Nella seconda metà del Cinquecento, conseguentemente allo scisma prodotto dallo sviluppo del Protestantesimo, la Chiesa cattolica, dopo i lavori del Concilio di Trento, riorganizzò in maniera capillare e rigorosa il controllo su molti aspetti della cultura filosofica e letteraria. Tutto ciò fu possibile grazie alla nascita (nel 1542) del Sant’Uffizio, un tribunale ecclesiastico composto di sei cardinali inquisitori, con il compito di vigilare, indagare e condannare i casi di eresia e di devianza dalla ortodossia cattolica. Il Sant’Uffizio era in sostanza una continuazione della vecchia Inquisizione (che esisteva già dal XIII secolo). Ma a differenza del passato, l’azione di controllo e di repressione che la Chiesa applicò nel Cinque-Seicento fu estremamente più violenta rispetto al passato: una battaglia, quella nei confronti dell’eresia, che si preannunciava fondamentale per l’affermazione di nuovi modelli filosofici e scientifici (si pensi a Giordano Bruno, a Tommaso Campanella, a Galileo Galilei), e che la Chiesa tentò di ostacolare fino all’ultimo con la carcerazione, la tortura, l’abiura, il rogo. Accanto ai casi eclatanti di intellettuali e scienziati presi di mira dal Sant’Uffizio non si devono dimenticare le migliaia di persone (eretici, streghe, sodomiti, ebrei) che nella seconda metà del Cinquecento andarono al rogo in un clima di persecuzione e di stretta vigilanza di coloro che venivano considerati diversi, come l'Antonia della nostra storia, cioè pericolosi per la comunità. Il controllo di questi individui era accompagnato da forme di repressione e di censura intellettuale: operazione che fu possibile grazie all’Indice dei libri proibiti, istituito dal papa Paolo IV nel 1559, successivamente modificato e aggiornato in maniera più intransigente e restrittiva, allo scopo di esercitare un più stretto controllo della stampa e della diffusione di opere ritenute ostili agli interessi della Chiesa. Tuttavia rimase molto difficile il dominio totale su una materia così articolata e complessa come quella del mercato librario e della stampa, in continua espansione sia dal punto di vista quantitativo delle tirature prodotte, che da quello qualitativo degli autori riproposti. L’Index librorum prohibitorum del 1559 colpì pesantemente tutta l’opera di Machiavelli e Pietro Aretino, il De Monarchia di Dante, le Facetiae di Poggio Bracciolini, i Dialoghi di Luciano, le poesie del Pulci e del Berni, le novelle di Masuccio Salernitano. I successivi aggiornamenti che furono apportati nel 1564 obbedivano alla nuova politica ecclesiastica uscita dal Concilio di Trento (1545-1563), investendo non soltanto la cultura scritta, ma anche altre forme di espressione artistica, e tra queste soprattutto il teatro e la pittura: nel 1573 il pittore Paolo Caliari detto il Veronese venne accusato dal Sant’Uffizio per aver dipinto a Venezia (per il convento di San Giovanni e Paolo) una tela sul tema dell’ultima cena di Cristo ritenuta blasfema e indecente; nel 1578 Gabriello Paleotti, vescovo di Bologna, pubblicava una Scrittura contro gli Spettacoli Teatrali, diretta contro le compagnie della commedia dell’arte, e successivamente (nel 1582) un Discorso intorno alle immagini sacre e profane in cui ribadiva la necessità che le pitture esprimessero significati chiari e facilmente riconoscibili dal pubblico.

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