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RECENSIONI BIBLIOGRAFICHE |
Recensioni
bibliografiche 2003
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18.10.2005 ... e la risposta di Raffaello Cortina alla recensione di A. Pagnini
18.09.2005 Recensione del libro di Jonathan Lear <<Freud>>.
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27.07.2005
Segnalazione dell'uscita del libro:
SIMONAZZI M., "La malattia inglese. La
melanconia nella tradizione filosofica e medica dell'Inghilterra moderna",
Bologna, Il Mulino, Collana "Studi per le scienze della cultura.
Fondazione S. Carlo, Modena", pp. 456, € 37,00;88-15-09759-7 (dalla scheda inserita nel sito web dell'editore Il Mulino: Che cosa è la melanconia? Perché nelle isole britanniche divenne uno dei disturbi più diffusi tra Cinque e Settecento, tanto da essere soprannominata "la malattia inglese"? E, soprattutto, come mai un problema apparentemente solo medico sollevò un dibattito che coinvolse medici, teologi, letterati, filosofi e moralisti? Il tema della melanconia si rivela uno snodo fondamentale della cultura inglese della prima età moderna perché incrocia i temi più dibattuti del periodo: lo statuto scientifico della medicina e i suoi rapporti con la religione e con la magia, la relazione tra anima e corpo, la funzione delle passioni e la possibilità di controllarle attraverso la ragione, il rapporto tra processo di civilizzazione e malattie nervose. La ricerca si sviluppa in due direzioni. Dapprima, attraverso l'analisi di trattati medici e lo studio di opere a sfondo teologico-morale, ricostruisce il dibattito tra due grandi tradizioni in conflitto, quella medico-scientifica e quella filosofico-religiosa, a partire dal problema della possessione demoniaca. Ripercorre poi analiticamente lo sviluppo del dibattito interno alla tradizione medica inglese sulle cause e sulle terapie della melanconia. Il punto d'approdo di questa ricerca, che si dipana prendendo in esame i tre grandi paradigmi che si confrontavano nel XVII secolo (il paradigma galenico di Robert Burton, quello iatrochimico di Thomas Willis e quello empirista di Thomas Sydenham), è l'analisi del "Treatise of the Hypochondriack and Hysterick Diseases" di Bernard Mandeville, un'opera nella quale troviamo esposta per la prima volta una terapia dei disturbi nervosi fondata sulla parola e sul rapporto dialogico tra medico e paziente. Mauro Simonazzi si è laureato in Filosofia a Milano, ha svolto attività di ricerca a Oxford e si è perfezionato alla Scuola Internazionale di Alti Studi Scienze della cultura della Fondazione Collegio San Carlo di Modena. Ha conseguito il dottorato di ricerca all'Università di Torino ed è titolare di un assegno di ricerca presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano. Suoi articoli sono comparsi su riviste e in volumi collettanei.
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Recensioni
bibliografiche 2004
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27.06.2005
Riceviamo dalla
prof.ssa Noelle Benhamou la segnalazione dell'uscita del libro
"Antisémythes : l’image des juifs entre culture et
politique (1848-1939)". Dalla presentazione del libro (in francese):
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Recensioni dalla stampa
2003
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8.05.2005
Segnalazione dell'articolo di Michele di Francesco "Te lo leggo nella mente. L'empatia nasce nel cervello: da Giacomo Rizzolatti nuove conferme sperimentali" (sul Domenicale de "Il Sole 24 ore del 8.05.2005) BIOETICA VERSO IL REFERENDUM : Segnalazione dell'articolo di Evandro Agazzi "Quali diritti per l'embrione" (sul Domenicale de "Il Sole 24 ore" del 8.05.2005) "DIRSI ADDIO SENZA MENZOGNE": recensione di Giulia Crivelli del libro di Eliana Adler Segre <<Imparare a dirsi addio>>, Proedi, Milano, 2005, pagg. 224, euro 16. <<Se avete paura leggete questo libro>>, suggerisce l'autrice di Imparare a dirsi addio, la psicoterapeuta Eliana Adler Segre. Perché, spiega, parla del <<più grande e forte e tenace di tutti i tabù>>: la morte. E' strano, forse: ci sono molti racconti e romanzi che parlano di morte, malattia, agonia, ma pochi saggi. L'agile volume di Eliana Adler Segre è più utile di un saggio e si pone un obiettivo: dare indicazioni concrete, oltre a spiegazioni psicologiche, a chi deve <<guidare>> una persona verso la morte. Non importa, in fondo, che si tratti di familiari, operatori sanitari o volontari: chiunque senta avvicinarsi e poi debba guardare negli occhi la morte è disarmato. Ed è un bene che l'autrice si metta nei panni del malato, dei parenti, dei medici, delle istituzioni: ognuno dovrebbe comprendere le esigenze e le difficoltà degli altri. Solo chi ha <<accompagnato>> una persona verso la morte potrà capire fino in fondo quello che l'autrice racconta. In un mondo <<perfetto>> ognuno dovrebbe poter recitare i versi di Adriano (usati dalla Yourcenar per chiudere le Memorie): <<Un istante ancora, guardiamo insieme le rive familiari, le cose che certamente non vedremo più... Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti...>>. Molto più spesso, invece, accade come a Ivan Ilic: Tolstoj lo descrive tormentato dalla menzogna che lo vuole malato e non moribondo, mentre la sua consapevolezza della fine è reale ma non può essere espressa per la reticenza di medici e parenti. Se la letteratura offre scenari opposti e forse idealizzati, Eliana Adler Segre ci riporta alla realtà della sua lunga esperienza e ci invita a imparare a dirci addio per evitare che ogni morte si porti via, oltre a una persona amata, un pezzo della nostra anima, lasciandoci più rimpianti che ricordi.
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7.05.2005 IN TEMA DI "NEUROETICA": segnalazione dell'articolo di Enrico Pedemonte "Ora ti leggo nel cervello" (su "L'Espresso del 12 maggio 2005)
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Rivista Frenis Zero | 22.03.2005
Segnalazione del numero 20 della rivista Sud/Nord che si occupa di psichiatria, psicoanalisi e scienze umane. Il numero 20 s'intitola "Pouvoirs" e ha una sezione dedicata a "Pouvoir et psychiatrie" con interventi di Michel Plon, Pierangelo Di Vittorio, Michel Minard, Mario Colucci e altri. C'è poi una traduzione francese di un testo di Franco Basaglia dal titolo "Préface au livre : Le jardin des mûriers. Dixans d’antipsychiatrie italienne". Per altre informazioni si può consultare il sito http://www.edition-eres.com/ e andare sulla pagina "Par revues". Pouvoirs TABLE DES MATIERES
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Maitres à dispenser | ||||||
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15.03.2005 Recensioni sul libro "The Unconscious"(2004) di A. MacIntyre ( vai alla pagina );
Recensione sul libro "Sentire le parole" (2004) di Mauro Mancia (vai alla pagina ).
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15.02.2005 Recensione di Mario Colucci su "Il potere psichiatrico" di Michel Foucault
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7.02.2005 Recensioni bibliografiche su filosofia, bioetica e biopolitica.
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20.01.2005
Segnalazione del n.2-2004 della "Rivista sperimentale di Freniatria" dedicato agli "artefatti storici della psichiatria". vai all'editoriale di Gian Maria Galeazzi e Paolo Curci
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19.01.2005
Segnalazione volume degli atti del Convegno "Il volto e gli affetti" (Torino, 28-29 novembre 2001).
(fonte: http://www.veneziacinquecento.it/ ) Il libro in esame raccoglie gli atti di un convegno organizzato dal Centro di Studi "L’Italia del Rinascimento e l’Europa" e tenutosi nel 2001. Il curatore, Alessandro Pontremoli, individua nella prospettiva pluridisciplinare il carattere distintivo dell’approccio del simposio ad un tema che si presta facilmente a declinazioni diversificate, in ragione dei differenti campi artistici (e dei relativi assetti metodologici) nei quali trova manifestazione. In effetti i diversi saggi, i cui interessi si collocano nello spettro culturale compreso tra le arti figurative, la danza e la prassi dell’esecuzione musicale, giungendo sino alle strategie retoriche della predicazione gesuitica, contribuiscono alla perimetrazione dei caratteri essenziali della "scienza" fisiognomica, attraverso l’analisi di casi particolari e circoscritti, enucleandone i principali elementi tematici e problematici almeno in rapporto alla cultura del Rinascimento. L’esplorazione dei legami della fisiognomica con altri saperi, attraverso indagini dettagliate di casi particolari, consente di individuare lo spazio complesso entro il quale si definisce lo statuto della disciplina. I contributi raccolti individuano pertanto i margini della sua enciclopedia, focalizzando archeologicamente i percorsi delle idee e delle credenze che innervano nel periodo rinascimentale, per così dire, i campi possibili di applicazione nell’intersezione tra etica ed estetica. La varietà di argomenti attraversati nei testi, peraltro chiaramente rubricati nell’indice, rende francamente inopportuna una sintesi che lavori nel particolare: suggerisce piuttosto l’opportunità di spostare la prospettiva su un piano generale, attivando un’analisi sia pure contenuta delle principali questioni emergenti, tutte intrecciate in una regione complessa di saperi che riguardano la riflessione sul volto come "oggetto teorico", in quanto – con Lévinas – "epifania dell’essere". L’assetto di alcuni interventi tende in effetti a inscriversi nell’ampia cornice della "storia del volto", vale a dire di quel settore di ricerca che ha esercitato in tempi recenti notevole fascino e nel quale vanno confluendo, accanto a quelli sulla fisiognomica propriamente intesa, gli studi sulle passioni, sulle grammatiche del contegno (la cosiddetta maîtrise de soi), sullo sguardo e sul tema dell’identità. Sulla scorta delle indagini proposte ne Il volto e gli affetti si dovranno allora valutare i nodi generali che caratterizzano il sapere fisiognomico e le sue relazioni con gli altri temi accennati; nonché, ovviamente, le intersezioni con la ritrattistica, che costituisce l’ambito naturalmente privilegiato di manifestazione delle questioni menzionate, non trascurando infine di interrogarsi sul ruolo e l’importanza della fisiognomica, sotto il profilo euristico, tra i saperi utili alla comprensione e alla spiegazione di alcune dinamiche della storia dell’arte rinascimentale. Il libro indica fin dal titolo una prima soglia problematica nell’accostamento di fisiognomica e (teorie della) espressione, mettendo a fuoco la dialettica primaria tra essere e apparire – cui fa eco quella in certo modo complementare tra visibile e invisibile – che connota la relazione tra le due aree concettuali. Dal complesso dei saggi emergono in questa prospettiva alcuni degli elementi fondamentali della storia del pensiero intorno al volto e ai problemi della sua rappresentazione. Lo spazio del volto costituisce il luogo di una singolare compresenza, in cui è possibile cogliere sensibilmente il carattere del temperamento (secondo una certa tradizione di credenze) ma anche, nel contempo, gli affetti o moti dell’anima. Lo stesso insieme di tratti contiene tutte le facce possibili, rappresentando il nucleo duraturo dell’identità e la momentanea configurazione espressiva. La fisiognomica, nella suo percorso secolare di assestamento, tende a concentrarsi sulle coordinate permanenti della "topografia" facciale. Nella polarità tra accidentale ed essenziale, che connota naturalmente lo statuto ontologico del viso, l’articolazione della fisiognomica come scienza si definisce pertanto quale sistema di decifrazione dei suoi assetti invarianti. Addomesticando dunque la naturale plasticità del volto, che delinea le condizioni di possibilità dell’espressione in continua metamorfosi, la fisiognomica istituisce, secondo uno schema di lunga tradizione, un codice di concordanze tra tratti somatici, temperamenti e tipologie morali. Alessandra Tarabocchi Canavero e Édouard Pommier, leggendo rispettivamente alcune pagine del III libro del De Vita di Marsilio Ficino e gli scritti di Giovanni Paolo Lomazzo, chiariscono con precisione i nessi delle concordanze descritte con la dottrina astrologica degli influssi astrali, sottolineandone i riflessi sulla fisiognomica. Essa, d’altra parte, opera essenzialmente attraverso un ordine del discorso atto alla "testualizzazione" dei volti, costituendo un sistema di leggibilità del corpo secondo schemi sostanzialmente logocentrici, in virtù di una spiccata vocazione all’analisi della dimensione semantica dei connotati facciali. Gli elementi stabili del volto, le cosiddette "costanti fisionomiche", che si configurano entro un sistema coerente, vengono infatti, per così dire, semiotizzati: i tratti diventano così, nelle coordinate pseudoscientifiche assunte dal sapere fisiognomico, indici in senso peirciano, all’interno di un ordine altamente codificato e rigido di corrispondenze e tipologie cristallizzate di caratteri. Tendendo a rimuovere dall’orizzonte dei propri interessi ciò che appare instabile, la fisiognomica finisce per "sacrificare" – è stato giustamente osservato (L. Rodler, Il corpo specchio dell’anima. Teoria e storia della fisiognomica, Milano, 2000, p. 8) – le componenti emotive ed espressive in ragione della loro inemendabile transitorietà. La fondamentale tensione tassonomica conduce infatti a stilizzarle, a semplificarle. Come è noto, solo nel Settecento con la patognomica di Lichtenberg si avrà una formalizzazione compiuta dell’inferenza della tipologia di carattere dalle espressioni. Gli scritti di Lomazzo esaminati da Édouard Pommier compendiano i termini del dibattito tardo cinquecentesco intorno alla relazione tra i temperamenti e le qualità morali, tra i moti dell’animo e il loro affiorare sulla superficie del volto, prospettando, tra l’altro, alcuni interessanti dettagli sui meccanismi del repertorio retorico di configurazioni espressive in uso presso i pittori. Dalla produzione letteraria dell’artista lombardo, probabile lettore di Leonardo, punto di riferimento ineludibile per la trattazione scientifica sull’intreccio tra passioni, espressione e carattere, si colgono inoltre nitidamente taluni problemi teorici di fondo della ritrattistica, leggibili in filigrana anche in altri saggi della raccolta. Emerge in questa cornice come il genere debba confrontarsi per statuto con il gioco dialettico tra la maschera e la faccia, o per impiegare la coppia metaforica che domina il dibattito attuale su tali argomenti, tra l’opacità e la trasparenza. Vale a dire tra l’aspirazione a "cogliere l’espressione" e la necessaria (ri)costruzione dell’identità, naturale e intellettuale per così dire, lavorando nello spettro delimitato dalla mimesi e dalla cultura della "finzione della posa". Le coppie dei concetti appena sfiorati, la cui definizione avviene per via di un’antitesi che tuttavia non esclude la costante intersezione, rimandano - va da sé - per quanto riguarda i problemi "temporali" delle sembianze, alla distinzione aristotelica tra pathos (emozione transitoria) e ethos (qualità permanente), nonché, in ordine al rapporto tra la copia e la costruzione (sublimante) del reale, alla fertile dialettica tra ritrarre e imitare, fissata nel canone del pensiero cinquecentesco da Vincenzo Danti. È la pratica dell’imitazione, nell’accezione rinascimentale, che si giova maggiormente della teoria delle proporzioni per analizzare i vari sistemi di relazione possibili dei tratti e per costituire un catalogo fisso di tipologie, la cui cristallizzazione è dovuta naturalmente alla difficoltà - quasi insormontabile - di rappresentare e caricare di senso le sfumature, i semitoni espressivi in continua trasformazione. È anche grazie al rigoroso rispetto delle reti proporzionali in effetti, e ai processi di tipizzazione che si avvalgono di esse, che i ritratti assumono - con Gadamer - "un di più" di chiarezza rispetto all’originale, inclinando proprio nella direttrice dell’imitazione, verso la tensione all’universale. Il sapere della fisiognomica, con tutto il suo slancio di "catalogazione" di anime e volti, naturalmente non si riverbera solo sulla produzione di ritratti, ma finisce per investire anche (soprattutto?) la rappresentazione dei tipi umani e dei loro moti interiori, sulla scia di Leon Battista Alberti, nella pittura e nella scultura di storia, attraverso l’ampio bagaglio di schemi preordinati di solidarietà presunte tra l’anima e il corpo. Schemi che, come dimostrano gli "affetti al femminile" indagati da Serenella Castri, ma anche i rilievi di Massimiliano Rossi sul V libro aggiunto da Paolo Gallucci al De la simmetria de i corpi umani di Dürer, assumono peraltro forte rilievo persuasivo, avendo quale obbiettivo la generazione di una risonanza patemica nell’osservatore in virtù di un’enciclopedia di valori largamente condivisa. Particolarmente interessante, in questa direzione, lo studio sul testo di Gallucci, perché evidenzia nel suo "metodo per le passioni" il progetto di una generale retorica della significazione non verbale, sottolineando lo stadio avanzato della riflessione sistematica su tali temi verso la fine del XVI secolo. Le questioni attraversate, come si vede, sono assai complesse e necessiterebbero di molte ulteriori precisazioni, generali e particolari. Quelle accennate non sono che approssimazioni di un tema che sta assumendo progressivamente i contorni di una vera e propria machine à trouver, capace di mobilitare sforzi anche ingenti nella elaborazione di mostre, convegni e pubblicazioni di tenore scientifico piuttosto vario. Perciò, a margine dell’esplorazione dei temi proposti nel testo, non pare irrilevante fare qualche cenno proprio all’orizzonte generale, epistemologico, in cui Il volto e gli affetti va a collocarsi, confluendo nel mare delle iniziative che hanno focalizzato l’attenzione sulla fisiognomica come strumento di indagine sulla storia della cultura e dell’arte. La fioritura rigogliosa della letteratura sul tema suggerisce la necessità di iniziare ad abbozzare un bilancio critico dei risultati conseguiti in tale cornice sul piano storiografico, senza trascurare - ed è evidentemente, lo si accennava all’inizio, la questione che qui più interessa - di interrogarsi sul ruolo e l’importanza che la fisiognomica riveste o debba rivestire nelle indagini sull’arte rinascimentale (e non solo). Ci si limiterà in questa sede a tracciare uno schema di massima, rimandando ad altra occasione una più organica discussione delle implicazioni che il nodo porta con sé. A voler essere sintetici, dunque, si possono proporre in ordine sparso i seguenti appunti: | ||||||
Bisognerebbe distinguere
attentamente – ne Il volto e gli affetti lo si fa con una certa
cura e sobrietà – tra moti dell’animo, affetti, espressioni e
fisiognomica, perché se è vero che si tratta di questioni intrecciate a
vari livelli, non è possibile tuttavia ignorarne le differenze sotto il
profilo della dimensione temporale, generatrici di orizzonti concettuali
sostanzialmente differenti (lo si è visto, ad esempio, a proposito
dell’opposizione tra accidentale e essenziale). Pare invece di poter
rilevare negli studi meno avvertiti una tendenza a mescolanze talvolta
indebite, che non giovano alla chiarificazione dei rispettivi campi di
pertinenza e dei riflessi nell’ambito delle teorie dell’arte. Scorrendo la
letteratura recente sul ritratto si può persino registrare una certa
imbarazzante consuetudine ad impiegare riferimenti alla
fisiognomica anche in circostanze in cui si sta semplicemente
parlando della capacità di raffigurazione della fisionomia da parte
di un pittore.
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E ancora:
che nell’elaborazione del genere ritratto, sia sotto il profilo della sostanza dell’espressione che in rapporto al "contenuto", succeda qualcosa di rilevante nel periodo compreso tra 1490 e 1530 - d’accordo in linea di massima con la delimitazione cronologica proposta da John Shearman (Arte e spettatore nel Rinascimento italiano. "Only connect…" [1992], Milano, 1995, p. 108) - credo non ci siano dubbi. Cambiano diversi dispositivi di presentazione dei ritrattati, che non è certo il caso di rielencare qui, investendo in alcuni casi l’intera funzione delle immagini in rapporto, tra l’altro, alla costruzione dell’identità. Il punto è: quale l’apporto della fisiognomica, in senso stretto, su un fenomeno di questa natura? O, per dirla altrimenti: siamo ragionevolmente sicuri che la responsabilità principale dei mutamenti a tutti noti sia imputabile alla scienza fisiognomica? |
Per certi versi, d’altra parte, la fisiognomica sembra rivestire attualmente, nelle indagini sull’arte rinascimentale, un ruolo analogo a quello che per tanto tempo è stato del neoplatonismo, con tutte le sue venature ermetico sapienziali, alchemiche e astrologiche, cioè una sorta di cornice pan-interpretativa a maglie piuttosto larghe, più o meno capace di rischiarare i rapporti tra produzione artistica e cultura.
Si tratta – è evidente – di note e ipotesi da circostanziare in modo meglio argomentato. In ragione, ovviamente, della densità delle tante questioni che si collocano tra fisiognomica e ritratto, i cui margini vengono senz’altro rischiarati dal contributo della casa editrice Olschki che – è giusto ricordarlo – ha dedicato di recente un’ampia attenzione ai temi della ritrattistica, affiancando Il volto e gli affetti al di poco precedente volume miscellaneo su Le metamorfosi del ritratto.
Francesco Sorce
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