1.2 Il Medioevo
1.3 L'Età Moderna
1.4 L'Età Contemporanea
Il bambino è figura del sociale scoperta solo recentemente e a tutt'oggi
ancora scarsamente ricostruita nel suo passato, un passato coperto dal silenzio,
da un alone misterioso che ne impedisce una ricostruzione storica completa e
separata dal mondo dell'adulto. "Un'infanzia dura e breve, senza memoria,
senza storia propria."1
Tutto ciò va ricondotto,
più che alla mancanza di "interesse" per l'infanzia come oggetto storico, al
modo con cui il mondo adulto percepisce e rappresenta la propria relazione con
essa.
Il bambino è divenuto veramente oggetto di osservazione storica solo
quando nell'immaginazione collettiva si è formata l'idea che la stessa infanzia
dovesse essere un soggetto di relazione. Tale circostanza ha coinciso con
l'evoluzione di discipline particolari quali la psicologia, la sociologia, la
pedagogia e con il conseguente sviluppo del diritto e della normativa
sociale.
Solo di recente, dunque, questa età della vita è stata riconosciuta
come tappa fondamentale dello sviluppo e della formazione dell'individuo e "al
bambino è permesso vivere da bambino".
Gli studi fatti dagli storici della
famiglia mostrano un quadro complesso e a volte contraddittorio sulla condizione
dei bambini ed in particolare sul fenomeno del maltrattamento e della
trascuratezza, la sua diffusione e il suo riconoscimento.2
De Mause, uno degli studiosi più noti della storia
dell'infanzia, scrive:
"la storia dell'infanzia è un incubo dal quale solo
di recente abbiamo cominciato a destarci. Più si va addietro nella storia più
basso appare il grado di attenzione per il bambino, e più frequentemente tocca a
costui la sorte di venire assassinato, abbandonato, picchiato, terrorizzato, e
di subire violenze sessuali". 3
Nonostante, quindi,
le poche fonti di cui disponiamo, sono numerosi gli abusi subiti dai bambini nel
corso della storia.
"Nell'antichità classica il bambino era considerato non
un essere con un valore in sé, ma un essere menomato perché mancante delle doti
di un adulto. L'infanzia era ritenuta un'età imperfetta e, per questo, era
oggetto di autoritarismo vessatorio e di discipline oppressive".4
Presso le antiche
culture, il neonato diveniva parte integrante del genere umano solo a seguito di
riti che ne segnavano la "nascita sociale". L'imposizione del nome da parte del
padre, che accoglieva il bambino nella comunità familiare, aveva una rilevanza
sociale non trascurabile. Il periodo precedente a tali cerimonie era
particolarmente significativo per la sopravvivenza del neonato, in quanto in
questo arco di tempo il padre poteva condannarlo a morte senza incorrere in
alcuna sanzione.
Il codice di Hammurabi, in vigore a Babilonia nel XIX
secolo a.C., non prevedeva alcuna punizione per il padre infanticida poiché il
neonato non godeva ancora di alcun riconoscimento giuridico, né come individuo,
né come membro della famiglia. Solo nel caso in cui il bambino veniva
"eliminato" dopo essere stato riconosciuto erano previste forti pene.
Pratica ricorrente nell'antichità erano i sacrifici di bambini e neonati
agli dei; comunemente accettata e praticata era anche l'uccisione di bambini
deformi o non desiderati. In Grecia i bambini deformi venivano gettati dalla
rupe Tarpea e tale comportamento era giustificato anche dai filosofi: Platone,
nel V libro della Repubblica, sosteneva l'esigenza di nascondere "in luogo
segreto e occulto" i bambini "minorati"; Aristotele nella Politica, in nome
dell'ordine sociale e della sicurezza civile, giustificava l'infanticidio nei
casi in cui le cure e l'allevamento dei neonati comportavano una sottrazione di
risorse per la famiglia e la comunità.
Nel diritto romano arcaico, i poteri
del "pater familias" prevedevano il decidere della vita dei figli (ius
vitae et necis) oltre a quello di decidere del loro matrimonio (ius noxae
dandi).
Tale stato di sottomissione, proprio dei minori nella famiglia
patriarcale, rafforzava due opinioni: una, era quella per cui i bambini erano
proprietà dei genitori e si riteneva naturale che essi avessero pieno diritto su
di loro; e conseguentemente quella secondo cui i genitori erano considerati
unici responsabili dei figli, per cui un "trattamento severo" veniva
giustificato dalla convinzione che fossero necessarie le punizioni, anche
corporali, per mantenere la disciplina, trasmettere le buone maniere e
correggere le cattive inclinazioni.
Nel periodo imperiale era diffusa la
pratica dell'abbandono e la "Columna Lactaria" era il luogo in cui si
radunavano le balie per allattare i bambini che vi venivano abbandonati.
In
oltre, fin dagli albori della storia, la sorte del bambino fu quella di essere
oggetto di violenza sessuale.
Quando si affronta il fenomeno complesso della
sessualità umana, bisogna considerare il ruolo che assumono, nel determinare e
dirigere i comportamenti, i costumi, le tradizioni, le norme morali e sociali.
Gli aspetti della sessualità, infatti, possono mutare nel tempo e nello spazio e
alcune norme sul sesso non hanno un carattere universale e culture differenti,
seppur geograficamente vicine, possono adottare comportamenti diversi.
All'epoca di Mosè, e nonostante egli abbia duramente condannato la
corruzione infantile, i costumi ebraici, che erano rigorosissimi verso
l'omosessualità tra adulti, erano indulgenti nei confronti dei giovani e, se la
sodomia su bambini di età superiore ai nove anni veniva considerata cosa tanto
grave da essere punita con la lapidazione, l'atto sessuale con bambini di età
inferiore non veniva neppure ritenuto tale. La sanzione si limitava a qualche
frustata poiché azione contraria all'ordine pubblico.
Nell'antica Grecia e
in particolare ad Atene le relazioni omosessuali con ragazzi facevano parte dei
costumi della città. In modo particolare Atene si distingueva per le norme
sulla pederastia. Gli ateniesi ritenevano che l'amore, anche fisico, che
poteva legare un adulto ad un giovinetto fosse una condizione favorevole alla
trasmissione del sapere e delle leggi della città e consentisse di trasmettere
la saggezza acquisita con l'età. Ciò che interessava del ragazzo non era la
sessualità in sé, quanto la sua formazione e lo sviluppo della personalità. Così
la pederastia era non soltanto accettata ma, addirittura, considerata una
conseguenza plausibile del rapporto docente-discente.
La pederastia è un
tipo di rapporto estraneo alla nostra mentalità e che si differenzia sia
dall'omosessualità che dalla pedofilia così come noi oggi le intendiamo, in
quanto gli ateniesi di allora rivolgevano le loro attenzioni soltanto ai ragazzi
puberi che però dovevano essere consenzienti. Il sesso con soggetti pre-puberi,
(pedofilia), era punito con condanne severe, fino alla pena di morte.
In
questo contesto culturale crescere ad Atene significava spesso, anche per i più
piccoli, venire esposti alle aggressioni degli adulti tanto che il legislatore è
stato costretto a promulgare delle leggi che vietavano agli insegnanti e agli
allenatori di aprire aule e palestre prima dell'alba e che imponevano di
chiuderle prima del tramonto onde evitare che si trovassero al buio con i loro
piccoli alunni. 5
Le
contraddizioni presenti in questa questione non mancarono di suscitare,
nonostante la normativa in vigore, qualche problema dal punto di vista morale e
psicologico come dimostra il fatto che Platone (427-347 a. C.) arrivò ad
augurarsi che gli abusi nei confronti dei minori fossero proibiti dalla legge e
Eschilo (525-456 a. C.) nel dramma teatrale Laio rappresentò questo problema.
Nell'antica Roma la situazione non era migliore, omosessualità e pederastia
erano diffuse, senza però quella giustificazione pedagogica e filosofica tipica
dei greci. La pedofilia, invece, era ufficialmente condannata, come in Grecia,
sebbene la prostituzione maschile e femminile fosse largamente diffusa e le
prostitute fossero generalmente schiave e giovanissime.
La letteratura romana
ci offre un ampio e particolareggiato quadro su storie di omosessualità,
castrazioni, stupri ed altri affreschi di varia oscenità in cui le vittime sono
troppo spesso i bambini. Petronio, per esempio, nel Satyricon descrive, con
compiaciuta abilità, la gaia atmosfera nella quale si è consumato lo stupro di
una bambina di sette anni fra gli applausi degli astanti, tra i quali non
mancavano le donne. Tacito e Svetonio concordano nel riferire e condannare l'uso
dell'imperatore Tiberio di fare giochi sessuali, durante il bagno, con bambini
molto piccoli.
Va infine detto che, mentre nella Grecia classica le
fanciulle si sposavano tra i 18-20 anni, a Roma potevano sposarsi a partire dal
dodicesimo compleanno, in quanto si riteneva che i rapporti sessuali
facilitassero la comparsa del menarca. Il costume dei matrimoni precoci per le
donne si conservò a lungo. Il fenomeno indica la scarsa considerazione in cui
erano tenute le donne e una diversa scansione delle età della vita. Mostra che
l'iniziazione al sesso era precocissima e ciò che noi consideriamo aberrante a
quei tempi era considerato normale o tollerabile.
In questa breve carrellata
su quelli che noi oggi definiamo abusi, ma che nel contesto dell'epoca in cui
vanno inseriti non furono ritenuti tali dalla stragrande maggioranza dei
cittadini di quel tempo, si parla quasi sempre di maschietti. Sulle bambine è
invece silenzio perché si trattava di "merce" sottovalutata, perciò qualunque
cosa venisse fatta con loro o contro di loro non era suscettibile di interesse o
addirittura mostrare qualche interesse sarebbe potuto apparire sminuente.
Nel mondo Medievale la situazione dell'infanzia all'interno della famiglia e
della società in generale non muta sostanzialmente. Diminuiscono notevolmente
gli infanticidi di bambini legittimi, mentre resta costante la soppressione dei
figli naturali; elevata rimane anche la mortalità infantile dovuta a malattie e
trascuratezza. Le notizie che possediamo sulle abitudini e le pratiche di
allevamento si riferiscono quasi esclusivamente alla classe nobiliare e ci
mostrano un bambino poco abituato alle carezze e alle manifestazioni di affetto
materne.
L'arte medievale rappresenta il bambino, almeno fino al dodicesimo
secolo, come un adulto in miniatura. All'età di sette anni entrava a far parte
del mondo degli adulti, infatti, veniva inviato presso terzi per apprendere un
mestiere o, se di nobili origini, soprattutto se cadetto, veniva affidato alle
cure particolari di un maestro.
Nel corso del Medioevo e nei secoli
successivi vi fu sempre una diffusa promiscuità tra adulti e bambini anche per
la condivisione degli spazi sia di giorno che di notte. Dormire da soli non era
un'abitudine diffusa e i bambini rimanevano spesso nel letto o nella stanza dei
genitori, o in quella di altri parenti o servitori, anche quando ormai erano un
po' cresciuti. Ne deriva che essi potevano essere facilmente oggetto di
attenzioni e molestie da parte di qualche membro del nucleo familiare (famiglia
allargata di cui facevano parte anche nonni, zii e cugini). Questa abitudine
rimase sino all'inizio del seicento e oltre, non soltanto tra il popolo ma anche
tra i nobili, come testimonia un minuzioso diario della vita del re di Francia,
Luigi XIII, scritto dal suo medico Heroard. In questo scritto si trovano delle
indicazioni sulla licenza che si usava con i bambini, sulla grossolanità degli
scherzi e degli atteggiamenti, di cui pochi si scandalizzavano.
Secondo lo
storico Philippe Ariès il clima culturale era uguale in tutte le famiglie,
nobili o no.
Nella seconda metà del seicento si iniziò a guardare con
sospetto a questo tipo di licenze e, proprio alla corte di Francia, nacque una
letteratura pedagogica ad uso degli educatori che aveva la funzione di
salvaguardare l'innocenza infantile. Si raccomandava di non far dormire più
bambini nello stesso letto, di evitare di coccolarli, di sorvegliare le loro
letture, di non lasciarli soli con i domestici.6
La morale cristiana andava diffondendo un nuovo atteggiamento nei confronti
della sessualità infantile e nuove regole di comportamento, che alcune famiglie
accettavano e altre invece ignoravano.
Scrive Angela Giallongo ne Il
bambino medievale: "Il dualismo "innocenza colpevolezza", oggetto della
tematica cristiana fin dai primi secoli, fu alla base dell'etica pedagogica
medievale, divisa fra il considerare l'infanzia desessualizzata e ritenerla
incline a ogni genere di vizio. Partendo da questi elementi contraddittori si
combinarono norme preventive e provvedimenti repressivi, che abituavano fin
dalla nascita ad una certa estraneità dal corpo e che proibivano gesti
affettuosi da parte dei genitori, maestri e adulti in genere verso i bambini e
fra i bambini stessi. Il Dominici nel dettare nel XV secolo le "regoluzze"
adatte, riconosceva che sebbene prima dei cinque anni non si manifestassero
preoccupanti impulsi naturali, tuttavia non bisognava abituare il bambino a
certe pratiche che avrebbe ripetuto senza freni perdendo così definitivamente il
senso del pudore. Pertanto andare vestito con una camiciola, il non vedere nudi
il padre e la madre, né tanto meno toccarli, il non stare a contatto con le
sorelle né di giorno né di notte, erano cautele da mettere in atto subito dopo i
tre anni. Il problema dei rapporti omosessuali ed eterosessuali tra bambini,
inclusa la masturbazione, diventarono una vera propria ossessione per gli
educatori, dopo il XV secolo..7
In epoca moderna il bambino diventa oggetto di maggiore interesse da parte di
"esperti" (medici, maestri, filosofi) e l'opinione pubblica prende lentamente coscienza del
problema della tutela del bambino e dei suoi diritti, ciò si riflette positivamente sulle
modalità di allevamento e di cura.
Questo processo di "coscientizzazione" è
legato a significativi cambiamenti sociali. Uno di questi è sicuramente il
mutamento della struttura familiare. La nascita della famiglia nucleare,
costituita da genitori e figli non sposati, porta a una maggiore centralità del
bambino, seppur con accentuazioni diverse nei paesi dominati dalla Riforma
protestante e dalla Controriforma cattolica.
"Questa tendenza
puerocentrica sempre più marcata è documentabile dalla creazione, a partire
dalle classi aristocratiche e colte, di un mondo proprio dei bambini
(giocattoli, abbigliamento, passatempi…),e culmina con l'organizzazione di
istituzioni scolastiche pensate appositamente per loro".8
Dal XVI secolo notevole importanza assumono le
rivoluzioni religiose che talvolta ebbero conseguenze ideologicamente negative
per l'infanzia. Nei paesi anglosassoni la riforma protestante ed in particolare
il puritanesimo, considerando il bambino come un individuo "depravato" e da
"redimere", sostennero e predicarono un'azione educativa che faceva ampio uso di
punizioni corporali per cercare di vincere le sue inclinazioni
malvagie.
Calvino affermava che "solo spezzando totalmente la volontà del
bambino, questo può essere salvato dallo spirito innato del male insito in
lui".9
Intanto la campagna avviata dai moralisti rinascimentali contro le molestie
sui bambini è continuata per tutto il XVII secolo finché nel XVIII, e questo è
singolare perché siamo in pieno illuminismo, ha cambiato tono facendosi
esasperata non tanto verso l'abusante, quanto e soprattutto verso il bambino
stesso che si è visto sanzionato, persino per quelle attività sessuali relative
al suo sviluppo, con pesanti punizioni che si traducevano in veri e propri
maltrattamenti sia fisici che psichici.
Nel secolo scorso poi i medici hanno
propagato la diffusione di bizzarre leggende che ipotizzavano ancor più bizzarre
conseguenze dell'attività sessuale infantile quali pazzia, cecità, epilessia,
facendo così scattare una virulenta battaglia repressiva da parte dei genitori
che si sono accaniti con inaudita violenza sui loro figli fino ad applicar loro
sanzioni mutilanti. A tal proposito scrivono A. Oliverio Ferraris e B.
Graziosi:
"Nell'Inghilterra vittoriana il timore del sesso portò ad
adottare misure molto restrittive. Per evitare che i ragazzi si masturbassero
vennero realizzate delle gabbie che venivano applicate di notte sugli organi
genitali, per poi essere chiuse ermeticamente e riaperte soltanto al mattino. Il
massimo ritrovato della tecnica fu però un apparecchio che in corso di erezioni
spontanee faceva suonare un campanello per richiamare l'attenzione dei
preoccupati genitori."10
A partire dal XVII
secolo in tutte le classi sociali si diffuse l'abitudine del "baliatico", che consisteva
nell'affidare i neonati ad una nutrice per un periodo di almeno due anni. Per i
lattanti affidati a balie povere, in genere contadine, ciò significava molto
spesso denutrizione, carenze igieniche, abbandono, mortalità molto elevata.
La rivoluzione industriale non migliorò le condizioni dell'infanzia, ma anzi
aumenta su larga scala lo sfruttamento del lavoro minorile.
Nelle grandi
città della Francia e dell'Inghilterra i piccoli lavoratori, servi, garzoni,
apprendisti erano numerosissimi. L'età minima poteva essere di sei anni, sebbene
talvolta potesse abbassarsi a quattro nel caso degli spazzacamini; la durata
della giornata lavorativa era di 14 ore durante l'inverno e raggiungeva le 16 in
estate.
"In alcune zone rurali dell'Inghilterra era frequente che bambine di
cinque-sei anni lavorassero tutto il giorno per fabbricare oggetti di paglia o
ricamare merletti con il collo e le braccia scoperte per poterle schiaffeggiare
meglio".11
Lo sfruttamento della manodopera minorile
continuò in Europa fino alla fine dell'Ottocento, quando furono emanate le prime
leggi in tutela dei piccoli lavoratori. Inoltre per tutto il XVIII secolo il
lavoro femminile, fondamentale fonte di sussistenza nelle famiglie povere, porta
necessariamente ad una maggiore trascuratezza dei figli. Aumenta il numero dei
bambini abbandonati ed il sistema della "ruota", adottato per affidare il minore
al brefotrofio, concorre indirettamente ad incrementare tale pratica,
permettendo ai genitori di rimanere nell'anonimato.
Nel XIX secolo sorgono in
Europa numerosi istituti per orfani e bambini abbandonati dove vivono in una
condizione di grave disagio psichico e fisico. La gravità dei maltrattamenti
subiti dai piccoli istituzionalizzati emerge dai dati dei registri di questi
istituti, che evidenziano un decesso ogni quattro ricoverati per stenti, incuria
e maltrattamento fisico.
Filosofi e pedagogisti, quali Locke e Rousseau, esaltano
il ruolo materno e la funzione della donna nella crescita dei figli e
suggeriscono nuove idee guida su come trattare i bambini.
L'acquisizione di
una nuova sensibilità nei genitori ha comportato la nascita di un atteggiamento
di maggiore protezione nei confronti dei minori, protezione non esente da
vistose contraddizioni.
La progressiva affermazione del ceto borghese
contribuisce a sollecitare una maggiore attenzione "igienica" e "affettiva"; la
nuova immagine che si ha del minore, come essere separato dall'adulto, porta
inevitabilmente a un cambiamento negli interventi pedagogici: alle punizioni
corporali si preferisce sostituire un'azione educativa che agendo sulla sfera
interiore porti all'introiezione di norme sociali, principi morali e valori
religiosi. Comincia a farsi strada la domanda su "chi è" il bambino con cui si
interagisce.
Questo cambiamento di tendenza, in ogni modo diffuso solo nei ceti elevati, non
è destinato a durare: alla fine del secolo, da più parti si tornerà ad interrogarsi se tutto ciò
non abbia portato ad un eccessivo permissivismo nei confronti dei figli.
Un ruolo importante nella crescita e nell'educazione dei figli all'interno della famiglia è
affidato al medico e proprio dal mondo medico partono le prime denunce dei maltrattamenti. Nel
1852, a Parigi un medico legale, Ambroise Tardieu, in uno studio dal titolo "Etude
medico-legale des blessures", descrive la "Battered Child Syndrome". Egli descrisse
32 bambini picchiati e ustionati a morte.
Nel 1868, Athol Johnson, al Sick Children Hospital
di Londra, segnalò la frequenza di ripetute fratture nei bambini. Egli attribuì ciò alla
fragilità ossea, poiché il rachitismo, a quel tempo, era molto diffuso fra i bambini di Londra.
Ora sappiamo che quasi tutti i casi che egli descrisse erano in realtà storie di "abusi".
La teoria del rachitismo continuò a persistere fino al XX secolo.
Nel 1874, a New York, per
salvare una bambina di nove anni dai maltrattamenti dovette intervenire un ente per la protezione
degli animali. La piccola fu trovata, in casa, incatenata al letto con ematomi, ferite e abrasioni
in tutto il corpo. Ma non si poteva fare nulla perché secondo le leggi USA, i genitori avevano
diritto assoluto sui figli e potevano allevarli come meglio credevano.
La Società per la protezione degli animali, già fiorente in America, esaminò il caso e
riconoscendo che rientrava in quelli previsti dal proprio statuto intervenne. E così la bambina
fu salva.
In seguito a questo fatto, nacque a New York la "New Society for the Reformation of
Juvenile Delinquents" che organizzò un rifugio per bambini difficili che, in seguito, accolse anche bambini trascurati e abusati: si trattò della prima Società ad occuparsi di prevenzione all'abuso all'infanzia.
All'inizio del secolo attuale pedagogia, psicologia e sociologia iniziano ad interrogarsi sul
problema dell'infanzia e dei suoi bisogni. Al bambino vengono riconosciuti esigenze e bisogni
affettivi e psicologici, viene affermato che i diritti dei minori devono essere garantiti non
solo dai genitori, ma da tutta la società.
In quest'ottica, nel 1924, viene approvata a Ginevra la Dichiarazione dei diritti del
fanciullo, in cui si afferma che il fanciullo deve essere posto in condizione di svilupparsi in
maniera normale sia sul piano fisico che spirituale, che i bambini hanno il diritto di essere
nutriti, curati, soccorsi e protetti da ogni forma di sfruttamento.
A partire dall'Ottocento e fino ai primi decenni del novecento assistiamo nei ceti emergenti
alla nascita e all'espansione della moderna famiglia nucleare, borghese, puerocentrica. Questa
famiglia di tipo acquisitivo, mette al mondo i figli e li educa in vista del successo e della
riuscita familiare e ha come fine ultimo la società urbana aperta, si è istituzionalizzata in
quello che oggi è il modello normalmente atteso di famiglia, omogeneo alla società industriale.
L'infanzia cresce e si sviluppa all'interno di una famiglia nucleare relativamente isolata
dalla parentela e dalla comunità, centro di consumo, il cui orizzonte territoriale è la moderna
società urbana amorfa e cosmopolita. La famiglia borghese si può definire puerocentrica, nel
senso che essa investe quasi tutto sui figli, visti soprattutto come spinta e strumento di quel
successo familiare che è stato la base dell'economia capitalistica.
Ma nel punto del suo massimo sviluppo, che possiamo datare intorno agli anni sessanta,
questa famiglia privatizzata entra in crisi e con essa la sua rappresentazione dell'infanzia.
Al puerocentrismo acquisitivo, sostengono alcuni psicologi, si sostituisce un nuovo puerocentrismo
narcisistico (il bambino soggetto solo in quanto oggetto di gratificazione dell'adulto/genitore),
tipico della "famiglia di coppia", il cui orizzonte territoriale ha confini limitati.
Ed è proprio
nel momento in cui l'immagine infantile del bambino raggiunge il suo culmine, che dalla società
parte la denuncia del maltrattamento e parallelamente si muove a tutela dei diritti del minore
in quanto individuo bisognoso di protezione.
Ancora una volta, l'ipotesi della violenza subita dai bambini in famiglia viene formulata in
prima istanza nel mondo medico. Alcuni pediatri americani riconoscono in determinati quadri clinici,
osservati nei bambini, la sintomatologia del maltrattamento.12
Nel 1961 Henri Kempe presentò all'Annual Meeting of American Academy of Pediatrics,
una relazione interdisciplinare sulla "Battered Child Syndrome". La descrizione completa
della sindrome fu pubblicata l'anno seguente nel "Journal of the American Medical Association":
essa comprendeva considerazioni pediatriche, psichiatriche, radiologiche e legali e forniva
pure le primissime cifre sullo stato del problema negli Stati Uniti. Con questa pubblicazione
tale realtà viene portata a conoscenza del mondo medico internazionale e da allora prendono il
via studi e rilevazioni del fenomeno, che si scopre avere una dimensione inaspettata.
In quello stesso anno due medici italiani, Rezza e De Caro, avvertono la necessità di
estendere "la sindrome" ad altri aspetti del maltrattamento infantile e nel 1976 Kempe allarga
il concetto di "sindrome del bambino maltrattato" ad altre forme di abuso, quali, ad esempio, la
trascuratezza e la malnutrizione che non necessariamente compromettono la sopravvivenza del minore.
Parallelamente alla denuncia del maltrattamento vengono sottoscritti pronunciamenti ufficiali
a salvaguardia del bambino. La società contemporanea rappresenta, infatti, la punta massima della
salvaguardia "sulla carta" dei diritti del bambino come individuo.
Nel 1948, con la Dichiarazione universale dei diritti umani, le Nazioni Unite inclusero
l'infanzia nell'intera famiglia umana da proteggere contro qualsiasi trattamento disumano o
degradante.
In particolare l'art. 25 afferma:
"la maternità e l'infanzia hanno diritto a
speciali cure e assistenza" e "tutti i bambini nati dal matrimonio o fuori di esso
devono godere delle stesse protezioni sociali".
Nel 1959 l'ONU approva la "Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo", "affinché egli
abbia un'infanzia felice e possa godere, nell'interesse suo e di tutta la società, dei diritti e
della libertà che vi sono enunciati, invita i genitori, gli uomini e le donne in quanto singoli,
come anche le organizzazioni non governative, le autorità locali e i governi nazionali a riconoscere
questi diritti e a fare in modo di assicurarne il rispetto per mezzo di provvedimenti legislativi e
di altre misure da adottarsi gradualmente in applicazione dei sui dieci principi".
13
Il Principio sesto afferma: Il fanciullo, per lo sviluppo armonioso della sua personalità,
ha bisogno di amore e di comprensione. Egli deve per quanto possibile, crescere sotto le cure e
la responsabilità dei genitori e, in ogni caso, in un'atmosfera di affetto e di sicurezza materiale
e morale.
Il bambino, a causa della sua immaturità psico-fisica, ha diritto ad "essere protetto
contro ogni forma di negligenza, crudeltà o di sfruttamento".
Dal 1979, "Anno internazionale del bambino", l'Onu ha costituito il gruppo di lavoro della
"Commissione per i diritti del bambino" per elaborare una "Convenzione internazionale per i
diritti del bambino". A dieci anni di distanza, il 20 novembre 1989, è stata approvata all'unanimità
dall'Assemblea dell'Onu la "Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia" che
dovrà essere ratificata dai paesi aderenti alle Nazioni Unite.
Dei 54 articoli di cui è costituito il testo della Convenzione, ve n'è uno che tratta specificatamente
dell'abuso intrafamiliare e stabilisce che:
Art.19: Gli Stati Parti alla presente Convenzione prenderanno ogni appropriata misura
legislativa, amministrativa, sociale ed educativa per proteggere i bambini da qualsiasi forma di
violenza, danno o abuso fisico o mentale, trascuratezza o trattamento negligente, maltrattamento
o sfruttamento incluso l'abuso sessuale, mentre sono sotto la tutela dei genitori, del tutore
legale o di chiunque altro si prenda cura del bambino/a. Tali misure protettive per essere appropriate devono comprendere procedure efficaci per l'allestimento di programmi sociali che forniscano il sostegno necessario al bambino/a e a coloro che ne hanno la responsabilità, così come per altre forme di prevenzione, identificazione, rapporti, ricorsi, investigazioni, cure, esami, a seguito di istanze per maltrattamenti al bambino/a come precedentemente descritti e, se il caso, per implicazioni di carattere giudiziario.
Altri articoli affrontano diverse forme di maltrattamenti e impegnano gli "Stati Parti" a proteggere i minori da esse. Tra questi:
Art.34: Gli Stati Parti alla presente Convenzione devono proteggere il/la bambino/a da tutte le forme di sfruttamento sessuale o abuso sessuale. A tale scopo gli Stati Parti devono prendere in particolare tutte le adeguate misure nazionali, bilaterali e multilaterali, per prevenire: l'induzione o coercizione di un bambino/a per coinvolgerlo in qualunque attività sessuale illegale;
lo sfruttamento dei bambini nella prostituzione o in altre pratiche sessuali illegali;
lo sfruttamento dei bambini in spettacoli e materiali pornografici.
Art.35: Gli Stati Parti alla presente Convezione devono prendere tutte le appropriate misure nazionali, bilaterali e multilaterali per prevenire il rapimento, la vendita o il traffico di bambini con ogni fine o sotto ogni forma.
Art.36: Gli Stati Parti alla presente Convezione devono proteggere il/la bambino/a contro tutte le forme di sfruttamento dannose, sotto qualsiasi aspetto, per il benessere del bambino/a.
Art.37: Gli Stati Parti alla presente Convezione devono garantire che: nessun bambino/a sia soggetto a tortura o ad altre forme di trattamento o punizione crudeli, inumane, degradanti. Né la pena capitale né l'ergastolo senza possibilità di rilascio debbono essere applicati per reati commessi da persone sotto i 18 anni di età.
(….)14
Non vanno dimenticate le Raccomandazioni del Consiglio d'Europa (n.561 del 1963, n.17 del 1979 e n.4 del1985) e la Risoluzione del Parlamento Europeo del 1986, in cui si invitano i governi degli stati membri ad adottare le misure necessarie per prevenire ed intervenire nelle situazioni di maltrattamento, oltre che assistere i minori vittime di abusi e le famiglie in difficoltà.
Si tratta dei primi documenti sovraterritoriali, in cui i minori vengono riconosciuti "soggetto di diritto" da parte dell'ordinamento anche all'interno della famiglia, mentre la legge viene autorizzata ad interporsi nei rapporti genitori-figli come terzo elemento regolatore.
La società contemporanea è sempre più cosciente delle problematiche legate all'infanzia e i casi di abuso, oggi, sono sicuramente più visibili che in passato. Ma, nonostante questa maggiore coscienza i casi che vengono alla ribalta sono ancora solo la punta dell'iceberg.
1 Becchi E., (a cura di), Storia
dell'educazione, La Nuova Italia, Firenze, 1987
2 Cesa-Bianchi M., Scabini E., La violenza sui bambini. Immagine e realtà, Franco Angeli, Milano, 1991.
3 De Mause, Storia dell'infanzia, Emme, Milano, 1983, in Campanini A. M., Maltrattamento all'infanzia, La Nuova Italia Scientifica, Roma, 1993
4 Fischetti C., Innocenza violata, Editori Riuniti, Roma, 1996
5 Du Pasquier F., L'infanzia attraverso i secoli nella
cultura occidentale, in De Cataldo Neuburger, (a cura di), Abuso sessuale di minore e processo penale: ruoli
e responsabilità, Cedam, Padova, 1997.
6 Oliverio Ferraris A., Graziosi B., Il volto e la maschera, Casa Editrice Valore Scuola, Roma, 1999
7 Giallongo A., Il bambino medievale, in Oliviero Ferraris A., Graziosi B.,op. cit.
8 Cesa-Bianchi M., Scabini E., op. cit.
Milano, 1991.
9 Montecchi F., Gli abusi all'infanzia, NIS, Roma, 1994
10 Oliverio Ferraris A., Graziosi B., op. cit.
11 Montecchi, op. cit.
12 Cesa-Bianchi M., Scabini E., op. cit.
13 Proclama dell'Assemblea Generale, in Dichiarazione dei diritti del Fanciullo, ONU, New York
20 novembre 1959.
14 Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, ONU, 20/11/89, in Izzo F., Norme contro la pedofilia, Edizioni Giuridiche Simone, Napoli, 1998