THE
MANCHURIAN CANDIDATE - id. a cura di Corrado Pirovine
Regia di Jonathan
Demme. Con Denzel Washington, Meryl Streep, Liev Schreiber, Jon Voight.
Da quando Jonathan Demme, regista dello strepitoso successo Il Silenzio Degli
Innocenti aveva portato sullo schermo l'Hannibal Lecter di Anthony Hopkins
confermandosi poi due anni dopo con lo splendido Philadelphia ogni sua
pellicola ha iniziato ad essere preceduta da una grande attesa. Attesa che
puntualmente è stata poi tradita in quanto il regista di Long Island non ha
più ripetuto gli exploit dei primi anni 90 cimentandosi infatti con documentari
e film di secondo piano. Questo The Manchurian Candidate doveva essere il
thriller della sua personale rinascita ma di rinascita non è proprio il
caso di parlare.
Il maggiore Bennet Marco (Washington) è un ex capitano di una pattuglia
militare che, alla fine della prima guerra del Golfo viene tratta in salvo da
un'imboscata dal valoroso sergente Shaw (Schreiber) il quale, dopo aver ricevuto
la medaglia per il valor militare, adesso, sta per divenire candidato alla
vicepresidenza degli Stati Uniti D'America. Quando strani incubi si riaffacciano
nella mente di Marco e i suoi ricordi sembrano svanire per confondersi con
altri, egli decide di indagare per capire cosa è realmente successo quella
notte nel Golfo, quando forse colui che ora vive sotto l'ala protettiva ed
ingombrante della potentissima madre, la senatrice Eleanor Shaw (Streep), non ha
realmente compiuto ciò che è stato raccontato. Il Manchurian del titolo
infatti è il nome di una multinazionale finanziata dai potenti della terra,
passati e presenti, che sovvenziona la ricerca sul controllo della mente
finalizzata alla padronanza del paese più potente del mondo.
Remake di una pellicola degli anni '60 (per la regia del grande Frankenheimer),
questo film non riesce a catturare l'attenzione dello spettatore tra ovvietà,
esagerazioni, complotti improbabili e quant'altro. La regia di Demme è
eccessivamente limitata a mostrare gli eventi, senza contribuire con quel
qualcosa che avrebbe potrebbe renderla più particolareggiata; stilisticamente
siamo davanti ad un film che sarebbe potuto benissimo essere girato allo stesso
modo negli anni novanta in cui lo stile, la tecnica, nulla aggiungono alla
narrazione degli eventi la quale da sola non riesce pertanto a trasmettere
pathos allo spettatore che si trova, suo malgrado, alle prese con un complotto
dalle dimensioni, come detto prima, davvero improbabili. "Fanta thriller
politico" dunque è la definizione più esatta anche se l'intreccio,
"fantastico" lo è fin troppo mentre di thriller ce n' ben poco visto
che la tensione è soggetta a grossi cali con scene che avrebbero potuto essere
forti e che invece ricadono nell'anonimato. Di politica invece ce n'è
abbastanza, per tutti i gusti, mostrata come la mostrerebbe la CNN con quello
spirito tutto americano di illustrare un programma di governo o di sostenere un
determinato candidato.
Peccato perché il cast prometteva davvero bene potendo contare sul miglior
attore americano di colore in circolazione e sulla migliore attrice degli ultimi
venti anni, quella Meryl Streep qui forse un po' fuori ruolo essendo lei più
abile ad interpretare donne forti dentro le quattro mura domestiche. C'è da
sottolineare la partecipazione dell'ormai caratterista Jon Voight (Oscar per Un
Uomo Da Marciapiede) e del non più esordiente Liev Schreiber, visto nella
trilogia di Scream ma ammirato nel sofisticato e poco reclamizzato RKO
281 dove vestiva i panni di un giovane Orson Welles.
Un buon cast dunque, da solo non basta per fare un buon film. Bisognerebbe
convincersi che non è scontata la riuscita di una pellicola se dietro è
visibile il nome di un regista come Demme o di un attore del calibro di
Washington. Una conferma, questa, che rischia di lasciare l'amaro in bocca anche
a coloro che si confessano amanti della più classica delle spy story (genere
nel quale The Manchurian Candidate ricade), che ne avrebbero potuto
essere i più fedeli e affezionati sostenitori.