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Piovani

 

Da quasi tre anni Nicola Piovani, premio oscar per la colonna sonora di La vita è bella di Roberto Benigni, si fa ascoltare nei teatri di tutta Europa con il suo Concerto Fotogramma. Saltando da grandi capitali, a piccoli centri provinciali, da Parigi a Sesto San Giovanni, dove lo abbiamo incontrato, Piovani porta con sè la musica che ha composto per film di grande successo. Partendo da Kaos dei fratelli Taviani, passano per La voce della Luna di Fellini e la stanza del figlio di Moretti, per giungere a Pinocchio di Benigni, il compositore toscano  si racconta sul palco. E lo fa come sa fare lui, accompagnato da un’orchestra di sette elementi, tre cantanti e una voce narrante, seduto dietro il suo pianoforte, sovrastato da uno schermo dove scorrono i fotogrammi dei film nei quali ha lavorato. Concerto fotogramma non è solo colonna sonora. Le musiche di scena dei suoi spettacoli teatrali, infatti, primo tra tutti Canti di scena con i testi di Vincenzo Cerami, entrano senza far rumore, e si accomodano al fianco del motivetto melodico della musica de La vita è bella…

La sua esperienza l’hanno portata a lavorare sia per il cinema che per il teatro. Quali sono le diversità nell’approccio creativo nel comporre per la scena piuttosto che per il grande schermo?

La musica per il cinema e la musica per il teatro sono proprio due zodiaci diversi, due impatti diversi che il pubblico ha rispetto all’opera alla quale sta assistendo. La musica per il cinema deve essere più sorniona possibile, poco visibile, deve lavorare ai fianchi. Quando in un bel film con una bella musica ci accorgiamo troppo della bellezza della musica vuol dire che qualcosa non funziona, perché la musica è la parte più inconscia della percezione dello spettatore cinematografico.

E in teatro?

Mentre per il teatro è tutto a vista, dal pianista che suona sul palco al riflettore che si accende. Il cambio a vista è più bello di un cambio di scena coperto, questo perché a teatro si va a vedere non tanto il risultato finale, ma il viaggio che porta a quel risultato.

Concerto fotogramma può considerarsi, quindi una via di mezzo tra teatro e cinema?

In qualche modo sì, Concerto fotogramma è proprio uno spettacolo teatrale sul lavoro di chi fa la musica da film. Uno spettacolo teatrale che ha per oggetto la musica da film.

Ha lavorato con alcuni dei più grandi registi, quanta libertà musicale ha avuto rispetto al lavoro del regista?

Ho avuto la fortuna di lavorare con grandissimi registi, che sono anche dei grandi poeti, i quali hanno una personalità molto forte, sono capaci di darti molto e tu stesso prendi molto. Lavorando con Fellini o Moretti tu ricevi più di quello che dai, e questa capacità è proprio una dote fondamentale di un  regista.

La musica però non può avere solo un effetto didascalico

No, perché quando è didascalica non è creativa. Un regista chiede sempre ai cuoi collaboratori un rapporto di tipo creativo, restando sempre all’interno di una poetica ovviamente. Non si fa musica genericamente.

La colonna sonora ha quindi una sua indipendenza

A volte sì, altrimenti non sarei qui a fare Concerto Fotogramma. La musica ha una sua vita, una ragion d’essere fuori dalle immagini. Non sempre accade questo però. A volte abbiamo una colonna sonora perfetta, che ci aiuta alla comprensione del film, ma che tolte le immagine è come se non sapesse più di niente.

E come se prendessimo un concerto di Vivaldi e lasciassimo solo il basso continuo, che è un basso continuo perfetto rispetto a quel giro armonico, così accade per la musica da film. Comunque quando si tolgono le immagini qualcosa si perde sempre

Facendo una riflessione sulla situazione del cinema italiano, c’è ora, un regista che può secondo lei emulare le orme degli autori che hanno fatto la storia del cinema italiano dome Fellini o Antonioni?

I grandi autori per nascere hanno bisogno che ci sia un grande cinema, grande anche quantitativamente, e non parlo di incassi, ma di numero di spettatori che seguono il cinema. Se si guarda il numero di spettatori degli anni sessanta e quello di oggi ci si rende conto perché si è tutto ridotto, dal bacino di utenza alla produzione. E

Quindi anche quel cinema di ricerca, che noi chiamavano d’essai, che viveva al fianco come un animale che cammina su una balena, la quale si è rimpicciolita anche quella insieme a tutto il resto.

Un film del passato che avrebbe voluto musicare?

Sciuscià. Avrei voluto musicare l’opera omnia di De Sica. Provate a pensare cosa sarebbe stato lavorare a ladri di Biciclette

di Stefano De Grandis

 

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Aggiornato il: 25 marzo 2003