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      Storia  "d' Italia" dal 1861 ai giorni nostri 

                                  

Il Regno d'Italia. Il plebiscito del 21-22 ottobre univa il Regno delle Due Sicilie a quello di Vittorio Emanuele II. Il 17 marzo 1861 a Torino veniva proclamata la costituzione del nuovo Regno d'Italia. Il Veneto venne all'Italia con la III guerra d'indipendenza (1866), dopo che la Prussia, alleata dell'Italia, ebbe vinto l'Austria a Sadowa e nonostante le sconfitte italiane di Custoza e di Lissa. Restava ancora aperta la questione romana. I tentativi di occupare Roma da parte dei patrioti italiani (episodio dei fratelli Cairoli a Villa Glori) spinsero Napoleone III a inviare a Roma un corpo di spedizione, che batté i garibaldini a Mentana (1867). Dopo la disfatta di Sedan (1870) e la partenza del presidio francese da Roma, il generale Cadorna prendeva finalmente la città (breccia di Porta Pia, 20 settembre 1870), che un plebiscito popolare annetteva al Regno d'Italia. Protestando solennemente, Pio IX si ritirò dal Quirinale in Vaticano, dichiarandosi prigioniero dello Stato italiano, alla cui vita politica per decenni ai cattolici italiani fu vietato di partecipare («non expedit»). Nel 1876 la Destra, che dovette affrontare i gravi problemi finanziari e amministrativi legati alla avvenuta unificazione nazionale, fu battuta alle elezioni e salì al potere la Sinistra. Durante i governi Depretis furono approvate leggi importanti come quelle per l'istruzione primaria obbligatoria (1879) e per l'estensione del diritto di voto, e prese iniziative centrali sul piano della politica estera, quale la stipulazione della Triplice Alleanza con Germania e Austria-Ungheria nel 1882. Nel 1887, alla morte del Depretis, gli succedeva F. Crispi, che parallelamente ad un'azione repressiva nei confronti del movimento socialista che si andava rafforzando, iniziò una politica di imprese coloniali (Eritrea e Abissinia) alle quali il Paese non era preparato. Dopo la disfatta di Adua (1896), di cui egli fu ritenuto responsabile, Crispi scomparve dalla scena politica. La sommossa popolare di Milano (6-8 maggio 1898), repressa senza pietà dal generale Bava-Beccaris, scatenò una reazione a catena contro l'estrema sinistra e le forze cattoliche progressiste. In questo clima avviene l'uccisione di re Umberto I da parte dell'anarchico Bresci (29 luglio 1900).
L'età Giolittiana. Il Paese ritrova il proprio equilibrio nel governo di A.Giolitti, uno dei più abili statisti che l'Italia abbia avuto. La sua politica liberale e progressista fu caratterizzata dall'impulso dato all'espansione economica, agricola e industriale del Paese, dalle concessioni che fece alla classe operaia, a partire dalla legge sul suffragio universale, dal rientro dei cattolici nella vita politica. Intanto si andava affermando un forte movimento nazionalista, che sosteneva la ripresa della politica coloniale, che si ebbe nel 1911 con la guerra contro la Turchia e la conquista della Libia. La vittoria elettorale dei socialisti e dei cattolici nel 1913 portò alle dimissioni di Giolitti, al quale succedette Salandra (1914).
La guerra e la crisi del dopoguerra. Dopo una dichiarazione di neutralità (1° agosto 1914), sotto la pressione delle correnti interventiste, il governo aderì alla Triplice Intesa (trattato di Londra, aprile 1915) e dichiarò guerra all'Austria (24 maggio), sperando di completare l'unità territoriale. La guerra comportò notevoli sacrifici, ma fu coronata nel novembre 1918 dalla vittoria. I trattati di San Germano (1919) e di Rapallo (1920) concedettero all'Italia Trentino, Alto Adige, Trieste, Istria e Zara. Ma gli Italiani rimasero delusi dal trattamento ricevuto dagli alleati. La crisi morale si aggiunse alla crisi economica: chiusura delle fabbriche di guerra, bilancio deficitario, svalutazione della lira. Le elezioni del 1919 segnarono una netta avanzata dei cattolici del Partito popolare italiano, fondato al principio dell'anno da L. Sturzo, e del Partito socialista. Due anni dopo, al congresso di Livorno, una frazione del Partito socialista fondava il Partito comunista.
Il fascismo. Dopo lo sciopero generale e l'occupazione delle fabbriche, la crisi costituzionale sfociò in un regime autoritario e antidemocratico: il fascismo. Dopo la marcia su Roma (ottobre 1922) e la nomina di Mussolini a primo ministro, l'opposizione, dopo le elezioni politiche del 1924 svoltesi con una legge-truffa di tipo maggioritario (legge Acerbo), ebbe un ultimo sussulto con la denuncia delle violenze elettorali da parte del socialista Giacomo Matteotti, che pagò con la vita il suo gesto generoso (10 giugno 1924). L'incertezza e gli errori dei partiti antifascisti (v. Aventino) permisero a Mussolini (discorso alla Camera del 3 gennaio 1925) d'inaugurare un regime totalitario. L'opposizione aperta al fascismo si trasferì all'estero, tra gli emigrati o fuorusciti (Nitti, Sturzo, Turati, Treves, Salvemini, Silone ecc.). In politica interna il fascismo realizzava importanti opere pubbliche, come la bonifica dell'Agro Pontino; riusciva poi a rialzare il prestigio nazionale risolvendo definitivamente la questione romana con la Conciliazione del 1929. Il conflitto italo-etiopico (1935-1936) e le sanzioni economiche contro l'Italia, decise dalla Società delle Nazioni, avvicinarono sempre più l'Italia fascista alla Germania nazista (Asse Roma-Berlino, 1936). Durante la guerra civile spagnola (1936-1939) il governo fascista inviava insieme con quello hitleriano notevoli aiuti al generale Franco. Scoppiata la seconda guerra mondiale, l'Italia, dopo aver proclamato in un primo tempo la non belligeranza, interveniva nel giugno 1940, quando la Francia era già sconfitta. Ma per l'Italia, a causa dell'impreparazione militare e dell'impopolarità della guerra, il conflitto doveva risolversi in un disastro nazionale.
La caduta del fascismo e la liberazione. Messo in minoranza alla seduta del Gran Consiglio, Mussolini fu arrestato (25 luglio 1943) per ordine del re e l'incarico di formare il governo fu dato a Badoglio, il quale, il 3 settembre, firmava l'armistizio di Cassibile con le forze alleate. Mentre i Tedeschi minacciavano Roma, il re col governo riparava a Brindisi. Il 13 ottobre l'Italia dichiarava guerra alla Germania e veniva riconosciuta dagli Alleati come cobelligerante. Da parte sua Mussolini, liberato dai Tedeschi, proclamava a Salò la Repubblica Sociale Italiana. Il Paese si trovò diviso in due parti: il Sud (fino alla Campania) in mano agli Alleati e sotto il governo di Vittorio Emanuele III, il quale conservava il regno sino all'occupazione di Roma per un accordo intervenuto tra i partiti antifascisti (tregua istituzionale); il resto in mano ai Tedeschi e ai fascisti. Dopo la liberazione di Roma da parte delle truppe alleate (4 giugno 1944) il governo tornava alla capitale e il re cedeva i poteri sovrani al figlio Umberto, luogotenente generale del Regno. Il Comitato di Liberazione Nazionale formò il primo ministero Bonomi con la partecipazione dei partiti antifascisti. Il nuovo governo decise l'epurazione nelle amministrazioni statali e la costituzione del CLNAI per dirigere la lotta partigiana al Nord (v. Resistenza). La liberazione si compì il 25 aprile 1945. Mussolini veniva catturato e giustiziato il 28 aprile.
La Repubblica italiana. Dopo un secondo gabinetto Bonomi e un governo presieduto da Parri, capo della Resistenza nel Nord, assunse le redini del potere il leader della Democrazia Cristiana A. De Gasperi (dicembre 1945), il quale diresse il Paese per quasi otto anni (dal 1947 al 1955). Nel 1946 Vittorio Emanuele III fu indotto ad abdicare in favore di Umberto II (9 maggio), ma il referendum istituzionale del 2 giugno risolveva la questione a favore della Repubblica (con 12.717.923 voti contro 10.719.284 andati alla monarchia). Dalle elezioni nacque la Costituente, chiamata a dare alla Repubblica gli ordinamenti costituzionali. Nel 1947 veniva firmato il trattato di pace, assai duro sia per le clausole militari sia per quelle concernenti le colonie. Il 1° gennaio 1948 entrava in vigore il testo della Costituzione repubblicana. Con le elezioni del 18 aprile 1948 la Democrazia Cristiana otteneva la maggioranza assoluta alla Camera e apriva la stagione dei governi 'centristi'. L. Enaudi veniva eletto alla presidenza della Repubblica. La politica estera di De Gasperi portava l'Italia a inserirsi nel sistema atlantico e nell'ambito della Comunità europea. Nel 1954 Trieste veniva restituita all'Italia. Nel 1955, presidente della Repubblica G. Gronchi, l'Italia era ammessa all'ONU. L'anno dopo, il processo di destalinizzazione e i fatti di Ungheria portarono a una crisi nei rapporti tra i partiti di sinistra (PSI e PCI) e a un lento, ma progressivo riavvicinamento dei socialisti ai partiti democratici di centro (DC, PRI, PSDI). Si preparava così lentamente l'assunzione di responsabilità di governo da parte dei socialisti (gabinetti Moro) con la cosiddetta formula di centrosinistra (primi anni Sessanta). L'elezione del socialdemocratico G. Saragat (1964) a presidente della Repubblica dopo la presidenza Segni (1962-1964) affrettava il processo di unificazione dei partiti socialisti PSI e PSDI. Dopo il varo di importanti riforme (nazionalizzazione dell'energia elettrica, riforma della scuola) il Parlamento rivelava tuttavia la propria fragilità, specchio del moltiplicarsi di correnti in seno ai partiti e riflesso anche degli effetti di quell'espansione economica che instaurava una politica di tensione tra governo e sindacati. Il mondo del lavoro premeva per il riconoscimento dei propri diritti, formalizzati in uno Statuto, e forti rivendicazioni salariali; il mondo dei giovani dava vita nel 1968 a clamorose contestazioni del regime sociale politico e culturale dominante. L'autunno caldo del 1969 sanzionava l'inquietudine e le attese dei lavoratori, fino a far temere, dopo il tragico attentato terroristico alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di Milano (dicembre 1969), una crisi di regime. Sotto la presidenza di G. Leone (1971-1978) andò accentuandosi una crisi economica e sociale (segnata dal diffondersi del terrorismo e da numerose stragi) che entrava in una fase acuta proprio nel 1978, anno in cui venne rapito e ucciso dalle Brigate Rosse il presidente della DC Aldo Moro, fautore dell'ingresso nell'area di governo del PCI, che nelle elezioni amministrative del 1976 aveva di fatto raggiunto la parità con il Partito democristiano e che, per la prima volta, diede l'appoggio a un monocolore DC presieduto da G. Andreotti; l'appoggio venne meno all'inizio dell'anno successivo e portò alle elezioni anticipate. Il terrorismo intensificò la propria azione destabilizzante. La presidenza di A. Pertini (1978-1985) riuscì a restituire una certa fiducia al Paese nonostante un succedersi di scandali a diversi livelli, primo fra tutti quello della loggia massonica P2, il crack del Banco Ambrosiano, il dilagare delle interferenze mafiose. Il 4 agosto 1983 venne instaurato il primo gabinetto a direzione socialista nella storia della Repubblica: primo ministro Bettino Craxi, che s'impegnò nella lotta contro l'inflazione, fornì garanzie di fedeltà alla NATO e definì i rapporti col Vaticano (nuovo Concordato del 17 febbraio 1984). Alla scadenza del mandato di Pertini, il 24 giugno 1985, viene eletto presidente della Repubblica F. Cossiga. Il governo Craxi deve dimettersi nel marzo 1987 a causa dei contrasti fra le due principali forze politiche (DC e PSI) della coalizione di 'pentapartito' (DC, PSI, PRI, PSDI e PLI). Ma dopo il breve Gabinetto Fanfani, che porta alle elezioni anticipate del giugno 1987, gli stessi cinque partiti tornano insieme nel governo guidato dal democristiano G. Goria, al quale è succeduto (nell'aprile del 1988) C. De Mita, dimessosi nel luglio 1989 in favore di G. Andreotti, che nel 1991 ha varato un nuovo governo senza il sostegno del PRI. Nel 1991 il PCI ha mutato il nome in Partito democratico della sinistra (PDS). Mentre si faceva sempre più generale la richiesta di riforme istituzionali per rafforzare le capacità di governo e ridurre la preponderanza dei partiti sulle istituzioni e nell'economia pubblica, le elezioni politiche del 1992 segnavano -- con la sconfitta di DC, PSI e PDS e la forte avanzata della Lega Nord-Lega Lombarda -- una destabilizzazione del quadro politico tradizionale. Gli assetti politici entrarono definitivamente in crisi di fronte al moltiplicarsi delle inchieste giudiziarie (a partire da quella di 'Mani pulite' a Milano, febbraio 1992) che svelarono un diffusissimo quadro di corruzione, tangenti, collusioni politico-economiche ('Tangentopoli') e arrivarono a coinvolgere i gruppi dirigenti del pentapartito, in particolare della DC e del PSI. Estremamente violento si faceva anche l'attacco mafioso ai poteri dello Stato (assassinii dei giudici G. Falcone e P. Borsellino, maggio-luglio 1992). Nel maggio 1992 venne eletto alla presidenza della Repubblica (dopo le dimissioni anticipate di F. Cossiga) Oscar Luigi Scalfaro. Il socialista G. Amato formò un governo DC-PSI-PSDI-PLI, che firmò un accordo con sindacati e Confindustria per l'abolizione della scala mobile sui salari e la riduzione del costo del lavoro in funzione antinflazionistica. Nell'aprile 1993 un referendum popolare introdusse per il Senato il voto maggioritario a un turno unico, segnale della volontà del paese di 'voltare pagina'; a guidare un governo tecnico non concordato con i partiti venne chiamato l'ex governatore della Banca d'Italia C.A. Ciampi. L'inchiesta su Tangentopoli investiva anche i grandi nomi della finanza. L'approvazione di una nuova legge elettorale con prevalenza del maggioritario (agosto 1993), il tracollo di DC e PSI e dei partiti minori di centro e la netta affermazione della Lega Nord e delle sinistre alle elezioni amministrative (maggio e dicembre 1993) furono alla base di un mutamento del panorama politico (gennaio-febbraio 1994). La DC, rinnovata, prese il nome di Partito Popolare Italiano. Per le elezioni politiche del marzo 1994 nell'area di centro-destra sorsero le nuove formazioni di Forza Italia dell'imprenditore S. Berlusconi, di Alleanza Nazionale (capeggiata dal segretario del MSI G. Fini, che nel 1995 ha guidato la trasformazione del MSI in AN e ha abbandonato i richiami al fascismo) e del Centro Cristiano Democratico (CCD), fuoriuscito dalla DC, che si coalizzarono con la Lega Nord nel Polo delle libertà e del buongoverno; al centro il PPI si alleò con M. Segni nel Patto per l'Italia; le sinistre si coalizzarono nel raggruppamento dei Progressisti (PDS, Rifondazione Comunista, PSI, Verdi, Alleanza Democratica, La Rete, Cristiano-sociali). Le elezioni hanno dato la maggioranza alla Camera dei Deputati al Polo delle libertà, il cui leader S. Berlusconi formò (maggio) un governo, che nel dicembre si dovette dimettere per il passaggio all'opposizione della Lega Nord. Nel gennaio 1995 Scalfaro ha promosso la formazione di un governo di tecnici presieduto da L. Dini, già ministro del tesoro nel governo Berlusconi. La non accettazione da parte di Dini della richiesta del centro-destra di dimettersi entro giungo per consentire le elezioni ha fatto sì che Forza Italia e AN non sostenessero il governo tecnico. Questo incentrava la sua azione su su quattro punti: riforma elettorale, manovra economica, riforma pensionistica e emanazione di nuove norme sui mezzi di comunicazione, trovando il pieno sostegno del centro-sinistra. Le elezioni amministrative di aprile si concludevano con il successo della sinistra, mentre i referendum di giugno vedevano la vittoria del Polo delle libertà soprattutto per quelli riguardanti le televisioni. Il governo Dini appariva in grado di durare a lungo, soprattutto per la necessità, sostenuta anche dal capo dello stato, di evitare il voto nel semestre di presidenza italiana dell'Unione Europea. Nel frattempo Romano Prodi, ex presidente dell'IRI, si candidava come futuro premier di una coalizione , che prendeva il nome di Ulivo, formata dai maggiori partiti di centro-sinistra (PDS, PPI, Patto Segni, Verdi, SI,) in previsione delle elezioni. L'adesione del PPI al programma di Prodi portava a una divisione all'interno del partito e alla nascita in luglio del CDU guidato da R. Buttiglione. All'inizio del gennaio 1996 il governo Dini veniva dichiarato decaduto e venivano indette le elezioni per aprile. Lo scontro elettorale vedeva uscire vittoriosa la coalizione dell'Ulivo e un'inaspettato successo della Lega Nord soprattutto nelle regioni del Nord. Romano Prodi in maggio formava un governo di centro-sinistra senza rappresentanti del Polo delle Libertà e della Lega.