LA SECONDA AVANGUARDIA
Solo
con il termine della seconda guerra mondiale si risvegliò l’interesse della
sperimentazione cinematografica. Questa
rinascita era stata favorita principalmente da due eventi: l’impiego del
cinema nello sforzo bellico e la distribuzione dei film dell’avanguardia
custoditi dalla cineteca del Museo d’Arte
Moderna di New York. Durante
il conflitto il governo americano aveva inclusi negli eserciti numerosi
operatori cinematografici che, equipaggiati di una cinepresa da 16mm, avevano
contribuito con documentari e cinegiornali a testimoniare le fasi del
combattimento. Un
nuovo e vasto pubblico poté quindi conoscere ed apprezzare le innovative
tecniche cinematografiche di ripresa, mentre giovani cineasti ebbero modo di
sviluppare sul campo nuove capacità registiche. Finita
la guerra a questi nuovi professionisti lo stato continuò a commissionare
lavori, mentre a livello nazionale in moltissime università si iniziò ad
insegnare anche tecnica cinematografica. Per
quanto riguarda invece il lavoro dei musei, essi permettendo la distribuzione,
non commerciale, di film dell’avanguardia europea ed americana, diedero il via
allo sviluppo di un mercato produttivo nazionale e riscoprirono il talento di
numerosi registi europei scappati in USA per motivi politici. L’esempio
più interessante di ritorno in auge della vecchia sperimentazione è dato dal
film Dream that Money Can Buy
(1944-46), ideato da H. Richter e prodotto da Peggy Guggenheim, costituito da
sei episodi firmati da: Leger, Duchamp, Calder, Ernst, Man Ray e Richter stesso.
“Il successo di questo film fece scaturire, un vero e proprio fiume di film
surrealisti, freudiani e psicoanalitici, o pseudo tali, da cui il cinema
americano _naturalmente sperimentale_ non si è ancora liberato.”[1] Nel
giro di pochi anni quindi si andarono definendo vari generi come il cinema
come sinfonia urbana, il cinema d’animazione grafica e il cinema
ipnotico. Il
primo di cui abbiamo già parlato deriva da Cavalcanti, Ruttmann e Vertov, ma
aveva già trovato un’identità nazionale in Sheeler e Straud; il secondo
“si differenzia dalle sue origini europee nel rifiuto della geometria rigida e
nella preferenza per forme fluide e per la fusione di elementi
bi-tridimensionali.”[2]
Il terzo era invece un cinema più personale, in cui i registi erano i
protagonisti delle vicende raccontate, attraverso psicodrammi e messe in scena
delle loro stesse paure. L’interazione
di questi tre generi creò quello che P. Adams Sitney, noto critico, chiama
“cinema compensativo” o “cinema
del ritrovamento di se stesso”, nel quale: “il
cineasta dà al film una connotazione di crisi morale, psicologica o estetica
che non viene mai dichiarata esplicitamente come tale; (...) i ritmi del cinema
compensativo e le sue modulazione interne riflettono le rispettive vittorie e le
sconfitte cui si va incontro quando si tenta di realizzare il film e nello
stesso tempo di padroneggiare il flusso degli umori.”[3] Il
cinema d’animazione grafica Alla
fine degli anni trenta sulla West Coast un gruppo di cineasti sperimentali
inizia un personale discorso incentrato sulla strada della non-oggettività del
film astratto. Per costoro il mezzo cinematografico non rappresenta solo uno
strumento, ma diviene il fine attraverso cui dare alle immagini astratte, al
colore e al ritmo, un valore intrinseco, indipendente dal loro potere
d’espressione. I
registi che operavano all’interno di questo genere erano stati soprattutto
attratti dagli esempi di cinema grafico di Eggeling, Richter, Duchamp e Lye,
proiettati all’interno di manifestazioni cinematografiche indipendenti dal
circuito hollywoodiano, come l’Art in
Cinema Series fondata a San Francisco nel 1947 da F. Stauffacher e R. Foster. Un’altra
causa di influenza diretta era stata data dall’arrivo nel 1935 a Hollywood di
Oskar Fischinger il quale, sebbene non fosse riuscito ad integrarsi
nell’establishment hollywoodiano, che lo trovava anti-narrativo e quindi non
commerciale, con la sua tecnica fu di grande stimolo alla nascita di una nuova
corrente astratta in America. I
fratelli Fischinger e Len Lye si erano contraddistinti nella corrente di registi
astratti per il loro totale abbandono dell’idea di creare un ritmo puro,
sposando invece quella che le forme non figurative potessero “accompagnare”
un brano musicale creando così nuovi effetti. Hans
e Oskar Fischinger invece di usare forme geometriche partirono con
l’utilizzare forme lineari disegnare seguendo un ritmo prefissato su una base
musicale. Len Ley invece decise di optare per il metodo grafico, dipingendo
direttamente sulla pellicola. In
America una delle prime registe che approdarono a questo genere è Ellen Bute
che con il marito Ted Nemeth creò film molto vicini all’esperienza di
Fischinger in cui figure astratte si muovevano accompagnate dalla musica. La
caratteristica più interessante di questi film è che vennero girati in 35mm
con lo scopo cioè di essere commercialmente visti, a differenza delle altre
sperimentazioni artistiche contemporanee. Un
altro sperimentatore degli anni quaranta è D. Crokwell, un amatore influenzato
dalla tecnica di pittura ad olio su vetro utilizzata fa Fishinger, che cercò
nella ricerca soprattutto nuove tecniche che gli permettessero di evolvere le
forme astratte grazie all’ausilio di associazioni libere. Ben
presto sulla base di queste esperienze prese corpo una scuola di sperimentazione
astratta i cui componenti più innovativi sono: i fratelli Whitney, H. Smith e
J. Belson. I
fratelli Whitney iniziarono a fare film astratti nel 1941 con Variations, una serie nelle quale le forme erano animate
sulla carta con una tecnica simile a quella di Fischinger e, con un metodo di
registrazione del sonoro che risultava fortemente correlato alle immagini. Il
rapporto fra cinema e musica sarà sempre al centro del loro lavoro: resisi
conto che l’uso di musiche convenzionali avrebbe limitato la risposta dello
spettatore a causa delle associazioni di memoria, essi crearono una macchina in
grado di produrre musica elettronica direttamente sulla banda sonora del film,
in perfetta sincronia con le immagini. La
nuova serie di film che ne derivò, intitolata Five Abstract Film Exercises, Studies in Motion, fu premiata per gli
studi fatti al Bruxelle Experimental Film
Festival nel 1949. Negli
anni successivi i due fratelli si divisero e, mentre John seguì una via che lo
portò verso la ricerca di film astratti senza animazione, James creò una serie
di complesse tecniche d’animazione. Jordan
Belson era un buon amico dei fratelli Whitney ed è proprio dai film di questi e
di altri proiettati al Film as Art Series che
egli fu stimolato ad iniziare una personale sperimentazione. I
suoi primi film Transumation (1947) e
Improvvisation n°1 (1948) si riferiscono moltissimo alla tecnica di Richter;
le immagini erano non-oggettive, ma corrispondenti a fenomeni biologici, mentre
la tecnica principale era quella dei frames divisi a fotografati in successione. Tra
il 1957 e il 1960 Belson lavorerà al Vortex
Concerts “una delle più importanti serie di eventi di “expanded
media” mai presentate.
Tenutasi al Morrison Planetarium a San Francisco, Belson ha descritto questi
film come “una nuova forma di teatro basato sulla combinazione di tecniche
ottiche, elettroniche ed architettura...un puro teatro prodotto direttamente dai
sensi”.”[4] A
questa famosa manifestazione diede il via Henry Jacobs, un compositore
elettronico che collaborò a lungo con Belson: entrambi credevano che il loro
lavoro riportasse direttamente allo stato del subcosciente e alla base dei
fenomeni psicologici e fisiologici. Negli
anni sessanta sia i fratelli Whitney che Belson approderanno all’ Expanded
Cinema, un genere che “si prefigge la eliminazione delle barriere tra arte
e vita, tra arte e norme esecutive nel delineare un ampliamento pluricomprensivo
del linguaggio. La fine dell’intreccio e del dramma e la nascita di una nuova
figura dell’artista quale sintesi di compiti artistici e scientifici (...)”.[5] Harry
Smith fu sempre molto attratto dall’arte astratta europea: il suo primo lavoro
Number 1-2-3 è datato 1939-46, e rappresenta una riedizione del progetto
di pittura su pellicola già visto in Lye; Number
4 e Number 5 risultano invece
influenzati dall’amicizia con Fischinger ed i fratelli Whitney. Purtroppo
solo nel 1965 egli uscì all’aperto, mostrando in pubblico “chilometri di
pellicola sprizzante ritmo, vivacità e allegria, e raccontando stranissime,
affascinanti e inquietanti storie di uomini e oggetti che si battono, integrano
e trasformano nei modi più improbabili.”[6] Il
Cinema ipnotico Sempre
sulla West Coast negli anni quaranta vedeva la nascita quello che di lì a poco
sarebbe diventato il genere predominante, il cinema ipnotico. I
film ipnotici degli anni quaranta sono fra tutti l’esempio più chiaro del
termine “film compensativo”, data la loro forma drammatica. Essi hanno in
comune con gli altri dell’underground il carattere anti-rappresentativo,
antinarrativo ed alcune volte anche un accento di esistenzialismo, ma allo
stesso modo si discostano da quelli per il personale carattere onirico. P.
Adams Sitney denominò questo neonato genere con il termine “trance
film” (“as I will call this type of film in general”)[7],
soprattutto per distinguerlo dal suo predecessore, il genere surrealista. Il
movimento dadaista e quello surrealista erano nati in Europa negli anni venti
con lo scopo preciso di creare un discorso di disgregazione del simbolico e
dell’arte stessa: essi non avevano più interessi nel creare nuove strutture
linguistiche o di fare ricerche visivo-cinetiche, come i loro contemporanei, ma
usavano il mezzo cinematografico per rappresentare i sogni ed il simbolo. Tra
i film più famosi che influenzeranno il genere onirico americano, ci sono: Un
chien andalou (1928) e L’age
d’or (1930) entrambi di Bunuel e Dalì. In
essi si riassumono gli elementi caratteristici del genere, come il rifiuto e il
disprezzo per la tecnica che porta ad una “poetica del brutto” come
alternativa ed opposizione all’arte e alla cultura tradizionale borghese. L’esperienza
cinematografica di Bunuel e Dalì poi, “era veramente sconvolgente,
profondamente nuova e rivoluzionaria, toccava alla base le strutture morali,
politiche della società borghese e capitalistica di allora”.[8] Il
loro è un cinema “estraneo ad ogni intento estetico (Dalì), lontano dai saggi di
cinema puro e costituito soltanto da ciò che vi succede, cioè dai fatti
reali, che sono irrazionali,
incoerenti, senza alcuna spiegazione: si tratta di un cinema che segue il libero
funzionamento del pensiero e proprio per questo è l’incoerenza
medesima.”[9] Dagli
scritti di Bunuel e Dalì scaturisce un’idea di cinema “assolutamente
sovversivo, che non si pone alcun problema linguistico e disciplinare e diventa
la registrazione di una produzione simbolica delirante, onirica, irrazionale,
capace di aggredire e di disgregare le convinzioni e i valori ufficiali”.[10]Il
massimo esempio di questo cinema
è dato dai due attraverso L’age d’or
“film maledetto, contestato dai gruppi dell’estrema destra parigina,
attaccato dal Figaro e vietato dal
prefetto Chiappe”[11],
ma lungamente sostenuto dalla critica della sinistra eterodossa al punto di
renderlo il soggetto del manifesto programmatico del surrealismo. In
“Visionary Film” un’accurata
analisi dei film dell’avanguardia americana, girati fra il 1943 e il 1978,
Sitney sottolinea in tutti i modi che anche se il surrealismo europeo e il
cinema onirico americano sono riportabili l’uno all’altro, esistono fra di
essi rilevanti differenze. Nel cinema surrealista si cerca di evocare attraverso
i film l’orrore e l’irrazionalità dell’inconscio, mentre nei trance film
il surrealismo e il freudianismo sono solo i veicoli dietro il meccanismo del film, nel
quale prendono il sopravvento il sogno, il rituale e soprattutto la metafora
sessuale. Dal
punto di vista registico l’articolazione dello spazio nei film onirici è
spesso priva di senso, mentre i movimenti o la fissità della macchina da presa
sono coscientemente articolati. Una
delle caratteristiche fondamentali che distinguono questo genere sta nell’uso
del regista come protagonista delle azioni del film, eliminando così ogni
difficoltà nel portare in scena i sentimenti e i turbamenti del film-maker : “Many
film-makers seem to have been unable to project the hightly psychological drama
that these films reveal into other characters. They were realizing the themes of
their films through making and acting them. These were true psycho-drama.”[12] “L’eliminazione
di un ruolo direttivo (cadono le barriere tra regista e attore), la libera
espressione della sessualità come esplorazione di una vasta imagerie
erotica, l’impiego della camera volta ad imitare l’attività mentale, gli
impulsi, le allucinazioni, la creazione di uno stato magico, il netto rifiuto di
ogni immagine scientificamente psicoanalitica sono i caratteri del trance film.” [13] Il
primo trance film risale al 1943, si intitola Meshes of the Afternoon e fu girato, sceneggiato, montato ed
interpretato da due film-makers, Sasha Hammid e Maya Deren. Come
psicodramma questo film rappresenta l’esplorazione interiore di entrambi i
registi: esso non registra un evento qualunque, ma simbolicamente ripropone le
idee e i sogni della protagonista che non è altri che Maya Deren. “This
film is concerned _Maya Deren wrote_ with the interior experiences of a
individual. It does not record an event which could be witnessed by other
person. Rather, it reproduces the way in which the sub-concious of an individual
will develope, interpret and elaborate an apparently simply and casual incident
into a critical emotional experience.”[14] Lo
stile visuale del film si avvale di tagli veloci, movimenti lenti ed elisioni
che estendono la continuità delle azioni. Esso simula esplicitamente
l’esperienza onirica attraverso ogni tipo di introiezione visiva, mentre la
realtà spazio-temporale viene distrutta in nome di un mondo immaginario
irreale, simbolico, in cui i rapporti fra personaggio ed oggetti acquistano un
significato allegorico. Meshes simula esplicitamente
l’esperienza del sogno, ma non è un film surrealistico, né
freudiano: “surrealism and Freud were the vehicles, either latent or
conscious, behind the mechanics of the film”.[15] “The
intent of this first film, as of the subsequent films, is to create a
mytological experience. (...)”[16] Maya
Deren girò in tutto sei film, cinque dei quali durante il periodo che va dal
1943 al 1948; l’ultimo fu completato nel 1959, solo due giorni prima della sua
morte. At Land del 1944 “is the earliest of the pure American trance
film”.[17]In
esso si ritrovano tutti i canoni del trance film: il protagonista che passa
invisibile tra la folla; il paesaggio drammatico; il confronto fra il proprio io
ed il proprio passato. “Meshes
of the Afternoon had some of
these elements, but its intricate, coiled form gave a more personal, less
archetypal tone to its narrative.”[18] La
forma di At Land è completamente
aspra, mentre la macchina da presa è generalmente statica. Le riprese furono
fatte da Hella Heyman, mentre Maya Deren diede forma al film con un montaggio
fluido, sicuramente progettato già da principio. Partendo
da questo film la Deren ha incominciato una lunga ricerca formale testimoniata
anche da numerosi scritti, primo fra tutti il libro pubblicato nel 1946 ed
intitolato “An Anagram of Idea on Art,
Form and Film”. Questo
interesse per la forma divenne più chiaro nel film successivo, A
Study in Coreography for Camera (1945), nel quale la film-maker fece ritorno
ad un suo vecchio amore, la danza. Il film interpretato da un vero danzatore,
Talley Beatty, era molto semplice: “a single gesture combining a run, a
pirouette, and a leap. It lasts no more than three minutes.”[19]
In esso viene introdotta la possibilità di isolare un singolo gesto come
completa forma del film: usando numerose velocità di ripresa il danzatore
riesce a compiere movimenti che risultano incredibili. Dopo
aver girato Meshes la Deren ed il
marito si erano trasferiti a New York, dove però non erano riusciti a trovare
un mercato che distribuisse le loro opere. Nel 1946 Maya Deren decise di
affittare la Provincetown Playhouse ,
un teatro di N.Y. dove durante un “one-night show” proiettò i suoi primi
tre film. Questa esperienza generò talmente tanto interesse che ripetute
proiezioni divennero necessarie e il nome della film-maker divenne famoso. Questo
improvviso successo fece scaturire una intera serie di proiezioni di questo tipo
in tutti gli Stati Uniti: a San Francisco fu creato il Film as Art Series,
mentre a New York Amos Vogel iniziò ad usare la Provincetown Playhouse come
base per il suo Cinema 16, un club che si prefiggeva di mostrare, “outstanding
social documents, controversial adult screen fare, advanced experimental films,
classics of the international cinema and medical-psychiatric studies.”[20] Il
successo di Meshes, ma soprattutto la
fama che circolava attorno alla Deren offuscando la figura del marito, Hammid,
provocarono dei problemi fra i due che comunque decisero di collaborare di nuovo
assieme in The Private Life of a Cat
(1946). “This
is a powerful, exlusive film, with as much tension _as much having to do with
their strulling marriage_ as Meshes
perhaps more.”[21] Il
film fu dunque una collaborazione, e ciò si può vedere attraverso un’attenta
analisi dei due stili di ripresa, ma fu comunque presentato come un’opera di
Sasha Hammid. Nello
stesso anno Maya Deren girò Ritual in
Trasfiguration Time, il suo film più complesso e più ricco di teorie. Esso
porta il trance film verso la forma più radicale: ci sono due protagonisti, ed
evoca interpretazioni tradizionali attraverso l’uso di simboli classici.
Questo genere anticipa nella forma “the architectonic or mythopoieic film”[22]
che emergerà nei primi anni sessanta e si ispirerà al mito e al rituale. Dopo
la proiezione di questo film la Guggenheim Fondation propose alla film-maker un
viaggio ad Haiti con lo scopo di fare delle ricerche e girare un documentario
sulle danze locali. Interessata alla danza voodoo la Deren rimase sull’isola
diciotto mesi, diventando l’unica donna bianca mai addentrata nei rituali
religiosi voodoo. Tornata
a New York pubblicò un libro “Divine
Horsemen”, la più interessante e precisa analisi antropologica mai
scritta sui rituali voodou haitiani, ma dei numerosissimi metri di pellicola non
fece mai nulla. I
suoi ultimi due film furono rispettivamente Meditation
on Violence, del 1948, che descriveva in un singolo e continuo movimento tre
diversi gradi di box tradizionale cinese, e poi The Very Eye of Night, realizzato nel1958 dopo dieci anni di
silenzio, giudicato eccessivamente stilizzato sia dal punto di vista
intellettuale che grafico. Anche
in questi film come nei precedenti la danza, oltre ad essere uno degli elementi
della composizione filmica, diventa “addirittura l’ossatura stessa dello
sviluppo discorsivo e semantico”.[23] “E’
come se Maya Deren, nella continua ricerca di una forma filmica che
soddisfacesse le sue esigenze di purezza artistica e di classicità stilistica,
avesse incontrato nella visualizzazione della danza _o nell’uso della
cinepresa come strumento privilegiato per dare un’autentica dimensione
schermica ai passi e alle figure coreografiche_ il punto di confluenza di
diverse e concomitanti esigenze poetiche ed esistenziali.”[24] Nello
stesso momento in cui Meshes veniva girato, a Los Angeles un gruppo di
film-makers iniziavano ad emergere con film altrettanto nuovi ed eversivi. Fra i
più famosi ricordiamo Kenneth Anger, Curtis Harrington e Gregory Markopoulos. “All
three had made films as children. All three made works that were obviously very
personal. All three made works that were almost confessions.”[25]
Kenneth
Anger si definiva un mago; per lui i film erano la via attraverso
cui fare magie, ed egli stesso intendeva i propri film, abbastanza
letteralmente, come invocazioni magiche. Sergei Ejzenstejn
era l’ispirazione che stava dietro la tecnica orientata di montaggio, mentre
per la magia egli pagava l’omaggio ad un passato occultista inglese Aleister
Crowley (1873-1947), che conobbe in giovane età. Anger
crebbe a Hollywood apparendo in alcuni film sin da bambino, e girando la sua
prima opera a nove anni. Escape Episode del
1944 fu il primo film ad essere proiettato in pubblico, ma quello che lo rese
veramente noto fu Firework del 1947.
In esso il film-maker tratta della nevrosi di un omosessuale che sogna di essere
scovato e picchiato dai suoi compagni; “l’intensità delle immagini, la
forza e l’esattezza delle inquadrature e del ritmo raggiungono un effetto
d’insieme che per la sua coraggiosa onestà quanto per l’alta carica
immaginativa appare strabiliante sullo schermo.”[26] Dopo
un periodo passato in Europa nel 1963 Anger gira Scorpio Rising, un film maturo, in cui i simboli sono talmente
legati ai personaggi e alle loro vicende, da amplificare largamente la profondità
dell’intero messaggio filmico. “Lo
straordinario valore di questo film discende dalla capacità dimostrata dal suo
autore di amalgamare materiali eterogenei in un “climax” sempre più
implacabilmente lacerante, fino alla sanguinosa catarsi scandita
dall’intermittente faro rosso dell’ambulanza alla fine del film.”[27] Molto
vicino allo spirito di Anger si trova Fragment
of Seeking (1946) del suo buon amico Harrington. In esso si ritrovano i
caratteri di omosessualità e narcisismo tipici del trance film. “La struttura
del film è singolarmente semplice. L’unità e totalità di effetto lo mettono
sul piano di certe novelle di Poe.”[28]Ogni
aspetto e ogni ripresa infatti è scelta per creare un’atmosfera angosciante e
simbolica che lasci lo spettatore turbato. Il
tema dell’omosessualità e dell’ermafroditismo si trova anche nelle prime
opere di Gregory Markopoulos che creò una trilogia intitolata Du sang du la voluptè et de la mort partendo dai miti della
letteratura: Psyche (1947) basato su
una novella di Pierre Louys; Lysis
(1948) ispirato a Platone; Charmides
(1948) preso da un dialogo di Platone. Questo
stile ha continuato ad evolversi nei film seguenti come Swain (1951), che trae la sua ispirazione dal primo romanzo di
Hawthorne (Fanshawe); Serenity
(1954-1960), basato su un romanzo dello scrittore greco Elia Venezis, che lo
vede tornare alla terra d’origine dei genitori.
Questo
film girato in trenta giorni nel 1958 “riecheggia nella composizione delle
inquadrature e nel loro ritmo interno lo stile epico-tragico dei film muti degli
anni venti, e anche il colore è utilizzato in modo da accordarsi al sapore e
all’effetto della pellicola virata come si usava in quel periodo.”[29] In
Serenity Markopoulos
“comincia a formulare con maggior consapevolezza dei film precedenti i
principi di montaggio che porterà a tanto rigorosa eccellenza in Twince
a man. Uno dei più importanti
consiste nella ripetizione, come segnale intermittente di una sotterranea
continuità, di un’immagine chiave, che si pone come il principale accordo
armonico su cui si edificano le susseguenti variazioni.”[30]
Anche la colonna sonora inaugura in questo film un nuovo processo , che verrà
poi portato a conclusione nel film successivo: “essa consiste di quattro
commenti parlati in quattro diverse lingue”.[31] Nel
1961 Markopoulos comincia a lavorare al progetto di Twice a man, ispirato alla leggenda di Ippolito, e che rappresenta
un vero e proprio ritorno alle origini. Uno
degli aspetti principali di questo film si trova nell’elaborazione di una
tecnica di montaggio estremamente efficace ed originale
che, diventerà da questo momento il “motore principale“ delle opere
di Markopoulos, agendo “su personaggi luoghi e, soprattutto, colori,
mescolandoli in intricati accordi ritmici e cromatici, come eloquentemente il
film-maker dichiarava in una lettera a Brakhage qualche anno prima: Che
bisogno c’è degli attori, col nuovo metodo di montaggio astratto il
film-maker diventa attore; ... è alla moviola che nasce il miracolo. Le
inquadrature diventano come parole, e più grandi delle parole. [32] Con
Galaxie del 1966, Markopoulos arriva
ad inaugurare un sistema di montaggio in macchina, sommando tutte le tecniche
tradizionali, raggiungendo un risultato perfetto. Questo film è composto da una
“galleria” di ritratti (tra cui anche quello di Jonas Mekas), che “si
aprono al suono di un campanello indù, che li numera progressivamente, e con i
rispettivi nomi, e si chiudono con una dissolvenza.”[33]
Ma torniamo sulla West Coast; a San Francisco nel 1946 due interessanti
film-maker, prima di iniziare una esistenza artistica individuale, filmarono
assieme un opera molto vicina nei temi e nei propositi a quelle dei colleghi di
Los Angeles. Il film si intitolava The
Potted Psalm (“a widly disorganized collection of surrealistic sight
gags”[34])
e gli autori sono Sidney Peterson e James Broughton. Dopo
questa comune esperienza, il primo iniziò ad insegnare alla California School
of Fine Arts, istituzione che gli sponsorizzò numerosi film, tra cui The
Cage del 1947, un’opera che combinava il city
simphony al trance film. Il
secondo invece continuò la carriera di film-maker altalenandola a quella di
poeta e regista teatrale. Una delle sue opere più conosciute è Mother
Day (1958), un film con la forma di un album di fotografie ed uno stile
nostalgico. Poi
a metà degli anni cinquanta il Trance
Film incominciò ad evolversi in una forma più matura e complessa: Deren,
Anger e gli altri film-maker citati continuavano ad essere accomunati da
tendenze simili, ma gli stili e le forme andavano definendosi in modo netto. Le
opere filmate in questa seconda fase vengono chiamate mitopoietiche, la
cui forma cioè si “costituisce secondo un universo mitico”. Caduti gli
aspetti freudiani emergono quelli junghiani, affermando quindi una forma che non
si rifà più al sogno onirico, ma diviene la trasfigurazione del mito. “Nel
cinema d’avanguardia il film mitopoietico segna il passaggio da una forma
lineare (quella trance), che implicava tensioni ed enigmi, ad una forma sferica
dove l’unione dei vari elementi rimanda ad un movimento ritmico circolare, ad
una specie di opera sinfonica. Si procede da un cinema di congiunzione ancora
letterato, ad un cinema metaforico.”[35] A
queste due fasi cinematografiche appartengono anche alcuni film di Stan
Brakhage, un importantissimo film-maker le cui teorie creeranno un nuovo stile
nel panorama contemporaneo ormai fin troppo standardizzato. Le
componenti del cinema di Brakhage sono tre, “la prima definita trance, si
limita alle esperienze iniziali, la seconda denominata lyrical (...), e la terza, caratterizzata da aspetti
mitopoietici.”[36] A
differenza dei suoi contemporanei, Brakhage non iniziò la propria carriera
brillantemente, ma solo con il suo terzo film Desistfilm egli riuscì a realizzare quello stile personale che lo
contraddistingue. Egli aveva liberato la cinepresa dal cavalletto
muovendola in mezzo agli attori, usando immagini distorte e
tagli rapidi. All’interno
di un articolo intitolato A Call for a New Generation of Filmmakers
(“Film Culture” n. 21, estate 1960, New York) a proposito di questo film
Jonas Mekas scriveva: “E qui dobbiamo notare un’altra importante preoccupazione del nuovo
cinema americano: la liberazione della stessa cinepresa. Per il momento chi vi
è riuscito meglio, quasi alla perfezione, è stato Stan Brakhage in un
cortometraggio intitolato Desistfilm. Desistfilm impiega tutte le tecniche del
cinema spontaneo. Descrive la festa improvvisata di un gruppo di giovani _con i
loro esibizionismi giovanili, i giochi e gli amori adolescenziali_ che è stata
girata una sera a un party realmente improvvisato, con una cinepresa da 16mm
tenuta per la maggior parte del tempo in mano che seguiva ogni movimento
selvaggiamente e senza alcun piano premeditato. Questa tecnica della cinepresa
libera consente di ricreare l’atmosfera e il tempo della festa, con tutti i
suoi piccoli dettagli di azioni un po’ matte, stupide e marginali, con le sue
manifestazioni di emozioni adolescenziali. La cinepresa, libera dal suo
treppiede, va ovunque, senza mai invadere o interferire, avvicinandosi con dei
primi piani o seguendo i giovani irrequieti in panoramiche e angolazioni veloci,
a scatti. Qui sembra esservi una perfetta unità tra il soggetto, il movimento
della cinepresa e il carattere stesso del regista. Si coglie il libero
espandersi della vita e il film possiede la vitalità, il ritmo e anche il
temperamento di una poesia di Arthur Rimbaud, di una nuda confessione
_completamente improvvisata, senza che sia visibile l’intervento
dell’artista, sebbene nello stesso tempo venga definita la distanza tra arte e
realtà; la dinamica di Desistfilm,
infatti, non è quella della realtà, ma di un’opera d’arte.”[37] La
fase trance di Brakhage va dal ’55 al ’57, ma in tutti i film girati il
genere classico viene snaturato in una continua ricerca di quella forma lirica
che stenta a nascere. Nel
1955 l’autore si trasferì a New York dove iniziò a lavorare per J. Cornell,
un famoso artista per il quale girò Wonder
Ring e poi Tower House.
L’incontro aprì a Brakhage una nuova strada: “The shooting of Tower House
and the editing of Wonder Ring
were his first experiences with the sensuous handlying of a camera and
the purely formalistic execution of montage. (...)Brakhage was striving in those
years to bring into the abstract form the intensity of experience and the
complexity of ideas he had achieved in his modified trance film, and he extended
this effort toward syntetis into his theoretical formulations as well.” [38] Nel
1958 Brakhage girò Anticipation of the
Night, un film controverso, accusato di incomunicabilità e respinto
addirittura da Cinema 16, la più importante casa di distribuzione di film
sperimentali. Con questa opera egli raggiunse il suo periodo lirico. Il
lyrical film pone il film-maker dietro la camera facendolo diventare il
vero protagonista; le immagini riprese diventano le immagini che il film-maker
vede, come lui le vede, filmate in modo che lo spettatore non dimentichi mai la
sua presenza. Nel
lirical film non esistono luoghi o eroi precisi, lo schermo viene riempito dai
movimenti che produce la camera e poi il montaggio. Lo spazio non è più quello
dei trance film, ma si trasforma nello spazio appiattito della pittura
dell’espressionismo astratto. Questo
periodo per Brakhage è caratterizzato soprattutto da cortometraggi nei quali
l’autore riunisce i propri pensieri e sentimenti più personali, registrando
così esperienze di vita quali nascite, morti, sessualità ecc. Fra le opere più
famose ricordiamo The Dead, che
assieme a Prelude valse all’autore
il quarto Indipendent Film Award
organizzato dalla rivista Film Culture nel 1962. Un
altro artista, oltre a Cornell, che senza alcun dubbio influenzò
Brakhage è la pittrice e regista Marie Menken, la quale con l’opera Notebook
(1963) diede inizio al genere poetico-lirico.
Marie Menken ed il marito
Willard Maas sono gli unici registi di rilievo che negli anni quaranta, a New
York, riuscirono a girare film sperimentali dello stesso livello dei colleghi
della West Coast. Il
primo film di Maas, a cui partecipò pure la moglie assistendolo alla
fotografia, si intitola Geography
of Body (1943), “a series of close-up of a (collective) body photographed
througt magnifying glasses, set to a poetic commentator.” [39]
I suoi film seguenti furono una serie di psicodrammi basati su temi sessuali. Marie
Menken iniziò a lavorare, indipendentemente dal marito, nel 1945 con Visual
Variations on Noguchi, “in which photography and editing make the
sculptores of Isamu Noguchi move
through light”.[40] Questo
rappresenta uno dei primi film in cui la cinepresa si muove e crea in modo
libero e reale facendo dimenticare le regole hollywoodiane
riguardo le tecniche di ripresa. Dopo
questa opera ci vollero vent’anni prima che la film-maker tornasse a fare
film. Nel 1957 Marie Menken girò prima Glimpse
of the Gerden e poi Hurry Hurry,
“a microscopy investigation of human sperm cells lashing around in search of
an egg, double-exposed over flame and with a sound track of bombardament”. [41]
Poi seguirono Dwightania (1959), Eye
Music in Red Majer (1961), Arabesque
for Kenneth Anger (1961), Bagatelle
for Willard Maas (1961), Mood Mondrian
(1961-63), Drips and Strips (1961-65).
Queste opere erano dei collage a forma di cartolina piuttosto che di biografia,
ma tutte con in comune una
brillantezza lirica e un amore per il ritmo visuale. Del
1963 sono Notebook, l’equivalente
filmato dei resoconti di uno scrittore, composto da brevi immagini collezionate
sin dall’inizio degli anni quaranta, esperimenti tecnici e capostipite forse
dei “diary film”; Go Go Go, un
breve city simphony che riesce a mostrare la città di New York attraverso
momenti ripetitivi di persone imprigionate nella strada e nel traffico e, che
l’autrice considera il suo film più impegnativo. Seguono
poi Wrestling (1964), Andy
Warhol (1965) e un folto numero di film inconclusi. Marie
Menken aveva la caratteristica di porsi dietro la macchina da presa come
presenza tangibile nei propri film: vedere un suo film vuol dire guardare con
lei. Questa tecnica
influenzerà non solo Brakhage ma anche Jonas Mekas, il quale durante
un’intervista ricordò l’amica con queste parole: “Oh,
yes. I liked what she did and I thought it worked. She helped me make up my mind
about how to structure my film. Besides, Merie Menken was Lithuanian. Her mother
and father were Lithuanian immigrants, and she still spoke some Lithuanian. We
used to get together and sing Lithuanian folk songs. When she’d sing them,
she’d go back to the old country completely. So there might also be some
similarities in our sensibilities because of that. But definitely Marie Menken
helped me to be at peace enough to leave much of the original material just as
it was.”[42] Brakhage
sviluppò soprattutto la tecnica di ripresa della Menken, l’uso di più
elementi cinematografici e della sovrimpressione. Abbandonò poi la presenza
degli attori, rinunciò al commento e alcune volte pure alla colonna
sonora, e in conclusione produsse film incentrati solo sulla vita quotidiana. Negli
anni sessanta questo film-maker entrò nel periodo metapoietico, creando opere
di grande impatto visivo quali Dog Star
Man (1964), “Nel
suo complesso Dog star man, a parte le
caratteristiche mitopoietiche, simboliche cioè di una eterna lotta dell’uomo
con se stesso e con l’ambiente che lo circonda, è un autentico, torreggiante
capolavoro che porta ad un livello di estrema coscienza, controllo efficacia e
raffinatezza le tecniche espressive che (...), avevano cominciato ad elaborarsi
in un più articolato e comprensivo contesto in Anticipation of the night.” [43] i Songs (1964- ?), lirici lieder, “brevi quadretti che utilizzano e
incorporano i fatti più semplici e elementari della vita quotidiana di
Brakhage, continuando in questo la tradizione dei film precedenti con un tono più
dimesso,” [44] e Scenes
from under childhood. Ma
prima di arrivare a questo periodo, dobbiamo fare un passo indietro e tornare
agli anni cinquanta: fu proprio in questo periodo infatti, che ebbe inizio
l’involuzione dei film sperimentali. Sebbene alcuni fossero ancora girati in
nome della ricerca, molti avevano perso vitalità, la loro enfasi si era
spostata verso nuovi traguardi che purtroppo non avevano portato a nulla di
nuovo. I
film-makers più geniali avevano continuato a fare film evolvendo in uno stile
personale e caratteristico, mentre quelli dotati di minor talento, finirono per
involvere in un genere senza più futuro: “The
second avant-garde as a movement ended around 1954.” [45] [1] Ibidem, pag. 235. [2] Sitney, P. Adams, “L’evoluzione del cinema sperimentale americano”, in Bertetto, P. , Il grande occhi della notte op. cit. , pag. 43. [3] Ibidem, pag. 45. [4] Curtis, D., Experimental Cinema op. cit., pag. 58. [5] Milani, Raffaele, Il cinema underground americano, G. D’Anna, Me-Fi, 1978, pag. 137. [6] Leonardi, Alfredo, Occhio mio dio, Il New American Cinema, Feltrinelli, Milano, 1971, pag. 59. [7] Sitney, P. Adams, Visionary Film, The American Avant-Garde 1943-1978, First published by Oxford University Press, New York, 1974 (Second edition, 1979), pag. 11. Traduzione: “come chiamerò questo tipo di film in generale”. [8]Rondolino, Gianni, “Cinema pre-underground ed esempi di cinema underground europeo ed americano” , in AAVV, Seminario internazionale di studi sul cinema underground, Ca’ Giustinian 19/23 Maggio 1970, Biennale di Venezia, pag. 59. [9]Bertetto, P. , Il cinema d’avanguardia 1910-1930 op. cit., pag. 93. [10] Ibidem, pag. 95. [11] Ibidem, pag. 95. [12] Sitney, P. Adams, Visionary Film op. cit., pag. 18. Traduzione:
“Molti film-maker sembrano essere
stati incapaci di progettare il dramma fortemente psicologico che questi
film rivelano in altri personaggi. Essi hanno realizzando i temi dei loro
film facendoli e recitandoli. Essi erano veri drammi psicologici.” [13] Milani, R., Il cinema underground americano op. cit., pp. 10-11. [14] Sitney, P. A., Visionary Film op. cit., pag. 9. Traduzione: “Questo film _scrive Maya Deren_ riguarda le esperienze interiori di un individuo. Esso non registra un evento che potrebbe essere testimoniato da altre persone. Piuttosto, esso riproduce il modo in cui il subcosciente di un individuo svilupperà, interpreterà ed elaborerà un avvenimento apparentemente semplice e casuale in una esperienza criticamente emozionale.” [15] Ibidem, pag. 14. Traduzione:
“surrealismo e Freud erano i veicoli, seppure latenti o coscienti, dietro
la meccanica del film”. [16] Ibidem, pag. 13. Traduzione:
“L’intento di questo primo film,
come dei successivi, è di creare una esperienza mitologica. (...).” [17] Ibidem, pag. 21. Traduzione:
“At Land è il primo di tutti i puri
trance film americani.” [18] Ibidem, pag. 22. Traduzione: “Meshes of the Afternoon aveva alcuni di questi elementi, ma la sua forma intricata e a spirale dava un tono più personale e meno archetipico alla narrazione.” [19] Ibidem, pag. 24. Traduzione:
“un singolo movimento composto da
una corsa, una piroetta e un balzo. Dura non più di tre minuti.” [20] Curtis, Davis, Experimental Cinema op. cit., pag. 51. Traduzione:
“rilevanti documentari sociali,
polemici spettacoli per adulti, avanzati film sperimentali, classici del
cinema internazionale e studi medico-psichiatrici.” [21] Brakhage, Stan, Film at Wit’s End, Eight Avant-Garde Filmmakers, Mc Pherson & Company, New York, 1989, pag. 95. Traduzione:
“Questo è un potente, esplosivo film, con tanta tensione _quanta ne
stavano avendo con il loro matrimonio_
quanto Meshes e forse di più.” [22] Sitney, P. A., Visionary Film op. cit., pag. 40 [23] Rondolino, Gianni, “Eleanora Derenkovskij detta Maya Deren”, in Paolo Bertetto, Il grande occhio della notte op. cit., pag. 120. [24] Ibidem, pag. 120. [25] Renan, Sheldon, The Underground Film: An introduction to its development in America, Studio Vista Limited, London, 1968, pag. 87. Traduzione:
“Tutti e tre hanno girato film da
bambini. Tutti e tre fecero lavori che erano ovviamente molto personali. Tutti e tre fecero film che sono stati quasi
delle confessioni.” [26] Jacobs, Lewis, L’avventurosa storia del cinema americano, Einaudi, Torino, 1961, pag. 624. [27] Leonardi, A., Occhio mio dio op. cit., pag. 36. [28] Jacobs, L., L’avventurosa storia del cinema op. cit., pag. 625. [29] Leonardi, A., Occhio mio dio op. cit., pag. 48. [30] Ibidem, pag. 48. [31] Ibidem, pag. 49. [32] Ibidem, pag. 53. [33] Ibidem, pag. 55. [34] Sheldon, Renan, The Underground Film op. cit., pag. 88. Traduzione: “una selvaggia e disorganizzata collezione di gags surrealistiche.” [35] Milani, R., Il cinema underground americano op. cit., pag. 37. [36] Ibidem, pag. 50. [37] Mekas, Jonas, “Il cinema della nuova generazione” in Paolo Bertetto, Il grande occhio della notte op. cit., pp. 165-166. (Il testo originale è, Jonas Mekas , “Cinema of the New Generation”, Film Culture, No. 21, 1960, pp. 1-19.) [38] Sitney, P. A., Visionary Film op. cit., pag. 141. Traduzione:
“Le riprese di Tower House e il
montaggio di Wonder Ring furono le sue prime esperienze con l’inebriante
tocco della cinepresa e l’esecuzione
puramente formalista del montaggio. (...) Brakhage in quegli anni si stava
sforzando di portare nella forma astratta l’intensità dell’esperienza e
la complessità delle idee che aveva messo nei suoi trance film modificati, e estese questa idea verso la sintesi nelle sue formulazioni
teoretiche pure.” [39] Curtis, D., Experimental Cinema op. cit., pag. 52. Traduzione:
“una serie di primi piani di un
corpo fotografato attraverso lenti d’ingrandimento, collocate da un
commentatore poetico.” [40] Renan, S., The Underground Film op. cit., pag. 170. Traduzione:
“nel quale la fotografia ed il
montaggio fecero muovere le sculture di Isamu Noguchi attraverso la luce.” [41] Ibidem, pag. 170. Traduzione:
“una investigazione microscopica di
cellule di sperma umano che va
in giro in cerca di un uovo, con doppia esposizione
fuori fuoco e con una colonna sonora di bombardamenti.” [42] Mac Donald, S., “Interview with Jonas Mekas” op. cit., pag. 96. Traduzione:
“Oh si. Mi piace quello che ha fatto
e penso che funzione. Ella mi aiutò a capire come strutturare i miei film.
Inoltre, Marie Menken era lituana. Sua madre e suo padre erano immigranti
lituani, e lei conosceva ancora un po’ il lituano. Noi eravamo soliti
ritrovarci e cantare canzoni popolari lituane. Quando lei le cantava,
tornava indietro completamente alle origini. Quindi ci deve essere stata
qualche somiglianza anche nella nostra sensibilità a causa di questo fatto.
Ma definitivamente Marie Menken mi aiutò ad essere in pace senza abbandonare
troppo del materiale originale come era.” [43] Leonardi, A., Occhio mio dio op. cit., pp. 77-78. [44] Ibidem, pag. 85. [45] Renan, S., The underground film op. cit., pag. 97. Traduzione: “La seconda avanguardia come movimento finì intorno al 1954.”
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Aggiornato il: 03-03-2000
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