Preistoria e protostoria del Cilento
(Flaminia Arcuri)

 


Allo stato attuale delle ricerche, il Cilento Antico possiede scarse testimonianze relative alla Preistoria e alla Protostoria.

Esamineremo, perciò, attentamente soprattutto la situazione delle zone limitrofe, che in epoca storica diventeranno i territori delle colonie greche di Poseidonia ed Elea, in contesa per il Cilento Antico, posto come frontiera tra le due sfere d'interesse, e considereremo validi anche per la nostra area i dati che risulteranno da quest'esame.

L'elemento che ci farà da guida in questo viaggio a ritroso nel tempo sarà la cultura materiale delle popolazioni avvicendatesi nelle varie epoche.

Per cultura materiale si intende tutta quella serie di oggetti necessari alla vita fabbricati dall'intelligenza umana e che rappresentano il modo di porsi di fronte alla realtà da parte dell'uomo ed il suo interagire con la natura: dal primo ciottolo scheggiato intenzionalmente per creare un utensile fino alle asce di bronzo che presuppongono un elevato bagaglio tecnologico.

 

Nel Paleolitico Inferiore, l'Homo Erectus, giunto un milione di anni fa in Europa dalla sua culla, l'Africa orientale, ha lasciato tracce della sua presenza relative allo stadio della cultura acheuleana a Marina di Camerota, nelle località Cala d'Arconte, Capo Grosso e Cala Bianca.

La cultura acheuleana (500.000 anni fa), cosí detta dal nome del paese francese di S. Acheul, perdura dalla fase interglaciale Mindel-Riss alla successiva Riss-Wurm ed è associata ad una fauna di mastodonti (elefanti, rinoceronti, ippopotami ed orsi). E' caratterizzata da un tipico strumento di selce, la cosiddetta amigdala, a forma di mandorla con margini taglienti, adatta a molteplici usi come arma od utensile.

 

Nel periodo successivo, il Paleolitico Medio (80.000 - 35.000 anni fa), vive l'Uomo di Neanderthal (località tedesca dove è stata rinvenuta una sua calotta cranica). Egli è più evoluto anatomicamente rispetto al suo predecessore e fabbrica strumenti di pietra più perfezionati e differenziati negli usi (bifacciale, punta, lama), che costituiscono l'industria musteriana, cosí chiamata dal giacimento preistorico di Le Moustier in Francia. Inoltre conosce l'uso del fuoco, abita in grotta e seppellisce i propri morti. Si adegua perfettamente al clima polare della quarta ed ultima glaciazione di Wurm, durante la quale si assiste alla comparsa di nuove specie animali, quali il mammuth, la renna, il bue muschiato, la volpe polare.

Come testimoniano i resti della loro industria litica, i cacciatori neanderthaliani hanno trovato riparo nella zona fra Marina di Camerota e Capo Palinuro, precisamente nelle grotte della Cala, del Poggio, oltre che nelle grotte Visco e delle Ciavole, Taddeo, Antro di Fiumicelli e Grotta Grande di Scario.

Ma l'Uomo di Neanderthal percorre anche i territori a nord del Cilento Antico: sui monti Alburni, a quota 890 mt. s.l.m. sono stati rinvenuti manufatti litici propri del Paleolitico Medio, come pure a S. Angelo a Fasanella, nella grotta di S. Michele, e soprattutto nella grotta di Castelcivita; sul monte Calpazio si trova un riparo sotto roccia con selci di tipo musteriano; nella stessa Paestum, presso la cosiddetta Basilica, è attestata un'abbondante presenza di strumenti litici di tipo levalloiso-musteriano.

Sia a Paestum che a Marina di Camerota è presente anche qualche strumento che richiama o appartiene all'industria pontiniana, tipica del Lazio; questo fenomeno sta ad indicare i possibili contatti interregionali di questi gruppi di cacciatori e la loro grande mobilità alla ricerca di nuovi territori di caccia.

 

Durante il Paleolitico Superiore (35.000 - 12.000 anni fa) e il Mesolitico (12.000 - 8.000 anni fa) sono i medesimi territori dei monti Alburni e della costa fra Marina di Camerota e Palinuro ad essere interessati dalla presenza di un nuovo tipo umano, l'Homo Sapiens.

Egli abita la grotta di Castelcivita fino a tutto il Paleolitico Superiore, adeguandosi alle variazioni di temperatura meno drastiche che nel periodo precedente, cacciando cervi, orsi e cinghiali.

Alla fine del Paleolitico Superiore l'Homo Sapiens utilizza invece la sottostante grotta dell'Ausino, frequentando nel contempo vari siti del massiccio degli Alburni (Rupistelle, S. Pellegrino, nelle zone di Ottati, e S. Angelo a Fasanella) dove lascia tracce della sua attività con la tipica industria litica epigravettiana.

Presso Marina di Camerota sono abitate le grotte della Cala e Calanca; mentre nel Mesolitico sono preferiti il riparo e la grotta del Poggio, la grotta dell'Olio, del Noglio a Porto Infreschi e il Riparo Nicchia Gamba.

 

Con il Paleolitico Superiore, alla fine della glaciazione di Wurm, si conclude la parte più lunga e più antica dell'età della pietra. Il clima tende ad addolcirsi e la fauna presenta una composizione mista di animali a clima freddo e temperato. Anche l'evoluzione tecnologica, di conseguenza, si perfeziona e produce l'industria gravettiana, evolventesi poi in quella epigravettiana, la cui tecnica è basata sul bulino, complesso strumento litico con la funzione di incidere materiali ossei e lignei. Ma questo è anche il momento dell'evoluzione artistica, documentata, per citare gli esempi più notevoli, dalle note pitture delle grotte francesi e spagnole di Lascaux e Altamira e dalla produzione scultorea delle "Veneri", statuine femminili dai tratti sessuali esasperati, simbolo della fecondità, rinvenute a Parabita in Puglia e a Savignano in Emilia Romagna.

 

Il periodo successivo, il Mesolitico (10.000 - 7.000 a. C.) rappresenta lo stadio intermedio fra Paleolitico e Neolitico, con un ambiente postglaciale nel quale aumentano i volatili e i molluschi e diminuiscono renne, cavalli e rinoceronti. Di conseguenza anche la fabbricazione di strumenti litici si adatta alla nuova fauna, creando una serie di microliti a spicchio d'arancio, di punte di freccia e di arnesi atti ad aprire le valve dei molluschi.

Questa serie di cambiamenti è evidente nelle colonne stratigrafiche delle citate località dei monti Alburni e del Cilento meridionale, dove negli strati più alti rinveniamo una fauna composta da uccelli e molluschi terrestri e marini, succeduta ad una fauna costituita da Cervidi, Bovidi e Suidi.

Procedendo dal Paleolitico Superiore al Mesolitico, l'economia di tipo esclusivamente venatorio si trasforma cosí in economia di raccolta, preparando il campo alla favorevole introduzione dell'agricoltura, importata dalle successive popolazioni neolitiche.

 

Il Neolitico (6.000 - 3.000 a. C.) si differenzia dai periodi precedenti per l'avvento della cosiddetta "rivoluzione neolitica". Essa, con l'introduzione dell'agricoltura, produce come conseguenza la nascita di villaggi stabili e nuove tecnologie, quali la ceramica, la filatura e la tessitura. Le genti neolitiche, provenienti dall'Oriente ed apportatrici della nuova civiltà, lasciano importanti testimonianze a Paestum e a Palinuro, costituite prevalentemente dai nuovi oggetti guida: i reperti ceramici. Accanto ad essi l'industria litica continua il processo evolutivo e associa alla selce una nuova materia prima: l'ossidiana, pietra vitrea vulcanica particolarmente abbondante nelle isole Eolie.

Nel giacimento preistorico a N/O del tempio cosiddetto di Cerere a Paestum, sono presenti i resti di ben due culture neolitiche. Quella più antica, detta di Serra d'Alto, da un villaggio del Materano, è caratterizzata da vasi in argilla figulina dipinta, muniti di fantasiose anse a cartoccio. Quella più recente, la cultura di Diana, presenta invece recipienti d'impasto rosso corallino con anse a rocchetto e prende il nome dalla contrada Diana di Lipari, dove è stata individuata in modo più completo.

Connessi con i resti ceramici del giacimento pestano sono i numerosissimi eseplari di lamette d'ossidiana. Una situazione simile è testimoniata anche a Palinuro in località S. Paolo, dove sono state pure rinvenute le tracce di un focolare.

La dislocazione costiera di questi insediamenti neolitici e, soprattutto, la testimonianza offerta dall'ossidiana quasi sicuramente proveniente dai giacimenti liparoti, rivelano l'esistenza di navigazioni commerciali fra le isole e il continente per lo scambio di materie prime e quindi presuppongono l'esistenza del cabotaggio lungo la costa, per i collegamenti a minore distanza. In quest'ottica si può comprendere l'interesse delle genti neolitiche anche per la località Saùco, presso Punta Tresino, intermedia fra i poli di Paestum e Palinuro, dove esiste un buon approdo naturale ed una sorgente e dove sono state rinvenute alcune selci e un'ansa attribuibile verosimilmente alla cultura di Diana.

Ciò non significa che le zone interne non siano state abitate dalle popolazioni neolitiche, che, anzi, sono presenti con la cultura di Diana a Campora e a Stio, nel comprensorio del Calore.

 

Con l'età del rame (Eneolitico, 3.000 - 2.000 a. C.) la presenza umana si concentra nella piana del Sele, aumentando nello stesso tempo in ricchezza e complessità.

Si ravvisano ben tre aspetti culturali: le culture di Piano Conte, del Gaudo e di Laterza.

La prima, più antica, è stata individuata nell'omonima località dell'isola di Lipari, in posizione stratigraficamente superiore alla cultura di Diana ed è caratterizzata da particolari forme ceramiche, fra cui spiccano i piatti con larghe solcature concentriche. Pur scarsamente attestata, questa cultura è riscontrabile a Pontecagnano, a Olevano sul Tusciano e nella grotta dell'Ausino.

La seconda, e più famosa, cultura del Gaudo è abbondantemente testimoniata dalle 34 tombe della necropoli rinvenuta appunto in contrada Gaudo, circa 1 Km a nord di Paestum. Anche le popolazioni appartenenti a questa cultura giungono da Oriente, precisamente dall'area egeo-anatolica. Esse non sono alla ricerca di nuove terre coltivabili come i loro predecessori neolitici, ma cercano nuove fonti di metallo per la produzione di pugnali di rame, elemento tipico della loro cultura.

Esaminando i corredi funebri e l'architettura delle loro caratteristiche tombe "a forno", scavate nella roccia, con pozzetto d'accesso ad una o due camere sepolcrali a deposizioni multiple, si giunge alla conclusione che queste popolazioni sono vissute riunite in clan familiari con una forte connotazione guerriera. Fino a poco tempo fa si supponeva che fossero nomadi, ma recenti scoperte a Licola, in Campania, e a Toppo d'Aguzzo, in Basilicata, hanno accertato l'esistenza di insediamenti stabili con un tipo di economia differenziata agricolo-pastorale.

L'area di espansione della cultura del Gaudo è vasta: dal principale nucleo campano (Buccino, Eboli, Pontecagnano, Piano di Sorrento) si dirama in Basilicata e in Calabria, interferendo con la terza cultura eneolitica, detta di Laterza.

Quest'ultima ha il suo centro propulsore nell'area apulo-materana, ma sepolture appartenenti alla cultura di Laterza sono state individuate sia a Pontecagnano che nella stessa Paestum, a cento metri a nord del tempio di Cerere, cioè in pieno territorio di affermazione della cultura del Gaudo.

E' ancora problematico stabilire con assoluta certezza quale delle due culture sia la più antica o se siano contemporanee. In base alle ricerche effettuate nell'ambito della cultura di Laterza, si tende a considerare questa come più recente di quella del Gaudo, facendola continuare fino agli inizi dell'antica età del bronzo.

Anche nel caso delle genti di Laterza dovette, comunque, trattarsi di guerrieri raggruppati in clan familiari di lontana origine egeo-anatolica, noti soprattutto attraverso le loro necropoli, ma produttori di una diversa cultura materiale, con un gusto decorativo più fantasioso. Infatti, pur avendo in comune l'industria litica (pugnali, punte di freccia, microliti geometrici) e l'industria metallica (pugnali di rame), la cultura del Gaudo ha un monotono repertorio vascolare (bicchiere, saliera, pisside) con scarsa decorazione incisa e a rilievo, mentre quella di Laterza presenta anfore, scodelle, scodelloni, boccali, ciotole con una decorazione incisa molto varia.

Durante l'eneolitico il territorio del Cilento Antico presenta ancora scarsi segni di frequentazione umana, documentata solo da un paio di pugnali di selce d'incerta provenienza (per un esemplare si pensa a Serramezzana).

 

Nel generale contesto dei territori di Paestum e Velia, l'Età del bronzo (1.800 - 1.000 a. C.) comincia in sordina: nel Bronzo antico uno sparuto gruppo di pastori si stanzia lungo la sponda sinistra del Sele, nei pressi del sito dove in epoca storica sorgerà il santuario di Hera Argiva. Come testimonianza della sua presenza ha lasciato frammenti di fornelli fittili e di bollitoi, strumenti indispensabili per la lavorazione del latte e dei suoi derivati. A Paestum, invece, un ignoto fabbro nasconde quattro asce di bronzo in un prezioso ripostiglio che ha rivisto la luce solo dopo migliaia d'anni. Ma con la cultura appenninica nella media età del bronzo i rinvenimenti aumentano considerevolmente, oltre che per la crescita demografica soprattutto per il successo del modello economico pastorale: la transumanza delle greggi dalla costa alle zone collinari più elevate fa nascere un folto numero di insediamenti stagionali satelliti rispetto al centro stabile. Naturalmente l'indicatore di queste presenze è la ceramica decorata, che ora è caratterizzata da fasce puntinate, che la rendono facilmente individuabile, mentre le forme restano quasi immutate: tazze carenate con alte anse, grossi contenitori per le derrate alimentari, bollitoi per il latte con coperchi forati, fornelli fittili di grandi dimensioni.

Il carattere prevalentemente pastorale di questa cultura non preclude tuttavia lo sfruttamento agricolo del suolo, che fornisce il complementare mezzo di sostentamento.

Nel momento iniziale dell'Appenninico (Protoappenninico) la presenza umana è accertata in pianura a Paestum, presso porta Giustizia e in collina, nella grotta della Madonna del Granato, sul monte Calpazio.

Le genti della cultura appenninica vera e propria abitano in grossi villaggi, in Paestum stessa e sul monte Calpazio, presso Trentinara. Il primo insediamento è stato solo virtualmente scoperto sulla terrazza tufacea pestana grazie ai frammenti ceramici e agli sparsi fondi di capanna rinvenuti in scavi condotti per accertare realtà più recenti. Invece a Trentinara è stato completamente indagato il villaggio di capanne difeso da una struttura trincerata e posto sul costone roccioso che precipita nel vallone di Tremonti e domina l'intera piana pestana.

I pastori appenninici si addentrano anche verso i più elevati siti dei monti Alburni, alle spalle del Calpazio (Madonna della Penna, Costa d'Elce) e s'insediano su di un'altura arroccata e fortificata, quale Costa Palomba, sacralmente difesa da un imponente guerriero scolpito su uno spuntone di roccia emergente e volgarmente detto l'Antece; si dirigono quindi verso la valle del Calore, dimorando a Laurino, di fronte all'ingresso della grotta dei Fraulusi, nel cui interno seppelliscono i loro defunti.

Lungo la costa, invece, si spostano dal sito di Paestum, passando per Agropoli, fino a Velia, a Marina di Camerota e alla grotta del Noglio. Se a Velia le testimonianze non sono consistenti, più abbondante è il deposito della grotta del Noglio, che annovera gli esempi più tipici della ceramica appenninica. Sempre nell'ambito del territorio velino, frammenti di impasto, genericamente attribuibili all'età del bronzo, sono segnalati sul monte Gelbison, in località Scannochiuso, a Cannalonga e a Pattano, come pure a Punta Licosa, segno di una ragguardevole diffusione umana.

 

Come si può notare, il Cilento Antico, dal Solofrone all'Alento, non è stato toccato se non sporadicamente dagli eventi culturali dei territori limitrofi. E' solo con la tarda età del bronzo che i dati in nostro possesso si fanno più abbondanti e permettono un discorso specifico per il territorio in esame.

A S. Marco di Agropoli, presso la torre costiera posta alla foce del Solofrone, alcuni frammenti ceramici, attribuiti al tardo Bronzo, segnalano la presenza di un minuscolo insediamento. Il centro però di maggiore interesse, meglio individuato culturalmente, è quello situato sul promontorio di Agropoli, alla base del castello aragonese. Qui, all'incirca fra i secoli XI-X a. C., un cospicuo gruppo umano ha costruito il suo villaggio, verosimilmente formato da capanne di legno, di cui ancora non sono state trovate le tangibili tracce nel terreno. Dai dati di scavo sappiamo che i componenti del villaggio hanno cotto i cibi su fornelli d'impasto, li hanno conservati in grossi pithoi di ceramica e in vasi decorati da serie di cordoni lisci, hanno filato e tessuto la lana con fuseruole e pesi fittili e sono andati a pesca con piccole imbarcazioni dalle ancore in pietra a forma rozzamente triangolare; molto probabilmente hanno coltivato le falde del promontorio e fatto pascolare le greggi e sono andati a caccia sulle vicine alture di S. Marco.

La scelta del sito non deve essere stata casuale: il promontorio è di facile difesa, protegge due insenature portuali e la foce del fiume Testene, che è la naturale via di comunicazione fino a Punta della Carpinina, alle falde del Monte della Stella, cuore del Cilento Antico. Si salvaguardano cosí le esigenze di difesa e nello stesso tempo di agevoli contatti con l'esterno. La prova evidente di contatti con genti esterne è costituita dai frammenti di ceramica micenea di fabbrica cipriota rinvenuti a Paestum, a Pontecagnano, a Eboli (Monte d'Oro) e nella grotta di Polla. Anche se ad Agropoli non sono stati trovati elementi di tal genere, la sua stessa posizione marittima deve aver favorito la possibilità di scambi con altre popolazioni. L'auspicata prosecuzione degli scavi sul Castello sarà una preziosa fonte di informazione in merito e potrà chiarire meglio anche il delicato momento di passaggio dall'età del bronzo all'età del ferro. Difatti l'importanza storica del rinvenimento agropolese consiste nell'essere il più recente rispetto ai siti del Bronzo finale della piana del Sele (Eboli e grotta della Madonna del Granato) e rappresenta perciò una grossa novità in tale contesto.

 

Nella successiva età del ferro (IX - VII a. C.) l'area pestana non vede il notevole concentramento umano e il fermento culturale che presenta ora l'Agro Picentino, sulla destra del Sele.

A Pontecagnano arrivano in massa dall'Etruria le genti apportatrici della cultura villanoviana, dedite all'agricoltura e dominate da una aristocrazia guerriera che pratica il rito funerario dell'incinerazione. Pontecagnano diventa l'epicentro più meridionale di questa cultura, che si dirama anche nel Vallo di Diano alla conquista di nuove terre coltivabili.

Lungo la riva destra del Sele la necropoli dell'Arenosola, nata in funzione di un insediamento ancora da ubicare, comincia ad essere utilizzata in quest'epoca per continuare poi, col suo centinaio di tombe, per tutto il periodo orientalizzante.

La riva sinistra del Sele, cioè l'area propriamente pestana, risente in minima parte della presenza villanoviana della sponda opposta, quasi che il fiume costituisca una barriera difficile da oltrepassare. Solo un piccolo gruppo di agricoltori villanoviani arriva fino a Capodifiume, ai piedi del monte Calpazio, e qui seppellisce le ceneri dei propri cari, secondo l'uso, entro vasi biconici interrati sotto tumuli di ciottoli. Questi individui sono in diretto contatto tramite il percorso di Roccadaspide, attraverso gli Alburni, con il Vallo di Diano, da dove hanno riportato una brocchetta con decorazione a tenda, tipica del Vallo, inserita come oggetto di prestigio nel corredo di una delle sepolture.

Nell'area di Paestum, alle rarissime testimonianze relative alla I età del ferro, si aggiunge una sicura presenza di VII sec. a. C.: il corredo, composto dai resti di un cinerario e da una fibula a sanguisuga, di una tomba sconvolta dalla costruzione della citta greca. L'ambito culturale a cui appartiene la sepoltura è quello presente nella necropoli dell'Arenosola nello stesso periodo. Questa concomitanza indica un'omogeneità culturale fra le due sponde del Sele, anche se la sinistra risulta meno ricca archeologicamente.

Comunque un altro dato importante da rilevare è che la terrazza calcarea di Paestum è frequentata da popolazioni indigene nel corso del secolo precedente all'impianto della colonia greca.

I Greci, in seguito, sembreranno rispettare la sacralità di certi spazi, destinandoli ad aree di culto: dove, infatti, sorge la cosiddetta Basilica vi era precedentemente un luogo di culto indigeno, testimoniato da numerosi vasetti miniaturistici e idoletti fittili, offerte votive alla divinità venerata.

 

Le notizie fin qui riportate sul popolamento antico del territorio fra Camerota e Paestum sono basate sui concreti dati della cultura materiale offerta dalla ricerca archeologica.

Come già acccennato, non esistono fonti scritte (epigrafi, tavolette o testi letterari) prodotte in periodi cosí antichi, almeno nelle nostre contrade, tuttavia un testo letterario redatto molto più tardi, nel I sec. a. C., la Biblioteca Storica di Diodoro Siculo, contiene una leggenda che adombra, secondo una recente ipotesi, realtà pre-protostoriche riferibili al territorio poseidoniate e in particolare al promontorio di Agropoli: Eracle, viaggiando lungo le coste tirreniche dell'Italia per raggiungere la Sicilia, passa attraverso il territorio di Poseidonia e tocca un promontorio, sede di un evento leggendario; qui un famoso cacciatore del luogo aveva dedicato a se stesso invece che ad Artemide come suo solito, le spoglie di un cinghiale; appesa la testa dell'animale ad un albero, vi si era sdraiato sotto per riposarsi; la dea indignata aveva fatto sciogliere i legacci e la testa del cinghiale era caduta sul capo del cacciatore uccidendolo. Dal racconto si arguisce chiaramente che il promontorio doveva essere frequentato da popolazioni indigene ed essere sede di culto di una divinità femminile.

Lo scavo ai piedi del castello di Agropoli ha confermato appunto questa presenza indigena, manifestandola attraverso gli oggetti della vita quotidiana.

 

L'evidenza di Agropoli può essere un'agevole chiave di lettura da applicare ad altri siti cilentani che presentano simili favorevoli condizioni geografiche, come, per esempio, Punta Tresino e Punta Licosa oppure quelle località elevate poste lungo il corso del Testene o dell'Alento. La conformazione geografica del suolo è infatti di notevole importanza in riferimento ad epoche cosí antiche, quando il rapporto uomo ambiente è ancora strettissimo. Sono auspicabili, perciò, nuove e approfondite indagini in questa direzione, per colmare le lacune che attualmente esistono nelle nostre conoscenze sul popolamento del Cilento Antico durante la Preistoria e la Protostoria.

 

 

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Tratto da:
FLAMINIA ARCURI, "Preistoria e protostoria", in P. CANTALUPO, A. LA GRECA (a cura di), Storia delle terre del Cilento antico, Centro di Promozione Culturale per il Cilento, Acciaroli, 1989, vol. I, pp. 53-64.

 



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