconscio preferisce e si proferisce nelle faglie, nelle debolezze ed errori, un un'espressione paratassica più vicina alla lingua dei poeti ed all'infantile, che a quella dei funzionari del linguaggio (la linguisticheria , come ben diceva Octave Mannoni). Per questo alcuni tra di noi si sono sottoposti a tradurre gli interventi da una lingua all'altra. Salvaguardando anche alcuni difetti di traduzione e prendendo in conto l'adagio italiano rilevato da Freud del traduttore-traditore. I due termini derivanti dal latino traducere= condurre al di là, far passare attraverso o da un punto all'altro qualcuno o un sentimento (dalla tristezza alla gioia, dal serio al faceto, per esempio). E ciò ben conviene agli analisti nella misura in cui non facciamo altro che questo in un senso etimologico del termine. Cos'è il transfert in effetti? Dal latino transfero= portare da un luogo all'altro, trascrivere, far passare da una lingua in un'altra, far passare una parola da un impiego in un altro, utilizzare metaforicamente, cambiare, trasformare. Cos'altro è quindi il transfert se non un mezzo per tradurre i movimenti pulsionali e linguistico-semantici dell'analizzando, le sue parole e vagiti balbuzienti, in un linguaggio che, attraverso l'analista si indirizza ad un Altro? Così l'analista è sempre bilingue, traduttore ma anche traditore nel senso di rivelatore.

Ma forse questa capacità a tradurre - e dunque a tradire - è anche propria dell'artista, dello scrittore, del filosofo. Poiché ogni relazione creatrice è una trasformazione, sotto un'altra forma, di un dialetto interiore, ma anche un tradimento, una rivelazione di qualcosa che l'io tende a mantenere segreto. Penso che si possa dire che vi è un rapporto - direi quasi una sinonimia, ma ciò resta da sviluppare - tra traduzione e vergogna, malgrado l'apparente estraneità. Poiché anche la vergogna traduce e tradisce i nostri stati affettivi di ostilità, rifiuto, diniego, impudicizia, allontanamento dall'ideale, di allarme per un periodo psichico... I casi clinici di cui si tratterà mostreranno, credo, quanto la vergogna sia una presenza dell'altro verso cui l'io si sente tradotto-tradito (come si dice: tradurre qualcuno davanti alla giustizia o ad un'autorità). Così come accade con il sintomo, il lapsus, il rebus dei sogni o degli atti mancati, tutte formazioni rilevanti della traduttologia.

Ognuno è quindi portato a tradurre e a tradire la lingua originaria, la lingua materna, il dialetto pulsionale del corpo materno inscritto dalla nascita e ben prima del nostro linguaggio, per rimaneggiarlo in discorso simbolico, in discorso del padre. Poiché tale è la funzione del Nome del Padre, separare il fanciullo dalla madre. Separarlo non soltanto dal corpo pulsionale, arcaicizzante, fusionale, caotico e passionale, selvaggio della madre, ma anche, e piuttosto, separarlo dalla lingua materna originaria, per inscrivere il soggetto, tradurlo, transducere= portare verso, al di là nella via complessa e ardua del simbolico, via necessaria poiché è la sola che conduce al riconoscimento della castrazione. Il primato del simbolico raccomandato da Lacan è essenzialmente la risultante di un lavoro di traduzione di ciascuno, del suo universo pulsionale e fantasmatico in discorso soggettivo, quindi aperto all'Altro e al desiderio dell'Altro, al di fuori di ogni fusione identificatoria e confusione immaginaria dei desideri, quindi illusori. Se vi è perdita dei paletti simbolici, ci sarà perdita della capacità di sentire la vergogna. La vergogna potrà quindi essere un segnale di pericolo nel difficile passaggio traduttivo da una lingua primaria a un discorso elaborato nella parola e nel linguaggio nella creazione antropo-logica sotto tutti gli aspetti: artistico, filosofico, letterario, sociale. Che non vi sia più vergogna - ed è tutta la capacità di simboleggiare, di sublimare, di transfer(t)-ire (per dirla con un neologismo), di situarsi come soggetto della domanda di riconoscimento dell'altro  che crollerà-: è questo forse uno dei maggiori malesseri della cultura.

Si tratta per noi - ma ciò resterà da dimostrare - di fare l'elogio della vergogna, l'elogio del traditore che passa da una lingua all'altra senza sostituirne alcuna a nessun'altra. Salvaguardando il valore soggettivo del dialetto interno attraverso il quale - Freud ce lo indica - l'Es parla. Dialetto interno che non ha nulla a che vedere col dialetto caro a Bossi, che ignora lui stesso la lingua che lo parla a sua insaputa.

Passare da una lingua all'altra sarà anche passare da un discorso all'altro. Passare dalla psicanalisi alla filosofia, alla letteratura, all'arte, alla semiologia. Tutti discorsi culturali che elaborano la parola soggettiva dal momento che questa si inventa, si trasmette, si afferma in una perpetua ricerca dell'Altro in quanto <<tesoro di significanti>>, secondo l'espressione di Lacan. La psicanalisi dimora nell'interrogazione del discorso dell'Altro, nella questua dell'Altro del discorso, simbolico quindi. O non sarà.

 

                

 

                    

 

 

 

 

        

 

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 
 

 
 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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