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    "PSICOPATOLOGIA DELLE VIOLENZE COLLETTIVE"

 

Resoconto di Giuseppe Leo dell'Incontro con Françoise Sironi tenutosi a Prato il 6 giugno 2008 nell'ambito del seminario internazionale di studio "Clinica e geopolitica della violenza".

 

 

  Foto: Françoise Sironi

 

 

 


 

 

 

 

        

           

 

Il 6 giugno 2008 si è tenuto a Prato  il seminario internazionale "Clinica e geopolitica della violenza", organizzato da Marco Armellini, Giuseppe Cardamone, Michela Da Prato e Sergio Zorzetto. Nell'ambito del seminario Françoise Sironi ha presentato una relazione dal titolo "Psicopatologia delle violenze collettive" di cui diamo un sintetico resoconto in questa pagina. La Prof.ssa Sironi è psicologa, psicoterapeuta, "Maitre de Conference" all'Università di Parigi VIII, fondatrice del Centro "Primo Levi" per le vittime della tortura, ma anche fondatrice in Russia di un centro per il trattamento dei disturbi psichiatrici degli ex-soldati  reduci dall'Afghanistan. E' stata anche direttrice del Centro  "Georges Devereux".

La Sironi esordisce citando il libro di Yehudi Menuhin "Un violino per la pace", in cui scriveva che il mondo si trova ad un incrocio molto pericoloso, per la prima volta dovremmo seguire due strade allo stesso tempo: da una parte si deve andare verso il globale, verso la comunità delle nazioni, mentre un'altra strada conduce ciascun individuo verso la propria cultura, la propria dignità, le proprie speranze e paure.

Nel rapporto dell'OMS del 2002sul tema "Violenza e salute" la violenza collettiva viene definita come una violenza tra due Stati o anche da parte di gruppi politici organizzati all'interno di uno Stato o come una violenza originata da gruppi terroristici. Questo rapporto menziona la pericolosa strumentalizzazione di questo tipo di violenza che è una violenza da gruppo a gruppo, concerne la tortura, le guerre, i genocidi, lo stupro deliberatamente usato come arma di guerra, lo spostamento di popolazioni per fini politici. Si tratta di criminalità politica laddove la politica produce una sofferenza psichica, una psicopatologia generale e/o specifica. Oggigiorno la maggior parte delle persone che sono colpite dalla violenza collettiva è costituita da civili, e non da militari. Uno studio dell'UNICEF del 1986 ha evidenziato che durante la Prima Guerra Mondiale il 95% dei feriti e dei morti era costituito da militari, mentre durante la Seconda Guerra Mondiale è stata del 50% - quindi la percentuale delle vittime civili si è spostato dal 5% al 50%. Negli anni '80 nelle varie guerre sparse per il mondo il 90% delle vittime è stato dato dai civili, mentre solo il 10% dai militari. Questo dato, ribadisce la Sironi, è del 1986: oggi le cifre sulle vittime civili sono sicuramente peggiori, poiché la natura dei conflitti è cambiata. La maggioranza dei conflitti che oggidì si combattono nel mondo non è dato da guerre in cui si fronteggiano due eserciti, ma al contrario in essi ci sono  gruppi contrapposti e la dimensione geopolitica è centrale.

La Sironi passa quindi a definire la geopolitica. Il suo oggetto è dato dall'apparizione di nuovi Stati, dalle rivendicazioni d'indipendenza e dall'analisi dei nuovi confini. La geopolitica si occupa anche della scomparsa di popoli e nazioni, dei conflitti territoriali e dell'espansione di nuove ideologie politiche, economiche o religiose. La geopolitica si interessa altresì dei problemi politici all'interno degli Stati e delle rivendicazioni territoriali, culturali e religiose che nascono all'interno di essi. Insomma l'oggetto di studio della geopolitica è mutevole.

Nella pratica clinica l'approccio geopolitico significa tenere in conto, lavorare clinicamente e concretamente sull'impatto normale o patogeno della storia collettiva sulla storia individuale. <<La psicologia geopolitica clinica concerne l'apparizione di nuove problematiche identitarie (...)>> afferma testualmente la Sironi <<all'interfaccia tra diversi mondi, epoche e culture>>. La geopolitica clinica concerne anche l'impatto del totalitarismo sulla psicologia delle persone confrontate alle sofferenze ed al lavoro. In Giappone i casi di morti per eccesso di lavoro sono endemici, mentre in Francia i suicidi sul posto di lavoro diventano preoccupanti.

La Sironi passa quindi ad esplicitare il modo in cui, secondo lei, è possibile integrare questi fatti nel lavoro terapeutico. <<Come si fa per non eludere le tracce della storia collettiva, le tracce del politico nel percorso terapeutico?>> si chiede. La storia collettiva lascia due tipi di tracce in ciascuno di noi: o il contenuto della storia collettiva si articola con i contenuti soggettivi della storia individuale oppure gli eventi della storia collettiva rimangono sospesi come un precipitato chimico che non è metabolizzabile con le rappresentazioni affettive e le memorie della storia individuale. In questo secondo caso siamo nella dimensione traumatica della traccia lasciata dalla storia collettiva. La politica, la storia collettiva in questo caso produce della psicopatologia individuale.

 

L'esempio della Cambogia è a tal proposito molto eloquente. La presenza di una paura generalizzata è molto palpabile: essa trae origine dall'impunità e dalla presenza di khmer rossi oggi ancora al potere. In Cambogia non c'è stato finora un processo equivalente alla de-nazificazione tedesca, ma i tribunali speciali per i khmer rossi a Pnom Pehn cambieranno le cose: nel settembre prossimo comincerà il processo ai dirigenti della sicurezza e dei campi di tortura. Oggi in Cambogia la maggioranza della popolazione ha meno di trenta anni: sono i figli dei sopravvissuti del genocidio (2 milioni di morti su 7 milioni di abitanti in 3 anni e mezzo, dal 1975 al 1979). Esiste in questo Paese un'alta incidenza di incidenti stradali di cui i giovani sono le principali vittime. La trasgressione dei tabù era la norma all'epoca dei khmer rossi: oggi la dimensione trasgressiva degli interdetti è molto presente, anche nella corruzione e nel desiderio frenetico di arricchirsi.

  Foto: Primo Levi

La descrizione fatta da Primo Levi della psicologia particolare della 'zona grigia' è molto importante per comprendere la psicologia della violenza politica in Cambogia. La psicopatologia che fa seguito alla violenza collettiva non è riducibile alla psicopatologia ordinaria, non si origina necessariamente dai conflitti della prima infanzia, ma si origina dalle ferite lasciate dalla storia collettiva. La Sironi afferma di non voler fare il processo al concetto freudiano di pulsione di morte: a lei interessa comprendere il meccanismo della strumentalizzazione della violenza collettiva, in quanto violenze deliberatamente pensate, organizzate da sistemi politici persecutori o da sistemi economici basati su sistemi di 'management' fascisti. Gli strumenti della criminalità politica che organizzano, preparano, nutrono il fuoco della violenza collettiva sono le emozioni politiche. Un'emozione politica è un'emozione che produce e induce un pensiero, un atteggiamento politico, ma che può anche all'inverso essere prodotta e indotta dalla politica come risposta individuale o collettiva variamente strumentalizzata. Queste emozioni sono l'umiliazione, il rancore, il desiderio di vendetta, la paura, lo spavento, la collera, la vergogna che possono essere strumentalizzate come emozioni politiche.

In un discorso memorabile fatto a Sarajevo nel 1987 di fronte alla minoranza serba del Kossovo Slobodan Milosevic è riuscito a galvanizzare la potenzialità guerriera creando, strumentalizzando emozioni politiche per creare il desiderio di vendetta. La caratteristica principale delle emozioni politiche è che sono facilmente strumentalizzabili, passano facilmente attraverso il punto di articolazione tra storia individuale e storia collettiva. Le vittime di ieri possono diventare i persecutori di oggi e di domani attraverso la strumentalizzazione di queste emozioni politiche che rimangono in genere inconsce, ma che i sistemi politici usano per le loro strategie di potenza. La violenza collettiva non esiste senza le persone che l'agiscono. Il fatto è che tanti uomini erano tranquilli ieri e  sono diventati assassini, torturatori, stupratori : torturatore non si nasce, torturatore si diventa. Dal 1945 fino ad oggi la maggioranza delle ricerche condotte sugli autori delle violenze collettive mostra un'assenza di psicopatologia, ma una grande capacità di adattamento nonché una grande capacità di ubbidire. Questa necessità di ubbidire è basata prima di tutto sulla paura e poi su un grande desiderio di essere considerato, amato, valorizzato dai superiori. Le ricerche della Sironi hanno dimostrato che la formazione di certi autori di violenze collettive è basata sul modello dell'iniziazione tradizionale con l'uso di marcature fisiche e psichiche, metamorfosi dell'identità, ecc. I lavori più recenti hanno mostrato l'importanza nei percorsi di vita degli autori di violenze collettive delle esperienze di 'de-culturizzazione' violenta e di 'a-culturizzazione' massiva. La 'de-culturizzazione' è l'attacco deliberato contro gli oggetti culturali, modi di pensare, oggetti simbolici, rituali, mentre l''a-culturizzazione' massiva comprende le vicissitudini dell'incontro tra due sistemi culturali diversi, i malintesi culturali, e la trasformazione dell'identità che accadono nell'interfaccia tra due culture diverse. Per poter torturare, stuprare, uccidere per motivi politici bisogna prima disumanizzare la vittima, cosa che presuppone la disumanizzazione del persecutore la cui capacità di empatia deve essere distrutta. La condizione necessaria per l'empatia è avere un senso della propria identità. Il torturatore è uno strumento politico che serve a produrre  disumanizzazione, perciò la sua capacità di empatia è stata deliberatamente distrutta.

La violenza collettiva ha delle conseguenze individuali e collettive, fisiche e psicologiche, tanto sulle vittime quanto sugli autori. Il suo impatto riguarda anche i testimoni delle violenze collettive che talora possono essere più traumatizzati di coloro che le hanno direttamente subite.

Forme di psicopatologia indotte dalla violenza collettiva

Le forme di psicopatologia che conseguono alla violenza collettiva sono diverse: alcune ricerche hanno dimostrato che la violenza collettiva produce almeno 8 forme di psicopatologia direttamente correlate ad essa. Esse sono:

1) Traumi intenzionali;

2) Psicosi traumatiche;

3) Paranoia indotta;

4) Stati schizoidi indotti dal sistema politico;

5) Depressione grave e ciclica;

6) Disturbi psico-somatici;

7) Condotte ossessive;

8) Psicopatologie della normalità.

I traumi intenzionali sono traumi deliberatamente indotti da esseri umani o da sistemi su altri sistemi o esseri umani. L'intenzionalità maligna è centrale nella sofferenza psichica: in casi di disumanizzazione estrema emerge una forma di trauma con allucinazioni, ricordi traumatici quasi permanenti, deliri di persecuzione o di influenzamento.

Le paranoie indotte dai sistemi politici accadono quando un Paese intero vive secondo la teoria del sospetto generalizzato, della denuncia e dell'autocritica. Queste forme di paranoia sono diverse dalle altre paranoie in quanto cessano quando la persona cambia Paese. L'adattamento consiste nel vedere complotti dappertutto, e questa è la normalità nei regimi totalitari. Questa forma di psicopatologia è oggi molto presente in Iraq, in Birmania ed anche in Cambogia.

 

         Resiste ancora in Russia poiché nell'ex-Unione Sovietica la teoria del sospetto generalizzato era una forma di teoria politica e di psicologia collettiva. Anche il presidente Schreber era figlio di un famoso pedagogista tedesco del secolo XIX che era propugnatore di sistemi educativi che distruggevano ogni individualità. 

Foto: il cancelliere Schreber

 

Gli stati schizoidi indotti dai sistemi politici accadono dopo una deprivazione. Certe forme di schizofrenia erano descritte anche dalla letteratura scientifica dopo una deprivazione sensoriale totale. In questi casi l'autorità politica generalmente nega che la repressione politica abbia delle conseguenze psicopatologiche, e le mette sempre sul conto di una fragilità psichica o di una psicopatologia anteriore.

Per adattarsi ad un sistema politico psicotico, cioè un sistema che nega la realtà solo per vivere di idealizzazioni, la personalità deve atomizzarsi, per cui le differenti parti di sé vivono ognuna per conto proprio, lo 'splitting' diventa una regola aurea per sopravvivere psichicamente. Stati di depersonalizzazione, di dissociazione e di confusione dell'identità si verificano in queste situazioni: è preferibile rinunciare ad avere una identità propria per difendersi meglio contro l'annientamento.

Le depressioni gravi e ad andamento ciclico: le depressioni che insorgono a causa dell'ambiente politico sono depressioni esistenziali, sono una forma inconscia di strategia di resistenza contro un regime politico o contro una forma di gestione disumanizzante. E' una strategia di rifiuto e di resistenza. Le depressioni correlate all'esilio sono anch'esse particolari: si manifestano negli anniversari (dell'arresto, della tortura, dell'uscita dal Paese di origine o della morte di un parente).

I disturbi psicosomatici  comprendono ad es. i disturbi muscolo-scheletrici, spesso descritti come correlati al lavoro.

Le condotte ossessive si manifestano in persone che hanno a lungo vissuto in carcere. La ossessionalizzazione grave della vita di ogni giorno può essere una traccia di questo periodo. Adattarsi alla vita di fuori significa dimenticare il periodo passato in carcere, dimenticare gli altri che non sono usciti o che sono morti. In questi casi il lavoro psicoterapeutico consiste nell'agire sul grande sentimento di colpevolezza dell'ex-detenuto.

La categoria della psicopatologia della normalità. La 'normosi' fu descritta per la prima volta in Francia negli anni '80: è un adattamento passionale alla norma, un'ossessione della normatività, della normalità e del bisogno di sicurezza.

Lo schema di analisi delle psicopatologie correlate alla violenza collettiva

 

Per la Sironi la psicopatologia si divide in tre categorie:

a) psicopatologie che sono la traccia dell'effrazione psichica o dell'effrazione del sistema culturale protettivo (depressioni, soprattutto);

b) psicopatologie che fanno seguito ad un adattamento psichico alla violenza collettiva, alla criminalità politica o alla patologia sociale. Per le paranoie si è visto che insorgono sulla spinta di un adattamento al clima generalizzato di sospetto del Paese.

c) psicopatologie che fanno seguito ad una resistenza psichica alla violenza collettiva, alla criminalità politica o alla patologia sociale. Si tratta soprattutto di depressioni.

In ogni caso, il terapeuta deve valutare il processo di riuscita o di fallimento dell'adattamento o della resistenza.

Aspetti terapeutici

Anche se le sofferenze conseguenti alla violenza collettiva possono essere molto gravi, come nei bambini-soldato, nelle vittime di tortura, di stupro collettivo, ecc. non sono una maledizione unica da portare con sé per tutta la vita, ma possono essere superate, migliorate o attenuate. Per far ciò ci vuole un trattamento adeguato in cui la dimensione politica, le ferite delle violenze collettive vengano prese in considerazione. E' necessario dare spazio all'analisi di queste violenze collettive e soprattutto non interpretare il discorso, il racconto politico del paziente come se fosse espressione di una difesa contro l'emergenza di un materiale clinico più intimo. Non si può trattare una vittima o un autore di violenze collettive senza tener conto di questa dimensione politica. Il racconto dei pazienti non è una parola di verità, ma è la loro verità. Credere al paziente, accogliere il suo discorso non significa essere politicamente impegnato, ma significa costruire un approccio adeguato alla cosa politica quando invade la scena psichica. Durante la psicoterapia si passa ciclicamente dalla dimensione collettiva alla dimensione singolare del sintomo. E questo, per la Sironi, significa lavorare sul punto di articolazione tra storia collettiva e storia individuale. Con le vittime di torture all'inizio della psicoterapia è necessario <<chiudere l'apertura traumatica>>, l'effrazione psichica. In seguito si lavora col paziente sull'intenzionalità del torturatore, sull'intenzionalità del sistema in modo da liberare il paziente dall'influenza ancor presente ed internalizzata del torturatore.

Il lavoro terapeutico con gli autori delle violenze collettive è necessario, altrimenti la violenza si incista nel Sé e sfocia in violenza coniugale e familiare. Bisogna restaurare la capacità di empatia, di pensare l'alterità e la molteplicità in se stessi così come negli altri. Quindi, si lavora molto sui morti: amici morti durante i combattimenti, oppure sull'influenza dei morti uccisi dal paziente. Coi militanti politici che tengono dei discorsi molto rigidi bisogna accogliere nelle sedute questi discorsi e 'scioglierli' cercando una donna. Per la Sironi, dietro una rigidità ideologica si trova spesso un amore impossibile, nascosto, che il paziente nasconde persino a se stesso.

La psicoterapia delle vittime e degli autori di violenze collettive si deve inserire in una molteplicità terapeutica (approccio psicoterapeutico, medico, sociale, legale, educativo). Condizione per il successo terapeutico  non è tanto la qualità di quel solo approccio terapeutico, ma la qualità di una rete terapeutica che deve essere integrativa. Integrativa presuppone il rispetto assoluto della specificità di ogni approccio, essendo il punto comune  dei vari approcci l'idea che l'oggetto da curare è la traccia della violenza politica e i suoi effetti individuali e collettivi. Il lavoro terapeutico non è finito finché il paziente non è capace di affrancarsi dai condizionamenti subiti, altrimenti la terapia rimane uno strumento di adattamento sociale, pericolo che la Sironi intravvede in molti approcci odierni.

Conclusioni

Per la Sironi quando un Paese passa dalla guerra alla pace, bisogna sistematizzare una transizione da una psicologia dei tempi di guerra ad un'altra dei tempi di pace, e questo passaggio non si fa da solo. I nostri nonni e bisnonni hanno fatto questo passaggio: ma a quale prezzo? Quello della strumentalizzazione, generazione dopo generazione, della vendetta, delle ferite psicologiche, familiari o collettive inconsce in modo da poter continuare la storia mondiale della violenza collettiva.

<<Basta!>> esclama la Sironi<<Oggi si sviluppano esperienze cliniche specifiche in diversi contesti geopolitici e culturali, (...) vari dispositivi di fabbricazione della pace e di processi di riconciliazione, esperienze recenti e perfettibili dei tribunali penali internazionali per la Jugoslavia, Ruanda e Cambogia. I centri per il trattamento delle vittime di violenza collettiva hanno raggiunto la maturità. I centri per il trattamento degli autori di violenza collettiva si sviluppano in tutto il mondo, così come i dispositivi tradizionali locali>>. La Sironi addita come i pericoli veri da combattere l'etnocentrismo e la manipolazione politica dei professionisti della salute mentale. E conclude: <<Oggi siamo abbastanza numerosi per condividere un approccio realistico (...) verso le culture e le problematiche specifiche. Oggi siamo abbastanza numerosi per agire rispettando un'etica di lavoro aperta alle diversità politiche, culturali, sessuali. Siamo coscienti dell'impatto politico del nostro impegno clinico. "I have a dream" ha detto Martin Luther King. Yehudi Menuhin, già citato (...), aggiunge al sogno di pace di Martin Luther King,  che integrare la dimensione locale con la dimensione globale del mondo di oggi è una strada difficile. Nonostante ciò, sono convinta che è proprio questo il nuovo Umanesimo, un Umanesimo informato sulle culture, sulla diversità, un Umanesimo capace di fare ostacolo al fanatismo politico, religioso ed economico>>. Alla fine, la Sironi cita un proverbio africano: <<Finché i leoni non avranno i loro storici, le storie di caccia  continueranno a magnificare il cacciatore>>.

 

 

 

 
 

 

 

 

 
 

 
 

 

 

 

Responsabile Editoriale : Giuseppe Leo

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