IL CINECIRCOLO SANTA CHIARA
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JOHN Q. (John Q.)  
Genere:Drammatico
Regia: Nick Cassavetes
Interpreti: Denzel Washington (John Q.Archibald), Kimberly Elise (Denise), Daniel E.Smith (Mike), James Woods (dott.Turner), Robert Duvall (Frank Grimes), Anne Heche (Rebecca), Ray Liotta (Gus).
Nazionalità:Stati Uniti
Distribuzione: Nexo
Anno di uscita: 2002
Orig.: Stati Uniti (2002)
Sogg. e scenegg.: James Kearns
Fotogr.(Normale/a colori): Rogier Stoffers
Mus.: Aaron Zigman
Montagg.: Dede Allen
Dur.: 118'
Produz.: Mark Burg, Oren Koules.


Giudizio:

Accettabile/semplice

Tematiche:

Famiglia - genitori figli; Malattia; Medicina; Politica-Società;  


Soggetto:

 

La vita di John scorre serena e tranquilla tra famiglia e lavoro fino al giorno in cui scopre che il figlio Michael è affetto da una grave malattia. Solo un trapianto di cuore potrebbe salvargli la vita, ma l'assicurazione non copre le spese mediche necessarie. Disperato e pronto a tutto, John prende in ostaggio l'intero reparto di pronto soccorso pur di dare una speranza di salvezza al piccolo Michael.


Valutazione
Pastorale:

 

Come si riconosce un proletario in un film made in Usa? Dipende. Nelle commedie di solito viene assimilato all'immensa middle class e sfoggia auto, case e vestiti che nella vita reale non si potrebbe lontanamente permettere. Ma se il film ha ambizioni drammatiche, le cose cambiano. Ed ecco che il nostro operaio si ritrova una barba incolta, qualche chilo di troppo e una moglie stressata che gli sta addosso come una furia. Altra variante: se nel dramma c'è una storia d'amore, la moglie sarà comunque attraente o pronta ad esserlo di nuovo. Se invece trattasi di amore filiale, come in questo 'John Q', meglio che sia bruttacchiotta e pure antipatica. Compenserà il fascino in eccesso di Denzel Washington, che malgrado il look da cassintegrato continua a sembrare un semidio caduto in un mélo proletario. E per fugare ogni sospetto di ruffianeria, ecco che anche il bambino in pericolo non sarà angelico e ricattatorio, ma assai ordinario e per giunta maniaco di uno sport non proprio esaltante come il body building. Stabilite queste coordinate, che a Hollywood probabilmente sembrano veriste, la nostra storia può cominciare. Ma senza andare troppo lontano: la sceneggiatura di James Kearns è un incrocio fra 'E.R.' e 'Quel pomeriggio di un giorno da cani'. E la regia di Nick Cassavetes, che col nome che porta e con un film come 'She's So Lovely' alle spalle pareva destinato a ben altro, la illustra senza troppi guizzi e quel che è peggio senza crederci fino in fondo." (Fabio Ferzetti, 'Il Messaggero', 10 maggio 2002)

"Per denunciare una realtà così grave Nick Cassavetes usa metodi strappalacrime e ricorre a colpi di scena assurdi, che escludono la possibilità di considerare il suo un film politicamente impegnato (...) Malgrado l'improbo compito, Denzel riesce ugualmente a essere bravo; e se la cavano anche Anne Eche, cinica direttrice ospedaliera, James Woods, grande chirurgo venduto al dio denaro, e Robert Duvall, nel ruolo topico del poliziotto alla vigilia della pensione." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 12 maggio 2002)

"Polpettone americano politicamente corretto, di quelli realizzati con lo stampino. Uno chiude gli occhi, conta fino a tre e si immagina cosa accadrà nella sequenza successiva, il giochetto non viene mai smentito da sorprese e colpi di scena, nonostante dietro la macchina da presa ci sia un figlio d'arte, Nick Cassavetes, che ha qualche ambizione di regia. Certo, in un'ottica americana il tema è scottante: può dirsi civile un paese in cui si curano solo i ricchi? Peccato che lo sviluppo sia retorico e ricattatorio. Del tutto convenzionale la prova degli attori, a partire dal premio Oscar Washington, che ci mette poco di suo, fino a Robert Duvall, che rifà se stesso in 'Un giorno di ordinaria follia'. Spiace constatare come ultimamente, nel cinema Usa, i cattivi si commuovano sempre più spesso. Dopo l'11 settembre il Male non abita più lì." (Mauro Gervasini, 'Film Tv', 14 maggio 2002)

"Nick Cassavets racconta il furore e la violenza di un padre e denuncia le ingiustizie della Sanità americana. (...) Nonostante l'accumulo drammatico, il film non è molto riuscito." (Lietta Tornabuoni, 'La Stampa', 24 maggio 2002)

 

 

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