Emergenze artistiche del Cilento
(Alfredo Plachesi)


Una breve scheda su un limitato numero di opere di architettura, scultura, pittura conservate, talvolta in modo non egregio, nei centri che costituiscono il cuore del Cilento, varrà soltanto a dimostrare, ancora una volta, quanto sia oramai necessario ed improcrastinabile una seria ricerca che valga a rivelare agli stessi abitanti il significato dei documenti artistici che ancora si conservano nonostante le ingiurie del tempo e, soprattutto, dell'uomo.

Un esempio immediato proviene dalla chiesetta del Monte della Stella, uno dei rilievi del Cilento quasi simbolico dell'intero territorio; intorno, e financo piantate sulla struttura architettonica si moltiplicano le antenne televisive, si che un impianto tecnico ed insieme scientifico, che nella vita moderna è certamente il più qualificato per la diffusione della cultura, offende un bene culturale.

Semplice la struttura di Santa Maria della Stella, con unica aula coperta a tetto, ma robusta nella scansione della facciata che è stata, a mio avviso, alterata nella sua configurazione originale.

Infatti, forse a causa di posteriori rifacimenti resisi necessari per dissesti statici, contrafforti laterali sono stati affiancati all'originale facciata che, assumendo una forma trapezoidale, sembra quasi completare naturalmente la sommità del monte e rendere partecipe la chiesetta della terra che la sostiene.

Qui era venerato, un tempo, il simulacro della Vergine col Bambino, che è attualmente custodito in una casa privata di Sessa Cilento.

La statua, realizzata nel diffuso sistema dell'impasto di malta e gesso dipinti, presenta, pur nella semplicità di una tecnica provinciale, dei tratti di nobiltà nell'atteggiamento, anche se i particolari delle mani e lo stesso Bimbo mostrano lo sforzo dell'ignoto plastificatore nella elaborazione delle parti come anche nell'articolazione dei volumi e nell'atteggiarsi delle pieghe.

Maggiore capacità si ritrova nella marmorea statua della Madonna della Stella, nella parrocchiale di Stella Cilento, tutta costruita per linee parallele, con una bella sodezza di carni ed un insistito compiacimento nell'atteggiarsi del velo e nel ripetersi delle pieghe della veste.

La chiesa della confraternita a Laureana Cilento, anche se a prima vista, forse per le sovrastrutture e vari restauri, può apparire come una elegante realizzazione rinascimentale, porta chiaramente la data 1774.

Presenta una facciata strutturata in tre ordini; nel primo, reso anonimo da un rivestimento in intonaco a bugnato, si apre, al centro, un semplice portale architravato in pietra. Sull'architrave del portale, inserita tra due volute, anche esse in pietra, vi è una croce ed una iscrizione:

                M. N. S. F.
                   A. D.
                   1774

Il secondo ordine, anch'esso intonacato, attira di più l'attenzione per lo spartito molto elegante.

Quattro lesene scanalate, impostate sul bordo marcapiano e completate da capitelli tuscanici, dividono in bella proporzione la facciata in tre pannelli.

Quello centrale è alleggerito da un vuoto di una finestra rettangolare il cui lato superiore coincide con la linea inferiore della elegante trabeazione classicheggiante scandita da triglifi che delimitano i pannelli nei quali si alternano un clipeo ed un bucranio.

Nelle metope di chiusura della suddetta trabeazione sono rappresentati i soci della confraternita.

Sostenuto da una serie di aggettanti modanature chiude la struttura un timpano rettangolare con al centro un tondo che certamente doveva, un tempo, contenere un dipinto.

Alla sommità del tetto, a mio avviso, trova posto l'elemento più rappresentativo ed originale del monumento: un campaniletto a vela che, proprio perché privo d'intonaco e nudo nella sua struttura, denota artifici murari degni di un ottimo artista.

Due piedritti con sporgenze curvilinee in mattoni sono sormontati da un elegante arco anch'esso in mattoni, i quali, posizionati seguendo la curvatura stessa, presentano rientranze e sporgenze tali da rendere elegante ed al tempo stesso leggera l'intera composizione.

Purtroppo sensibilmente danneggiata appare la chiesa di Santa Maria di Costantinopoli, a Celso, interessante per la serie di arcate che la sostengono, ma che sono, a mio avviso, posteriori all'impianto originale del convento.

Difatti, ad un esame attento, si può notare che la serie di arcate non rappresentano altro che una sorta di contrafforte continuo costruito in seguito forse a dissesti statici.

Questa mia supposizione è dettata dal fatto che il muro originale della chiesa, su cui poggiano le suddette arcate, presenta, in alcuni punti, forse per distacco della nuova muratura sovrapposta, tracce di intonaco continuo.

Mentre poderoso appare l'impianto della chiesa dell'Assunta, sempre a Celso; bell'organismo architettonico esaltato dallo slanciato campanile a canna quadrata, strutturato su quattro ordini sottolineati da decisi marcapiani ed alleggeriti dalle monofore. L'ultimo ordine, che diviene circolare, è interamente traforato da un teoria di otto aperture centinate ed è concluso da un caratteristico cupolino sagomato.

Poco resta purtroppo dell'impianto di Santa Maria dei Romiti o degli Eremiti, a San Mango, e il rammarico è alimentato dalla bella struttura del campanile che ancora resiste alle offese dell'uomo e degli elementi; su un altissimo basamento con un deciso toro che segna il passaggio ai piani successivi, sono due ordini a pianta quadrata ed un tiburio ottagono.

Ma un discorso a parte andrebbe fatto per i campanili, certamente il simbolo più significativo di questi paesi del Cilento e che un tempo dovevano con la loro voce collegare una comunità all'altra.

Basterà citare tra tutti quello del cimitero di Lustra, o meglio, di S. Maria Vetere, e l'altro di Valle di Santa Maria delle Valletelle, perché, sull'impianto classico della canna quadrata, il cupolino presenta le raffinate decorazioni degli archetti intrecciati nel primo caso, e del modesto ma non per questo meno valido arricchimento del cotto, nel secondo.

Il partito decorativo, presente più a Sud, nel campanile di Policastro Bussentino, riprende ancora una volta gli elementi diffusi in area campana e ci riporta alla grande influenza di quella cultura che ha avuto, nella nostra zona, un momento di particolare splendore.

E basterà riandare, con la memoria, ai campanili della costiera amalfitana, da Amalfi, a Ravello, a Lettere, a Minori, per non citare che i più noti ed i più significativi, a quello di S. Matteo di Salerno e di S. Costanzo di Capri (L. Kalby, Tarsie e archi intrecciati nel romanico meridionale, 1971).

Un capitolo a parte andrebbe ancora scritto sugli arredi delle chiese e dei conventi, sulle lapidi e sul corredo liturgico; settore nel quale purtroppo la spoliazione, sia per via di furti che per via di commercio, ha aperto irrecuperabili vuoti, ma che ancora è possibile studiare nei documenti che rimangono.

Si rinnova la presenza di artigiani di grande capacità e, come nelle chiese e nei palazzi resta l'opera egregia degli scalpellini, così resta quelli dei maestri di falegnameria e di ebanisteria, quelli che, talvolta, nei documenti di archivio o nei registri parrocchiali, troviamo definiti come mastrascia.

Vedasi, ad esempio, le porte lignee nel convento di Santa Maria del Carmine a Mercato Cilento, con i grandi pannelli ove il classico motivo delle grottesche viene trasferito e fissato nella preziosità del legno, e i cori di altri conventi (Pollica, San Mauro), quasi ignorati ma ben degni di figurare accanto a quelli ormai noti di Petina e di Polla.

La lastra marmorea con la Madonna di Loreto e i santi Francesco ed Antonio, che un Orazio Verduzio pose nella cappella di S. Maria di Loreto in Celso, ed è ora custodita in casa privata, dimostrando, ancora una volta, la diffusione del culto della Vergine di Loreto o Lauretana, vale a correggere talune fantasiose congetture su la Madonna ri lu Rito; soltanto una corruzione dialettale, o errate derivazioni dalla Madonna delle Laure.

Il culto è presente in diversi luoghi e basterà ricordare Ostigliano, Salento, Montoro Antilia, Torraca, Gioi.

Nel convento di S. Francesco di Lustra sono conservate due lapidi. La prima è del 1591, di quella famiglia Del Mercato alla quale appartenne lo storico e giurista Gian Cola Del Mercato che nel `600 scrisse un saggio intitolato Comentaria ad Statuta Cilenti in lingua latina, conservato manoscritto nell'archivio di Stato di Salerno.

La seconda è una lastra tombale, una volta sul pavimento e di conseguenza consunta a causa del passaggio dei fedeli, nella quale il defunto è rappresentato secondo l'iconografia tradizionale, con gli avambracci incrociati sull'addome, il capo appoggiato su un ampio cuscino ed ai piedi due cagnolini. Ha un pugnale a destra ed un lungo stocco a sinistra. Sulle brache lunghe ed attillate la corta veste, a cannoli, stretta in vita dalla cintura, è conclusa alla gola da un semplice collare.

Un altro filone di ricerca è rappresentato dal castello, o palazzo baronale, o casa forte.

Un tentativo di esemplificazione ci porterebbe lontano ma se ne può qui proporre qualche esempio, come il castello dei Coppola a Valle, castello seu palazzo con torre, come è descritto nello strumento d'acquisto di questa terra l'8 maggio 1750, e che fu allora restaurato ed accresciuto con nuove costruzioni.

Il nucleo principale deve però risalire alla prima metà del `600 e particolare risalto ha la torre alta 20 metri.

Esternamente essa si presenta scandita da cornici aggettanti in pietra, in quattro ordini.

Il primo, configurantesi come base vera e propria della torre, presenta le mura con una scarpa molto pronunciata e con aperture minime, tanto da far supporre, come in effetto era, che la stessa fosse adibita a vero e proprio carcere.

Il secondo ordine, ancora come il primo legato all'intero complesso, presenta aperture più simili a quelle del palazzo, mentre nel terzo ordine, ormai libero sui quattro lati, notiamo delle finestre arricchite da una semplice cornice di stucco che nella parte superiore presenta una leggera curvatura.

La copertura della torre, messa sempre in risalto dalla solita fascia marcapiano in pietra, presenta un'elegante archeggiatura aggettante e sorreggente la copertura.

Torri simili, ove la comodità degli ambienti interni viene completata dalla utilizzazione della colombaia esterna, una diffusissima struttura necessaria all'economia dei tempi andati e sino ad un periodo piuttosto recente, e per l'allevamento dei colombi e per la comodità offerta dal guano usato come fertilizzante, se ne trovano di frequente.

Ritroviamo infatti esempi simili in molti centri del Cilento, dal palazzo Capano di Pollica, restaurato nei primi del XVII secolo e la cui torre è dello stesso tipo di quella di Valle; al palazzo Vinciprova di Pioppi ove la torre diviene elemento architettonico e decorativo nella sua duplicazione che definisce e rinserra l'intero volume; alla torre di Castellabate e a quella del palazzo baronale di Battaglia dove l'elemento diviene struttura angolare a pianta circolare.

Il palazzo Coppola, ormai in rovina, si presenta all'interno e sulla facciata principale, unica rimasta più o meno intatta, nella sua maestosità ed insieme eleganza compositiva tra pieni e vuoti.

Una simmetria perfetta, nelle aperture fa si da avere nell'ordine inferiore a fasce di stucco l'ingresso affiancato da tre finestre arricchite da inferriate e sottolineate inferiormente da aperture ellittiche molto eleganti nelle loro cornici in pietra e grata in ferro battuto.

Il piano nobile si presenta invece con un'alternanza di finestre e balconi che con le loro elegantissime inferriate, ancora oggi, danno l'idea dell'imponenza e dell'importanza che tale edificio doveva avere per quella zona.

Esempi di palazzi o case torri di una certa importanza anche se con di verse tipologie li ritroviamo a Copersito, Rutino ove prevale sull'elemento funzionale il partito decorativo con la presenza, non sempre coerente, di elementi eclettici che denunciano bene spesso il gusto di revival ottocentesco ma che, appunto per questo, rivelano influenze di cultura o impressioni riportate da esempi lontani.

La struttura si avvia così a divenire un elemento decorativo esterno anche se persistono, ai lati dei torrini, come nei casi del palazzo dei Vassallo di San Giovanni Cilento o del palazzo di Acciaroli (ex Della Cortiglia), le feritoie e saettiere laterali, elemento di osservazione e di possibile difesa.

Una struttura che diverrà quasi rappresentativa nella storia del Cilento, per le vicissitudini di guerre e rapine e per il lungo periodo della feudalità e delle imposizioni fiscali, sono i castelli.

E basterà qui citare per tutte le strutture castellane di Rocca Cilento e di Agropoli.

E' oramai quasi impossibile, pur essendo convinti di un primo nucleo longobardo con aggiunte normanne, ricostruire con certezza la storia architettonica di questi monumenti nei quali l'elemento aragonese diviene ad un certo momento preponderante.

Nel castello di Rocca Cilento, ampiamente rimaneggiato nel XIX sec., è ancora visibile una parte di chiara impostazione sveva, mentre un attento restauro del castello di Agropoli potrebbe liberare una struttura che ebbe le cure di Alfonso di Aragona, duca di Calabria.

Ad Agropoli il castello mostra evidente sia la costruzione quattrocentesca che l'impianto triangolare con le tre torri cilindriche, e si avverte il rammarico di non poterne avviare il restauro.

Situazione pressocché simile si rinviene a Castellabate o a Rocca Cilento.

I sovrani si avvalsero, per la loro opera, di artisti iberici come Guillermo Sagrera e poi Johan Sagrera, ed italiani, come i maestri di Cava dei Tirreni ed alcuni tra i più grandi esperti, come Francesco di Giorgio Martini, Baccio Pontelli e Antonio Marchesi da Settignano.

La nuova tecnica ossidionale fu particolarmente curata dagli aragonesi che possedevano un parco di artiglieria probabilmente il più consistente in Italia.

Il re Ferrante dava continue disposizioni per la migliore sistemazione delle rocche del regno e questi concetti li troviamo sintetizzati nel dispaccio che inviava il 20 novembre 1487 al governatore nelle terre dei baroni ribelli, Antonio Miroballo, sul quale erano espressamente citati i castelli di Agropoli, di Cilento e di Castel dell'Abate: che de basso se possano ben defendere et che non possano essere offese, et che sieno alte lo meno sia possibile, in modo che de fora non possano essere offese.



Tratto da:
ALFREDO PLACHESI, "Emergenze artistiche", in P. CANTALUPO, A. LA GRECA (a cura di), Storia delle terre del Cilento antico, Centro di Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli, 1989, vol. II, pp. 611-617.



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