Si tratta di un film a sfondo sociale, che affronta un argomento senz'altro di estrema attualità nell'Europa di questo scorcio di anni Novanta. Non c'é dubbio che il lavoro rappresenti una delle grandi sfide sulle quali si gioca il futuro non solo degli Stati nazionali ma anche della stessa identità europea. Se è vero che l'economia americana produce ricchezza e nuova occupazione, quale risposta deve dare l'Europa alle attese delle giovani generazioni, senza mortificare quelle vecchie? Quali sono i confini degli aspetti umani collegati ad un'attività lavorativa che è ogni giorno sempre uguale a se stessa? Attraverso l'espediente narrativo dello scontro tra padre e figlio, l'esordiente regista Cantet mette in campo un ventaglio di problematiche sicuramente ampio e realistico ma non sempre ben strutturato. Risalta soprattutto il fatto che il racconto non riesce mai ad affrontare il tema "35 ore" nei suoi tanti aspetti, preferendo concentrarsi sulle reazioni che il tema stesso suscita. Ecco allora gli scontri dirigenti/sindacato, il volantinaggio, gli slogan: tutto secondo un repertorio un po' datato, con sapori anni '60, forse favorito dal clima chiuso della cittadina. Anche il rapporto padre/figlio passa da accenti efficaci ad altri leggermente 'costruiti'. Lo stesso si potrebbe dire per tutto il quadro d'insieme: la famiglia di Frank, gli altri operai, i dirigenti. Un'opera prima non ben amalgamata, dunque, ma comunque sincera e apprezzabile. Dal punto di vista pastorale, va espressa una valutazione positiva: i valori cristiani sono ben presenti nel mondo del lavoro, e il film ha il giusto tono problematico per aprire dibattiti sull'argomento.
|