DICHIARAZIONE DI COLONIA

"CONTRO L'INTERDIZIONE - PER UNA CATTOLICITÀ APERTA" ( 1989)

Diversi fatti accaduti nella nostra chiesa cattolica ci inducono a fare una dichiarazione pubblica. Sono soprattutto tre ordini di problemi a preoccuparci:

1. La curia romana mette risolutamente in pratica l'idea di coprire unilateralmente le sedi episcopali di tutto il mondo senza tener conto delle proposte delle chiese locali e ledendo i loro diritti acquisiti.

2. In tutto il mondo, in molti casi, viene negata a teologi e teologhe qualificati l'autorizzazione ecclesiastica all'insegnamento. Si tratta di un grave e pericoloso attentato alla libertà di ricerca e di insegnamento, oltre che alla struttura dialogica della conoscenza teologica, che il Concilio Vaticano II ha ribadito in molti testi. Il conferimento dell'autorizzazione ecclesiastica all'insegnamento viene indebitamente utilizzato come strumento disciplinare.

3. Stiamo assistendo al tentativo, estremamente discutibile dal punto di vista teologico, di rafforzare ed estendere in modo indebito la competenza magisteriale del papa, oltre a quella giurisdizionale.

Prestando attenzione a questi tre ordini di problemi, vediamo i segni di una trasformazione della chiesa postconciliare:

- di uno strisciante mutamento strutturale nel senso di un'estensione indebita del potere giurisdizionale;

- di una progressiva interdizione delle chiese particolari, di un rifiuto dell'argomentazione teologica, e di una diminuzione dell'ambito di competenza dei laici nella chiesa;

- di un antagonismo proveniente dall'alto, che inasprisce i conflitti nella chiesa con il ricorso a misure disciplinari.

Siamo convinti che su queste cose non possiamo tacere. Riteniamo necessaria questa presa di posizione

- in ragione della nostra responsabilità nei confronti della fede cristiana,

- nell'esercizio del nostro servizio di docenti di teologia,

- per il rispetto che dobbiamo alla nostra coscienza,

- in solidarietà con tutte le donne e tutti gli uomini cristiani scandalizzati o addirittura disperati per i recenti sviluppi occorsi nella nostra chiesa.

 

1. Per quanto riguarda le recenti nomine episcopali da parte di Roma in tutto il mondo, e soprattutto in Austria, in Svizzera e qui a Colonia, dichiariamo.

Ci sono diritti tradizionali, persino codificati, favorevoli al concorso delle chiese locali, diritti che hanno caratterizzato fino a oggi la storia della chiesa. Essi fanno parte della multiforme vita della chiesa.

Quando le chiese locali (come è accaduto in America Latina, nello Sri Lanka, in Spagna, in Olanda, in Svizzera, in Austria e qui a Colonia) vengono disciplinate mediante le nomine episcopali o altre misure, spesso fondate su sospetti e analisi errate, vengono defraudate della loro autonomia.

L'apertura della chiesa cattolica alla collegialità tra papa e vescovi, che pure è stata una delle acquisizioni fondamentali del Concilio Vaticano II, viene soffocata da un nuovo centralismo romano.

L'esercizio dell'autorità, quale trova espressione nelle recenti nomine episcopali, è in contrasto con la fraternità del Vangelo, con le esperienze positive dello sviluppo dei diritti di libertà e con la collegialità dei vescovi. La prassi attuale ostacola il processo ecumenico in punti essenziali.

In riferimento all' "affare di Colonia", riteniamo scandaloso il fatto di cambiare le norme dell'elezione con il procedimento in corso. In questo modo è stata duramente colpita la coscienza di una correttezza procedurale.

L'autorevolezza e la dignità del ministero papale richiedono una certa sensibilità nel rapporto con il potere e con le istituzioni costituite.

La scelta dei candidati all'episcopato esprime il pluralismo della chiesa in maniera adeguata; il procedimento di nomina non è una scelta privata del papa.

Il ruolo delle nunziature diventa oggi sempre più discutibile. Benchè le vie di trasmissione di informazioni e i contatti personali siano semplificati, la nunziatura tende a trasformarli sempre più in un odioso servizio investigativo, che spesso con la scelta unilaterale delle informazioni crea quelle deviazioni di cui è appunto alla ricerca.

- L'obbedienza nei confronti del papa, che in tempi recenti viene sempre più spesso dichiarata e pretesa da vescovi e cardinali, ha l'aspetto di un'obbedienza cieca. L'obbedienza ecclesiale a servizio del Vangelo richiede la disponibilità a un'opposizione costruttiva ( cfr. Codex Iuris Canonici, can. 212, § 3). Invitiamo i vescovi a ricordarsi dell'esempio di Paolo, che è rimasto in comunione con Pietro pur "resistendogli in faccia" nella questione della missione tra i pagani (Gal 2,11).

 

2. Sul problema delle cattedre di teologia e sul conferimento dell'autorizzazione ecclesiastica all'insegnamento noi dichiariamo:

- Vanno salvaguardate la competenza e la del vescovo locale, fondate teologicamente e a volte tutelate dai concordati, in materia di conferimento o di ritiro dell'autorizzazione ecclesiastica all'insegnamento. i vescovi non sono organi esecutivi del papa. L'attuale prassi, volta a violare all'interno della chiesa il principio di sussidiarietà nelle chiare competenze del vescovo locale in materia di insegnamento della fede e della morale, crea una situazione insostenibile. Un intervento romano nel conferimento o nel ritiro dell'autorizzazione all'insegnamento indipendentemente dalla chiesa locale o addirittura contro l'esplicito convincimento del vescovo locale rischia di provocare la decadenza di competenze costituite e consolidate.

- Le obiezioni contro il conferimento dell'autorizzazione all'insegnamento e, tanto più, le decisioni in questa materia devono fondarsi su argomenti motivati ed essere giustificate in base alle norme accademiche in vigore. Un arbitrio in questo campo mette in discussione la stessa esistenza della facoltà di teologia cattolica nelle università statali.

- Non tutti gli insegnamenti della chiesa sono ugualmente certi e hanno un uguale peso dal punto di vista teologico. Noi ci opponiamo alla violazione di questa dottrina dei gradi della certezza teologica ovvero della "gerarchia delle verità" nella prassi del conferimento e della negazione dell'autorizzazione ecclesiastica all'insegnamento. Singole questioni etiche e dogmatiche di dettaglio non possono perciò venire contrabbandate arbitrariamente come atte a stabilire l'identità della fede, mentre comportamenti morali direttamente legati alla prassi della fede (come quelli, ad esempio, contrari alle torture, alla discriminazione razziale o allo sfruttamento) non sembrano avere la stessa importanza teologica nella questione della verità.

- Il diritto all'autonomia organizzativa delle facoltà e degli istituti superiori nella scelta degli insegnanti non può essere completamente conculcato da un esercizio arbitrario della potestà di conferire o negare l'autorizzazione ecclesiastica all'insegnamento.

- Se nelle università, sotto la pressione di tali problemi, si perviene alla scelta dei professori e delle professoresse di teologia in base a criteri extrascientifici, ciò non può che portare a uno scadimento della dignità della teologia nelle università stesse.

 

3. Di fronte al tentativo di estendere in maniera inammissibile la competenza magisteriale del papa dichiariamo :

- Recentemente, rivolgendosi a teologi e a vescovi, il papa ha collegato la dottrina della regolazione delle nascite - senza tener conto del grado di certezza e del diverso peso degli asserti ecclesiastici - con verità di fede fondamentali quali la santità di Dio e la redenzione a opera di Gesù Cristo, così che coloro i quali criticano l'insegnamento papale sulla regolazione delle nascite vengono accusati di "minare i pilastri fondamentali della dottrina cristiana", anzi con il loro richiamarsi alla dignità della coscienza essi cadrebbero nell'errore di rendere "vana la croce di Cristo", di "distruggere il mistero di Dio" e di negare la "dignità dell'uomo". I concetti di "verità fondamentale" e di "rivelazione divina" vengono usati dal papa per sostenere una dottrina del tutto particolare, che non può essere giustificata in base alla Sacra Scrittura, nè in base alle tradizioni della chiesa (cfr. i discorsi del 15 ottobre e del 12 novembre 1988).

- L'affinità, ribadita dal papa, tra tali verità non significa che esse abbiano un uguale valore e debbano essere poste sullo stesso piano. Il Concilio Vaticano II afferma: "Nel mettere a confronto le dottrine si ricordino che esiste un ordine o "gerarchia" nelle verità della dottrina cattolica, essendo diverso il loro nesso col fondamento della fede cristiana" (Decreto sull'ecumenismo, n. 11). Analogamente si devono tenere presenti i diversi gradi di certezza delle affermazioni teologiche e i limiti della conoscenza teologica nelle questioni medico-antropologiche.

- Anche il magistero pontificio ha riconosciuto alla teologia la dignità di verificare gli argomenti addotti in favore delle affermazioni e delle norme di carattere teologico. Questa dignità non può essere lesa dal divieto di pensare e parlare. La verifica scientifica ha bisogno dell'argomentazione e della comunicazione.

- La coscienza non è un surrogato del magistero pontificio, come potrebbe apparire dai discorsi citati. Piuttosto, nell'interpretazione della verità, il magistero deve anche tenere conto della coscienza dei fedeli. Sopprimere la tensione tra dottrina e coscienza equivale ad attentare alla dignità di quest’ultima.

Secondo la convinzione di molti nella chiesa la norma sulla regolazione delle nascite stabilita dall'enciclica Humanae vitae del 1968 rappresenta un orientamento che non sostituisce la responsabilità della coscienza dei fedeli. Alcuni vescovi, tra i quali quelli tedeschi nella loro "Dichiarazione di Konigstein" ( 1968), e alcuni moralisti hanno ritenuto corretta questa convinzione di molti cristiani, uomini e donne, perché sono convinti che la dignità della coscienza non consiste solo nell'obbedienza, ma anche nella responsabilità. Un papa, che così spesso si richiama a questa responsabilità dei cristiani, uomini e donne, nel dominio dell'agire intramondano, non dovrebbe ignorarla sistematicamente nei casi seri. Del resto deploriamo la continua insistenza del magistero pontificio su questo ordine di problemi.

 

Conclusione

- La chiesa è al servizio di Gesù Cristo. Essa deve resistere alla continua tentazione di abusare del suo vangelo della giustizia, misericordia e fedeltà di Dio mediante forme discutibili di dominio a salvaguardia del proprio potere. Essa è stata concepita dal Concilio come il popolo peregrinante di Dio e la relazione di vita esistente tra i credenti (communio ) ; essa non è una città assediata, che erige i propri bastioni e si difende con durezza sia all'interno sia all'esterno.

- Condividiamo con i pastori diverse preoccupazioni per la chiesa nel mondo odierno in ragione della nostra comune testimonianza. Soccorrere le chiese povere, liberare quelle ricche da ogni sorta di irretimenti e promuovere l'unità della chiesa, sono obiettivi che comprendiamo e per i quali ci impegnamo.

- Tuttavia i teologi, che stanno al servizio della chiesa, hanno anche il dovere di esercitare pubblicamente la critica se l'autorità ecclesiastica fa un uso sbagliato del suo potere, contraddicendo così le sue finalità, ostacolando il cammino verso l'ecumene, sconfessando le aperture del Concilio.

- Il papa rivendica il ministero dell'unità. Appartiene perciò alla sua funzione di comporre i casi di conflitto, cosa che egli ha fatto in maniera eccessiva nel caso di Marcel Lefebvre e dei suoi seguaci, benchè questi avessero messo radicalmente in questione il magistero. Non è proprio del suo ufficio inasprire, senza alcun tentativo di dialogo, conflitti di secondaria importanza, o risolverli magisterialmente in maniera unilaterale, facendone oggetto di discriminazione. Quando il papa fa ciò che non è proprio del suo ministero, non può esigere l'obbedienza in nome della cattolicità, deve piuttosto attendersi un'opposizione.

Questa dichiarazione, promossa dai teologi tubinghesi Norbert Greinacher e Dietmar Mieth e da un primo gruppo di sottoscrittori, è stata sottoscritta da 162 professori di teologia cattolica di lingua tedesca. Analoghe dichiarazioni sono state promosse in Belgio, Francia, Spagna, Italia, Brasile e negli Stati Uniti. La dichiarazione è stata inoltre sottoscritta, in Olanda, da circa 17.000 e, nella Repubblica Federale di Germania, da circa 16.000 parroci e laici, oltre che da circa cento gruppi cattolici.