Il Castellum Cilenti e la città di Lucania
(Piero Cantalupo)

 


CILENTO / CASTELLUM CILENTI

 

FONTI

Senatore G., La Cappella di S. Maria sul Monte della Stella nel Cilento - Relazione storica con documenti, Salerno, 1895, App., doc.I (a.994), via que badit a cilento. Codex Diplomaticus Cavensis, VIII, 260 (a.1063), via que dicitur de fageto que ascendit ad ipsum castellum cilenti.

Fig. 1 - Monte della Stella visto dall'Acropoli di Velia

ORIGINE DEL TOPONIMO

Da un radicale preindoeuropeo *sir- (con oscillazione sir-/cil), relitto del sostrato mediterr., dal signif. di "monte" [che, come base oronimica, è rappresentata nella penisola balcanica (monte Cilla in Arcadia), in quella iberica (sierra), in Sardegna (m. Sirai), in Abruzzo (m. Sirente), in Basilicata (m. Sirino), in Calabria (altopiano della Sila) ed altrove], unito alla formante -ento, anch'essa preindeuropea, perché costituisce il secondo elem. di relitti toponomastici del sostrato, quali Arm-ento e Grum-ento.

 

PROFILO STORICO

Lo scomparso insediamento di Cilento, ubicato sul vertice del monte Cilento, l'attuale Monte della Stella, dal quale ebbe nome, era un centro abitato fortificato e come tale viene anche indicato nei documenti, secondo la terminologia medioevale, come CASTELLUM CILENTI.

Esso fu edificato poco prima del Mille nello stesso sito in cui sorgeva il precedente centro di Lucania, attestato fino al 957 e scomparso verosimilmente a seguito di un incursione dei Saraceni, che lo distrussero nel corso della seconda metà del X secolo.

Il nuovo insediamento di Cilento ne continuò le funzioni prima come centro militare ed amministrativo del gastaldato di Lucania, poi, dopo il 1034, come sede dell'amministrazione dell'Actus Cilenti, mentre in un periodo imprecisabile, ma certamente nell'XI sec., vi si costituí l'ufficio diocesano dell'Arcipresbiterato. Come fortezza sul finire del periodo longobardo fu direttamente controllata da Guaimario "il Divoratore", fratello di Gisulfo II, ultimo principe longobardo di Salerno, e fu ceduta da questo ai Normanni soltanto dopo la caduta della stessa Salerno nel 1077.

Conservò la sua funzione di sede amministrativa dell'Actus Cilenti anche nella prima età normanna e, quando il territorio di questo distretto verso la fine dell'XI secolo fu infeudato ai Sanseverino da Ruggiero Borsa (1085-1111), figlio di Roberto il Guiscardo, il centro di Cilento fu la sede principale attorno alla quale si costituí la Baronia di Cilento, sicché nel 1110 fu addirittura menzionato come "Castello di Ruggiero", dal nome di uno dei Sanseverino che ne erano signori in quel tempo.

La sede principale della Baronia fu successivamente trasferita a Rocca, probabilmente nel terzo quarto del XII secolo, al tempo di Guglielmo I Sanseverino, che preferí per motivi strategici impiantare qui un nuovo centro di controllo del feudo, facendo incastellare il vertice della collina su cui già insisteva l'abitato denominato Rocca, la cui condizione fortificata non è attestata prima del 1185, e dove, probabilmente nel corso dello stesso XII sec., si spostò anche l'Arcipresbiterato.

Pertanto Cilento, scaduto dal ruolo di fortezza primaria, divenne sede a partire dal 1166 di un governatore (magister de Cilento, residente a Rocca fino al 1165) di nomina e dipendenza della Badia di Cava; pur tuttavia i Sanseverino vi conservarono la diretta giurisdizione e le loro proprietà feudali.

Il centro si spopolò a seguito della guerra del Vespro (1282-1302), giacché nel 1291, a causa dei danni subíti, fu completamente esonerato dal re Carlo II d'Angiò dalle normali tassazioni. Ciò non serví comunque a richiamare stabilmente nel luogo i suoi abitanti, dispersisi altrove; per cui le strutture insediative e fortificate finirono in una lenta e completa rovina. Nel 1362 sussisteva sul vertice del monte solo una chiesa dedicata a s. Marco, la stessa chiesa che a partire dal 1444 viene ricordata col titolo di S. Maria de Stella. Essa fu assegnata nel 1445 all'Arciprete di Cilento, residente a Rocca, e poi concessa nel 1477 con oneri e rendite ai Carmelitani dal papa Paolo V, unitamente alla chiesa della Beata Maria de Martiribus, nel sito dell'attuale Mercato, dove i monaci, che ebbero poi in gestione anche la chiesa di S. Maria de Lazzarulo (v. Acciaroli), edificarono il convento che ancora ivi s'innalza.

Dal titolo della chiesa di S. Maria della Stella, anche il monte si disse poi "della Stella". Nella quale Montagna - si legge in un documento notarile del 1707 - se Conoscono l'edificii, et Muraglie d'una Città distrutta che per tradizione de' Vecchi se dice essere Chiamata lucania". Qui, entro il circuito delle antiche mura, accanto alla chiesa, che fu ristrutturata verso il 1683, si tenevano ancora nel Settecento due festività annuali, una il 25 aprile, giorno di s. Marco, l'altra il 15 agosto, ricorrenza dell'Assunta, entrambe caratterizzate da un piccolo mercato.

Fig. 2 - Monte della Stella, la cappella di S. Maria

PRESENZE ARCHEOLOGICHE, MONUMENTALI, ARTISTICHE

Cappella di S. Maria della Stella (rifac. del 1683 c. su impianto medioev.); ruderi emergenti di edifici medioevali; presenza di frammenti di ceramica e di manufatti a partire dal IV sec. a.C.; resti di costruzione fortificata in località Castelluccio.

 

Fig. 3 - Monte della Stella, resti di antiche mura


LUCANIA (La città di Lucania)

 

A metà del XVII secolo il giureconsulto Giovan Nicola Del Mercato, di Laureana, segnalò nei suoi scritti all'attenzione dei dotti l'esistenza di considerevoli rovine sulla spianata che si apre sul vertice del Monte della Stella, individuandovi il sito di un'antichissima città. La sua opera, inedita ma da molti consultata o comunque conosciuta, aprí il dibattito sull'identificazione di quelle rovine, a cui parteciparono, a partire dal contemporaneo Luca Mandelli, non solo storici di chiara fama ma anche eruditi locali nel tentativo di dare ad esse un nome.

Le proposte di identificazione si alternarono da allora col rifiuto di credere ad una qualunque esistenza nel luogo di un centro abitato, rifiuto che, contro ogni obiettività ed oltre ogni serena valutazione dei fatti, porta ancora qualche studioso a negare non solo l'evidenza dei documenti medioevali e moderni quanto le stesse testimonianze materiali di ruderi e frammenti archeologici, che indicano nel luogo la sede di un insediamento umano proiettato lungo un arco di tempo che va dal IV sec. a. C. all'Alto medioevo.

Già il Del Mercato aveva a suo tempo distinto nel sito due nuclei di rovine, quelle sul vertice (m. 1131 s.l.m.), che egli riferí ad un insediamento più consistente, identificandolo con l'antichissima città di Lucania, centro principale di tutta la Lucania antica, e quelli sul crinale nord-ovest dello stesso monte, in località Castelluccio (m. 1036), che attribuí ad un fortilizio (un castrum, com'egli lo definí) che fungeva da antemurale alle fortificazioni della prima.

L'esistenza di queste considerevoli rovine, che nel 1681 richiamarono anche l'attenzione del vescovo A. Bonito (1677-1684), salito sulla cima del monte in visita pastorale alla cappella di S. Maria della Stella, ultima reliquia dell'antico abitato "di cui - egli scrisse - si conservano le vestigia", fu convalidata dall'accurata descrizione dei due nuclei di ruderi effettuata da F. A. Ventimiglia nella sua opera del 1788.

Ma l'emergenza di queste rovine era tale da rappresentare comunque una costante di riferimento nelle descrizioni del pianoro del Monte della Stella.

Già nei primissimi anni del Settecento Tommaso Mondelli, procuratore del convento di S. Maria dei Martiri di Mercato Cilento, facendo opposizione nella causa intentata a quel convento dai Granito baroni di Valle e Lustra, che avanzavano pretese di proprietà nei riguardi del vertice del Monte della Stella, esibí una serie di attestati, raccolti da notai cilentani, in cui si dimostrava che i monaci erano in possesso da tempo immemorabile di quel luogo e della chiesa ubicata sul margine occidentale della spianata interessata dai ruderi.

Fig. 4 - Monte della Stella, loc. Castelluccio, antiche fortificazioni

Chiarivano, pertanto, quei documenti come la chiesa si trovasse dov'è "il Ristretto fra le Mura dell'antica distrutta Città in detto Monte" (a. 1704, notaio A. Rascio di S. Mauro), tra le "reliquie di Muraglie che al presente vi sono" (1707, not. C. O. Marocco, S. Mauro), "proprio nel ricento d'una Cità antichissima che vi è stata, ... come tengono le muraglia dalla parte di dendro" (1707, not. P. Cona, S. Giovanni), "nel quale luogo vi sono diversi edificii antichi" (1708, not. A. Coci, Perdifumo), lí precisamente si riconosceva il "luogo dove sta eretta la detta chiesa, la quale proprio sta sita nel ristretto della Città antica nominata Lucania, hoggi distrutta" (1708, not. G. A. Gifoli, Serramezzana). La proprietà dei Granito si estendeva invece "più oltre delle muraglie antiche e ristretto di detta città distrutta" (ibidem), sicché il convento di S. Maria possedeva la "detta Città antica distrutta" (1708, not. Gifoli cit.), "ed il luogo di detta Chiesa, e largo di essa con tutto il distretto di detta Città distrutta ... ab immemorabili" (1708, not. N. Rascio, S. Mauro).

Perfino chi, come G. Senatore, nel suo scritto del 1895 definiva "un impossibile storico" l'esistenza di una città antica su quel monte, costretto tuttavia dall'evidenza, non poté tacere che lí vi era un "altopiano circondato da antiche mura".

Comunque la ricognizione archeologica eseguita nel sito nel 1945 da Venturino Panebianco, che individuò nei ruderi meridionali il centro principale del gastaldato di Lucania, fa da contraltare ai sopralluoghi effettuati fra il 1970 ed il 1980 da "avventurosi" operatori culturali, che non vollero vedere quanto andava visto immediatamente, prima che l'impianto di una base militare sconvolgesse irreversibilmente il vertice del monte; certo oggi, dopo che lo stato dei luoghi è stato profondamente alterato dalla nuova istallazione, che solo a stento ha risparmiato la cappella di S. Maria, producendo nel contempo escavazioni fino a 7 metri di profondità, tali da compromettere irreversibilmente ogni futura indagine archeologica nel sito, poco resta da vedere o da costatare; tuttavia se la distruzione non sarà protratta al punto da cancellare ogni reliquia, vi sono e sussistono ancora evidenze tali da soddisfare le esigenze di una serena indagine.

Emilio Guariglia, già un anno prima della ricognizione del Panebianco dimostrò, sull'inoppugnabile scorta di documenti medioevali, che sul vertice del monte era esistito un centro che nel X secolo si era chiamato Lucania e nell'XI secolo Cilento. Non dunque l'antichissima Lucania, se pure mai esistita, a cui faceva riferimento il Del Mercato, ma l'omonimo centro medioevale, il cui nome, comunque ricorrente nelle cronache e nelle antiche carte notarili, era stato fino ad allora da quasi tutti gli autori cervelloticamente attribuito a Paestum!

Nicola Acocella nel 1961 riconobbe nello stesso sito montano l'esistenza di una borgata-fortezza, centro amministrativo e giuridico dell'Actus Lucaniae, cioè del gastaldato longobardo di Lucania, ma sostenne tuttavia che tale borgata si era chiamata sempre e solo Cilento fino all'epoca del suo abbandono; quanto al termine Lucania ricorrente nei testi medioevali, seguí la tesi già espressa da G. Racioppi, che vi vedeva un riferimento generico al territorio del gastaldato omonimo non l'indicazione di una singola città. L'Acocella però passò sotto silenzio due fondamentali documenti, già considerati dal Guariglia, cioè un passo della Storia dei Longobardi di Erchemperto (c.3, 296) ed un brano della Cronaca Volturnense (pp. 241 e 263-64), in cui Lucania è menzionata come centro abitato. Più grave appare però il rifiuto dell'Acocella di considerare nella sua integrità il testo del Capitolare di divisione dell'849, dal quale, secondo le fantasiose deduzioni di U. Westerbergh, dovrebbe essere tolta la parola Lucania, che invece, attestata con sicurezza dai codici più antichi e letta in quel contesto, assume l'inequivocabile significato di "città di Lucania".

In sostanza il complesso della documentazione prodotta dal Guariglia sgombrò già il campo da ogni ragionevole dubbio e, stabilendo con sicurezza l'equivalenza del sito di Lucania-Cilento, restituí alla Storia la città di Lucania, quella stessa che poi, poco prima del Mille, si chiamò Cilento.

Quanto alle sue origini, anche se non vi sono per il momento sufficienti elementi per accogliere l'ipotesi che la città, o meglio il centro fortificato, costituí la continuazione di Petilia, l'antica capitale dei Lucani, come prospettò il Panebianco, si può sicuramente affermare che il suo primo nucleo abitato si formò anteriormente alla prima attestazione di età longobarda (a. 977), in rapporto con l'esodo delle popolazioni dalla fascia litoranea fra Paestum e Velia a seguito delle incursioni dei Vandali, quando si cercarono posizioni più inaccessibili e sicure. La guerra greco-gotica (535-553) certamente diede un impulso al suo incremento, spingendo le genti latine verso un qualunque scampo all'immane tragedia; di modo che sul finire del VI secolo Lucania era già un grosso borgo fortificato, controllato dai Bizantini finché non cadde in potere dei Longobardi tra la fine del VII e la prima metà dell'VIII secolo. Questi ne fecero il centro giuridico ed amministrativo del gastaldato omonimo e la sua attività è documentata fino al 957. Nel suo stesso sito a partire dal 994 i documenti indicano l'abitato fortificato di Cilento, cioè il Castellum Cilenti, per cui appare plausibile l'ipotesi che Lucania sia stata distrutta nel corso della seconda metà del X sec. da un'incursione di Saraceni, in quell'epoca particolarmente attivi sulle coste salernitane.

 

Fig. 5 - Torricelli (tra il Monte della Stella e Velia), resti del castello

BIBLIOGRAFIA

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Tratto da:
PIERO CANTALUPO, "Schede - Centri viventi e scomparsi", in P. CANTALUPO, A. LA GRECA (a cura di), Storia delle terre del Cilento antico, Centro di Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli, 1989, vol. II, pp. 672-674 e 698-702.

 



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