Cos'era l'elettronica

Nel corso degli anni '40 del secolo scorso l'elettronica si basò quasi totalmente sui tubi a vuoto poichè i transistor apparvero, come applicazioni allora praticamente sperimentali, solo alla loro fine. Il dominio dei tubi a vuoto proseguì comunque praticamente incontrastato per tutti gli anni '50 e iniziò il declino solo negli anni '60. L'elettronica degli anni '50 era quindi rappresentata dalle "valvole" che svolgevano dispendiosamente tutte le funzioni di ogni apparato elettronico. La dispendiosità delle valvole dipendeva dai loro elevati consumi per il riscaldamento al calor rosso del filamento, dalle elevate temperature di funzionamento, dalla necessità di operare con alti voltaggi e dagli ingombri eccessivi. La vita operativa di una valvola era inoltre limitata e così era anche limitata la vita operativa di molti componenti circuitali necessari per far funzionare le valvole, primi tra tutti i condensatori elettrolitici. L'elettronica di consumo era allora limitata a radio riceventi, giradischi, magnetofoni e televisori. Tutte le funzioni di una radio si potevano comunque realizzare con cinque valvole e per un televisore (ovviamente in bianco e nero), che, per la prima volta portava nella vita di tutti l'elettronica impulsiva, erano sufficienti undici valvole.

Ma ancora esisteva qualcosa che non aveva nemmeno bisogno di valvole per funzionare e questo era la "radio a galena". In realtà la radio a galena, già prima degli anni '50, era morta e sepolta, ma qualche esemplare ancora si poteva vedere in vendita, forse come residuo invenduto di vecchie produzioni. La radio a galena era la soluzione più economica per realizzare una radio ricevente e, poichè all'inizio dell'era della radio le radio riceventi erano estremamente costose, la radio a galena era stata a suo tempo la soluzione per avere un ricevitore radio senza spendere troppo. La galena è un cristallo di un composto di piombo che, posto in serie ad un contatto metallico puntiforme, si comporta come un diodo, ossia presenta una bassa resistenza al passaggio della corrente in un senso (ossia dal contatto metallico verso il cristallo di galena) ed un'alta resistenza al passaggio della corrente in senso inverso (ossia dalla galena verso il contatto metallico). Questo è valido anche per correnti a frequenze elevate, come quelle che si hanno in un'antenna ricevente per le onde radio. Ciò vuol dire che un diodo a galena è in grado di "rilevare" l'inviluppo di modulazione di una trasmissione radio a modulazione di ampiezza. Nella foto a lato è rappresentata una radio a galena, costruita dalla società FATME, in cui il cristallo di galena ed il contatto metallico puntiforme che si deve appoggiare sul cristallo per realizzare il diodo rilevatore sono contenuti nell'ampollina di vetro alloggiata nella parte superiore della radio. Il contatto metallico può essere manovrato con la piccola leva manipolatrice presente alla destra della provetta allo scopo di ricercare sul cristallo il miglior punto di contatto per realizzare il diodo rivelatore. Sostanzialmente la radio a galena è costituita da un circuito sintonizzatore, realizzato con una bobina di filo di rame messa in parallelo ad un condensatore la cui capacità può essere variata, per mezzo di una manopola, per sintonizzare il segnale da ricevere. Il sintonizzatore è poi collegato, ad un estremo, ad un'antenna esterna e, all'altro estremo, ad una presa di terra, in modo da realizzare una ricezione ottimale dei segnali a radio frequenza. In parallelo al circuito sintonizzatore sono poi disposti in serie il diodo a galena ed una cuffia acustica ad alta impedenza. La ricezione delle stazioni radio tramite una radio a galena è quindi udibile solo per mezzo della cuffia e quindi essa è sostanzialmente un dispositivo ricevitore mono utente. Nella foto a lato, all'interno del coperchio della radio a galena, è visibile lo schema elettrico sopra descritto seguito da un insieme di consigli per realizzare l'antenna e la presa di terra. Seguono poi le istruzioni per l'uso dell'apparecchio che si concludono come segue: "Per la ricezione: formare il contatto fra la punta metallica ed il cristallo del rivelatore, ruotare il quadrante fino al punto in cui le segnalazioni sono percepite con maggior chiarezza, quindi cercare il contatto rivelatore che rende il suono alla massima intensità. Con qualsiasi tipo di antenna questo apparecchio permette l'audizione di stazioni aventi lunghezza d'onda da 250 a 500 metri".

Negli anni '50 comunque le radio a valvole avevano raggiunto ormai una consolidata maturità, il loro prezzo si era decisamente abbassato e, grazie a nuove generazioni di valvole a tecnologia avanzata, con involucro completamente in vetro e di ridotti volumi, si era riusciti a contenere le loro dimensioni creando apparecchi facilmente inseribili in ogni contesto abitativo. La portabilità era comunque ancora un obiettivo distante perchè i consumi ancora troppo elevati rendevano difficile l'alimentazione a batterie. Nelle foto sotto riportate sono visibili, a sinistra, una radio di dimensioni contenute e quindi considerata "da comodino" e, a destra, una radio di aspetto più importante, utilizzabile, ad esempio, in un salotto o soggiorno.

La radio di sinistra, di modello "Marilyn", non riporta alcun marchio di fabbrica e quindi non è stato possibile attribuirle alcuna datazione precisa, anche se certamente essa è stata costruita nel corso degli anni '50. La radio di destra è il modello S 22 della Magnadyne Radio di Torino, costruita dal 1949 al 1951. Ambedue le radio sono a 5 valvole e ricevono in sola modulazione d'ampiezza su due gamme d'onda (onde medie e corte), utilizzando il classico circuito a supereterodina. Come detto prima l'elettronica di consumo comprendeva anche i riproduttori di dischi in vinile ed i magnetofoni. I primi, nelle versioni più sofisticate, con pretese di alta fedeltà, si componevano, già alla fine degli anni '50, di piastre giradischi, amplificatori, equalizzatori e casse acustiche che potevano essere scelti a piacere per ottenere la resa sonora più consona ai gusti dell'acquirente. Le foto sotto riportate danno un'idea di come poteva essere realizzato un impianto di riproduzione dei dischi in vinile con pretese di buona fedeltà.

A sinistra è rappresentata una piastra giradischi della ditta inglese Garrard, modello SP25. Una interessante storia della ditta Garrard, che, al tempo, andava per la maggiore, è riportata nel sito: Garrard History. Il modello SP25, introdotto nel 1960, era allora considerato il modello di livello iniziale per la realizzazione di un impianto di alta fedeltà. Esso permette la riproduzione dei dischi in vinile di tutti i formati disponibili (compresi i preistorici 78 giri), ed è dotato di dispositivi per operare con sicurezza sia il posizionamento sul disco che l'allontanamento dal disco della testina di lettura. Altro dispositivo interessante presente nel modello S25 è quello che permette di regolare la pressione della testina sul disco, in modo da adeguarla al valore nominale ideale per farla lavorare con la massima resa, senza danneggiare i dischi in lettura. La foto di destra rappresenta un amplificatore a valvole monocanale autocostruito. Esso è composto da uno stadio di preamplificazione, realizzato con un pentodo 6AU6, da uno stadio di amplificazione ed alimentazione dello stadio finale, realizzato con il doppio triodo 6SN7-GT e, infine, dallo stadio finale di potenza realizzato con due valvole 6V6-GT montate in circuito push-pull. L'alimentazione della tensione di placca è ottenuta con il doppio diodo 5Y3. L'amplificatore, che dispone di dispositivi di regolazione sia del volume che della risposta alle basse ed alte frequenze, è in grado di erogare una potenza effettiva di circa 10 watt. I riproduttori più comuni erano invece rappresentati dalle classiche "valigette" che comprendevano in un solo contenitore, di forma simile ad una valigia con relativo coperchio, tutti i componenti elettromeccanici ed elettronici per la riproduzione dei dischi. Un esempio classico di valigetta è riportato nella figura che segue:

La valigetta sopra riportata (modello Philips Music 5120) è da considerarsi solo come esempio, perchè di tipo più recente, prodotta negli anni '70 e già operante con amplificatore a transistor. Nel caso dei magnetofoni, oltre a quelli di alta ed altissima qualità, di utilizzo professionale e con prezzi elevatissimi, furono prodotti moltissimi piccoli magnetofoni con nastri a bobina (le pratiche "cassette" non erano ancora state inventate!) di uso casalingo. In questo campo in Italia una ditta che precorse i tempi e che realizzò prodotti innovativi, di buona qualità e con prezzi accessibili fu la Geloso (vedi il sito dedicato a John Geloso creatore e guida carismatica della società che portava il suo nome) che si avvaleva dei componenti meccanici della ditta Castelli. Qui di seguito è rappresentato il magnetofono G 600.

Il magnetofono Geloso G 600, costruito nel 1966 con l'elettronica ancora a valvole, era una evoluzione, con modesti cambiamenti, del più famoso G 257, che aveva visto la luce nel 1962. Per quest'ultimo magnetofono nel sito dedicato a John Geloso, fondatore ed amministratore della società, viene data la seguente descrizione: "Grazie alla conformazione fisica del supporto bobine, era dotato del sistema 'ganciomatic' che permetteva al nastro di agganciarsi automaticamente. Aveva tutti i numeri a suo favore, compreso il prezzo, per essere un gran successo. Fu venduto in tutto il mondo ottenendo un'accoglienza mai più ripetuta da un registratore a nastro. Negli anni della sua produzione subì piccole modifiche interne circuitali, ma rimase per sempre il Gelosino"

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