Presentation   News Events   Archives    Links   Sections Submit a     paper Mail

FRENIS  zero 

 Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte  

  Home Frenis Zero

        

 

 

    "ESPLORAZIONI PSICOANALITICHE SULLA CRISI MEDIO-ORIENTALE"

 

Resoconto  dell'Incontro con Yolanda Gampel tenutosi a Pisa il 14 giugno 2008 nell'ambito del seminario internazionale di studio "Perché la guerra?".

 

 

  Foto: Yolanda Gampel

 

 

 


 

 

 

 

        

           

 

Il 14 giugno 2008 si è tenuto a Pisa  il seminario internazionale "Perché la guerra?", organizzato da Marina Breccia e Teresa Lorito, che ha visto tra i tanti illustri relatori la psicoanalista israeliana Yolanda Gampel, la cui relazione è oggetto del presente resoconto. La sua relazione aveva per titolo: "La crisi medio-orientale: esplorazioni psicoanalitiche". La Gampel ha esordito parlando di tre momenti differenti in cui possiamo entrare in contatto con la sofferenza degli individui negli ultimi venti anni di occupazione e di Intifada nell'ambito dell'infinito conflitto tra israeliani e palestinesi.

Il primo momento, portato dalla Gampel, risale al 1990. In un gruppo di sopravvissuti alla Shoah, che la Gampel stava incontrando da anni, un motivo ricorrente di discussione era dato dal ruolo spiacevole che i soldati israeliani erano costretti a  svolgere sin dall'inizio dell'Intifada nel dicembre 1987. L'essere capaci di parlare di ciò aveva aggiunto particolari sfumature alla comprensione da parte dei partecipanti della violenza sociale che aveva avuto luogo ai tempi della Shoah e di cui essi, da sopravvissuti, portavano un carico di viventi testimonianze. Il gruppo comprendeva sopravvissuti della Shoah che erano bambini all'epoca della Seconda Guerra Mondiale, che si riunivano regolarmente per condividere il loro passato ma anche le esperienze in corso (Gampel, 1990a, 1990b, 2005).  Il tema di discussione fu dapprima sollevato da una coppia che era stata nel gruppo sin dall'inizio (Gampel, 1992). Il marito, il Sig. S., lasciò Auschwitz quando aveva dodici anni e  mezzo  dopo avervi passato un lungo periodo.

La moglie, la Sig.ra S., aveva trascorso l'infanzia in un campo differente ed aveva subito molte esperienze traumatiche e spostamenti prima di entrare nel campo.

La Sig.ra S. aprì la discussione dicendo di voler sollevare l'argomento dell'occupazione, e di voler ascoltare cosa sentiva a tal riguardo ciascun membro del gruppo. Il pensiero di suo figlio e di tutti gli altri giovani soldati israeliani -  che dovevano entrare nelle case nel cuore della notte, svegliare le famiglie, e talora portar via il padre di bambini ansiosi e spaventati - la faceva stare molto male e la rendeva inquieta. L'intera scena era impensabile per lei in quanto le ricordava quanto le era stato fatto quando era piccola. <<Come può un soldato ebreo far questo? Noi che abbiamo subito le persecuzioni, non possiamo permetterci di fare questo>> affermò.

La Gampel afferma, durante il seminario pisano, di non voler dare un resoconto di tutte le reazioni che le sue parole generarono nel gruppo nei successivi due anni, ma si limita a dire che parte del gruppo si identificò con la Sig.ra S. ed espresse una grande tristezza, mentre gli altri sembravano offesi dal paragone.  Questa seconda posizione vedeva nell'occupazione  una forma necessaria di auto-protezione e di sopravvivenza, essendo venute meno le altre alternative. Secondo questi membri del gruppo, la Shoah non dovrà mai più ripetersi ed essi sono convinti che invece si  ripeterà qualora gli Ebrei permettano a se stessi di essere deboli. Ma era anche evidente, secondo la Gampel, che essi stavano sperimentando un grande dolore.

Il secondo momento addotto dalla Gampel nel suo intervento riguarda un incontro organizzato al Centro 'Peres' per la Pace a Stoccarda nel luglio 2003. Undici palestinesi ed undici israeliti stettero insieme nello stesso posto per quattro giorni. I lavori duravano otto ore al giorno. Uno dei colleghi palestinesi non era 'entusiasta' degli israeliani. Conoscendo i suoi sentimenti verso gli israeliani, la Gampel gli chiese perché egli avesse deciso di venire all'incontro ed egli le rispose: <<Sai cosa mi avete fatto? Io vivo a Gerusalemme, mentre la clinica dove lavoro è a Ramallah. Ogni giorno devo attraversare due 'checkpoints', uno da Gerusalemme Est per andare nella parte occidentale, quindi di nuovo nei territori occupati per andare a Ramallah. Mi ci vogliono ore per mettermi in fila ed aspettare, qualche volta per due o tre ore. Il tempo necessario per andare da Gerusalemme a Ramallah senza 'checkpoints' sarebbe di 20 minuti. E' uno spreco di tempo non necessario, e questo senza parlare dell'umiliazione che devo sopportare ogni giorno. In più, la mia famiglia è vissuta in questa terra per generazioni, eppure tutte le nostre terre vicine a Hebron sono state prese dal governo israeliano. Sto sopportando tutto questo da almeno 20 anni e la situazione va sempre peggio. Non posso tollerare che i miei bambini dovranno passare attraverso la stessa sofferenza, e ora è il turno di mio nipote. Ho una buona influenza e posizione sociale, così ho deciso di venire qui per cercare di cambiare qualcosa per il bene dei nostri bambini>>.

Il terzo momento di cui parla la Gampel ha a che fare con una lettera ricevuta da Eyad Sarraj, direttore del "Gaza Community Mental Health Program" che ha ricevuto nel 1997 il premio "Medici per i Diritti Umani" e nel 1998 il premio "Martin Ennals" per la difesa dei diritti umani. In questa lettera del 19 giugno 2007 egli scriveva: <<Feci un giro domenica mattina. Gaza era stancamente tranquilla e la gente era sconcertata. Un uomo anziano mi disse "Okay, hanno distrutto il Corrotto. Siamo contenti. Possono sfamarci ora?" Io gli dissi cosa era rimasto della casa saccheggiata di Mohammed Dahlan, comandante dei servizi segreti di Gaza, e delle ville sulla spiaggia che erano usate per l'addestramento delle sue nuove reclute. La mia famiglia ed io abbiamo passato parecchi giorni traumatici e notti insonni, cercando di trovare un angolo sicuro nella nostra casa non appena le esplosioni e i bombardamenti impazzirono attorno a noi. Mio figlio piccolo era coi nonni quando scoppiarono i combattimenti e non potemmo tenerlo in casa o addirittura vederlo fino a che tutto non cessò. La cosa più allarmante era il trattamento inumano di quelli che erano stati catturati. Un uomo fu legato e gettato giù dal decimo piano di un edificio. Alcuni combattenti feriti vennero uccisi nei loro letti d'ospedale. E le storie di folli torture erano numerose ed orribili>> ... Egli continuava nella sua lettera: <<L'assedio imposto ai palestinesi è stato feroce. La povertà ha raggiunto livelli inauditi, assieme alla disoccupazione. Secondo la Banca Mondiale, il 60% dei palestinesi vivono con meno di 2 dollari al giorno. Israele, che è nel pieno controllo di tutti i confini di Gaza  e delle sue coste, ha intensificato il blocco riducendo il movimento dei palestinesi. A volte è proibito persino pescare. Già sovraffollata, la delinquenza divenne imperante a Gaza. Furti e rapine a mano armata stavano spaventando tutti. La scorsa settimana l'auto di mio fratello è stata portata via in seguito a minacce con le armi. Molta gente è stata costretta a cedere il proprio portafoglio o il proprio telefono cellulare. I barboni vagano per le strade chiedendo denaro o pane. Per più di 18 mesi gli impiegati pubblici non hanno ricevuto un salario, solo una parte di esso ora sì ora no. Agli impiegati comunali è stata data una borsa con del pane ogni giorno anziché ricevere lo stipendio.

L'esplosione era destinata a venire, e l'ultima goccia che fece traboccare il vaso fu quando il Ministro degli Interni dichiarò che non poteva assolvere ai propri compiti e si dimise. Egli accusò il direttore dei servizi segreti di Fatah di atteggiamento ostruzionistico. Ovviamente, gli affari palestinesi non sono solo palestinesi. I maggiori giocatori sono a Washington, a Teheran e a Tel Aviv. Ci sembra che  gli USA e l'Iran stiano combattendo la loro guerra a Gaza, in Libano ed in Iraq. Ma questa situazione è qualcosa di più di una lotta di potere. Essa nasce dall'assenza in Palestina di una cultura democratica e dal ruolo della legge. Uscendo a metà degli anni '90 dall'occupazione di Israele, noi di Gaza sognavamo una nuova era. Invece, la nostra Autorità Palestinese continua la cultura delle armi. Essa è basata sulla lealtà, sulla segretezza e sulla persecuzione degli oppositori. Non c'è alcun rispetto per i diritti umani come anche del ruolo della legge o della stessa vita umana.

Ciò che cominciò all'insegna della resistenza all'occupazione israeliana è peggiorato durante gli anni di potere di Yasser Arafat. Molte volte mi sono confrontato e persino sono stato arrestato dagli ufficiali delle forze di sicurezza - persone che una volta erano state nella resistenza ma mostravano nessuna comprensione della gravità della tortura e degli abusi legali. La cultura delle armi è contagiosa. Le persone armate esibiscono un'immagine euforica e di fiducia in sé dato che l'arma in mano compensa la loro impotenza interiore... I capi delle milizie armate diventano un nuovo modello, il simbolo del potere che può uccidere a volontà e torturare gli altri senza alcun rimorso.

Svanendo il sogno di una Palestina indipendente -  risultato del continuo depredare l'area della West Bank da parte di Israele e dell'anarchia di Gaza - ora noi immaginiamo gli incubi che possono giungerci. Ci saranno tre Stati anziché due: Israele, West Bank e Gaza? Ce ne sarà solo uno? Gaza diverrà un posto ancora più estremistico di quanto lo sia ora?

I palestinesi sono divisi dalla politica e dalla geografia, dato che l'ufficio di emergenza si trova e opera nella West Bank, mentre il governo guidato da Hamas si trova e opera a Gaza. Separare i nostri due territori era uno degli obiettivi del piano di Ariel Sharon di ritiro unilaterale. La tragica ironia è che i capi palestinesi sono serviti solo al piano di Sharon ed a delegittimare la nostra volontà di auto-governo.

L'unica soluzione è un governo fatto da persone neutrali di tale integrità da chiedere negoziati di pace con Israele, ma insistendo nel mantenere unita la Palestina>>.

La Gampel, a questo punto, prima di entrare nel cuore del tema cui fa riferimento il titolo del suo intervento, esprime una sua convinzione generale secondo cui israeliani e palestinesi, non avendo mai conosciuto un solo giorno di pace, sono stati condizionati a percepire un solo quadro della realtà, quello di una guerra senza fine. Pochissime persone sono ancora capaci di uno sforzo mentale ed emozionale richiesto dalla complessità della situazione. <<Eppure, persino ora>> si chiede la Gampel <<possiamo abbandonare l'idea della pace?>>.

Durante l'Intifada del 1989 un gruppo di professionisti israeliani e palestinesi della salute mentale, di cui la Gampel faceva parte, cominciarono a creare una connessione tra di loro. Il gruppo si chiama IMUT, una parola che in ebraico significa 'confronto'. Questo legame aprì un dialogo di parole e di pensieri, nonostante la rottura dei legami politici tra le due parti. Ci vollero 4 anni, dal 1989 alla primavera del 1993, per creare una qualche azione comune che potesse aiutare i servizi di salute mentale in Palestina.

La Gampel passa quindi a riassumere i risultati di questa esperienza. L'obiettivo più importante del programma di cooperazione era quello di sviluppare la formazione e la specializzazione di psicologi, assistenti sociali e psichiatri allo scopo di stabilire una squadra di professionisti palestinesi di cui avevano bisogno i servizi di salute mentale a Gaza.

A seguito di un incontro di un gruppo di professionisti della salute mentale, palestinesi e israeliani, nell'estate del 1992 a Lisbona sotto gli auspici dell'Unione Europea, e attraverso la partecipazione di un gruppo di psicoanalisti francesi, i partecipanti provenienti dalla Clinica di Gaza e dal gruppo israeliano potevano incontrarsi e scambiarsi idee. Dopo ci furono parecchie riunioni a Tel Aviv. In esse il gruppo di Gaza espresse la propria preoccupazione per le proprie scarse e precarie esperienze formative e la richiesta di un programma coerente di formazione in psicoterapia. Conseguentemente, venne programmata una cooperazione che partì nell'aprile del 1993. Dato che il gruppo stava affrontando la questione di come gestire un lavoro di cooperazione nel contesto di un conflitto socio-politico in cui sia gli adulti che i bambini erano coinvolti, si concentrarono gli sforzi soprattutto nella direzione dei bambini traumatizzati. Per diversi anni prima del 1993 il gruppo proveniente da Gaza sperimentò una grande quantità di corsi di formazione forniti da professionisti volontari provenienti da tutto il mondo. Ma il gruppo di Gaza decise che il menu diversificato che era stato fornito da visitatori occasionali non fosse di aiuto in vista di un progetto comprensivo e coerente. Sorvolando sulle tre fasi (1993 - 2001) di questo progetto, esso nell'ultima sua fase, dal 2000 al 2001, si concentrò sugli effetti psicologici e sulla 'resilienza' di adolescenti   esposti al trauma all'epoca  della scuola elementare . La ricerca tuttavia fu interrotta nell'ottobre del 2000, l'anno della seconda Intifada (cfr.T.Zelniker, E El-Sarraj, and R Hertz-Lazarowitz, 2007).

Le difficoltà incontrate in questo progetto sono state notevoli a causa degli incessanti conflitti politici. La Gampel passa ad illustrare i risultati di questo lavoro cooperativo di ricerca. Le manifestazioni professionali e personali del conflitto politico hanno a che fare coi contenuti e gli argomenti sollevati e con il ruolo dei partners israeliani. Il contenuto dei casi clinici discussi nella supervisione clinica come anche il contenuto degli argomenti introdotti negli incontri del 'board' accademico era spesso correlato al conflitto politico. Esempi di sovraccarico emotivo erano dati dai casi di trauma subiti dai palestinesi a causa di azioni intraprese dai soldati israeliani. I casi venivano presentati dai partners di Gaza ai colleghi israeliani i quali facevano da supervisori per il trattamento dei loro pazienti. La Gampel passa ad illustrare alcuni dilemmi con cui i colleghi israeliani e quelli palestinesi si dovevano confrontare e sono tuttora chiamati a fare.

Per la Gampel siamo chiamati a rispettare innanzitutto l'identità e lo spazio dell'altra parte come anche l'ampia varietà di reazioni determinate dagli ideali socio-culturali; a trasmettere conoscenza e al contempo a prendere in considerazione la grande differenza che c'è tra le fantasie e le intenzioni da una parte e, dall'altra, le azioni compiute.

I colleghi palestinesi sentivano di dover essere ascoltati, mentre gli israeliani sentivano di essere lì per ascoltare le loro testimonianze. Comunque, la grande scommessa consisteva nell'andare oltre la testimonianza socio-politica e nel creare un'alleanza di lavoro che potesse mettere a fuoco la realtà psichica. Questo era il punto in cui si trovava il più grande timore da ambo le parti: e cioè, il timore di tradire la "sacralità del soggetto".

Anche quando la situazione era impossibile, gli incontri e la collaborazione tra israeliani e palestinesi sopravvisse. Il proposito dei partecipanti era quello di creare, anche solo temporaneamente, un mezzo con cui esplorare comuni interessi professionali e di rendere possibile un'alleanza di lavoro. Un dialogo crea delle scelte e delle possibilità che entrambi i gruppi possono considerare ed accettare. Ciononostante, era sempre più significativo il senso di impotenza sentito da tutti i partecipanti e l'incapacità, in quanto gruppo formato da professionisti, a produrre un cambiamento a livello politico. Comunque, tutte le conferenze e gli incontri furono atti di coraggio da entrambe le parti in quanto tutti i partecipanti osarono affrontare terribili realtà politiche, senza fuggire o ignorarle.

La Gampel passa quindi a discutere i concetti di 'inviolabile' e di 'violazione'. La violazione è collegata al profanare. Si profana qualcosa che è protetto dalla legge, qualcosa di sacro. L'atto del profanare rompe un tabù. L'atto della violazione è in contraddizione con la pulsione di vita: è contrario alla costruzione di un legame. E' contrario alla funzione psichica della rappresentazione e della simbolizzazione. La simbolizzazione è il nutrimento della vita psichica. La violazione distrugge il simbolo e lo trasforma in materia grezza e frammentata che è inefficace nell'incoraggiare la pensabilità. Comunque, per la Gampel, l'inviolabilità deve accettare la simbolizzazione ed il legame che si estende "Oltre ogni conflitto". Il legame è situato alla radice dell'essere e del divenire, del futuro, della legge e di una consensualità umana basata sull'etica.

Durante il lavoro condotto coi colleghi palestinesi, alla Gampel è sembrato che il 'possibile' fosse correlato alla responsabilità sociale, al coraggio ed all'accettazione dei limiti del tempo e dello spazio. Questi 'possibili' erano realizzabili finché non ci fosse stato un attacco terroristico che spingesse in direzioni opposte il corpo e la mente come anche la capacità di pensare. Alla Gampel sembrò di aver dimenticato la propria esperienza dell'"impossibile" in questi momenti - di fronte a questa "violazione" non c'era alcuna possibilità di pensiero. I colleghi israeliani e palestinesi restavano solo con un senso di incontenibile dolore, sofferenza e disperazione. Dice che i partecipanti avrebbero voluto chiedersi se ci fosse un qualche punto per continuare la lotta per creare un legame. In quei momenti sembrava impossibile. I sentimenti ambivalenti che esistevano in tutti i partecipanti erano tra il credere nella possibilità del recupero di legami e l'apparente impossibilità a volte di essi. Quando si verificavano le azioni terroristiche da parte dei terroristi palestinesi o le azioni di oppressione e di violenza da parte dell'esercito israeliano, i limiti erano stati violati e ciò determinava la distruzione di una consensualità che permettesse di essere e di divenire. L'essere posti a confronto con questa violenza fa emergere tristezza, rabbia che a volte si trasforma in odio e in altri elementi distruttivi inerenti alla fantasia umana che si manifesta in tutta la sua piena intensità nella prescrizione biblica dell'"occhio per occhio".

Il conflitto israelo-palestinese è un conflitto continuo. Quando siamo messi di fronte a questa realtà, la nostra memoria ci costringe ad affiliarci ad un "padre". Il padre trasmette ideali, cultura e religione e nel nome degli ideali che egli rappresenta acconsentiamo a fare dei sacrifici. Noi amiamo questa figura di padre, questa terra, il paesaggio della nostra identità nazionale. Inerente a queste "trasmissioni paterne" è l'aspettativa che noi soddisferemo i nostri obblighi nei confronti dei nostri antenati senza alcun riguardo per i sacrifici che ci saranno richiesti.

Implicito in questi sforzi dei palestinesi e degli israeliani che lavoravano insieme per dare alla luce qualcosa di nuovo era il senso della trasgressione o della violazione di ideali trasmessi dagli antenati. I partecipanti stavano tradendo il "padre". Freud notava in "L'Io e l'Es" che ciò che dà sicurezza all'Io è il mantenimento della sicurezza dell'oggetto. In certi momenti il  dialogo tra professionisti palestinesi ed israeliani entrava in conflitto con l'eredità ideale trasmessa dagli avi da una parte e, dall'altra, col desiderio di creare una nuova eredità in cui si sarebbe potuto assicurare la sicurezza dell'altro. Questo ha suscitato sentimenti di speranza e di disperazione. C'erano state molte occasioni in cui i partecipanti avevano sentito di non poter cambiare l'ordine trasmesso dagli antenati (rappresentato dagli estremisti di ambo le parti). La sola possibilità era quella di aver fede, di esplorare i fattori irrazionali che avevano condotto alla guerra ed al terrorismo con la consapevolezza che forse non si sarebbe trovata una soluzione razionale.

La Gampel dice che negli incontri più recenti si sta creando un micro-gruppo che intende attivare "tutti i movimenti consci ed inconsci" inerenti alla psicologia delle masse (Freud, 1921) ed alle sue associate ambiguità.

La Gampel, in conclusione al suo intervento, ammonisce di guardare oltre ciò che possiamo vedere oggi, oltre quei simboli che fanno riferimento alla "realtà". E passa a parlare del ruolo degli psicoanalisti che devono guardare oltre la realtà manifesta.

Quando prevale la distruzione violenta, la psiche non può trasformare i residui radioattivi1 ereditati (Gampel, 1993; 1999; 2000; 2003), o quelli originatisi dagli eventi in corso. Anche gli psicoanalisti ed i professionisti della salute mentale, quando sono testimoni della guerra e della violenze, non possono che subire una distorsione dei propri punti di vista scientifici e professionali. Ma, secondo la Gampel, questo pericolo di distorsione è minore rispetto al pericolo del silenzio, del diniego, dell'alienazione e della non partecipazione. Appartenendo ad una disciplina che si suppone essere apolitica, gli psicoanalisti sono chiamati a curare pazienti che soffrono di disturbi traumatici direttamente associati al macro-contesto politico. Questo vasto ventaglio di temi riflette, per la Gampel, il grado di difficoltà che esiste nel tentativo di teorizzare le motivazioni sottostanti alla continua esistenza della guerra. E' difficile parlare della guerra da un punto di vista puramente teorico senza riferirsi alla sua realtà concreta e alle sue manifestazioni. E' anche difficile per la psicoanalisi, che fa riferimento in modo così importante al mondo interno, funzionare in un contesto di violenza e di guerra. In queste situazioni, secondo la Gampel, è molto importante mantenere il contatto con la dura realtà e mantenere anche la capacità di continuare a pensare.  Nella guerra lo scopo del nemico è quello di terrorizzare e di confondere, rendendo difficile la possibilità di pensare in modo chiaro. In risposta, l'individuo deve cercare di mantenere la sua capacità di essere consapevole della realtà, piuttosto di ignorarla o di fuggire da essa. E' forse a questo livello che, per la Gampel, la psicoanalisi può dare il suo contributo.

 

 

 

 

 

 

Note:

(1) I residui dell'"identificazione radioattiva" o del "nucleo radioattivo", come li definisce la Gampel, sono costituiti da residui non rappresentabili, resti di influenze radioattive della violenza esterna sociale che è stata incorporata all'interno dell'individuo. L'individuo interiorizza questi residui radioattivi, di cui non è consapevole, e si identifica con essi e con i loro aspetti deumanizzanti. Inoltre, l'individuo agisce queste identificazioni che gli sono aliene, oppure esse vengono agite dai suoi figli attraverso il processo della trasmissione transgenerazionale. L'identificazione penetra questi figli in un modo molto sottile attraverso il contesto sociale.

 

 

 

 

 
 

 

 

 

 
 

 
Referenze bibliografiche:

Gampel Y. (1998). Liens inviolables et Violation de Liens. Journal de la Psychanalyse de l’enfant,23, 256-270.

Gampel.Y(1999): Between the background of safety and the background of the uncanny in the context of social violence, In E. Bott Spillius (Ed. In chief), Psychoanalysis on the Move. London: Routledge, pp. 59-74.

Gampel.Y (2000): Reflections on the Prevalence of the Uncanny in Social Violence, In A. Robben, & O. Suarez-Orozco (Eds.), Cultures under Siege: Collective Violence and Trauma in Interdisciplinary Perspectives. Cambridge University Press.

  Gampel, Y. (2002). Unavoidable Links and Violable Links: Israelis and Palestinians in Psychoanalytic Psychotherapy Training. In J. Bunzl, & B. Beit-Hallahmi (Eds.) Psychoanalysis, Identity, and Ideology – Critical Essays on the Israel/Palestine Case (pp. 201-214). Boston-Dordrecht-London: Kluwer Academic Publishers.

Gampel.Y (2005) : Ces parents qui vivent a travers moi. Les enfants de. Fayard, Paris.

 Zelniker T, E El-Sarraj, and  Hertz-Lazarowitz, 2007 Palestinian-Israeli Cooperation on Mental Health Training: Gaza Community Mental Health Program and Tel-Aviv University, 1993-2007 Chapter in a book edited by Judy Kuriansky: "Beyond Bullets and Bombs: Grassroots Peace Building Between Israelis and Palestinians"

 

 

 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

Copyright - Ce.Psi.Di. - Rivista "FRENIS ZERO" All rights reserved 2004-2005-2006-2007-2008