LA PITTURA DI ORESTE CORTAZZO
(Clara Schiavone)


In questo periodo, caratterizzato da una inverosimile e distruttiva incomunicabilità, si riesce a dare ancora un degno e giusto valore al termine solidarietà, quando ci si riferisce alla cultura, e tanta solidarietà e disponibilità l'ho trovata nelle persone a cui mi sono rivolta per reperire notizie utili alla ricerca, devo dire, però, con enfasi, soprattutto all'estero: basti pensare che il documentalista del Museo d'Orsay per ben due volte ha risposto alle mie richieste e in tempi molto celeri, e Hanna Pennock, storica dell'arte olandese, che nel 1988 curò il catalogo della mostra, al Museo Van Gogh di Amsterdam, dedicata ai pittori italiani che negli anni tra il 1870 e il 1910 si sono affacciati sul mercato olandese, non solo mi ha fatto pervenire una copia di questo catalogo (Scintillanti penne di pavone), ma ha anche tradotto in italiano la parte che eventualmente mi poteva interessare.

Dedichiamoci però a quello che è il nocciolo dell'argomento e cioè il pittore Oreste Cortazzo, figlio di Michele, del quale si è parlato nello scorso numero di "Annali". Anche su Oreste non è stato facile reperire materiale e quel poco che sono riuscita a trovare non chiarifica con testimonianze inconfutabili il suo excursus artistico. Ho provato a muovermi, come ho fatto per Michele, per ipotesi, talvolta felici ipotesi, le quali saranno però avvalorate da alcuni punti fermi incontestabili: il suo maestro Léon Bonnat, i Salons e le Esposizioni Universali, l'influenza della capitale artistica dell'Ottocento (Parigi), caratterizzata da diverse tendenze pittoriche.

I primi insegnamenti li ebbe dal padre, e giovanissimo, nel 1848, figurò all'esposizione di Belle Arti nel museo borbonico con Testa di Orazio vincitore dei Curiazi, un disegno ancora di chiara ascendenza davidiana[1].

A Roma, probabilmente, conobbe Léon Bonnat (1833-1922), che dal 1858 al 1861 si trovò in tour in Italia per studiare i grandi pittori del Rinascimento italiano e partecipare al "Grand Prix de Rome"[2]. Oreste decise di trasferirsi a Parigi[3] per frequentare l'atelier di Bonnat.

Il clima culturale di Parigi era diverso da Roma: un pittore accademizzante come Oreste, con una mentalità artistica ancora intrisa di dottrine neoclassiche, avrà non poche difficoltà a capire il conflitto dualistico tra i fautori del realismo e i poco osannati novelli sostenitori dell'impressionismo, cioè tra una visione "oggettiva" e una visione "soggettiva" della realtà.

Comunque Bonnat, pittore conservatore, legato ad un'impostazione accademica della pittura, manteneva nell'atelier una linea didattica realistica, imperniata soprattutto sul filone della "pittura di genere", tipo di pittura che gli evitava anche di esporsi politicamente e socialmente, poiché, nella maggior parte dei casi, essa è puramente descrittiva e aneddotica, priva di una problematica religiosa e sociale. Bonnat, ritrattista ufficiale della terza repubblica, dagli esordi spagnoleggianti, soprattutto nelle sue tele religiose, vicine a Ribera e nelle decorazioni murali[4], è la negazione di ogni rinnovamento e uno degli avversari più decisi dell'impressionismo; agli allievi non lascerà alcuna libertà né possibilità di interpretazioni personali.

Emblematico in tal senso fu il caso Toulouse-Lautrec (1864-1901), che volendo fare della pittura la sua professione, verso la fine del 1882 entra nell'atelier di Bonnat. Ma il maestro non comprende il disegno di Toulouse-Lautrec che trova "atroce", costringendolo a trasferirsi nel 1883, nell'atelier di Cormon, pittore del pari accademico, ma tuttavia più disposto a comprendere, se non a giustificare, le novità[5].

Ma Bonnat si ricorda oggi più che per le sue qualità di pittore, per il lodevole impegno di grande collezionista, cosa che ha consentito la fondazione del museo di Bayonne, inaugurato nel 1923. Oreste Cortazzo sembra seguire fedelmente, all'inizio, le direttive didattiche imposte dal suo maestro, facendo della ritrattistica e, quindi, della pittura di genere le aree ben definite del suo operato. Soprattutto nel Ritratto di Vittoria (1882), la moglie dell'artista, traspare evidente la linea pittorica convenzionata da Bonnat: l'atteggiamento pacato e soddisfatto della figura, l'atmosfera e l'eccessiva sobrietà dello scenario quasi privo di dettagli, sono elementi tipici individuabili nei ritratti di Bonnat[6].

ORESTE CORTAZZO: Ritratto di Vittoria, la moglie dell'artista (cm. 41 x 28) - particolare

Un dipinto tanto diverso dai successivi che saranno, invece, ricchi di dettagli e meticolosamente curati. L'esotismo che ha caratterizzato la pittura di Bonnat intorno al 1870, in seguito a un viaggio in Oriente[7], ha indubbiamente influenzato anche il lavoro di Oreste, che partecipò al Salon del 1874 con Fantasia giapponese e Donna giapponese[8].

L'esotismo, l'elemento orientalizzante era uno degli aspetti fondamentali della cultura romantica e comunque della cultura ottocentesca; l'artista in quel periodo era sempre più stimolato dal nuovo e dal "lontano", dalla sensualità sfrenata, dal misticismo e dall'edonismo, atteggiamenti che l'Oriente incarnava alla perfezione e caratteristiche predominanti della visione pittoresca della cultura romantica. Il mondo orientale fu per tutto il secolo XIX oggetto di raffigurazione da parte degli artisti francesi, inglesi ma anche italiani. Anche Napoli, per esempio, risentì di questa tendenza esotica, ma anche e soprattutto di quella neo-pompeiana, grazie ad alcuni artisti stranieri, soprattutto francesi, che dedicarono la loro arte alla ricostruzione della vita quotidiana dell'antica Roma e delle civiltà sepolte, tra questi anche Léon Bonnat. Anzi il rapporto con i pittori francesi, cosiddetti "Pompiers", fu molto più stretto di quanto non si pensi. I napoletani potevano vedere i quadri dei francesi a Parigi, ai Salons annuali des Beaux-Arts, oppure nelle varie Esposizioni Universali, mentre i francesi spesso erano a Napoli e qualcuno era presente alle esposizioni napoletane[9].

In effetti questo atteggiamento "pompier" è evidente anche in alcune opere di Oreste.

Nel 1870, Oreste partecipò per la prima volta al Salon di Parigi con La seduta interrotta; la stessa opera fu poi presentata all'Esposizione Universale, sempre a Parigi, nel 1878. Ebbe un buon successo di critica tanto che meritò una citazione dallo storico Angelo De Gubernatis nel suo Dizionario degli artisti italiani viventi, nel quale diede anche una descrizione del quadro: "...alla Esposizione Universale di Parigi, piacque molto un suo quadro di genere, dal titolo La seduta interrotta rappresentante due signore che vengono a visitare lo studio di un pittore, che era intento a dipingere nuda una modella, e che è andata a nascondersi dietro un paravento. Il quadro era ben colorito, brioso e ben disegnato[10].

La briosità, lo vedremo in seguito, caratterizza diversi dipinti di Oreste Cortazzo. Nel 1873 partecipò al Salon con due opere: Il Maestro di ballo e Alla sua toletta; nel 1874 oltre ai due dipinti già citati espose un'altra opera intitolata Le marionette e nel 1878 partecipò con L'incoronazione della sposa, Il nuovo signore del villaggio e Ritratto della signora H.; nel 1889 con Scala Francesco I, Castello di Blois, Ritratto di signora, Ritratto di fanciulla.

Oltre all'Esposizione Universale di Parigi del 1878, Cortazzo partecipò anche a quella del 1889 con Ritratto della signora O. A., Scala Francesco I, La via Denise-Papin à Blois, Ritratto della signora P.V. In questa occasione egli ottenne una menzione d'onore e una medaglia di seconda classe[11]. Nel 1888 aveva partecipato anche all'Esposizione Universale di Londra (padiglione italiano) presentando La caccia al cinghiale[12]. L'Inghilterra ancora Romantica inciderà su molte opere di Oreste e soprattutto la poetica del giardino romantico inglese, che fu già espressa ampiamente nella pittura di paesaggio che ebbe in Inghilterra un grande sviluppo nel corso del secolo XVIII. I riferimenti a pittori inglesi del `700 sono palesi nel dipinto Un pomeriggio sul fiume, le figure giocose inserite nel paesaggio, quasi messe in posa in festante simbiosi con la natura, ci rimandano un po' a Reynolds (1723-1792) e Gainsborough (1727-1788).

ORESTE CORTAZZO: Un pomeriggio sul fiume, eleganti signore in gondola fuori le mura del palazzo (cm 80,5 x 45,5)

Non a caso Gainsborough, nei suoi ultimi paesaggi, anticiperà spesso quelle teorie del "pittoresco" che Uvedale Price divulgherà dopo il 1794. Ma Oreste ha preso a modello anche artisti francesi del `700, come Boucher (1703-1770), Chardin (1699-1779), Fragonard e, soprattutto, Antoine Watteau (1684-1721), tutti interpreti del gusto Rococò.

Il dipinto di Oreste, ci ricorda un po' come impostazione e atmosfera quelle scene campestri dipinte da Watteau come Divertimenti campestri e Riunione in un parco, ma soprattutto quella che è l'opera più emblematica di Watteau, L'imbarco per Citera, e non tanto la versione più nota del Louvre o quella di Berlino, ma quella incisa da un disegno, appartenente alla collezione Heugel a Parigi. Il soggetto fu riconosciuto quale illustrazione della commedia di Dancourt Le tre cugine.

ANTOINE WATTEAU: L'imbarco per Citera

I pellegrini sono disposti in tre gruppi, quasi a ferro di cavallo, alludendo forse alle tre classi sociali: l'aristo-crazia, la borghesia e il volgo. Sul fondo un parco con balaustrate, scalee e amorini, dietro il profilo dei monti nevosi di Citera. Il timbro teatrale risulta evidente nella rigida rappresentazione dei personaggi e negli alberi, che sanno di quinte debitamente ritagliate, e nello sbucare stesso dell'imbarcazione.

Inoltre sono presenti elementi architettonici italiani (specie la balaustrata) e anche la venezianissima gondola che testimoniano l'amore di Watteau per l'Italia e soprattutto per il teatro italiano[13].

Nel dipinto di Oreste si riscontrano diverse analogie con Watteau e molti elementi della sua opera (statue, effigi, balaustrata, gondola). Lo scenario dell'opera di Cortazzo sembrerebbe quello veneziano, ma escluderei sia un sopralluogo nella città veneta del pittore, sia l'uso di qualche dagherròtipo; d'altronde nemmeno lo stesso Watteau si era, forse, recato nella città lagunare per rappresentare le sue scene di ispirazione veneziana: una "Pétite Venise" era stata costruita a Versailles, con gondole dorate guidate da barcaiuoli veneziani per le feste che si organizzavano durante le notti estive nel parco[14].

Cortazzo non ha sicuramente potuto godere di questo artificioso scenario, in quanto la piccola Venezia già non esisteva più[15], ma che abbia filtrato da Watteau questa finzione veneziana è più che probabile.

Il prof. Guarracino, invece, durante la presentazione del mio saggio a Ceraso, sosteneva la tesi del "supporto fotografico" per la realizzazione di quest'opera, nella quale: "...lo scorcio paesaggistico richiama proprio una veduta reale veneziana che si può ammirare tranquillamente quando si arriva al Piazzale Roma di Venezia, uscendo dalla stazione e guardando verso destra...".

E' un'ipotesi non improbabile, visto che molti pittori alla fine dell'Ottocento, operavano servendosi di fotografie e cartoline; rispetto questa tesi che, anzi, incentiva e stimola il mio avido desiderio di conoscenza su Oreste Cortazzo così come anche sul padre: se molte intuizioni si sono rivelate delle felici realtà, molte ipotesi, anche se divergenti, non possono che aprire diversi sbocchi verso un'unica verità.

Se si osserva tutta la scena, focalizzando il gruppo di persone in primo piano, si avverte quasi la sensazione di un fotomontaggio, non si coglie quel senso di omogeneità, non tutti gli elementi sembrano integrarsi felicemente l'uno con l'altro. Ebbene ancora una volta bisogna fare riferimento alla lezione di Watteau per comprendere quella che può sembra una stonatura.

Il metodo di lavoro di Watteau consisteva nel disegnare dal vero, separatamente, figure e paesaggio per poi unirli insieme nel quadro. Andava a disegnare intorno a Parigi qualche veduta di paesaggio, poi disegnava qualche figura e, infine, formava il quadro di sua immaginazione e scelta[16].

Bisogna, però, soffermarsi un attimo sulla tecnica adottata dal nostro pittore per realizzare non solo questo dipinto, ma anche altri, cioè l'acquerello. Questa tecnica, introdotta nella pittura di paesaggio del Settecento dagli inglesi Alexander e John Robert Cozen (1716-1786 e 1752-1797), rappresentò una vera e propria novità. Leggera, rapida, duttilissima, capace delle più ricche sfumature, ma nello stesso tempo immediata e senza pretese, ben si adatta al linguaggio dimesso e apparentemente futile del quotidiano. Nella sua purezza spoglia di materia, nella sua fragilità e trasparenza, la tecnica dell'acquerello giunge a cogliere l'essenza di un gusto, quello del pittore alpestre. Attraverso di essa si esprime il panteismo della luce di questi pittori, la loro intuizione lirica di una presenza diffusa nel paesaggio e si realizza quella comunione mistica fra la personalità dell'artista e la realtà naturale, che costituisce uno dei momenti più tipici, anzi il vero punto nevralgico della sensibilità romantica[17].

Ci si rende conto, pertanto, di come la scuola e il sentimentalismo romantico inglese e i paesaggisti del '700 siano stati dei riferimenti chiave per le esperienze artistiche del pittore italiano.

ORESTE CORTAZZO: Dopo il bagno (cm 28,5 x 18,5)

Nel dipinto Dopo il bagno anche se l'impianto scenografico è diverso si avvertono le stesse sensazioni. Qui si denota bene il carattere pompier della pittura di Cortazzo, con l'arredo curato leziosamente nei minimi dettagli, con un eccessivo gusto decorativo rimarcante un genere classicheggiante che rimanda un po' agli interni, appunto, pompeiani. L'impianto architettonico, con gli stucchi, le ornamentazioni parietali, le colonne e paraste culminanti in capitelli neoclassici, in coerenza allo stile del mobilio e degli accessori, fanno pensare che Cortazzo abbia visitato la biblioteca di Kenwood House di Londra, decorata da Robert Adam, nella seconda metà del `700; in effetti anche Adam dopo il viaggio in Italia, attraverso l'influsso Piranesiano, si dedica allo studio degli stucchi romani classici e rinascimentali, sostituendo alla massività tettonica degli interni Georgiani questo gusto pompeiano, comunque italiano[18].

ROBERT ADAM: Kenwod House

Siccome si ha l'impressione che Oreste abbia filtrato l'influenza dell'arte italiana da altri artisti stranieri, se ne può dedurre che durante il suo probabile soggiorno in Inghilterra, sia rimasto particolarmente colpito da questi interni. La ricchezza di particolari rende il dipinto più apprezzabile se si tiene anche conto della sue modeste dimensioni (28,5x18,5), caratteristica, questa, comune a quasi tutte le opere di Oreste Cortazzo. Si denota in questo dipinto un orientamento del gusto verso il decorativismo barocco della scuola italiana di Pietro da Cortona e del Tiepolo, ma anche verso la scuola Fiamminga di Rubens, Van Dick e Jordaens, che ci ricorda tanto Fragonard sul quale queste due scuole avevano influito molto. Ma è soprattutto ancora Watteau che qui appare come il massimo referente pittorico di Cortazzo e se prima lo si ipotizzava, in questo dipinto ne abbiamo finalmente la prova.

Infatti nell'ovale, in alto a destra, Oreste riproduce fedelmente la Primavera di Watteau, facente parte delle Stagioni Crozat, dipinte per essere inserite nella Boiserie della sala da pranzo dell'hotel di Crozat, amico e sostenitore della pittura di Watteau, a Parigi, agli inizi del `700 e demolito alla fine del secolo; pertanto questa ne è soltanto un'incisione.

ANTOINE WATTEAU: Le Stagioni Crozat

L'ovale raffigura Zefiro incoronante Flora, sulla destra fa capolino il gruppo zodiacale con il toro e i gemelli. Nella figura di Flora chiari sono i riferimenti stilistici a Tiziano, Van Dick e Rubens, cui si rifà anche il motivo del braccio levato di Zefiro[19].

ANTOINE WATTEAU: La primavera

La lezione di Rubens, pervenuta a Cortazzo attraverso Watteau, è evidente anche nella rappresentazione seducente e maliziosa della figura femminile, che appare quasi il seguito dell'opera matura di Rubens Helena Fourment esce dal bagno o la piccola pelliccia (1638 circa). Se dall'opera di Rubens traspare un atteggiamento timido, pudico della giovane moglie che tenta di celare le sue nudità con una stola di pelliccia, nell'opera di Cortazzo emerge tutto il gusto della trasgressione, nell'esibizione voluttuosa, da parte della modella, del proprio corpo con disinvoltura e divertita sfrontatezza quasi diretta al pittore stesso. Sembra quasi che a distanza di oltre due secoli il Cortazzo abbia voluto riprendere la stessa situazione per dare vita a un confronto culturale del costume: una sorta di trionfo della disinibizione femminile sull'intimità raccolta, quasi religiosa, di Rubens.

RUBENS: Helena Fourment esce dal bagno

La Toilette di Watteau si inserisce come tramite fra i due dipinti, la modella mantiene ancora una certa discrezione nel mostrare il proprio corpo ma è già più propensa a certe aperture culturali del costume femminile. Anche qui l'impianto della figura principale deriva da Rubens, forse tramite un disegno appartenuto a Crozat, e divenne esemplare per una lunga serie di opere settecentesche, dove però la carica erotica non appare mai così perfettamente assorbita dal fatto pittorico[20].

ANTOINE WATTEAU: La toilette

Questa spasmodica ricerca verso una sensualità raffinata, da parte di Watteau, che sembra esistere, anche se in toni minori e in modo più epigono, in Oreste, mi inducono ad assimilare questi due artisti a Tiburce, protagonista del racconto Il Vello d'oro, creato dalla magnifica penna di Théophile Gautier, uno degli esponenti più colti e sensibili della letteratura romantica e, a torto, meno esaltati. Tiburce, pittore appassionato di Rubens, va in estasi solo di fronte a "quelle carni satinate, a quelle carnagioni raggianti come mazzi di fiori, a tutta quella rigogliosa sensualità che il pittore di Anversa fa circolare, trama azzurra e vermiglia, sotto la pelle delle sue figure"[21].

Per questo si reca in Belgio alla ricerca del "biondo", a cercare la donna bionda e il tipo di Rubens. E' durante questo viaggio che Tiburce, nel quale poi si identifica lo stesso scrittore, come un argonauta alla conquista del vello d'oro, scopre la Maddalena della Deposizione di Rubens nella cattedrale di Anversa, e se ne innamora, costringendosi a una sfrenata ricerca della sosia vivente della bionda figura rubensiana. E' curioso che la stesura di questo bellissimo racconto sia stato portato a compimento nel 1836, anno di nascita di Oreste Cortazzo.

ORESTE CORTAZZO: Ragazza che danza di fronte allo specchio (cm 28,5 x 18,5)

Il dipinto Ragazza che danza di fronte allo specchio è caratterizzato dalla stessa maliziosa ironia e dallo stesso scenario neoclassico. L'intero dipinto sembra acquisire movimento e persino lo specchio, un po' inclinato su se stesso, pare voglia assecondare i sinuosi passi del vibrante e allegro minuetto danzato dalla ragazza[22].

L'unico dipinto di Oreste di cui è possibile fotograficamente apprezzarne la brillantezza dei colori è quello raffigurante Marie Antoinette's Hameau in Versailles (87 x 154,3), battuto recentemente ad un'asta al Christie's di New York (febbraio 1995). In quest'opera Cortazzo pare voglia concentrare tutto il credo artistico di Watteau, creando una composizione che assembla varie situazioni pittoriche del grande pittore francese.

ORESTE CORTAZZO: Marie Antoinette's Hameau in Versailles (cm 87 x 154,3)

E' un grande paesaggio campestre con diversi gruppi di figure, in diversi atteggiamenti in prevalenza amorosi; infatti ricordano tanto quei convegni amorosi in campagna realizzati dal suo modello francese da cui Cortazzo sembra aver attinto completamente per il suo lavoro. Anche l'abbigliamento delle figure in stile '700 fa riferimento al periodo vissuto da Watteau. I colori brillanti e decisi negano all'opera quell'atmosfera incantata ed eterea tipica dei quadri del francese, che qui invece realizzano una nitida situazione fotografica e intendono immortalare un sereno e giocoso momento di vita di aristocratici francesi. Il quadro è, come tutti gli altri, molto curato nei particolari, anzi sono proprio quelli che risaltano all'occhio dello spettatore.

ORESTE CORTAZZO: Marie Antoinette's Hameau in Versailles - Particolare con flora mediterranea

Da un punto di vista di mercato il gallerista Goupil a Parigi rappresentava il massimo punto di riferimento di tutti gli artisti italiani che volevano aver successo all'estero ed è proprio Goupil a introdurre sul mercato olandese alcuni dipinti del Cortazzo come Lisetta la sartina e La lettera d'amore: quest'ultimo rappresenta una giovane donna che raccoglie un biglietto lanciatole da sopra il muro di un giardino dal suo amante e, in secondo piano, la dama di compagnia sorpresa dal gesto furtivo, con complice discrezione le volge le spalle[23]. Opera maliziosa e ironica, molto simile caratterialmente alle altre, pare incentrata tutta sul gusto della trasgressione, richiamando un po' a certe scene da melodramma.

ORESTE CORTAZZO: La lettera d'amore (cm 23 x 18)

Il nome di Oreste Cortazzo compare ogni anno negli elenchi dei pittori membri della Società degli Artisti Francesi, benché non espose mai con essi. L'ultima citazione relativa alla sua figura si trova nel catalogo del 1906, il che lascia supporre che sia deceduto tra il 1905 e il 1907. Non sono a conoscenza purtroppo di rapporti intercorsi tra padre e figlio in tutto il periodo parigino di Oreste, né se quest'ultimo abbia mantenuto contatti costanti con l'Italia. L'unica citazione riportata dalla Gazette des Beaux-Arts[24] è che un M. Cortazzo abbia figurato nel 1880 all'Esposizione Universale di Parigi con il dipinto Le Buveurs. Non dimentichiamoci che se così fosse Michele avrebbe a questa data circa ottanta anni.

E' un artista, Oreste, eclettico, che si è saputo adattare bene alle esigenze di mercato, non ha risposto certo ai nuovi impulsi avanguardistici, in quel periodo, scalpitanti e in fase dilagante, ma ha il merito di aver sovvertito egregiamente, con una pittura piacevole, il luogo comune che vuole l'artista povero in vita e rivalutato dai posteri, per lui è stato esattamente il contrario. E' chiaro, comunque, che se il "marchio" della cilentanità non è affiorato dall'operato di Michele, è ancora meno tangibile, anzi del tutto inesistente, in Oreste, inserito in meccanismi culturali più aristocratici e molto distanti, non solo geograficamente, dall'agreste Cilento.

Ma è gratificante sapere che un figlio di questa terra così fervida e fertile di ingegni, abbia saputo affermare il suo "prodotto" artistico in tutto il mondo, ed è un esempio per tutti coloro (e non solo cilentani) che, consapevoli del proprio talento e delle proprie capacità ma impediti a notificarli da antichi disagi, troveranno gli stimoli per guardare oltre quella "siepe leopardiana"[25], affermando così le proprie potenzialità con più vigore; ma poi, di tanto in tanto è giusto volgere lo sguardo di nuovo indietro, al di là della siepe, perché è solo lì che restano radicate le ragioni della propria forza.


NOTE

1. A. M. Comanducci: I pittori italiani dell'800, Artisti d'Italia S.A., Milano, 1934, pagg. 160-161.

2. Le Musée de Bayonne, Collections Bonnat, Laurens, Paris, 1925, pagg. 6-7.

3. Oreste dal 1880 ha abitato a Neully-sur-Seine in via Victor Hugo n. 3.

4. S. Monneret: L'Impressionisme et son epoque, Dictionnaire International, Denoel, Paris, 1978/79, pag. 66.

5. Enciclopedia Universale dell'Arte, vol. XIV, voce Toulouse-Lautrec, De Agostini, Novara, 1981, pag. 58.

6. E. Buonomo (a cura di): La Siepe e la Quercia. Poeti, storici ed artisti di Ceraso nel tempo, edizioni del Centro di Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli, 1994, pag. 46.

7. L. Benedite: La peinture au XIX siècle, Flammarion, Paris, pag. 136.

8. A. M. Comanducci: op. cit., pag. 161.

9. M. Picone - I. Valente - F. C. Greco: La pittura napoletana dell'800, Pironti, Napoli, 1994, pagg. 60-62.

10. A. De Gubernatis: Dizionario degli Artisti Italiani Viventi, Le Monnier, Firenze, 1889, pag. 143.

11. E. Benezit: Dictionnaire des peintres, sculpteurs, dessinateurs et graveurs, Roger e Chernoviz, Paris, pag. 1017.

12. M. Comanducci: op. cit., pag. 161.

13. L'Opera completa di Watteau, Classici dell'Arte, Rizzoli, Milano, 1968, pag. 90.

14. G. Macchia: A.Watteau, I Fantasmi dell'opera. Idee e forme del mito romantico, A. Mondadori, Milano, 1971, pag. 27.

15. Quando Goldoni arrivò a Parigi nel 1762, invitato dagli attori del Théatre Italien, sia pur malridotta esisteva ancora.

16. Storia Universale dell'Arte, Il `700 in Francia, vol. 25, Fabbri, Milano, 1966, pag. 40.

17. E.U.A.: op. cit., vol. XII, voce Romantico, pag. 86.

18. E.U.A.: op. cit., vol. XIII, voce Stucchi, pag. 341.

19. L'Opera completa di Watteau, op. cit., pag. 104.

20. L'Opera completa di Watteau, op. cit., pag. 115.

21. T. Gautier: Il Vello d'oro e altri racconti, Giunti, Firenze, 1993, pag. 30.

22. Emilio Buonomo (a cura di): op. cit., pag. 49.

23. Ottocento-Novecento, Italianse Kunst 1870-1910, Catalogo dell'Esposizione al Museo Van Gogh, Amsterdam, 1988, pag. 113-116.

24. Gazette des Beaux-Arts, n. XXI, Paris, 1881, pag. 281.

25. Vedi Introduzione del libro La Siepe e la Quercia, op. cit.



Tratto da:
Clara Schiavone, "La pittura di Oreste Cortazzo", in Annali Cilentani, n. 11, 1995, pp. 21-37.



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