Un trattatello medioevale salernitano sull'alimentazione: il De flore dietarum

a cura di Piero Cantalupo

 

I - PREFAZIONE

Il codice madrileno de Villa-Amil n° 119, che va sotto il titolo di Constantini Africani Opuscula Medica1 è un testo miscellaneo che raccoglie un trattato e diversi trattatelli di medicina medioevale, fra i quali occupa un posto di preminenza l'opera Particulares Diete, in tre libri, introdotta da un Liber graduum, che ne costituisce il prologo e che nell'intenzione di chi originariamente volle unificare due distinti lavori rappresenta il primo dei quattro libri che in definitiva vengono a costituire il trattato2.

L'opera è nota anche per altri versi3 e nel suo complesso va attribuita con certezza a Costantino Africano (1015-1087), l'illustre medico cartaginese venuto a Salerno nel 1077 e monacatosi poi a Montecassino, dove per circa un ininterrotto decennio mise al servizio della medicina la sua erudizione cosmopolita, traducendo testi dal greco e soprattutto dall'arabo, non senza suoi personali contributi alla materia4.

Degli altri scritti presenti nel nostro codice, è probabile che si colleghino al magistero dell'Africano pure altri cinque trattatelli: Questio discipuli ad magistrum, De singulis morbis interrogatio, Liber ponderum, De flebothomia, De elementis, ed i pochi righi della Ammonicio magistri ad discipulum, tutti compresi in una decina di fogli5, ma certamente sono da ritenersi estranei alla sua personale attività scientifica i due ultimi lavori della raccolta, cioè il De flore dietarum e la Practica secundum Trotam6.

La Practica, su cui torneremo in un prossimo lavoro, non presenta problemi di attribuzione, dato l'espresso nome dell'autrice, Trota o Trotula, secondo la duplice indicazione del nostro codice7, anch'essa operante nell'XI sec., ma nel campo specifico della medicina femminile, particolarmente l'ostetricia e la cosmesi8. Il De flore invece, che qui di seguito presentiamo in edizione corredata da traduzione, non è opera del Cartaginese e ciò per una serie di considerazioni.

Posto innanzitutto in rilievo che per la stessa posizione occupata all'interno della miscellanea, aperta e conclusa da autori di medicina operanti nell'orbita della Scuola Salernitana, il De flore ha un buon motivo per non essere ritenuto estraneo alla sfera di quella medesima cultura medica, va osservato che, a parte la logica retrodatazione degli scritti presenti nel codice, compilato agli inizi XIII secolo9, il contenuto globale della raccolta riflette la temperie teorico-scientifica della medicina salernitana del XII secolo, allorché l'insegnamento dell'Africano come quello di Trotula cominciarono a fare proselitismo e scuola.

Naturalmente anche il De flore per il suo contenuto si allinea sul profilo di quella cultura e di quel secolo. L'opera a prima vista potrebbe sembrare un compendio o, meglio, un maldestro riassunto delle Particulares diete dell'Africano, il trattato riportato in testa al nostro codice, considerato che entrambi gli scritti affrontano con gli stessi presupposti teoretici il medesimo tema del rapporto fra gli alimenti e la costituzione del corpo umano; il primo però in forma più sintetica e limitata rispetto a i più ampi contenuti e le più estese argomentazioni del secondo. Ma è proprio da questa differenza che si evince un dato basilare, cioè l'estrema improbabilità che un codice medioevale abbia potuto accogliere un trattato ed insieme un suo estratto10, e ciò c'induce a ritenere che lo scritto più sintetico sia un'opera diversa e di diversa valenza, e che debba indagarsi come tale.

Indubbiamente la dipendenza del De flore dalle Particulares resta ed è evidente, ma vi si riscontrano anche palesi contraddizioni, diversità di punti di vista, differenza di apporti, conoscenza di fonti distinte, insomma tali e tante difformità da rendere impossibile l'attribuzione dei due lavori ad uno stesso autore, anche nel caso che, rovesciando il problema, volessimo considerare il De flore uno scritto preparatorio alle Particulares. L'analisi filologica, anche in direzione di quest'ultima ipotesi, vi si oppone, specie in rapporto alle scelte lessicali11.

Le divergenze che si riscontrano fra le due opere già nella sistemazione generale della materia12 si accentuano nella trattazione specifica delle voci all'interno dei raggruppamenti, dando luogo a sequenze assolutamente discrepanti fra loro. L'esame parallelo poi delle singole voci evidenzia numerose difformità nella loro assegnazione ai gradi di una scala riferita alle qualità naturali degli alimenti13.

Marcare però soltanto le differenze fra i due scritti a ben poco servirebbe se non cercassimo nel nostro trattatello, al di là di una manifesta autonomia, lo spirito che lo informa, cioè la sua vera ragion d'essere.

Chi ha composto il De flore si muove con estrema sicurezza nella disciplina medica, mostra una buona preparazione nella dietetica, e sulla scia degli scritti specifici dell'Africano e del suo più ampio magistero riplasma dati desunti da fonti a lui precedenti, ivi compresi quelli delle Particulares, da cui prende di peso anche molti concetti, ma sostanzialmente si mostra in grado di ristrutturare autonomamente e con competenza non solo alcune voci specifiche del repertorio alimentare14 ma anche alcuni punti nodali dello scritto15. L'autore, che per il momento resta anonimo, forse non vi mette di suo se non quanto dettato dall'esperienza personale, ma rivela una discreta capacità di sintesi e di discernimento critico, tale da offrire in rapporto all'epoca un plausibile quadro della materia.

Ma quale è il valore che egli, l'anonimo autore, assegnava ad un opera che, per quanto valida sul piano scientifico dei suoi tempi, doveva comunque confrontarsi con summe ben più ricche di nozioni e più vaste di contenuti, quale quella dell'Africano, e conservare una sua credibilità?

La strada per comprenderlo ci è indicata dal titolo: "Il fiore delle diete", ossia "Selezione di princìpi dietetici"; per cui, una volta verificato cosa vi è stato privilegiato e, di conserto, escluso nel campo delle possibilità alimentari dell'uomo medioevale, scopriremo che il trattatello trova la sua motivazione nella volontà di seguire un indirizzo particolare, uno schema specifico, pratico e, in definitiva, di volersi collocare in una precisa dimensione "territoriale".

Posto il raffronto, per ovvie ragioni il più significativo, con il trattato dell'Africano, troviamo innanzitutto che l'Anonimo esclude in blocco il vasto elenco dei semplici, per non aver essi nulla o poca attinenza con l'alimentazione, sfronda il repertorio di cibi e bevande non solo del complesso apparato teoretico che lo illustra, ma elimina anche tutte quelle voci che non hanno un plausibile riscontro in una realtà territoriale che la sua selezione qualifica come pertinente al meridione d'Italia ed ancor più al Salernitano. L'applicazione pratica di una astratta teoria, l'ancoraggio del trattatello ad una realtà concreta, si evidenzia nei riferimenti ad una effettiva e sostanziale disponibilità alimentare locale, dove per ragioni geografiche non può proporsi l'utilizzazione di carni di leone, di cammello o d'orso16, pur contemplate nella casistica "universale" dell'Africano. Certamente l'Anonimo esclude anche le carni d'asino, di cavallo, di mulo, perché, salvo in casi d'estrema necessità, erano come tutt'ora restano estranee alla più generale tradizione alimentare dell'area salernitana, là dove più tardi, a partire dal tramonto del XIII secolo, anche la carne di bufalo non troverà comunemente posto sulle mense17.

Ragioni ancora evidenti possono giustificare l'esclusione da una trattazione specifica di una serie di prodotti vegetali, quali sesamo, zizzania, papavero, cardo, ghiande, lupini, giuggiole, mirtilli ed altro, visto il loro scarso rapporto con l'alimentazione umana o il loro limitato potere nutritivo, così come il mancato inserimento in repertorio di zucchero, cannamele, cedro, zenzero, cannella e simili si impone là dove la rarità ne fà dei prodotti "esotici" o poco utili nella pratica quotidiana18.

Ma meno evidenti motivazioni potrebbero suscitare perplessità quando l'esclusione riguarda frutta ed ortaggi quali pere, fagioli, indivia, albicocche19, meloni e melanzane20, giacché si dà per scontato sia un loro comune e talvolta antico o antichissimo uso alimentare, sia la loro ininterrotta presenza sul territorio, attestata almeno in un caso dal relativo toponimo21. Allora piuttosto dovremmo chiederci cosa effettivamente conosciamo sull'alimentazione medioevale nel Salernitano, sulla diffusione, distribuzione o recessione areale delle specie vegetali, commestibili o non, ed ammettere che quasi sempre le nostre nozioni muovono da idee preconcette e procedono in forza di distorsioni prospettiche, con tendenza cioè a generalizzare indicazioni particolari ed a proiettare su vasta scala fenomeni e fatti di semplice valore locale.

Sono proprio fonti secondarie come Il De flore che spingono a recuperare le dimensioni di un problema; la loro testimonianza sia diretta che ex silentio vale a sollecitare confronti e dubbi costruttivi, a promuovere una riflessione su fenomeni circoscritti e ad eliminare in definitiva qualche pregiudizio deduttivo. Il trattatello s'impone in forza di quell'esperienza personale e locale del suo autore, forse medico, ma sicuramente persona di buona cultura, che cerca tramite un manuale di facile consultazione di dare indicazioni dietetiche a lettori non necessariamente specialisti, ma sicuramente attenti agli aspetti pratici dell'alimentazione. Ed è ciò che ci assicura della validità dell'opera non solo per conoscere forme e tecniche alimentari, ma anche per uno studio della flora, della fauna e della produzione agricola nel Salernitano in pieno Medioevo.

Ma il merito del nostro anonimo non consiste solo nella spinta a riconsiderare posizioni ritenute acquisite, giacché la sua opera suscita attenzione sia per essere gravida di quei contenuti che saranno ripresi e sviluppati più tardi nel Regimen Sanitatis, sia per l'apporto lessicale al latino medioevale22. Anzi, alla luce di quest'ultimo aspetto, andrebbero indagati ed analizzati tutti gli scritti del codice madrileno, una vera miniera di nozioni e di dati glottologici, che in molti casi possono correggere alcune "perle" dei nostri dizionari etimologici, spesso brancolanti alla ricerca di anelli mancanti, qui invece disposti in bella fila23.

 

Conclusione

Il De flore dietarum non è né opera diretta di Costantino Africano né estratta passivamente dai suoi scritti, l'autore, diverso dal Cartaginese, possiede una cultura autonoma, senz'altro non originale, ma è evidentemente in grado di operare scelte ed esprimere dei personali punti di vista su alcuni aspetti della dietetica, senza lasciarsi eccessivamente condizionare dalla sua maggiore fonte, le Particulares diete, di cui segue approssimativamente lo schema ma non l'ordine. Attinge ad opere diverse, a lui anteriori, più complesse ed organicamente sistemate, riduce l'enorme numero delle voci delle summe ad un più facile manuale di consultazione, dandoci un opuscolo apparentemente frammentario ed incompleto, ma con un puntuale riferimento alle pratiche possibilità alimentari del territorio salernitano.

Oggi che il richiamo alle diete è diventato un rilevante fenomeno sociale non tanto per l'aspetto medico quanto per quello estetico, certamente a ricostruire il tracciato evolutivo di questa antica scienza serve anche il nostro inedito trattatello salernitano, che, sfuggito finora alla conoscenza dei più, recupera innanzitutto la nostra attenzione sui cibi "mediterranei". Nella pur notevole letteratura sulla Schola Salerni non è stato mai posto adeguatamente l'accento sullo specifico settore della dietetica, passato pressoché sotto silenzio anche dalla più recente ed iconografica pubblicazione su questa scuola24; eppure non si può disconoscere l'apporto salernitano allo studio di una corretta alimentazione come medicina preventiva, già in auge presso i Romani al punto che i medici erano detti per antonomasia diaetetici in contrapposizione a chirurgi.

Pertanto l'edizione di questo testo valga a promuovere un'idonea e specifica attenzione sull'argomento, da approfondire anche per quelle implicanze caratteriali e psicogene connesse ad un'erronea alimentazione25, già rilevate dall'ignoto autore medioevale, che, medico o studioso, per ora, finché altre fonti non ci soccorreranno26, resta l'Anonimo del Flore dietarum, testimone e valido rappresentante del sincretismo culturale della Salerno medioevale.

Va detto da ultimo che la nozione fondamentale per la comprensione del trattatello è la solita teoria ippocratico-galenica dei quattro umori che presiedono in armonia alla composizione fisico-caratteriale del corpo umano: sangue, bile gialla, bile nera e flemma, che con le loro eccedenze o squilibri possono determinare l'insorgere delle malattie. Le sostanze alimentari, sia che valgano a conservare gli equilibri umorali sia a ricomporli, sono distribuiti lungo una scala di valori espressa secondo qualità che oscillano tra caldo e freddo, umido e secco, e secondo un'intensità che procede da un I° ad un IV° grado27.

 

Figura 1 - Ipotesi di sistemazione grafica delle corrispondenze dei quattro umori con la tabella dei gradi.

 

NOTE

1) Biblioteca della Universitad Complutense di Madrid, Africanus Constantinus, Opuscola Medica, Sig. 116-Z-31, N° 119 del Cat. de Villa-Amil. Il titolo e l'autore sono segnati in testa al primo f. del ms. membran. con grafia moderna. La notizia dell'esistenza del codice è riportata da John F. Benton, Trotula, Women's Problems, and the Professionalization of Medicine in the Middle Ages, in "Bulletin of the History of Medicine", 59 (1985), p. 41.

2) L'opera nel suo complesso occupa i ff 2r-125r del ms. Il nome dell'autore è espressam. menzionato solo nell'incipit delle Particulares diete: Incipiunt particulares diete a constantino affricano. Il raccordo fra le due sezioni dell'opera è attestato proprio dall'attacco del II libro (il I delle Particulares d.), che, dopo l'incipit di cui sopra, recita: Complevimus in libro primo universales significationes generis ciborum et specierum eius. Ma che in origine si trattasse di due opere distinte è dimostrato dal fatto che il Liber g. non solo raccoglie esclusivamente i semplici della farmacopea, ma li spiega in ordine alfabetico, a differenza delle Particulares, che tratta le sostanze alimentari in libere sequenze. Inoltre quei pochi semplici con valenza anche alimentare, quali sale, pepe, senape, prezzemolo, comino ecc., vengono puntualmente riproposti ex novo nelle Particulares. L'originaria divisione del trattato in due distinti lavori è poi dimostrata dal fatto che il primo di essi, cioè il Liber g., si trova trasmesso isolatamente; così nel ms. miscell., secc. XII-XIII, n° 1481 (V. 2, 18) della Bibl. Angelica di Roma, dove ai ff. 46r-63r esso figura, sempre attribuito all'Africano, come Tractatus de speciebus medicinalibus, earumque virtutibus, ordine alphabetico; così nei testi a stampa quali l'Opera Isaac, Lugduni, 1515, II, ff. 186v-189r, che lo riporta col titolo De virtutibus simplicium medicinarum, e l'Opera Constantini, Basileae, apud H. Petrum, 1536, 1539, pp 342-87, che lo intitola De gradibus simplicium.

3) Oltre agli scritti cit. in nota prec., v. il Pantegni in Opera Isaac, cit., II, pract., ff. 58r-143v, ed il codice I. VI. 24 in Bibl. Naz. di Torino: Constantinus Cassinensis de morborum ..., ai ff. 196v-201v.

4) Le opere di Costantino sono edite solo in parte, né d'altro canto risultano criticamente sistemate, nonostante il sostanziale studio di S. De Renzi, Collectio Salernitana, I-V, Napoli, 1852-1859, I, pp. 165-172, e i successivi apporti di P. O. Kristeller in "Rassegna Storica Salernitana" (R.S.S.) XVI (1955) , XVIII (1957), e di altri. Si veda a questo proposito l'articolo di M. Oldoni, La cultura latina a Salerno nell'alto Medioevo, in R.S.S., II/1 (1985), partic. le pp. 61-63.

5) Ff. 125r-134r.

6) Il De flore occupa i ff. 134v-140r. La Practica comprende i ff. 140r-144v. Va tenuto presente che un Flores Diaetarum adespota figura anche nel ms. miscell., sec. XIII, Gaddi 201 della Bibl. Laurenziana di Firenze (ff. 28v - 37v) il cui contenuto non è stato possibile confrontare con il ns., ma che, simile a questo nell'incipit: Corpus humanum ex quatuor humoribus constat, mostra un explicit diverso: Confert quartanae mitridati potio sani. Cfr. A. M. Bandini, Catalogus codicum latinorum Bibl. Medic. Laurent., Firenze, 1776, X, p. 198.

7) Il nome Trota compare sia nel principio del testo (Secundum trotam ...) sia sul margine del f. 140r, dove viene indicato il paragrafo iniziale (practica secundum trotam); diversamente si ha il nome Trotula sia nell'incipit (Hic incipit practica secundum trotulam) che nell'index (pratica [sic] trotule minoris); la grafia in tutti i casi è la medesima.

8) Su Trotula si veda special. S. De Renzi, Collectio Salernitana, cit., I, pp. 149-161; J. F. Benton, Trotula, cit.; P. Cavallo Boggi, Trotula de Ruggiero. Sulle malattie delle donne, Torino, 1979; e F. Bertini, Trotula, il medico, in AA.VV., Medioevo al femminile, Milano, 1989, pp. 97-119.

9) L'inserimento di titoli di parafrafo nel testo, così come la correzione di alcune parole inizialmente mal lette, attestano già di per sé un manoscritto pervenutoci almeno in seconda trascrizione da fonti originali.

10) Anche il Liber ponderum sembrerebbe avere nello stesso ms. un suo contraltare in un breve e minuzioso codicillo su pesi e misure posto alla fine del Liber graduum (f. 41v), ma si tratta di cosa diversa: il codicillo in questione risponde all'esigenza pratica di offrire un rapido orientamento nel campo delle misure farmaceutiche, il Liber p. affronta invece l'argomento delle misure su basi storiche, con riferimenti alla metrologia greca, romana, ebraica ed egiziana. L'internazionalità della cultura dell'Africano è qui espressa in modo conciso ma illuminante.

11) A titolo d'esempio valga l'indicazione di alcune diversità terminologiche fra le Particulares (A) ed il De flore (B): A - blitis, B - blita; A - cardiasis, B - cordis lapsus; A - geissa, B - geisa; A - lenticula, B - lens; A - zuccarum, B - zuccara (indeclin.); A - exuperat, B - exuberat; A - mordicatio, B - morsio.

12) Se nelle Particulares gli alimenti si presentano raggruppati all'interno della sequenza: Cereali e derivati - Leguminose - Frutta fresca (compresi uva, olive e olio) - Dolcificanti - Frutta secca - Ortaggi - Funghi - Condimenti aromatici e sale - Carne di quadrupedi - Frattaglie - Latte e derivati - Volatili - Pesci - Acqua - Neve - Vino. Nel De flore la sequenza si snoda invece secondo il criterio: Cereali e derivati - Leguminose - Ortaggi - Funghi - Frutta fresca - Frutta secca - Uva - Olive - Olio - Miele, sale e condimenti aromatici - Carne di quadrupedi - Frattaglie - Uccelli - Fritture - Pesci - Uova - Latte e derivati - Vino - Acqua e sue varietà.

13) Si confrontino le voci: miglio, lenticchie, nespole, castagne, mandorle, rucola, borragine, atreplice, blito, asparago, cipolle, aneto e vino.

14) Si veda, ad es., il paragrafo sul vino.

15) Si vedano il paragrafo introduttivo e quelli sulle carni.

16) Anche se la presenza dell'orso è ancora attestata nei boschi di Sanza nel XVIII sec. (v. C. Gatta, Memorie topografico-storiche della provincia di Lucania, Napoli, 1732, p. 306), è impensabile, pur in riferim. ai secoli precedenti, un diffuso uso alimentare della sua carne alla stregua di comune selvaggina.

17) P. Cantalupo, La comparsa del bufalo nelle terre del Salernitano, in Idem (a cura di), Il bufalo nella storia e nell'economia del Salernitano, ANNALI CILENTANI - Quaderno 1, 1990, p.18. Sia la carne che il latte degli animali bufalini non vengono citati nello scritto del ns. anonimo, ma non trovano attestazione neanche nel repertorio "enciclopedico" dell'Africano, il che depone a sfavore della tesi di chi sostiene un'origine antica o un'importazione altomedioevale del bufalo nel Salernitano (v. Idem, La comparsa, cit., pp. 12-14). Nell'ambito delle opere della Scuola Medica Salernitana, la caro bubalina ed il lac bubulae sono in verità menzionati nelle Tabulae Salerni (S. De Renzi, Collectio, cit., V, rispettiv. pp. 246 e 242), risalenti al XII sec., ma questa testimonianza non può assumere una valenza "locale" dal momento che nelle stesse tabulae vengono parimenti elencati il lac cervae (p. 242) e il lac camelae (p. 245), la caro e l'adeps leonis (pp. 235 e 241), la caro camelina (p. 245) e quella ursina (p. 248). Quanto poi al termine Bubula, ricordato dal De Renzi (op. cit., I, nota 1 a p. 44) quale titolo di un capitolo di un inedito trattato di dietetica riportato dal codice, XI sec., num. 69 di Montecassino, nulla se ne può inferire dato il limite dell'informazione.

18) Uniche eccezioni il latte di cammello, giustificato dalla sue applicazioni farmaceutiche, e le uova di struzzo, conosciute e comunem. importate dall'Africa, come i datteri, fin dall'Antichità.

19) Tale è il signif. del lat. medioev. crisomila (cfr. Particulares, f. 57v), conservato nel dial. cilent. grisòmmole. Il signif. di "mela cotogna", sostenuto da C. Battisti / G. Alessio, Dizionario Etimologico Italiano (sigla DEI) Firenze, 1975, alla v. crisoméla, è improprio giacché in questo senso specif. abbiamo il lat. medioev. citonia, riportato sia dalle Particulares (f. 59r) sia dal De flore ( 58).

20) Cfr. success. nota 23.

21) Cfr. il top. cilent. Perito. Per la sua documentaz. medioev. ed etimologia v. P. Cantalupo, Centri viventi e scomparsi, in Storia delle terre del Cilento Antico (a cura di P. Cantalupo e A. La Greca), I-II, Agropoli, 1989, II, P. II, ad v.

22) Si vedano, sotto l'aspetto glottologico, i termini robella e geisa (esaminati infra, in nota 3 al testo della traduz.), zipulla, "zeppola" (sconosciuto al DEI, cit., che crede la v. zeppola documentata solo a partire dal 1536) e, in generale, i neologismi elencati infra, Parte IV.

23) Si vedano, ad es., nelle Particulares i termini baucia, "pastinaca" (f.10r), zaccara "zucchero" (f. 69r), crisomila, "albicocca" (loc. cit.) e melongiana, "melenzana" (f. 73r), generalmente considerati apporti linguistici di XV e XVI secolo.

24) M. Pasca (a cura di), La scuola Medica Salernitana, storia immagini, manoscritti dall'XI al XIII secolo, Napoli, 1987. Apprezzabile solo per la notevole bibliografia sulla Scuola; con diversi errori nelle didascalie delle immagini (v. pp. 64, 66-67, 89 e 98).

25) Come già nella più volte citata opera dell'Africano, la spiegazione di incubi ed agitazioni notturne è messa in rapporto con l'alimentazione (v. infra, 21 e 32).

26) Nell'impossibilità di reperire al momento la pubblicazione tedesca del 1919 a cui J. F. Benton fa riferimento, non possiamo adeguatamente prendere in considerazione la sua affermazione (op. cit., nota 34, p. 41) che l'autore del ns. De flore sia il medico Giovanni di S. Paolo. Su questa attribuzione, che comporta un'attenta valutazione di notizie desunte dal perduto manoscritto di Wroclaw, che lo stesso Benton definisce "ambiguous", e che solleva soprattutto il problema di retrodatare l'attività del detto Giovanni, considerato operante nella prima metà del XIII secolo (cfr. S. De Renzi, Collectio, cit., IV, p. 612), ritorneremo in altra sede.

27) V. la sistemazione grafica proposta nella figura 1.


I testi qui riportati sono tratti dal volume:

PIERO CANTALUPO Un trattatello medioevale salernitano sull'alimentazione: il De flore dietarum (la fonte, testo e traduzione, index, neologismi medioevali, varianti grafiche), Quaderno di Annali Cilentani n. 2/1992, Acciaroli (SA), Centro di Promozione Culturale per il Cilento, 1992, pp. 64.



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