Il cinema underground  2 avanguardia

LA PRIMA AVANGUARDIA

Molti critici hanno a lungo sottovalutato la prima avanguardia, considerandola marginale, ma invece è proprio da questa che bisogna partire per poter meglio comprendere la nascita e lo sviluppo di quella che sarà la produzione indipendente dei film-makers underground.

Come per l’avanguardia Europea, anche in America lo stimolo iniziale alla nascita di una nuova cinematografia fu dato dal crescente bisogno di una forma d’arte alternativa ad Hollywood, indipendente sia economicamente che stilisticamente dal mercato cinematografico.

Nuovi orizzonti estetici, portati prima dai film europei dell’avanguardia, distribuiti nei circoli culturali, e poi dai registi stessi, scappati in America a causa della guerra, diedero vita ad una idea di cinema come “nuova forma d’arte”, che attrasse subito ogni tipo di espressione artistica.

Pittori, fotografi, danzatori, tutti erano smaniosi di creare nuove espressioni artistiche attraverso l’uso del cinematografo.

“Nelle fasi iniziali, al movimento d’avanguardia si affiancò un movimento amatoriale crescente, due proposte alternative ai margini della dimensione commerciale che, almeno per qualche anno, si sovrapposero”.[1]

Esso si sviluppò dopo il 1924, quando la Eastman Kodak Company immise sul mercato la pellicola e la cinepresa da 16mm, e già nel 1926, prima ancora che in Europa, fu fondata una lega, “The American Cinema League”, dedicata agli amateur film-makers.

Uno dei dirigenti descriveva i film presentati:

“...film made for family records, travel movies, experiments in scenic pictures made with artistic intent; tentativ and sometimes fully-fledged photoplays, studies of athletic form and records of games _all these of extremly personal character in the non-theatrical film category”.[2]

I primi film d’avanguardia erano dunque opere di dilettanti, prodotte con pochi mezzi e quasi sempre su impronta dei film dell’avanguardia europea, ma erano anche formati da un’eclettica mescolanza di stili, generi e correnti artistiche non trascurabili.

La caratteristica principale che distingueva l’avanguardia europea da quella propriamente americana è riscontrabile nel diverso rapporto instaurato con il modernismo: mentre la prima era fortemente modernista nella sua celebrazione dell’urbanesimo e nell’esaltazione delle tecnologie, nei primi film americani, anche in quelli filo-europei, risulta un certo disagio nel considerare la natura separata dall’uomo.

Nel primo decennio a causa della massiccia importazione di film europei, come abbiamo già detto, erano fiorite senza problemi tendenze moderniste, ma già nel 1920 la comunità artistica si era tramutata in pro-americana, dichiarando che ormai l’ambiente europeo non forniva più nessun apporto creativo. Questi impulsi nazionalistici si trasformarono così in un’arte che nasceva dall’ambiente immediato dell’artista e non più da concetti sviluppati in paesi stranieri.

Il Realismo sociale, il Regionalismo e molti altri movimenti della scena americana “credevano che l’arte dovesse riflettere le storie, i bisogni e le aspirazioni della gente, che gli artisti dovessero trovare i propri soggetti nel passato e nel presente dell’America e che l’arte dovesse nascere dall’ambiente e dall’esperienza di ciascuno”.[3]

Questo primo gruppo di avanguardisti era caratterizzato dall’utilizzo di un’espressione di sentimenti fortemente romantici: l’artista americano aveva riscoperto la natura e l’aveva riconciliata con l’uomo.

Manhatta (1921), opera di Paul Straud e Charles Sheeler, “è ritenuto da numerosi storici del cinema e della fotografia il primo vero film d’avanguardia prodotto negli Stati Uniti”.[4]

I due registi “operando come cineasti amatoriali fuori dalla struttura produttiva commerciale, crearono un’opera cinematografica la cui principale rasoin d’etre non era la produzione di plusvalore, bensì un esperimento modernista che utilizzava un mezzo non convenzionale.”[5]

Il substrato romantico  di questa opera emerge soprattutto attraverso le didascalie, tratte da un poema di Walt Whitman, e dalla costruzione narrativa globale:

“Manhatta, pur costituendo un tentativo di creare un’esperienza cinematografica d’avanguardia non narrativa e formalmente astratta, in contrasto con i modi classici di descrivere, non abbandona però mai del tutto tali strutture,  che si manifestano nel modo più visibile nella tensione fra l’immagine e il testo verbale, tra le prospettive moderniste un’aspirazione romantica a un universo in cui l’essere umano rimanga in armonia con la natura.”[6]

Una differente visione di New York viene data invece da Twenty-four Dollar Island (1925) di Robert Flaherty: in esso la figura umana ha un’importanza trascurabile ed è adoperata solo come sfondo, mentre la natura è sopraffatta e distrutta dalla civiltà urbana, dai grattacieli e dagli edifici che l’umanità ha edificato e vicino ai quali si annulla.

Nella maggior parte dei city film americani non è possibile la celebrazione del modernismo e dell’urbanesimo, come nei film europei, ma vi è invece un’accorata malinconia per la campagna, per la natura, la quale sebbene astratta non viene usata in modo puramente descrittivo, ma “come metafora visuale per esprimere la soggettività umana (generalmente maschile).

H2O  di R. Steiner ne è la dimostrazione perfetta”[7]: in esso infatti l’autore sottolinea la mancanza di contenuto e di interesse sociale ed umano, per lasciare il posto alla pura esperienza visiva.

“Se si considera l’intera gamma dei documentari lirici sulla natura, risulta evidente che tutti questi esperimenti sono suggeriti da una soggettività romantica, che appare prettamente americana per ciò che concerne la sua estetica. Può variare il livello di astrazione, le corrispondenze che si vengono a creare tra immagini e musica possono essere più o meno dirette, tuttavia gli stati d’animo di questi film sono generalmente romantici, apparentemente lontani dal progetto modernista europeo. D’altro canto, i film astratti americani furono gli eredi degli esperimenti di Viking Eggeling, Walter Ruttmann, Hans Richter e Bertold Bartosch.”[8]

Le opere del cinema astratto europeo erano invece costituite da un numeroso gruppo di esperimenti di laboratorio, nei quali gli autori cercavano di negare la struttura produttiva moderna, in nome di una pura attività artigianale di ricerca. In esse l’astrazione si presentava da una parte come modello di linguaggio, caratteristico dell’epoca tecnologica, dall’altro come espressione artistica individuale, inglobata in un contesto di mercato.

Tra le figure più caratteristiche a cui gli artisti americani facevano riferimento spiccano Eggeling, un pittore che con La Diagonale Symphonie (1924) aveva creato un’opera in grado di esprimere il “movimento ritmico delle forme pure”[9]; Richter che dopo un inizio di ricerca accanto a Eggeling aveva direzionato la propria sperimentazione verso la bidimensionalità della forma in movimento, verso un processo di dinamizzazione di forme geometriche. E poi Ruttmann, la cui sperimentazione partì dallo studio del movimento di forme geometriche nella terza dimensione, per poi arrivare al primo e più importante esempio di realizzazione del rapporto fra cinema e città che è Berlin. Die Sinfonie der Grosstadt (Berlino, sinfonia di una grande città) del 1927.

Con questo film Ruttmann aveva abbandonato il cinema puramente astratto per un cinema documentaristico, composto questa volta da montaggi sonori, da sinfonie metropolitane, in cui la musica veniva usata come supporto estetico per creare soluzioni ritmico-dinamiche pure.

“... La sinfonia visiva è, per alcuni anni, il cuore stesso della ricerca sull’essenza del cinema, la loro struttura fondamentale. Vicino all’Absolute Film e al cinéma pur, all’Abstrakte Film e alla Cinégraphie intégrale la sinfonia visiva è l’opzione per una essenzialità dell’immagine cinetica come ritmo, combinazione musicale di unità linguistiche referenziali pure, che attraversa il cinema degli anni venti come un’ossessione permanente, destinata a restare, nella sua forma più rigida, sostanzialmente irrealizzata.”[10]

Contemporaneamente al filone romantico-astratto emergevano con grande impeto anche altri generi direttamente collegati alle avanguardie europee.

Il primo film sperimentale a mostrare “un’influenza espressionista” fu The Life and Death of 9413-A Hollywood Extra, diretto nel 1928 da R. Florey e costato meno di 100$.

In questo caso l’espressionismo non solo rispondeva al clima ideologico dell’epoca, ma si adattava alle risorse tecniche ed economiche dei neofiti del cinema.

In campo cinematografico questo movimento a differenza dei suoi contemporanei, invece di realizzare attraverso il cinema un progetto di fuoriuscita dall’arte o di raggiungere nuovi valori estetici, esso aveva adottato lo stile pittorico espressionista in modo assoluto. Gli espressionisti avevano cercato di allontanare gli effetti realisti a vantaggio dell’espressività e della soggettività proprie della pittura.

“Gli scopi dell’espressionismo sono evidenti: esprimere simbolicamente con le linee, le forme e i volumi, la  mentalità dei personaggi, il loro stato d’animo, persino la loro  “intenzionalità”, in modo che lo scenario appaia come la traduzione plastica del loro dramma.”[11]

Das Kabinet des Doktor Caligari (Il Gabinetto del Dottor Caligari, 1919) di P. Weine rappresenta il massimo esempio in cui gli scenari di un film esprimano simbolicamente, con le forme e i volumi, ciò che la trama vuole rappresentare. “In Caligari gli scenari non hanno più una funzione stilizzatrice. Creano un universo discordante che accusa lo squilibrio mentale del protagonista (...). Ma l’espressionismo non si accontenta di essere semplicemente pittorica. Diventa una vera e propria simbolica, mettendo a profitto le reazioni istintive suggerite dalle verticali, dalle diagonali e da altri elementi lineari.”[12]

Per quanto riguarda il cinema americano, Il Gabinetto del Dottor Caligari influenzò soprattutto la creazione del decoro e la distorsione dell’immagine, ma rese anche popolare la recitazione degli attori dall’esasperata mimica e l’atmosfera di pazzia.

In netta opposizione alla concezione espressionista erano invece coloro che si ispiravano ai film francesi di Clair, Feyder, Cavalcanti, Leger e Deslaw, i seguaci cioè del “cinema naturalistico”. Fra questi registi i più famosi erano Ralph Steiner e Lewis Jacobs.

Ma i tempi mutavano, e a mano a mano che gli sperimentatori americani  prendevano familiarità  col loro mezzo, si allontanavano sempre più dall’espressionismo dei tedeschi e dal naturalismo dei francesi per rivolgersi invece al “realismo dei russi”.

A partire dagli anni trenta grazie alla circolazione dei film e degli scritti di Ejzenstejn, Pudovkin e soprattutto di Vertov, il principio del montaggio divenne la nuova guida estetica di molti registi sperimentali.

Dziga Vertov fu il primo ad occuparsi di “verità” nel cinema: respingendo tutto ciò che sapeva di artificioso e teatrale, egli fondò il Kino-Glaz (Cine-occhio), una scuola che si proponeva di “cogliere la realtà dal vivo” riprendendo oggettivamente tutto ciò che coglieva davanti alla cinepresa, creando film dal montaggio a posteriori di queste scene. “L’arte consisteva semplicemente nel  “collegare” le riprese, nell’ordinarle e nel montarle.”[13]

Tra i film più famosi del regista Celovek s Kiniapparatom (L’uomo con la macchina da presa, 1929) rappresenta la summa di tutto il lavoro fino a quel momento svolto. Esso riunisce le riflessioni teoriche sul linguaggio cinematografico con la pratica stessa: esso è, come si legge nell’avvertenza inclusa nei titoli di testa, “un esperimento di trascrizione cinematografica dei fenomeni visibili, senza didascalie, scenari e teatri di posa”.[14]

“Fra gli esperimenti  “realistici” girati negli Stati Uniti fra il 1928 e il 1934 tre film meritano un’attenzione particolare: The Last Moment di Paul Fejos, The Spy di Charles Vidor e Dawn to Dawn di Joseph Berne.”[15]

In America questa tendenza si espresse attraverso opere in cui contavano soprattutto i fatti, dove si prediligeva la descrizione di persone, di luoghi, di attività, oppure di interessi umani ed idee.

Tutti questi film tendevano alla perfezione dei valori visivi con una fotografia composta e filtrata accuratamente, mentre le immagini erano tagliate secondo un tempo e un ritmo particolari e disposte in ordine tematico.

Purtroppo questo genere non ebbe modo di svilupparsi in modo completo, in quanto l’invenzione del sonoro capovolse del tutto la concezione di cinema.

La maggior parte degli sperimentatori fu dal principio contraria al sonoro: essi erano prima di tutto spaventati da questo nuovo mezzo che sembrava capovolgere tutte le teorie che avevano fino a quel momento apprese. Inoltre l’affermarsi di nuove e costose tecnologie non poteva che limitare le carriere dei meno facoltosi.

Alcuni comunque si adattarono: il primo film sperimentale sonoro fu Lot in Sodom (1933-34), diretto da S. Watson e M. Webber.

Poi con il 1935 e la Grande Depressione, il genere sperimentale incominciò a diminuire la propria attività di ricerca e molti registi spostarono la loro attenzione verso le condizioni sociali ed un nuovo modo di far cinema prese piede: nacque “il cinema documentaristico”.

Nel 1937 Leo Herwitz assieme ad un folto gruppo di cineasti ed operatori, spinti da una comune idea di rappresentare in modo creativo la realtà presente, “fondò la Frontier Film, prima compagnia indipendente di produzione di documentari, composta da uomini di sinistra che operavano nella prospettiva roosveltiana del New Deal”.[16]

Così la maggior parte dei film realistici sperimentali prodotti fino a quel momento, che univano la funzione del resoconto realista con la relazione documentaristica, dopo il ’35 si confusero con questa nuova corrente chiaramente orientata verso la critica sociale, e solo con la fine della seconda guerra mondiale  furono in grado di riacquistare di nuovo un’indipendenza, dando vita  questa volta ad un genere che sarà tra il documentario e il film a soggetto.



 [1] Horak, Jan-Christopher, “L’avanguardia cinematografica americana 1921-1945”, in  Bertetto, Paolo ( a cura di ),  Il grande occhio della notte, Cinema d’Avanguardia Americano 1920-1990, Lindau, Torino, 1992, pag. 61.

 [2] Curtis, Davis, Experimental Cinema, A fifthy year evolution, Studio Vista Limited, London, 1971, pag. 43.

Traduzione: “... film fatti per riprese domestiche, film di viaggi, esperimenti in ritratti scenici fatti con intenti artistici; tentativi e talvolta completamente piene di fronzoli, versioni cinematografiche di opere teatrali, studi sulla forma atletica e registrazioni di giochi, tutti di carattere estremamente personale nella categoria di film non teatrali.”

[3] Codognato, A., Arte americana 1930-1970 , Catalogo, Fabbri, Milano, 1992, pag. 45.

[4] Horak, J-C, “L’avanguardia cinematografica americana” op. cit., pag. 63..

[5] Ibidem, pag. 63.

[6] Ibidem, pag. 63.

[7] Ibidem, pag. 66.

[8] Ibidem, pag. 69.

[9] Mitry, Jean, La storia del cinema sperimentale, G. Mazzotta ed., Milano, 1971, pag. 94.

[10] Bertetto, Paolo (a cura di), Il cinema d’avanguardia 1910-1930, Marsilio Editori, Venezia, 1983, pag. 49.

[11] Mitry, J., La storia del cinema sperimentale op. cit., pag. 46.

[12] Ibidem, pag. 46.

[13] Ibidem, pag. 114.

[14] Brunetta, G.P., Costa, A. (a cura di), La città che sale, Cinema, Avanguardie, Immaginario urbano, Manfrini Editori, Comune di Rovereto,1990, pag. 83.

[15] Mitry, J., La storia del cinema sperimentale op. cit., pag. 245.

[16] Ibidem, pag. 182.

 

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Aggiornato il: 03-03-2000 .