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Alberto Sordi

 

E’ stato l’attore più grande ma è soprattutto stato uno straordinario autore, l’artefice del suo personaggio con cui ha attraversato più di 50anni di storia italiana”, così  Mario Monicelli ama ricordare Alberto Sordi definendo “l’Albertone” nazionale come colui che ha inventato letteralmente un personaggio comico nuovo modernissimo: l’uomo che naviga cinicamente nella vita dell’arte di arrangiarsi e che è riuscito a cambiare la percezione che gli italiani avevano di sé molto più di quanto hanno saputo fare scrittori e giornalisti.

Infatti, Alberto Sordi, tra i grandi comici italiani del Novecento, riecheggia nei nostri ricordi come colui che più e meglio di tutti ha simboleggiato il carattere e la cultura del nostro paese proprio  attraverso la storia di un italiano che ha personificato una condizione umana tipicamente ed inconfondibilmente italiana in personaggi, situazioni e storie, caratterizzate da una mescolanza di difetti autoctoni : sbruffoneria, furbizia, misoginia, vittimismo, bugie e soprattutto viltà, viltà fisica e morale, che meglio materializzano l’evoluzione populista italiana.

Le sue straordinarie qualità espressive, riuscivano a cogliere i vizi e le virtù della commedia umana con profonda ironia, talvolta velata di rimpianto e di amarezza, interpretando, così, i sentimenti degli italiani soprattutto nei momenti più duri e difficili dell’Italia del dopoguerra. I suoi personaggi hanno rispecchiato l’evoluzione della società e hanno rappresentato la complessa identità italiana evidenziando i valori umani che emergono proprio nelle prove più difficili della vita.

Quello sguardo impunito, quella giovinezza “frescona” e scanzonata, quell’ironia cinica e disincantata, sono stati il simbolo di un Tipo Italiano, irresistibilmente ambiguo attraverso l’enunciazione sarcastica del difetto come ragione unica della comicità. Il capolavoro di Sordi fu quello di riuscire a essere il mostro della normalità italiana: il Tipo italiano che tira a campare, l’italianità popolare e piccoloborghese sempre sopravvivente e vitale, profittatrice e patetica, l’antropologia italiana della rinuncia.

Sordi ha riso sempre, in qualunque ruolo e quasi dopo ogni frase, come se la risata fosse un’interpunzione, una virgola che serve a dividere le emozioni, le sensazioni e gli eventi  nel tentativo di allontanare il tragico, magari con uno sberleffo per renderlo inoffensivo.

A noi piace ricordarlo ora proprio attraversando la drammaticità del suo ritratto che ha impietosamente raffigurato nell’arco di sessanta lunghi anni, la lunghissima serie della commedia italiana, beffarda e malinconica, dalla fase felliniana del “Lo Sceicco Bianco” e de “I Vitelloni”, che rivelarono la sua piena maturazione, fino a “La Grande Guerra” di Monicelli e a “Una Vita Difficile” di D. Risi, che lo consacrarono tra i grandi attori italiani..

E non a caso Federico Fellini fu uno dei primi a scommettere sul suo talento con “Lo Sceicco Bianco” prima e con “I Vitelloni”, poi, proprio tra gli anni ’50 e ’60, quando la commedia all’italiana produceva il massimo.

Ne “Lo Sceicco Bianco”,(1952), Federico Fellini, gli offre la sua grande occasione, scegliendolo per la parte dello sceicco romanesco. Questa irridente satira di costume si snoda attraverso una Roma realistica ma velatamente snaturata da una vena caricaturale, e ci regala  un Alberto Sordi memorabile nella parte dell’eroe dei fotoromanzi, irresistibile ed infantile seduttore da strapazzo, divertente fino al grottesco nel rappresentare un ambiente di piccole volgarità che demoliscono l’idea mitica della fabbrica dei sogni. Esemplare la scena in cui lo Sceicco Bianco per sedurre la ragazza che ha portato in barca e creare un ambiente romantico indica sopra di loro un “’An vedi er’ gabbiano”.

Il 1953 è un anno fondamentale per la sua carriera cinematografica: conquista la critica ed ottiene il Nastro d’Argento come miglior attore protagonista ne “I Vitelloni” (Federico Fellini), film premiato a Venezia con un Leone d’argento. Attraverso la vita quotidiana di cinque amici irresponsabili,  fannulloni,  disoccupati, perditempo, che si svagano tra piccoli divertimenti, miserie e squallori della routine provinciale riminese, Sordi interpreta la parte del burlone Alberto, punto di fusione tra satira, grottesco e patetismo. Memorabile la scena in cui si prende beffe, con i suoi amici di baldoria, di un gruppo di operai mattinieri apostrofandoli con l’italico segno dell’ombrello e un “lavoratori!” seguito da una sonora pernacchia.

Poi c’è il grande Sordi de “La Grande Guerra” (1959 di Mario Monicelli – Leone d’Oro a Venezia in ex aequo con Il Generale della Rovere di R. Rossellini). Con questo film Sordi riceve la Medaglia d’oro del premio “Una vita per il cinema” con la motivazione “Per la costante affermazione di una personalità che, rinnovando le tradizioni comiche italiane, ha dato vita a personaggi nei quali si riflettono costumi e valori umani del nostro tempo”. E questo film rimane memorabile nella memoria collettiva italiana proprio per la contaminazione della commedia italiana con l’irrompere della tragedia storica sinottica, dissacrando i temi forti degli inutili massacri della Grande Guerra. Soprattutto grazie alla straordinaria presenza scenica dei due grandi mattatori del cinema italiano Sordi e Gassman, dove proprio Sordi vince il secondo Nastro d’argento come miglior attore protagonista, rubando così la scena al più esuberante Gassman.

Infine ne “Una Vita Difficile” (1962 di Dino Risi), in una delle interpretazioni più felici di Alberto Sordi, in un personaggio scritto su misura per lui da R. Sonego. In questo straordinario affresco dell’Italia del dopoguerra e della sua democrazia, dagli entusiasmi della ricostruzione alla rapida involuzione, attraverso il processo di disillusione che caratterizza la società italiana, risulta davvero eccezionale  l’interpretazione di Alberto Sordi, eroe positivo ma sarcasticamente raccontato in chiave caricaturale e grottesca. Indimenticabile  la cena dai monarchici la notte del referendum per la repubblica.

E noi lo amiamo ricordare proprio così…nella sua dimensione tragicomica, con il suo sorriso dissacrante ma amaro appena velato da un tono malinconico.

di Alessandra Tirolo

 

 

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Aggiornato il: 25 marzo 2003