Teatrografia |
1° parte: | 2° parte: | 3° parte: | 4° parte: |
1984 - 1991 | 1993 - 1996 | 1996 - 1998 | 1998 |
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Mame, Mamele, Mama, Mame, Mamma, Mamà |
ideato e diretto da Moni Ovadia | |
Scene: Gianni Carluccio e Carluccio Rossi Costumi: Franca Albani Luci: Amerigo Varesi Suono: Mauro Pagiaro Aiuto regista: Laura Torelli Aiuto scenografo: Walter Carreri Elaborazione delle musiche: Carlo Boccadoro e Gian Pietro Marazza Interpreti: Moni Ovadia, Olek Mincer, Lee Colbert, Ivo Bucciarelli e la TheaterOrchestra: Luca Bonvini, Gianni Cannata, Amerigo Daveri, Vladimir Denissenkov, Cosimo Gallotta, Janos Hasur, Aleksandar Karlic, Massimo Marcer, Patrick Novara, Vincenzo Pasquariello, Emilio Vallorani Voci fuori campo: Maria Colegni (canto), Olga Scevakenova Produzione: CRT Artificio Milano in collaborazione con Piccolo Teatro di Milano - Teatro d'Europa e Teatro della Fortuna di Fano Fano, Teatro della Fortuna, 4 novembre 1998 | |
Lo spettacolo Sulla soglia del terzo millennio, le impetuose trasformazioni tecnologiche e scientifiche annunciano un'era nuova che sembra preannunciare trasformazioni antropologiche sino a pochi anni fa del tutto inimmaginabili. L'ingegneria genetica ha aperto le porte a una forma di creazione che sembra, nel futuro, poter fare a meno delle leggi generative naturali. Questo nuovo processo generativo ha valenze simboliche e fantasmatiche vertiginose. La "logica maschile" dell'agire "scientifico" sembra aver varcato l'ultima frontiera per conquistare un territorio che era prerogativa femminile: la pietas generativa della donna, sintesi misteriosa di umano e divino. Per noi, nati e cresciuti ed educati - ultima di migliaia di generazioni - nella realtà e nel mito della madre come unicum generativo, questo evento epocale può suonare come campana a morto di un tipo di essere umano che ha abitato questo pianeta con le conseguenze che conosciamo e che non lo abiterà più. Orfani dunque non solo di nostra madre ma della madre tout court, ci volgiamo con un impulso e una necessità irrefrenabili a contemplare il crepuscolo di questa divinità umana nella sua realtà proteiforme per cantare, nel bene e nel male, le sue glorie. |
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La scena Lo spazio in cui si dipana lo spettacolo è un luogo in cui si svolgono delle prove.Ci sono alcune sedie, un pianoforte, dei leggii e un bric brac di oggetti e cianfrusglie, rimasugli di prove precedenti e forse di altre epoche. Ci sono anche unorchestrina di autòmi e due macchine-gobbi, composte di strani ingranaggi che trasportano delle striscie di stoffa su cui si leggono le didascalie esplicative degli accadamenti scenici. Prima dellinizio di una prova dorchestra una voce annuncia che la madre è morta. Non si sa di chi sia la madre morta, ma è morta la madre! Si scatenano liturgie, litanie, filastrocche, danze, canti, memorie letterarie, storie e storielle per ritrovare attraverso vari frammenti di madre la madre che ciascuno cerca, vuole o respinge nel suo intimo. Un elenco apocalittico annuncerà il delirio delle mutazioni di un essere materno sempre più separato da sé. Tutti cantano, suonano, parlano, alla disperata ricerca di ricostruire unimmagine materna che si è infranta definitivamente. La lingua ufficiale di appartenenza, la lingua madre, si mescola con le mamme/lingue straniere improprie, reali o immaginarie. Il tutto diventa una specie di burlesque tragicomico che cerca di portarci in una camera di specchi, di riconoscimenti e disconoscimenti che si riflettono luno sullaltro. Uno spettacolo per madri e figli ma non proibito al resto della famiglia. |