BRIDGET
JONES: THE EDGE OF REASON - CHE PASTICCIO BRIDGET JONES
a cura di Corrado Pirovine
Regia di Beeban Kidron. Con Renee Zellweger, Colin Firth, Hugh Grant, Jim Broadbent, Gemma Jones.
A dimostrazione del fatto che ormai un best seller viene automaticamente
convertito in un film anche questo secondo capitolo della fortunata saga di
Bridget Jones viene proposto in versione cinematografica.
Sfruttando l’eco del grandissimo successo del primo, Renee Zellweger indossa
di nuovo i panni della timida e grassottella Bridget costringendo il suo fisico
ad accumulare ben 13 chili in più del suo peso forma; inutile specificare che
per ogni chilo l’attrice ha guadagnato più di quanto non farebbe un
lavoratore medio del nostro paese in tutta la sua vita ma tant’è… questo è
il mondo della lussureggiante Hollywood, prendere o lasciare. E il pubblico
sembra aver “preso” nonostante sia evidente una perdita di originalità
rispetto al primo capitolo.
In questo, Bridget Jones vive il suo amore con Mark Darcy (Colin Firth) con
entusiasmo e dolcezza fino a quando gli inevitabili problemi di coppia non
iniziano a fare capolino minando la loro tranquillità. E’ proprio quando
accade ciò che torna alla carica Daniel Cleaver (Hugh Grant) giornalista
erotomane e rampante il quale, sfruttando il presunto tradimento di Mark ai
danni di Bridget si trascina la nostra eroina in Thailandia per un
“servizio” non soltanto giornalistico…
Dunque un classico plot da commedia, candito dai consueti equivoci ma
soprattutto fondato sul personaggio di Bridget interpretato da una burrosissima
Renee Zellweger in questa pellicola un po’ più sottotono del capitolo
precedente: qualche sguardo di troppo in camera da parte sua è perdonato dalle
sue meravigliose rotondità che la rendono senza dubbio migliore in versione
sfigata che in versione “normale”. Il resto del cast annovera soltanto i due
contendenti per i quali l’eleganza di Colin Firth fa da controaltare alla
tremenda e spietata simpatia di Hugh Grant ormai perfetto nel ruolo
dell’inguaribile sciupafemmine.
La regia di Beeban Kidron si limita a mostrare gli eventi senza aggiungere nulla
(ma del resto, non ce n’è neanche bisogno) così come accade per scenografia
e fotografia che magari avrebbero potuto essere leggermente più
particolareggiate.
Praticamente siamo di fronte al classico “sequel meno originale” il quale si
lascia tranquillamente vedere e riesce in quello che era il suo intento:
stappare qualche risata per far passare una serata leggera, in compagnia magari,
della persona amata.