Rassegna Stampa




Chiamatemi Moni, l'ebreo narrante

di Rita Tripodi

Con quel naso piccolo che pare scolpito da un chirurgo Moni Ovadia non somiglia a un ebreo. Ma a uno slavo sì. Una bella faccia alla Dostoevski da giovane, con capelli incolti e il solito cappello nero. Dopo essere stato amato dai critici, Moni Ovadia ha conquistato il grande successo del pubblico. Questo è il suo anno. E' al teatro Franco Parenti di Milano con "Dybbuk". E con "Taibele", ispirato un racconto di Isaac Singer, sarà al Piccolo in febbraio insieme a Pamela Villoresi. In scena Moni è un interprete trascinante del Klezmer, l'antica musica yiddish degli ebrei dell'Est europeo. E lo vedremo anche al cinema. Dopo aver fatto l'eremita in "Caro diario" di Nanni Moretti, Moni è protagonista in "Dov'è Yankel" dell'esordiente Paolo Rosa, nel film a episodi "Miracoli", di prossima uscita.
Moni (Salomone) Ovadia nato in Bulgaria da una famiglia di origine sefardita: il nonno funzionario.delle ferrovie austroungariche decorato con la croce d'oro al valor civile, il padre Bohor, violinista e la madre Vittoria, cantante. Negli anni Sessanta, quando Moni è un ragazzino, la famiglia si trasferisce a Milano. Così l'ebreo e bulgaro Moni Ovadia diventa anche milanese. A Milano Moni frequenta la scuola ebrea e vive al quartiere popolare del Giambellino. Una fortuna, ricorda l'attore: "Dopo i compiti potevo giocare con i bambini in cortile e intanto a scuola incontravo persone che sarebbero state importanti per le mie scelte artistiche: il primo fu un professore che aveva una grandissima collezione di musica etnica. Proprio a scuola Ovadia forma un gruppo che si esibisce con un repertorio etnico folk internazionale. Poi conosce il musicologo Roberto Leydi ed entra come cantante e attore nel gruppo Almanacco Popolare, guidato da Leydi e dalla moglie Mara Cantoni, una brava cantante. Ha pure la fortuna di conoscere Ahna Roth, una cantante yiddish di straordinaria forza espressiva.
Nel'68 gira l'Europa con dei ragazzi barbuti e contestatori, gli Stormy Six. "Cercavamo canzoni fuori dalla logica dei generi", ricorda Moni. "Entrammo nell'area di quella seconda cultura, non colta e neppure commerciale, che mirava a un rapporto etico con il pubblico." Dopo alcuni anni gli Stormy Six si sciolgono. Moni si laurea in Scienze Politiche. Qualche anno dopo arriva in Italia il gruppo del teatro Cricot di Tadeuz Kantor e Ovadia fa il cantante ne 'La classe morta". Kantor lo vorrebbe con lui. Ma Ovadia pensa a un gruppo suo per eseguire le musiche klezmer, ballate e canzoni accompagnate da violino e clarinetto, gli strumenti dell'ebreo errante. Da tempo Ovadia studia il klezmer, assimilazione di idiomi musicali di vari popoli di Boemia, Moravia, Austria, Germania, Ungheria e degli ebrei dell'Est-Europa.
Nel 1990 il grande sogno si realizza. Ovadia forma il Theater Orchestra con cinque splendidi musicisti e con lo spettacolo "Oylem Golem" gira il mondo. E' il successo. "Uno spettacolo", ha scritto Giovanni Raboni, "dove si passa con naturalezza dalla risata alla commozione allo sgomento". Nello humour grottesco feroce, non italiano Ovadia ricorda il grande attore di cabaret Karl Valentin del tempo della Repubblica di Weimar. Con una differenza: Valentin era violento. Ovadia stempera tutta la sua ironia nella dolcezza, nelle battute epocali.
La comunità ebraica accorre commossa ed entusiasta. Il pubblico elettrizzato da questo esplosivo cocktail di storie, balli e canti, di nostalgia e di disperazione. Il fulcro è la storica abitudine a compiangersi degli ebrei, che Ovadia interpreta con ironia in varie lingue. Fonti privilegiate per le storie dei suoi spettacoli sono le cerimonie che si svolgono in una piccola sinagoga vicino a Porta Romana, a Milano. Moni la frequenta rapito dalla personalità del rabbino, padre di ben 15 figli, tutti con la stessa moglie che si conserva freschissima. "Nella sinagoga non perde mai l'occasione per recitare", dice serio Moni: "Se il rabbino dovesse decidere di fare l'attore, io dovrei cambiare mestiere"

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