Il Cilento in epoca greca e lucana
(Antonio Capano)

 


L'area compresa tra il Solofrone e l'Alento segue nell'antichità le vicende che hanno caratterizzato le due vicine città di Poseidonia/Paestum e di Elea/Velia; e soprattutto della prima, se ci riferiamo al periodo attestato per la sua fondazione (circa 600 a.C.), che precede l'installazione dell'altra colonia sul Tirreno (circa 540 a.C.). Pertanto si presenta di fondamentale importanza l'interpretazione di un noto passo del geografo greco Strabone (I sec. d.C.), che si riferisce ai principali momenti dell'affermazione greca in area che sarà poseidoniate. Dopo aver accennato al gruppo dei Picentini fondatori di Picentia nel sito dell'attuale Pontecagnano, trasferiti dai Romani nel golfo poseidoniate, ora detto pestano, menziona in prosecuzione da Nord a Sud la città di Poseidonia-Paistòs, posta in mezzo al golfo.

I Sibariti, egli scrive, realizzarono un emporio sul mare, poi coloro che furono i protagonisti della fondazione della colonia si trasferirono più a Nord. Se il punto commerciale sulla costa favorisce il contatto con gli indigeni e le altre città greche, il programma di colonizzazione si attua con l'arrivo di un cospicuo numero di gente greca, probabilmente anche di altre località. Il luogo ove si trasferiscono, il banco calcareo su cui sorgerà Poseidonia, è già un sito di insediamento indigeno (fine VII sec. a.C.). Non sappiamo dei nuovi rapporti intervenuti con gli indigeni, anche se non si può escludere un loro assorbimento nel nuovo contesto della colonia, considerata la nota tradizione di ospitalità attribuita ai Sibariti.

Quanto al promontorio di Agropoli, sede dell'emporio, esso è il primo a Sud della città greca; ben difendibile per i suoi versanti scoscesi e sicuramente fornito di un approdo a Nord, che difende le imbarcazioni dai venti di Sud-ovest. Il nome stesso della località, derivante da acropolis, la cui prima attestazione pervenutaci è greco-bizantina, indica la posizione di centro preminente, non solo per la sua posizione ma anche per la sua importanza sacrale, nell'area circostante.

Gli scavi condotti nel 1982 dalla Soprintendenza archeologica hanno accertato la presenza di resti di un insediamento della fine dell'età del bronzo finale (X sec. a. C.), collegato ad una economia soprattutto pastorale, pur non escludendosi un modesto sfruttamento delle risorse agricole e marine.

Dopo un periodo di interruzione della frequentazione del sito, dovuta probabilmente ai primi contatti-scontri con elementi greci, succede l'installazione dell'emporio (fine VII-inizi VI sec. a.C.) che si caratterizza ben presto per il suo aspetto commerciale con l'abbondanza di resti di anfore (corinzie e quindi ioniche-marsigliesi) recuperati negli scavi; non mancano i contatti con la Campania etrusca (vedi la presenza di frammenti del tipico bucchero in nero) né con la madrepatria Sibari, con la costa ionica e quindi con la vicina Elea.

Nella seconda metà del VI sec. a.C. sul promontorio viene costruito un tempio che presenta significative affinità con la cosiddetta Basilica di Poseidonia, nel cui territorio ormai l'acropoli rientra pienamente. Si è supposto, sulla base del rinvenimento nel luogo di testine fittili di Athena elmata, che il culto sia stato dedicato alla dea, protettrice della navigazione; più accreditata è comunque l'attribuzione a Poseidon, al cui culto sulla costa poseidoniate fanno riferimento sia testi antichi (il poema Alessandra del poeta ellenistico Licofrone), sia ipotesi più recenti (Paola Zancani Montuoro).

L'antichità di un tempio su un promontorio dell'area trova conferma anche nella tradizione, di origine greca, del passaggio di Ercole che conduce verso la Calabria i buoi strappati a Gerione nell'Iberia.

Il mito si riconduce alla prima fase dell'approccio greco sulla costa, come quello degli Argonauti, fondatori secondo la leggenda del santuario di Hera alla foce del Sele, e quello dei centauri, raffigurati sulle metope di quel tempio a significare la vittoria sulla barbarie da parte dei colonizzatori greci. A questi si aggiunge, all'estremo lembo dell'agro poseidoniate la tradizione campana di Leucosia.

Le ultime fasi della frequentazione del promontorio di Agropoli non superano gli inizi del III sec. a.C. Con l'intervento dei Romani, è da presupporre una cancellazione forse brutale del luogo di culto greco e la formazione di una nuova comunità locale accentratrice probabilmente nel borgo marinaro dell'attuale contrada S. Marco (chiamato Hercula in fonti dell'VIII-IX sec. d.C.), gravitante intorno al porticciolo. Anche se continua a permanere nell'agro un insediamento sparso, esso però è il risultato di un nuovo tipo di gestione del territorio, ancora da analizzare, in seguito alle guerre puniche e quindi alla guerra sociale: v. la villa rustica di I sec. a.C. in località Madonna del Carmine di Agropoli.

La colonizzazione effettiva, unitamente alla fondazione di Poseidonia si attua, come si è già evidenziato, in una seconda fase dell'intervento greco sulla costa: a differenza dell'emporio commerciale di Agropoli, arroccato e senza mire espansionistiche, la nuova città si inserisce in un'area dalla rilevante fertilità, che viene occupata quasi contemporaneamente alla fondazione. I suoi confini sono costituiti a Nord dal limite del territorio picentino-etrusco, da cui è separata fisicamente e politicamente, ma non economicamente e culturalmente, dal fiume Sele e dal tempio di Hera; la divinità tutela con il suo prestigio non solo il confine ma anche la natura e i raccolti dell'area poseidoniate, necessari per la sopravvivenza della popolazione greca, dedita nel periodo arcaico alla coltura cerealicola estensiva e non ancora costantemente presente nell'agro, preferendo vivere soprattutto in città.

A Sud il confine è rappresentato, secondo quanto scrive Strabone per il golfo poseidoniate, dal promontorio di Licosa; ed è chiuso all'interno dai corsi dei fiumi Sele e Calore e dal Monte della Stella con la punta della Carpinina, che segna il confine con il territorio velino. Poseidonia, ubicata su un robusto banco calcareo, forse più alto in antico in conseguenza dei numerosi fenomeni di bradisismo che hanno interessato l'area, si dispone in un primo momento con le sue necropoli soprattutto nel settore nord-orientale: nella località Andriolo-Laghetto le tombe (fine VII-inizi VI sec. a.C.) sono ad inumazione, il cadavere cioè non è bruciato ed è posto entro casse di tegole, più raramente di legno, o in fosse coperte da tegole, disposte orizzontalmente o a doppio spiovente; i bambini defunti vengono sepolti in anfore o in grossi recipienti da derrate. Poche in questo periodo le tombe a Sud.

Intorno alla città e frequentemente in prossimità delle porte che si aprono nella cinta urbana, che è di più recente costruzione (V/IV sec. a.C.), sono presenti numerosi centri di culto: forse dedicato ad Afrodite, divinità venerata anche dai marinai, è il santuarietto tra la costa e porta Marina; a Demetra e Kore, protettrici delle messi, l'altro a Sud-ovest della città, verso il mare, e forse, quello suburbano della contrada S. Venera. Altri sorgono nel territorio fin dagli inizi del VI sec. a.C., ad es. quello della località Fonte, tra Albanella e Roccadaspide.

Interessante anche il santuario della località Linora (metà VI sec. a.C.), sito in un'area dalla conformazione geologica calcarea e quindi non adatta per l'uso agricolo (come la contrada Spinazzo), ma come area di necropoli e di estrazione dei blocchi utilizzati in città. Nella medesima località sono di grande importanza per lo studio della viabilità del territorio poseidoniate, i resti di due strade: una è di collegamento tra la città e la sua periferica area sacra e commerciale (Agropoli); l'altra, con direzione Nord-ovest/Sud-est, è il proseguimento del tratto che da porta Sirena guada il Solofrone all'altezza del cosiddetto Varco cilentano; quindi risale le colline e, oltrepassata l'area corrispondente al cimitero di Eredita-Finocchito, giunge all'Alento in agro di Cicerale, e infine si porta ad Elea.

La strada che conduce ad Agropoli, di rilevante ampiezza (m. 4,60 circa) e traffico (tracce delle ruote dei carri), prosegue in modo più modesto per Punta Tresino e per l'area eleate attraverso il corso del Testene.

Nel corso del VI sec. poco a Nord della Punta (località Sauco) è costruito un "piccolo edificio", collegato ad attività commerciali ed estrattive di calcare. La fase di V sec. a.C. nella città si traduce in un rigoglio urbanistico, confermato dalla costruzione di due templi: l'Athenaion (metà circa del secolo e l'Heraion (poco dopo la metà), conosciuti, in virtù di una falsa attribuzione settecentesca, rispettivamente come tempio di Cerere e tempio di Nettuno. Le tombe di questo periodo sono rappresentate soprattutto nella necropoli della contrada S. Venera: sono del tipo a cassa con copertura piana o a fossa rettangolare; pochi i vasi all'interno, che costituiscono il "corredo" che il defunto porta con sè nell'aldilà, per servirsene nell'alimentazione (vasi per bere, o per contenere, brocche per versare) o per ben presentarsi (vasi per oli profumati); pochi gli oggetti di ornamento personale.

Al 400 a.C. circa risale la più importante tomba dell'età classica, detta del Tuffatore; è a cassa e decorata ad affresco con scena di banchetto; sulla lastra di copertura è rappresentata la scena del tuffo di un personaggio nudo (il defunto), che si lancia nelle acque dell'Oceano (il confine con l'aldilà) facendo leva su di una struttura che va interpretata come la rappresentazione delle colonne d'Ercole, il confine del mondo allora conosciuto. Per l'unicità della rappresentazione, per la sua ubicazione periferica e in un contesto costituito da tombe non decorate, per la volontà di distinguersi dal gruppo vicino, si è supposto, quanto al committente della tomba, un meteco, cioè uno straniero non integrato completamente nella comunità cittadina poseidoniate. La tomba, decorata su ordinazione, riflette anche la presenza di due artigiani legati rispettivamente alle convenzioni arcaiche e rigide nella resa delle figure ed ai modi più sciolti delle più recenti esperienze, contemporaneamente espresse anche in altre aree di influsso greco, come la Campania.

Il Monte Pruno, alquanto lontano, ma non estraneo all'influsso del territorio in esame, ha invece restituito nel 1938 la tomba di un capo tribù indigeno, la cui ricchezza è evidente sia per la struttura monumentale che per l'abbondanza del corredo: vasi ed oggetti sia in ceramica che in bronzo, di indubbio valore e prestigio sociale, sia per il ruolo emergente ricoperto e rappresentato ad esempio dal carro usato nelle parate militari. Si riflette con tale esibizione un'ideologia che si perpetua nel mondo indigeno dell'interno ma è già abbandonata nelle città greche della costa, più legate ora ad un ideale dell'uomo che si realizza nella sfera del banchetto ed in quella dell'atletica.

A partire dalla fine del V sec. a.C. assistiamo alle prime fasi della conquista lucana del territorio poseidoniate: dopo il primo impatto drammatico (v. la distruzione di un edificio nel santuario alla foce del Sele), i Lucani effettuano una penetrazione pacifica che si riflette in un più esteso insediamento nelle campagne, con conseguente più intenso sfruttamento, mentre all'interno della città, ad eccezione di pochi e non radicali mutamenti nell'assetto urbano, le istituzioni greche continuano a vivere pur se con nomi non sempre identici ai precedenti; la lingua scritta predominante è quella osca che comunque si serve dell'alfabeto greco (v. la dedica a Giove all'interno dell'Ecclesiasterion, l'edificio per le riunioni della cittadinanza).

L'esplosione demografica è una delle principali spinte per il popolamento della campagna, anche nelle aree collinari e periferiche, che ora si dissodano e si coltivano anche a scapito del manto forestale che precedentemente ricopriva quasi completamente le alture, privilegiando l'allevamento brado. Si afferma così una più complessa articolazione delle colture, anche miste (ad es. seminativo ed olivi), ed un'affermazione della viticoltura, introdotta dai Greci già nel periodo arcaico ma diffusa a partire dal V sec. a.C. Il benessere che deriva dall'agricoltura, base essenziale nell'economia anche nella storia moderna e contemporanea dell'Italia meridionale, favorisce la nascita di una classe agiata, che esprime il proprio stato sociale anche nella monumentalità delle tombe, sua ultima dimora, e nella ricchezza dei corredi depositati in esse.

Appartiene a questo periodo la maggior parte delle tombe rinvenute in area pestana (Poseidonia prende il nome di Paestum, recuperando una definizione precedente alla colonizzazione greca anche se il simbolo del dio Poseidon, immagine parlante sulle monete, non scompare attestando il rispetto dei Lucani verso una civiltà superiore di cui si sentono in parte eredi. Non sembra più in uso nel IV sec. a.C. la strada greca scoperta in località Linora, in quanto alcune tombe vengono inserite sul vecchio tracciato. Viene così a modificarsi il rapporto tra la città e la sua acropoli, ma l'intensificazione dell'insediamento sparso può rappresentare un decentramento di rapporti con l'agro e il sorgere di altri centri di notevole importanza economica, forse in relazione alla diversa distribuzione delle risorse. Ricordiamo tra le necropoli scoperte, che sono inerenti a vicine fattorie o, se più numerose, anche a modesti villaggi, quelle scoperte ad ovest del Varco cilentano, o a S. Marco, in occasione dei lavori per la rete ferroviaria, o in altre contrade di Agropoli ed Eredita.

La più nota testimonianza di una tomba in area periferica proviene dal rinvenimento del 1967 in contrada Vecchia di Agropoli, in seguito a scavi occasionali, effettuati per lavori agricoli. Situata su un'altura e nei pressi di una importante via per il Monte della Stella, essa presenta una struttura a camera, coperta da un tetto a doppio spiovente, il tutto in calcare locale. L'ingresso è chiuso da due lastroni poggiati a pilastri cui è addossato un blocco per sigillare il vano sepolcrale; questo è a sua volta diviso in due ambienti tramite un basso muretto. Già nel progetto iniziale la tomba deve ospitare due deposizioni per le quali si predispongono due letti funebri addossati a pareti e destinati probabilmente ai due coniugi proprietari della vicina fattoria, di cui si sono rinvenuti i resti. Le pareti sono affrescate; su quella di fondo è raffigurato il ritorno di un guerriero a cavallo, seguito dal palafreniere; indossa una corazza, reca un elmo e regge sulle spalle tre lance cui è legato uno scudo, interpretati come trofei di guerra, tolti al nemico ucciso.

Una donna, dietro la quale è un'ancella con una brocca, offre da bere al cavaliere con una coppa, in segno di benvenuto. Sulla parete destra è affrescata una corsa di quadrighe, che raffigura i giochi funebri svolti in onore del defunto (il cavaliere); per lo stesso fine sono presentati i gladiatori in combattimento sulla parete sinistra.

La differenza delle funzioni sociali nella civiltà antica è espressa dai vasi che accompagnano le due deposizioni; quanto all'uomo essi sono relativi ad un ruolo sociale: la mensa, la palestra e la guerra, settori rappresentati da vasi per banchetto e attrezzi per la cottura della carne, dallo strigile, lo strumento che deterge l'olio dal corpo degli atleti, e dalle armi. E' un ideale ormai recepito dalle città greche. La donna presenta invece valori legati alla vita domestica, più propriamente femminile, nel cui ambito rientra il matrimonio, l'approvvigionamento idrico, la conservazione dei prodotti della campagna e la gestione anche finanziaria del nucleo familiare, come testimoniano le monete di Velia, che comunque indicano non l'estensione in tale area del territorio eleate ma un notevole accreditamento della sua moneta a fini commerciali più che politici.

In periodo lucano la donna esprime un conservatorismo necessario in una società sempre più aperta allo sfruttamento delle risorse dell'agro ed al commercio esterno. La sua funzione importante è evidenziata nella tomba di Agropoli dalle sue dimensioni simili a quelle del cavaliere; dalla metà del VI sec. a.C. questa andrà aumentando: numerose le scene che la raffigurano durante i lavori domestici o sul letto di morte, mentre il defunto non sarà più presentato in armi ma eroicamente nudo, contemporaneamente alla penetrazione degli influssi apuli anche in territorio pestano. Tale aspetto è, ad esempio, riconoscibile nel caso di Agropoli nell'uso della sovradipintura dei vasi prodotti nell'officina pestana di Asteas, che firma il suo lavoro secondo la tradizione greca.

Se prendiamo in considerazione il territorio di Elea, non ci deve sfuggire il carattere specifico di questa città, nata sul mare con finalità quasi esclusivamente commerciali e senza alcuna aspirazione di ampliamento territoriale, ad eccezione delle aree limitrofe necessarie a produrre i mezzi del suo sostentamento (ad es. il legno per la costruzione delle navi). Già si è accennato al confine con l'area poseidoniate rappresentato all'interno della Punta della Carpinina. Il fatto che non sia possibile un diretto contatto visivo tra questa ed Elea, in quanto è sottostante al massiccio del Monte della Stella, ha fatto pensare alla presenza di un punto di avvistamento sulla cima di questo monte. Il corso dell'Alento fa da spartiacque tra questo e l'altro impianto fortificato velino di Moio della Civitella, e conduce alla sua piana chi proviene da Poseidonia. Da Moio si garantisce il passaggio anche per il Vallo di Diano.

Saggi di scavo condotti nel 1971 nella loc. Chiuse delle Grotte di Pattano, a circa 8 Km. ad est di Velia, hanno condotto alla scoperta di alcune tombe (tre a camera, già depredate in antico) e di frammenti di vasi di officina pestana: essi attestano la diffusione di tale cultura anche in area velina (metà IV sec. a.C.), oltre che, per il costo rilevante dei vasi, un accumulo di ricchezza fondata sullo sfruttamento del vicino manto boschivo. Al fine della tutela dello stesso può spiegarsi la presenza delle cinte fortificate disposte in posizione difensiva verso l'esterno, mentre la città ha una propria e solida fortificazione già in blocchi squadrati. Tali opere periferiche, per lo più non sede di uno stabile insediamento per le asperità naturali, sono da ricondursi forse al pericolo lucano per combattere il quale Elea entra nel 387 nella lega delle città greche dell'Italia meridionale (cioè italiote); nel primo periodo della sua fondazione la città entra in possesso dell'area, dopo una prima fase emporica e di contatto con gli indigeni, con i quali i Focei stipulano un patto di reciproca convivenza. Il tutto si svolge con l'appoggio della vicina Poseidonia che favorisce la creazione di un insediamento che sviluppi il commercio sibarita; il porto arcaico velino, come quello di Agropoli, è situato a nord del promontorio ed alle foci dell'Alento per le medesime garanzie dai venti meridionali ed di Sud-ovest.

L'estensione dell'area velina a Sud si amplia col tempo: il territorio già di Palinuro viene aggregato dopo la distruzione di Sibari (510 a.C.), che crea un vuoto di potere di cui approfitta per espandersi soprattutto Poseidonia. A sua volta Sibari aveva raccolto l'eredità del dominio di Siris che essa aveva contribuito a distruggere con l'alleanza di Metaponto e di Crotone intorno al 565 a.C.

Poseidonia grazie ai nuovi interessi si distacca dagli itinerari fino ad allora seguiti insieme ad Elea. Il corso del V sec. a.C. vede numerose alleanze della città con Siracusa e Metaponto, che si inseriscono nei nuovi equilibri politici e commerciali; nel frattempo nelle sue vicinanze Reggio fonda la colonia di Pixunte (Policastro) per riattivare a suo vantaggio il commercio del Tirreno, fiorente in epoca arcaica.

Quanto a questo periodo le fonti antiche parlano anche di contrasti tra Elea e Poseidonia e di crisi interne alla città focea, travagliata come altre dalle diverse aspirazioni che oppongono i ceti popolari e artigiani emergenti alla vecchia aristocrazia, pur se in parte favorevole alle idee democratiche ateniesi.

La politica di Atene invocata dalle città greche dell'Italia meridionale, in lotta per la conquista della Siritide, riesce ad avere il sopravvento con la fondazione di Thurii e si fa sentire anche ad Elea: il viaggio di Parmenide e Zenone ad Atene da Pericle, l'apparizione della testa di Athena elmata e della civetta, simbolo ateniese, sulle monete veline ne sono una chiara testimonianza.

L'ultimo notevole atto della difesa della grecità magnogreca Elea lo compie inviando navi a Caulonia per combattere le ambizioni di Dioniso I di Siracusa (387 a.C.), che si inserisce in un periodo di già realizzata occupazione lucana nel territorio.

Se Poseidonia è conquistata dai Lucani, ad Elea non tocca la medesima sorte, anche se non si sottace di contrasti con tale popolo, ormai padrone anche delle coste a sud di questa, di Pixunte (Policastro) e Laos (presso Marcellina in Calabria).

E' probabile che la forte grecità della città, la sua specifica posizione politica, di nessuna strategia di ampliamento territoriale, del resto non strettamente necessario alle esigenze di approvviggionamento della legna, e la sua importante funzione commerciale abbiano procurato rapporti pacifici con gli indigeni, prima, e con i Lucani in seguito, interessati questi ultimi più ad un'appropriazione delle risorse agricole che a più specialistiche attività di commerci marittimi.

 


BIBLIOGRAFIA

Alla bibliografia riportata in AA.VV., Il museo di Paestum. Appunti per una lettura critica del percorso espositivo, Agropoli, 1987, si aggiungano:

Paestum, in Città e territorio nelle colonie greche d'Occidente, I, Taranto, 1987, a cura di E. Greco, A. Stazio, G. Vallet;

E. GRECO, D. THEODORESCU e altri, Poseidonia-Paestum III, Roma, 1987;

inoltre le relazioni sulla città magnogreca tenute al XVII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto-Paestum, 9-15 ottobre 1987, in corso di stampa.

 

Quanto a Velia, oltre ai contributi negli atti dei Convegni di Taranto dal 1969 in poi, si vedano:

AA.VV., in Velia e i Focei in Occidente, PP ("Parola del Passato"), CVIII-CX, 1966;

AA.VV., in Nuovi studi su Velia, PP, CXXX-CXXXIII, 1970;

B. NEUTSCH, Sondierung auf der Akropolis von Elea, in AA ("Archeologischer Anzeiger"), 1970, pp. 170-176;

B. NEUTSCH, Problemi di Urbanistica ippodamea in Magna Grecia, in AttiCitRom, 3, 1971, pp. 66-67;

A. GRECO PONTRANDOLFO, Ripostiglio monetale da Velia, AIIN, XVIII-XIX, 1971-1972, pp. 91-111;

E. GRECO, Sul cosiddetto errore di Alalia, in PP, XXX, 1975, pp. 209-211;

E. GRECO, Velia e Palinuro. Problemi di topografia antica, in MEFRA ("Mèlanges de l'Ecole Française de Rome - Antiquité"), 1975-I, pp. 81-108;

P. EBNER, Altre epigrafi e monete di Velia, in PP, XXXIII, 1978, pp. 61-73;

B. NEUTSCH, Elea. Ionisches und Attisches aus dem archaischen Stadtgebeit, in RM ("Römischen Mitteilungen"), 86, 1979, p. 141 ss.;

E. GRECO, in Guide Archeologiche Laterza. Magna Grecia, Bari, 1980, p. 40;

S. MUSITELLI, Ancora sui Folarchoi di Velia, in PP, pp. 241-255;

W. JOANNOWSKY, Velia, in SE ("Studi Etruschi"), s. III, 1981, p. 523;

W. JOANNOWSKY, Considerazioni sullo sviluppo urbano e la cultura materiale di Velia, in PP, CIV-CVII, 1982, pp. 225-246;

MIREILLE BAGGIONI-LIPPMANN, Etude géomorphologique du site de Vélia, PP, CIV-CVII, 1982, pp. 211-223;

E. MIRANDA, Nuove iscrizioni sacre di Velia, in MEFRA, 94-I, 1982, pp. 164-165;

E. GRECO / ALAIN SCHNAPP, Moio della Civitella et le territoire de Velia, in MEFRA, 95-I, 1983, pp. 381-415;

C. BENCIVENGA TRILLMICH, Resti di casa greca di età arcaica sull'acropoli di Elea, MEFRA, 95-I, 1983, p. 417 ss.;

G. LIBERO MANGIERI, Rinvenimento di una moneta di bronzo di Velia: nota sulla fine della monetazione della città, RIN ("Rivista Italiana di Numismatica e scienze affini"), LXXXVI, 1984, pp. 223-227;

G. LIBERO MANGIERI, Velia e la sua monetazione, Lugano, 1984;

G. PUGLIESE CARRATELLI, Ancora di Parmenide e della scuola medica di Velia, in PP, CCXX, 1985, pp. 34-38.


Tratto da:
ANTONIO CAPANO, "Periodo greco e lucano", in P. CANTALUPO, A. LA GRECA (a cura di), Storia delle terre del Cilento antico, Centro di Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli, 1989, vol. I, pp. 69-79.

 



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