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di Mario Monicelli, Italia/Francia
1959, b/n, 129’
Con Alberto Sordi, Vittorio Gassman,
Romolo Valli, Folco Lulli, Silvana Mangano, Livio Lorenzon, Mario Valdemarin,
Bernard Bilier, Nicola Arigliano, Tiberio Murgia, Achille Compagnoni, Vittorio
Sanipoli, Ferruccio Amendola, Elsa Vazzoler, Geronimo Meynier, Marcello Giorda,
Tiberio Mitri, Gerard Herter Trama
Durante la Grande Guerra, il milanese
Giovanni Busacca (Gassman) e il romano Oreste Jacovacci (Sordi), nonostante
tentino vanamente di imboscarsi, vengono spediti al fronte. Scansafatiche e
fannulloni per natura, i due cercano e trovano, i modi, a volte in maniera
fortuita, altre volte astutamente, per evitare i tanti pericoli che si vivono in
trincea perché non possiedono alcuna ragione per essere coraggiosi. Una notte,
abbandonati solo per un momento dalla fortuna, cadono prede degli austriaci e
vengono uccisi. Moriranno da eroi: Busacca orgogliosamente, Jacovacci
involontariamente. Un
perfetto antieroe
Il
capolavoro di Mario Monicelli, Leone d’oro a Venezia ex aequo con Il
Generale Della Rovere, è un bellissimo esempio di cinema melodrammatico.
Realizzato al termine degli anni Cinquanta, La Grande Guerra è uno dei
tanti riuscitissimi esempi, appartenenti a quel genere che di lì a poco prenderà
il nome di “commedia all’italiana”, di cui fanno parte film come Il
sorpasso o I soliti ignoti, che si serve della comicità come
ingrediente analgesico delle principali e scottanti tematiche che si vogliono
rappresentare. Facendo leva su due veri e propri “mostri”, che in breve
tempo sarebbero diventati delle vere e proprie maschere ricorrenti
dell’italiano medio, come Alberto Sordi e Vittorio Gassman, Monicelli
tratteggia con lo stile che contraddistinguerà tutta la sua produzione, cinico,
aspro e crudo, gli inutili massacri della Grande Guerra, ponendo l’accento su
chi, come i due protagonisti, non ha alcuna ragione per combattere: un po’ per
paura o semplicemente per mancanza di voglia. La vicenda
presenta, seguendo il classico schema della collettività narrativa, numerosi
personaggi comici, che con le loro singolari storie, ci permettono di osservare
la tragicità della guerra da più punti di vista; nonostante questo importante
aspetto, Gassman e Sordi sono i due veri mattatori dell’intera storia. Il
primo, forte della sua esuberante forza fisica è il tipico “bauscia”
milanese, contrario alla guerra e legato alla sua tradizione e cultura
settentrionale; l’altro, ignorantotto romano, pur essendo pieno di buone
intenzioni, non è capace di concludere niente. La scomoda (per lo spettatore) e
amara figura del personaggio di Sordi è quella che più risalta agli occhi, e
alle orecchie dello spettatore, e sulla quale spendiamo qualche ulteriore
parola. In questo
film Sordi, nonostante all’interno della coppia sembri il personaggio di minor
rilievo, riesce a rubare la scena al possente ed energico Gassman, offrendo
un’interpretazione eccezionale legata soprattutto alla costante,
incancellabile e affranta espressione visiva che tanto lo accompagnerà lungo
tutta la sua carriera di attore. Fondamentalmente Oreste Jacovacci, è uno
sconfitto. Ce ne accorgiamo fin dall’inizio, quando al distretto, conosce
l’altezzoso Busacca: pur non avendo alcun tipo di potere, si spaccia per un
immanicato, “…ci penso io…”. Jacovacci è un buono, un pezzo di
pane, ma non è certamente portatore di grandi valori etici, eroici o di
orgoglio patriottico, infatti, è un vigliacco, un codardo, uno che la patria la
difende solo quando canta. Le sue sono buone intenzioni, ha tanti buoni
propositi “…io uso obbedir tacendo, e tacendo morir…”, “…ho
intenzione di fare grandi cose per la patria”, ma non riesce a dare gli
effettivi riscontri. Ad ogni occasione si mostra per quello che non è, e che
non può essere, cercando vanamente di assomigliare ad un uomo coraggioso,
responsabile e virtuoso, “…fatte da parte, parlo io che so’ el
maggiore”. Per tutta la durata del film vestirà i panni del ruffiano
della compagnia “…com’è oggi il rancio, Jacovacci? Buono signore,
meglio dell’altra volta…”, senza mai smarrire il suo personalissimo, a
tratti dolce, senso di umanità, come vuole dimostrare la sequenza che vede i
due amici pronti a freddare un austriaco dal facile bersaglio “…aspè,
fagli bere prima il caffè”. Per tutto il film sarà un eccellente
antieroe, preoccupato più a tagliarsi le unghie o a racimolare qualche “solfa
nello”, che agli esiti della guerra; opportunista e interessato solo alla
sua pelle, metterà a nudo le caratteristiche del tipico italiano medio. Per
tutto il film sarà così, anche alla fine. Anche se la sua morte servirà a
sconfiggere il nemico, il suo non è un gesto voluto e cercato, come avviene in
Busacca che provoca gli austriaci: la sua è una tragica morte da vigliacco “…io
non so niente!!! Io non so niente!!! Giovà, io c’ho paura…non so niente, se
lo sapessi ve lo direi…io sono un vigliacco!! Lo sanno tutti!”, nel suo
gesto, non c’è nulla di eroico. La morte però, salverà quella dignità che
la vita non gli ha saputo dare.
Matteo Mazza |
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