Roberto Benigni
Il Piccolo Diavolo
(<<I.d.>>, 1997)
Il cast: Regia: Roberto
Benigni. Sceneggiatura: Roberto Benigni e Vincenzo Cerami.
Direttore della fotografia: Robby Mòller. Musica: Evan Lurie.
Produzione: Mauro Berardi e Mario e Vittorio Cecchi Gori
.Origine: Italia. Durata: 101.
Gli interpreti:
Roberto Benigni (Giuditta), Nicoletta Braschi (Nina), Walter
Matthau (Padre Maurizio), Stefania Sandrelli, John Lurie
(Cusatelli), Giacomo Piperno, Franco Fabrizi, Paolo Baroni,
Annabella Schiavone, Brunero Vettori.
La trama:
"Il Piccolo Diavolo" è il suo terzo film dopo "Tu
mi Turbi", composto di quattro sketch, e "Non ci resta
che piangere", scritto, diretto e interpretato a quattro
mani con Massimo Troisi. Primo di una trilogia di grande successo
(poi Johnny Stecchino ed il Mostro), è anche l'opera in cui si
assume tutta la responsabilità della regia per un prodotto di
vasto consumo. In genere la critica gli rimproverava di essere di
manica troppo larga verso il se stesso attore, di lasciarsi
andare a briglia sciolta, mentre sarebbe preferibile un rigoroso
autocontrollo. Tuttavia quale autore non può nemmeno correre il
rischio di limitare il suo "alter ego". Tanto per non
smentirsi, qui punta sul personaggio a lui più congeniale (fin
dalle origini è stato un diavolaccio), quello che gli permette
di guardare il mondo con la più irriverente libertà di balletto
e di parola. E per riuscirci meglio, si provvede di un compare
che è il suo contrario: un esorcista di indemoniati, che nel
caso specifico stana Satana dal pancione di una parrucchiera
oberata da indigestioni multiple di zuppa inglese. Viene alla
luce un diavoletto giocondo che porta il nome della partoriente,
Giuditta, e che piomba addosso al sacerdote, Padre Maurizio, uno
stupito e bravo Walter Matthau, sacerdote già in precario
equlibrio; si porta in seno, infatti, il macigno del
"peccato originale" di amare una donna (Stefania
Sandrelli). Ora gli tocca subire da cavia, da capro espiatorio
l'infante maligno, "l'essere immondo", inverecondo
faunetto che gli impone un sodalizio, che gli costerà la rottura
definitiva con la sua fiamma. Come Ollio con Stanlio, Matthau fa
da sofferente spalla al mattatore Benigni. Giuditta
è un folletto che tutto o quasi impara dai grandi: l'esorcista
non senza sgomento è costretto a verificare che lui stesso lo
sta educando come se fosse uno dei suoi seminaristi. E resta
annichilito quando il novello allievo irrompe nella privacy di
una cenetta al ristorante, offerta dai i decani del collegio, per
il seminarista più promettente ed i suoi devoti ed anziani
genitori. E uno dei momenti irresistibili, le cui radici
stanno proprio nel binomio ricalcato su quel classico di
Mefistofele e Faust: qui il rapporto è capovolto, non è
Mefistofele che guida Faust, bensì Faust, ossia il prete,
immerso nella tentazione, ad erudire l'innocentissimo pupo. Poi,
allontanatosi dal padre putativo, già abbastanza punito, il
limpido provocatore gioca da solo, come se avesse appreso tutto
ciò che il mondo terreno gli poteva offrire: memorabile quindi
l'incontro con la stazione con un intermezzo che ricorda Totò
con l'Onorevole sul Wagon lits. All'arrivo in una solare
località, si imbatte nell'anima gemella, con licenza parlando,
la calorosa Nina, paragonata non proprio alla Margherita del
Faust, il tutto in simbiosi perfetta con l'essenza corporale e la
matrice terragna e plebea del nostro Benignaccio. Allora il
messaggio suona chiaro nel film: "Sappi che la vita è anche
un gioco" anche ciò che dice il saggio confessore a Padre
Maurizio.