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"RETHINKING TRANSFERENCE: A VIEW FROM NEUROSCIENCE".

 

di Drew Westen

 

 

Maitres à dispenser

 

 

Resoconto di  Giuseppe Leo della relazione di Drew Westen  presentata a Milano il 16 giugno 2006 al convegno "Freud aveva ragione? (1856-2006). Il Transfert", organizzato dall'A.S.P. (Associazione di Studi Psicoanalitici).

 

             

 Drew Westen is professor of Psychology at the Emory University (Atlanta). He received his B.A.  at Harvard University, an M.A. in Social and Political Thought at the University of Sussex (England), and his Ph.D. in Clinical Psychology at the University of Michigan, where he subsequently taught for six years. For several years he was Chief Psychologist at Cambridge Hospital and Associate Professor at Harvard Medical School. His major areas of research are personality disorders, eating disorders, psychotherapy effectiveness, adolescent psychopathology, political psychology, and the interface of psychodynamics and neuroscience. He is an occasional commentator on NPR's "All Things Considered", and his holiday song, "Oy, to be a Goy on Christmas", still airs on the radio in New York during the holiday season. His works and papers are listed in Emory University web site (http://www.psychsystems.net  ).

 

    
 

 

                      Rivista Frenis Zero

Drew Westen esordisce elencando i tipi di atteggiamento che, a suo parere, gli psicoanalisti manifestano nei confronti delle neuroscienze. Essi sarebbero riconducibili a :

1) introiezione;

2) invidia;

3) grandiosità difensiva.

Quindi cita Erik Erikson per cui l'identità finisce laddove inizia l'utilità dell'identificazione. Quando l'adolescente sta sviluppando un'identità personale, egli ha bisogno di un chiaroscuro di identificazioni finché poi riesce a svilupparla più o meno definitivamente. Dice Westen che sarebbe augurabile che l'approccio che la psicoanalisi dovrebbe sviluppare con le neuroscienze sia mosso da analoghi presupposti. Ed aggiunge che la comprensione del processo cognitivo non richiede l'intellettualizzazione del trattamento. Egli richiama il fatto che Freud avesse una certa consuetudine col pensiero che nella mente ci sono associazioni, e ciò non gli avrebbe impedito di pensare che in essa ci siano anche paure, conflitti, ecc.

Westen passa poi a elencare le diverse concezioni del transfert per come si sono sviluppate nel corso della storia della psicoanalisi.

1) Freud parlava di transfert come spostamento di conflitti dall'infanzia alla figura dell'analista. All'inizio questo gli sembrava un elemento di disturbo, solo in seguito realizzò che si trattava di un elemento estremamente importante nella relazione col paziente.

2) In altri lavori Freud concepisce il transfert come riedizione di un vecchio conflitto.

Queste prime definizioni di Freud sono, secondo Westen dei modelli cognitivi di attivazione transferale, e Freud poi puntualizzò che il transfert è una riattivazione di qualcosa che ha sede nel passato.

3) Una terza e successiva formulazione di Freud è quella di transfert come difesa e come resistenza. Quest'ultima definizione è differente dalla 1) poiché offre una spiegazione motivazionale oltre che cognitiva di quello che è il transfert.

4) Successivamente, Hans Loewald ha parlato di transfert inserito nel campo della relazione oggettuale.

5) Altra possibilità è quella di concepire il transfert ed il controtransfert come 'enactement', ed in particolare di 'enactement' nei confronti delle principali figure dell'attaccamento.

6) Transfert come co-costruzione da parte dei due partecipanti della diade analitica.

La definizione che Westen adotta si connota per essere la più ampia possibile: egli definisce il transfert come 'pattern' di modelli del pensiero, di regolazione affettiva, ecc. che emergono nella relazione terapeutica. Essi sono 'patterns' che emergono tanto nella relazione psicoanalitica quanto nell'ambito di una terapia comportamentale.

Secondo Westen, il transfert riflette aspetti del funzionamento del paziente nella relazione terapeutica che sono molto stabili ed emerge nel contesto di un campo interpersonale influenzato più dal funzionamento del paziente che non da quello del terapeuta.

Dopo aver illustrato il caso clinico di un giovane uomo che non riusciva a ultimare i suoi studi e che vedeva il terapeuta come se fosse suo padre nella sua relazione con la scuola, Westen dice di voler problematizzare questa relazione come è stata delineata dal caso clinico: ci dobbiamo porre la domanda ad ogni singolo momento della relazione terapeutica <<perché questo particolare tipo di transfert adesso?>>.

Per rispondere a questa domanda è richiesta sia una spiegazione cognitiva che di tipo emozionale.

Le risposte transferali riflettono la confluenza di reti associative che vengono attivate. Per Westen vengono attivati due livelli di processo:

1) c'è un'attivazione cognitiva: l'esperienza attuale attiva sentimenti, motivazioni, conflitti in funzione del fatto che riproducono 'stampi' che provengono dal passato. Questa attivazione non ha un'implicazione emozionale. Però questo non esclude, per Westen, che lungo queste reti di attivazione non ci siano aspetti emozionali.

<<Se io riconosco una sedia>> dice Westen <<si ha l'attivaione di un 'network' che comporta una riattivazione del passato senza che sia implicato il desiderio che viene dal passato per far emergere quel ricordo>>. Ma come fa il cervello a integrare le migliaia di percorsi che nel momento presente sono simili a quelli di momenti del passato? L'ipotesi avanzata da Westen è che nello stesso momento vengono attivati molti sistemi associativi che poi convergono verso una soluzione.

2) l'altro tipo è l'attivazione edonica: ci sono dei processi mentali che sono attivati da stati o anticipazioni di stati affettivi.

Domanda: Come fanno queste due forme di attivazione ad intersecarsi per produrre una determinata modalità di transfert in un dato momento?

Per Westen il transfert va concepito come FORMAZIONE DI COMPROMESSO CHE RIFLETTE FORME DI ATTIVAZIONE COGNITIVA ED EDONICA CHE COMPETONO O COLLABORANO TRA DI LORO.

Le forme di attivazione cognitiva possono essere concepite mediante MODELLI CONNESSIONISTICI. Da un punto di vista filosofico essi storicamente traggono origine dalla speculazione di Aristotele sull'associazione. 

 

                       
  Dal  punto di vista del connessionismo, abbiamo dei 'sets' di neuroni che riconoscono singole lettere, oppure delle singole parole, o ancora altri circuiti (retrofrontali) deputati al riconoscimento di gruppi di parole e di piccole frasi. Al di fuori della coscienza, il cervello legge singole lettere, parole o frasi relazionandosi a certi vincoli per poi produrre la consapevolezza di un certo risultato. Quando ad esempio leggiamo una sottilissima ombra di ansia negli occhi del paziente, senza aver riconosciuto che questo sguardo aveva a che fare con l'ansia, abbiamo un'esperienza analoga, ma più complessa di quando cerchiamo di riconoscere il senso di segni quali certe lettere scritte in modo ambiguo.

 

 

 

 

 

 

 I principi del modello connessionistico sono:

1) il 'parallel processing': esso può spiegare il funzionamento di processi che avvengono al di fuori della coscienza in maniera simultanea (è questa, aggiunge Westen, un'idea familiare agli psicoanalisti).

2) Le rappresentazioni come reti neurali distribuite. Negli anni '50 i neurochirurghi sui cervelli dei pazienti epilettici mettevano gli elettrodi in punti specifici per essere sicuri di non toccare i circuiti del linguaggio. Ma poi toccando certe aree, il paziente diceva <<sento l'odore dei biscotti di mia madre>> e si riteneva che ciò indicasse che in quell'area ci fosse una rappresentazione dei biscotti della madre. Invece, quello che oggi si ritiene che accadesse era che, toccando in quel punto, si iniziasse a distribuire e a produrre il network associativo per cui un network evocava la percezione del profumo, un altro quella del sapore, un altro ancora l'emozione, e essi venivano tutti integrati essendo collocati nel tempo ma ad un tale livello di simultaneità che non potevano queste sensazioni essere sentite separatamente.

<<Una rappresentazione è qualcosa che si distribuisce a livello dei centri primitivi del cervello>> afferma Westen <<e non qualcosa in cui ci imbattiamo. Le reazioni emotive avvengono INSIEME alle rappresentazioni>>.

3) Ogni aspetto di ciò che sentiamo è composto di simultanei processi di attivazione e di inibizione. Quando vediamo le lacrime sul volto di un paziente, e questi sta ricordando con affetto il padre, è la nostra comprensione che ci permette di capire se si tratta di commozione gioiosa o altro, questo perché nel nostro cervello avvengono processi di attivazione e di inibizione che selezionano il nostro 'frame' cognitivo.

4) il cervello converge su soluzioni che forniscono una serie di dati che costituiscono la scelta migliore possibile in quel momento, andando a soddisfare una serie di vincoli che sono legati alla realtà.

5) Le rappresentazioni come potenziali di riattivazione. Anziché le rappresentazioni essere archiviate nel cervello, possiamo concepire un ricordo come un set, un network che viene riattivato, e la frequenza con cui una rappresentazione viene riattivata  ci condurrà in misura più o meno probabile verso una data interpretazione.

Secondo Westen questo sarebbe il motivo per cui gli psicoanalisti kleiniani tenderebbero ad interpretare come invidia quello che i freudiani magari interpreterebbero come rabbia: questo perché il potenziale di attivazione è tenuto alto dalla tipologia di adesione teorica dello psicoanalista.

Per Westen Freud aveva un'idea delle rappresentazioni abbastanza simile a quella delle neuroscienze: esse non sono statiche, ma si diffondono a partire da un certo punto ed alla fine lasciano una modificazione stabile lungo tutta la via seguita . Qui sta il ricordo.

I neuroscienziati cognitivi e Freud condividerebbero antenati comuni che sono i filosofi inglesi che si sono occupati di associazionismo.

 

Westen passa poi a parlare della NEUROANATOMIA DEL CONFLITTO E DELLA DIFESA. Uno studio di Westen, di Haman ed altri del 2005 ha indagato questo ambito di ricerca utilizzando la fMRI. Lo studio si proponeva di valutare le risposte neuronali di sostenitori coinvolti nelle elezioni presidenziali americane del 2004. Per Westen il campo della politica è tra i più utili se cerchiamo dei gruppi di persone che si difendono con le stesse modalità. La questione era: cosa succede nel cervello quando si prende una data posizione di difesa? Ai partecipanti allo studio (30 democratici contro 30 repubblicani ) veniva presentata una certa frase che era stata effettivamente pronunciata da uno dei candidati , ma che minacciava il supporto che il sostenitore dava al suo candidato, essendo in contraddizione con quanto il sostenitore riteneva fosse stato pronunciato dal suo candidato. In dettaglio, una prima diapositiva mostrava una frase del candidato, una seconda slide riportava un'altra frase dello stesso candidato che contraddiceva la prima, ed infine una terza slide chiedeva se queste due frasi fossero o no contraddittorie. Il vincolo cognitivo avrebbe dovuto rilevare la contraddizione, ma il vincolo emotivo portava a non riconoscerla. I democratici   hanno mostrato lo stesso grado di difficoltà di riconoscere le contraddizioni rispetto ai repubblicani. Questo ha permesso di studiare quello che succede nel cervello quando ci si difende da informazioni minacciose. Westen dice che si aspettava due cose:

1) un'attivazione nei circuiti del dispiacere;

2) un'attivazione dei circuiti della regolazione del 'distress', mentre non ci si aspettava alcuna attivazione nei circuiti dei processi di ragionamento ( reasoning ).

Precedenti studi di neuro-imaging con la fMRI avevano mostrato che la corteccia fronto-dorsale è coinvolta nel reasoning, mentre le aree ventro-mediali della corteccia pre-frontale nella elaborazione emozionale (come sostiene anche Damasio).

Foto: A. Damasio

Risultati: si è riscontrato

1) l'attivazione dell'insula (correlabile ad emozioni di disgusto e negative);

2) attivazione della corteccia orbito-frontale laterale (correlata agli affetti negativi);

3) attivazione dell'amigdala bilaterale.

Era chiaro, conclude Westen che l'esperienza della contraddizione provocasse un 'distress' emotivo. Ma dalla ricerca emersero altri tre risultati:

1) attivazione della corteccia ventro-mediale frontale (coinvolta nella regolazione inconscia delle emozioni);

2) attivazione della corteccia cingolata anteriore (coinvolta nel monitoraggio del conflitto);

3) quando la gente stava ragionando su informazioni minacciose, le aree deputate al ragionamento non mostravano segni di attivazione. <<La difesa ha oscurato il ragionamento>>  commenta Westen.

 

 

 

<<Come si arriva a giudizi influenzati dai fattori emotivi?>> si chiede Westen. Due aspetti egli sottolinea:

1) quello che manca: i circuiti coinvolti negli aspetti emotivi negativi sono ora quelli che vengono ad essere oscurati.

2) un risultato inaspettato è stato l'attivazione dello striato ventrale (coinvolto nel rewarding , nella ricompensa, nella gratificazione).

Quando la gente si difende con successo da informazioni minacciose, si sfugge dagli affetti negativi, ma si attivano anche quelli positivi. Liotti parlerebbe a tal proposito di 'condizionamento difensivo'.

Quindi per Westen ci sono da una parte i vincoli cognitivi, dall'altra i vincoli edonici: ma come si integrano tra di loro? Vanno considerati due aspetti:

1) Formazioni di compromesso come tentativo di integrazione. Le formazioni di compromesso non sono altro che una simultanea soddisfazione di elementi cognitivi ed edonici.

2) Implicazioni sul transfert. Il transfert è l'attivazione di potenziali fondata sulla storia del paziente, ma poi plasmata nel contesto dei networks attivi in quel momento. <<Portiamo con noi delle dinamiche di transfert, ma la forma di questo transfert viene ad esprimersi di volta in volta in relazione non solo a queste dinamiche passate, ma anche in relazione alla situazione corrente. I patterns transferali in ogni momento vengono a riflettere la confluenza di numerosi networks influenzati da molti fattori>> tra cui:

1) caratteristiche psicologiche del paziente. Ovviamente il paziente non co-costruisce con noi qualcosa di estraneo alla sua psicologia ed alla sua storia precedente.

2) caratteristiche della situazione terapeutica (intimità, asimmetria, autorità, il divano [?]).

3) caratteristiche del terapeuta (età, genere, aspetto fisico, modi di fare, 'issues'). Cognitivamente questi fattori è impossibile che non abbiano a che fare col transfert. E a questo livello, secondo Westen, è molto facile trovare delle scissioni teoriche tra una prospettiva pulsionale (transfert che emerge dovunque e comunque) e una prospettiva post-moderna (questp particolare transfert è costruito da questa particolare diade). Westen incoraggia a trovare una posizione intermedia tra questi due estremi. E ironicamente aggiunge: <<E' scomodo quando si parla delle caratteristiche del terapeuta ammettere che c'è un po' di gravidanze nel convento!>>.

Westen trae delle personali conclusioni da tutto ciò, ponendo quattro questioni:

1) <<C'è una posizione terapeutica neutrale?>>. Risposta di Westen: <<Non c'è, perché quello che siamo nel setting influenza la risposta del paziente>>.

2) <<C'è qualcosa di importante che deve emergere nel transfert?>> Risposta di Westen: <<E' improbabile che certi elementi interpersonali emergano tutti nella stessa relazione. Ad esempio non si va a lavorare sui conflitti omosessuali di un paziente maschio se c'è una terapeuta femmina. Se invece ho un disturbo da panico, porterò il problema del panico nella relazione terapeutica indipendentemente dal sesso dell'analista. Quindi per Westen il transfert è una componente essenziale, ma non l'unica della relazione terapeutica.

3) <<C'è un solo transfert o molti?>>. <<C'è una sola nevrosi di transfert?>>. Dal punto di vista cognitivo, è molto improbabile che ce ne sia uno solo, ma nello stesso momento ci sperimentiamo in tanti modi diversi.

4) <<Si possono distinguere risposte controtransferali idiosincratiche (che riguardano la storia personale dell'analista) da quelle 'medie attese' ('average expectable controtransferal reactions', quelle che chiunque proverebbe di fronte a quella persona  )?>> E' questa una questione importante, perché è pericoloso esplorare le reazioni del paziente senza riconoscere la propria situazione di partenza.

Uno studio di Bradley, Helm e Westen del 2005 dal titolo "Putting transference on the couch" ha reclutato 181 clinici a cui è stata somministrata una batteria di tests, correlati al loro giudizio clinico sui loro pazienti, tra cui il 'Psychotherapy Relationship Questionnaire'. Grazie all'analisi fattoriale, sono emerse 5 'dimensioni transferali':

1) sicuro/coinvolto (in relazione sia all'attaccamento che all'alleanza terapeutica);

2) evitante/contro-dipendente (in relazione al tipo di distanza che il paziente tiene rispetto al terapeuta);

3) ansioso/preoccupato (transfert ad es. di pazienti che sono preoccupati di non piacere  o di essere abbandonati dal terapeuta);

4) arrabbiato/rivendicativo (frequente coi pazienti borderline o narcisistici);

5) sessualizzato.

Westen sottolinea due punti:

1) 3 di queste dimensioni si correlano con gli studi sull'attaccamento. Si tratterebbe di una conferma che la psicoterapia riattiva certi stili di attaccamento.

2) Queste dimensioni del transfert sono indipendenti dall'orientamento teorico dei clinici interpellati.

In  conclusione  Westen afferma che le neuroscienze cognitive sostengono ipotesi a lungo sostenute sulla base dell'esperienza clinica. La ricerca neuroscientifica integrata con la psicoanalisi ci aiuta a migliorare, a rifinire i costrutti clinici, come quello del transfert. Rispetto alla frase secondo cui la psicoanalisi deve mirare a rendere dicibile ciò che è ineffabile, Westen sostiene che invece non c'è molto di ineffabile nella psicoanalisi, ma raccogliendo dati provenienti da molti clinici e poi scrivendo degli items che abbiano un linguaggio condivisibile, e lasciando che i clinici facciano quello che sanno fare, e cioé osservare, e che gli statistici facciano il loro compito, e cioé aggregare i dati, possiamo arrivare a descrivere una cosa così complessa come comprendere il fenomeno del transfert-controtransfert nella relazione terapeutica.

 

 

 

 

 

 

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