1 avanguardia  new american cinema

LA  SECONDA AVANGUARDIA

Solo con il termine della seconda guerra mondiale si risvegliò l’interesse della sperimentazione cinematografica.

Questa rinascita era stata favorita principalmente da due eventi: l’impiego del cinema nello sforzo bellico e la distribuzione dei film dell’avanguardia custoditi dalla cineteca del Museo d’Arte  Moderna di New York.

Durante il conflitto il governo americano aveva inclusi negli eserciti numerosi operatori cinematografici che, equipaggiati di una cinepresa da 16mm, avevano contribuito con documentari e cinegiornali a testimoniare le fasi del combattimento.

Un nuovo e vasto pubblico poté quindi conoscere ed apprezzare le innovative tecniche cinematografiche di ripresa, mentre giovani cineasti ebbero modo di sviluppare sul campo nuove capacità registiche.

Finita la guerra a questi nuovi professionisti lo stato continuò a commissionare lavori, mentre a livello nazionale in moltissime università si iniziò ad insegnare anche tecnica cinematografica.

Per quanto riguarda invece il lavoro dei musei, essi permettendo la distribuzione, non commerciale, di film dell’avanguardia europea ed americana, diedero il via allo sviluppo di un mercato produttivo nazionale e riscoprirono il talento di numerosi registi europei scappati in USA per motivi politici.

L’esempio più interessante di ritorno in auge della vecchia sperimentazione è dato dal film Dream that Money Can Buy (1944-46), ideato da H. Richter e prodotto da Peggy Guggenheim, costituito da sei episodi firmati da: Leger, Duchamp, Calder, Ernst, Man Ray e Richter stesso. “Il successo di questo film fece scaturire, un vero e proprio fiume di film surrealisti, freudiani e psicoanalitici, o pseudo tali, da cui il cinema americano _naturalmente sperimentale_ non si è ancora liberato.”[1]

Nel giro di pochi anni quindi si andarono definendo vari generi come il cinema come sinfonia urbana, il cinema d’animazione grafica e il cinema ipnotico.

Il primo di cui abbiamo già parlato deriva da Cavalcanti, Ruttmann e Vertov, ma aveva già trovato un’identità nazionale in Sheeler e Straud; il secondo “si differenzia dalle sue origini europee nel rifiuto della geometria rigida e nella preferenza per forme fluide e per la fusione di elementi bi-tridimensionali.”[2] Il terzo era invece un cinema più personale, in cui i registi erano i protagonisti delle vicende raccontate, attraverso psicodrammi e messe in scena delle loro stesse paure.

L’interazione di questi tre generi creò quello che P. Adams Sitney, noto critico, chiama “cinema compensativoo “cinema del ritrovamento di se stesso”, nel quale:

 “il cineasta dà al film una connotazione di crisi morale, psicologica o estetica che non viene mai dichiarata esplicitamente come tale; (...) i ritmi del cinema compensativo e le sue modulazione interne riflettono le rispettive vittorie e le sconfitte cui si va incontro quando si tenta di realizzare il film e nello stesso tempo di padroneggiare il flusso degli umori.”[3]

Il cinema d’animazione grafica

Alla fine degli anni trenta sulla West Coast un gruppo di cineasti sperimentali inizia un personale discorso incentrato sulla strada della non-oggettività del film astratto. Per costoro il mezzo cinematografico non rappresenta solo uno strumento, ma diviene il fine attraverso cui dare alle immagini astratte, al colore e al ritmo, un valore intrinseco, indipendente dal loro potere d’espressione.

I registi che operavano all’interno di questo genere erano stati soprattutto attratti dagli esempi di cinema grafico di Eggeling, Richter, Duchamp e Lye, proiettati all’interno di manifestazioni cinematografiche indipendenti dal circuito hollywoodiano, come l’Art in Cinema Series fondata a San Francisco nel 1947 da F. Stauffacher e R. Foster.

Un’altra causa di influenza diretta era stata data dall’arrivo nel 1935 a Hollywood di Oskar Fischinger il quale, sebbene non fosse riuscito ad integrarsi nell’establishment hollywoodiano, che lo trovava anti-narrativo e quindi non commerciale, con la sua tecnica fu di grande stimolo alla nascita di una nuova corrente astratta in America.

I fratelli Fischinger e Len Lye si erano contraddistinti nella corrente di registi astratti per il loro totale abbandono dell’idea di creare un ritmo puro, sposando invece quella che le forme non figurative potessero “accompagnare” un brano musicale creando così nuovi effetti.

Hans e Oskar Fischinger invece di usare forme geometriche partirono con l’utilizzare forme lineari disegnare seguendo un ritmo prefissato su una base musicale. Len Ley invece decise di optare per il metodo grafico, dipingendo direttamente sulla pellicola.

In America una delle prime registe che approdarono a questo genere è Ellen Bute che con il marito Ted Nemeth creò film molto vicini all’esperienza di Fischinger in cui figure astratte si muovevano accompagnate dalla musica. La caratteristica più interessante di questi film è che vennero girati in 35mm con lo scopo cioè di essere commercialmente visti, a differenza delle altre sperimentazioni artistiche contemporanee.

Un altro sperimentatore degli anni quaranta è D. Crokwell, un amatore influenzato dalla tecnica di pittura ad olio su vetro utilizzata fa Fishinger, che cercò nella ricerca soprattutto nuove tecniche che gli permettessero di evolvere le forme astratte grazie all’ausilio di associazioni libere.

Ben presto sulla base di queste esperienze prese corpo una scuola di sperimentazione astratta i cui componenti più innovativi sono: i fratelli Whitney, H. Smith e J. Belson.

I fratelli Whitney iniziarono a fare film astratti nel 1941 con  Variations, una serie nelle quale le forme erano animate sulla carta con una tecnica simile a quella di Fischinger e, con un metodo di registrazione del sonoro che risultava fortemente correlato alle immagini.

 

 

Il rapporto fra cinema e musica sarà sempre al centro del loro lavoro: resisi conto che l’uso di musiche convenzionali avrebbe limitato la risposta dello spettatore a causa delle associazioni di memoria, essi crearono una macchina in grado di produrre musica elettronica direttamente sulla banda sonora del film, in perfetta sincronia con le immagini.

La nuova serie di film che ne derivò, intitolata Five Abstract Film Exercises, Studies in Motion, fu premiata per gli studi fatti al Bruxelle Experimental Film Festival nel 1949.

Negli anni successivi i due fratelli si divisero e, mentre John seguì una via che lo portò verso la ricerca di film astratti senza animazione, James creò una serie di complesse tecniche d’animazione.

Jordan Belson era un buon amico dei fratelli Whitney ed è proprio dai film di questi e di altri proiettati al Film as Art Series che egli fu stimolato ad iniziare una personale sperimentazione.

I suoi primi film Transumation (1947) e Improvvisation n°1 (1948) si riferiscono moltissimo alla tecnica di Richter; le immagini erano non-oggettive, ma corrispondenti a fenomeni biologici, mentre la tecnica principale era quella dei frames divisi a fotografati in successione.

Tra il 1957 e il 1960 Belson lavorerà al  Vortex Concerts “una delle più importanti serie di eventi di “expanded media”  mai presentate. Tenutasi al Morrison Planetarium a San Francisco, Belson ha descritto questi film come “una nuova forma di teatro basato sulla combinazione di tecniche ottiche, elettroniche ed architettura...un puro teatro prodotto direttamente dai sensi”.”[4]

A questa famosa manifestazione diede il via Henry Jacobs, un compositore elettronico che collaborò a lungo con Belson: entrambi credevano che il loro lavoro riportasse direttamente allo stato del subcosciente e alla base dei fenomeni psicologici e fisiologici.

 

 

 

 

 

Negli anni sessanta sia i fratelli Whitney che Belson approderanno all’ Expanded Cinema, un genere che “si prefigge la eliminazione delle barriere tra arte e vita, tra arte e norme esecutive nel delineare un ampliamento pluricomprensivo del linguaggio. La fine dell’intreccio e del dramma e la nascita di una nuova figura dell’artista quale sintesi di compiti artistici e scientifici (...)”.[5]

Harry Smith fu sempre molto attratto dall’arte astratta europea: il suo primo lavoro Number 1-2-3  è datato 1939-46, e rappresenta una riedizione del progetto di pittura su pellicola già visto in Lye; Number 4 e Number 5 risultano invece influenzati dall’amicizia con Fischinger ed i fratelli Whitney.

Purtroppo solo nel 1965 egli uscì all’aperto, mostrando in pubblico “chilometri di pellicola sprizzante ritmo, vivacità e allegria, e raccontando stranissime, affascinanti e inquietanti storie di uomini e oggetti che si battono, integrano e trasformano nei modi più improbabili.”[6]

 

Il Cinema ipnotico

Sempre sulla West Coast negli anni quaranta vedeva la nascita quello che di lì a poco sarebbe diventato il genere predominante, il cinema ipnotico.

I film ipnotici degli anni quaranta sono fra tutti l’esempio più chiaro del termine “film compensativo”, data la loro forma drammatica. Essi hanno in comune con gli altri dell’underground il carattere anti-rappresentativo, antinarrativo ed alcune volte anche un accento di esistenzialismo, ma allo stesso modo si discostano da quelli per il personale carattere onirico.

P. Adams Sitney denominò questo neonato genere con il termine “trance film” (“as I will call this type of film in general”)[7], soprattutto per distinguerlo dal suo predecessore, il genere surrealista.

Il movimento dadaista e quello surrealista erano nati in Europa negli anni venti con lo scopo preciso di creare un discorso di disgregazione del simbolico e dell’arte stessa: essi non avevano più interessi nel creare nuove strutture linguistiche o di fare ricerche visivo-cinetiche, come i loro contemporanei, ma usavano il mezzo cinematografico per rappresentare i sogni ed il simbolo.

Tra i film più famosi che influenzeranno il genere onirico americano, ci sono: Un chien andalou (1928)  e L’age d’or (1930) entrambi di Bunuel e Dalì.

In essi si riassumono gli elementi caratteristici del genere, come il rifiuto e il disprezzo per la tecnica che porta ad una “poetica del brutto” come alternativa ed opposizione all’arte e alla cultura tradizionale borghese.

L’esperienza cinematografica di Bunuel e Dalì poi, “era veramente sconvolgente, profondamente nuova e rivoluzionaria, toccava alla base le strutture morali, politiche della società borghese e capitalistica di allora”.[8]

Il loro è un cinema  estraneo ad ogni intento estetico (Dalì), lontano dai saggi di cinema puro e costituito soltanto da ciò che vi succede, cioè dai fatti reali, che sono irrazionali, incoerenti, senza alcuna spiegazione: si tratta di un cinema che segue il libero funzionamento del pensiero e proprio per questo è l’incoerenza medesima.”[9]

Dagli scritti di Bunuel e Dalì scaturisce un’idea di cinema “assolutamente sovversivo, che non si pone alcun problema linguistico e disciplinare e diventa la registrazione di una produzione simbolica delirante, onirica, irrazionale, capace di aggredire e di disgregare le convinzioni e i valori ufficiali”.[10]Il

massimo esempio di questo cinema è dato dai due attraverso L’age d’or “film maledetto, contestato dai gruppi dell’estrema destra parigina, attaccato dal Figaro e vietato dal prefetto Chiappe”[11], ma lungamente sostenuto dalla critica della sinistra eterodossa al punto di renderlo il soggetto del manifesto programmatico del surrealismo.

In “Visionary Film” un’accurata analisi dei film dell’avanguardia americana, girati fra il 1943 e il 1978, Sitney sottolinea in tutti i modi che anche se il surrealismo europeo e il cinema onirico americano sono riportabili l’uno all’altro, esistono fra di essi rilevanti differenze. Nel cinema surrealista si cerca di evocare attraverso i film l’orrore e l’irrazionalità dell’inconscio, mentre nei trance film il surrealismo e il freudianismo sono solo i veicoli dietro

il meccanismo del film, nel quale prendono il sopravvento il sogno, il rituale e soprattutto la metafora sessuale.

Dal punto di vista registico l’articolazione dello spazio nei film onirici è spesso priva di senso, mentre i movimenti o la fissità della macchina da presa sono coscientemente articolati.

Una delle caratteristiche fondamentali che distinguono questo genere sta nell’uso del regista come protagonista delle azioni del film, eliminando così ogni difficoltà nel portare in scena i sentimenti e i turbamenti del film-maker :

“Many film-makers seem to have been unable to project the hightly psychological drama that these films reveal into other characters. They were realizing the themes of their films through making and acting them. These were true psycho-drama.”[12]

“L’eliminazione di un ruolo direttivo (cadono le barriere tra regista e attore), la libera espressione della sessualità come esplorazione di una vasta imagerie erotica, l’impiego della camera volta ad imitare l’attività mentale, gli impulsi, le allucinazioni, la creazione di uno stato magico, il netto rifiuto di ogni immagine scientificamente psicoanalitica sono i caratteri del trance film.” [13]

Il primo trance film risale al 1943, si intitola Meshes of the Afternoon e fu girato, sceneggiato, montato ed interpretato da due film-makers, Sasha Hammid e Maya Deren.

 

 

 

Come psicodramma questo film rappresenta l’esplorazione interiore di entrambi i registi: esso non registra un evento qualunque, ma simbolicamente ripropone le idee e i sogni della protagonista che non è altri che Maya Deren.

“This film is concerned _Maya Deren wrote_ with the interior experiences of a individual. It does not record an event which could be witnessed by other person. Rather, it reproduces the way in which the sub-concious of an individual will develope, interpret and elaborate an apparently simply and casual incident into a critical emotional experience.”[14]

Lo stile visuale del film si avvale di tagli veloci, movimenti lenti ed elisioni che estendono la continuità delle azioni. Esso simula esplicitamente l’esperienza onirica attraverso ogni tipo di introiezione visiva, mentre la realtà spazio-temporale viene distrutta in nome di un mondo immaginario irreale, simbolico, in cui i rapporti fra personaggio ed oggetti acquistano un significato allegorico.

Meshes simula esplicitamente l’esperienza del sogno, ma non è un film surrealistico, né  freudiano: “surrealism and Freud were the vehicles, either latent or conscious, behind the mechanics of the film”.[15]

“The intent of this first film, as of the subsequent films, is to create a mytological experience. (...)”[16]

Maya Deren girò in tutto sei film, cinque dei quali durante il periodo che va dal 1943 al 1948; l’ultimo fu completato nel 1959, solo due giorni prima della sua morte.

At Land  del 1944 “is the earliest of the pure American trance film”.[17]In esso si ritrovano tutti i canoni del trance film: il protagonista che passa invisibile tra la folla; il paesaggio drammatico; il confronto fra il proprio io ed il proprio passato.

 Meshes of the Afternoon  had some of these elements, but its intricate, coiled form gave a more personal, less archetypal tone to its narrative.”[18]

La forma di At Land è completamente aspra, mentre la macchina da presa è generalmente statica. Le riprese furono fatte da Hella Heyman, mentre Maya Deren diede forma al film con un montaggio fluido, sicuramente progettato già da principio.

Partendo da questo film la Deren ha incominciato una lunga ricerca formale testimoniata anche da numerosi scritti, primo fra tutti il libro pubblicato nel 1946 ed intitolato “An Anagram of Idea on Art, Form and Film.

Questo interesse per la forma divenne più chiaro nel film successivo, A Study in Coreography for Camera (1945), nel quale la film-maker fece ritorno ad un suo vecchio amore, la danza. Il film interpretato da un vero danzatore, Talley Beatty, era molto semplice: “a single gesture combining a run, a pirouette, and a leap. It lasts no more than three minutes.”[19] In esso viene introdotta la possibilità di isolare un singolo gesto come completa forma del film: usando numerose velocità di ripresa il danzatore riesce a compiere movimenti che risultano incredibili.

Dopo aver girato Meshes la Deren ed il marito si erano trasferiti a New York, dove però non erano riusciti a trovare un mercato che distribuisse le loro opere. Nel 1946 Maya Deren decise di affittare la Provincetown Playhouse , un teatro di N.Y. dove durante un “one-night show” proiettò i suoi primi tre film. Questa esperienza generò talmente tanto interesse che ripetute proiezioni divennero necessarie e il nome della film-maker divenne famoso.

Questo improvviso successo fece scaturire una intera serie di proiezioni di questo tipo in tutti gli Stati Uniti: a San Francisco fu creato il Film as Art Series, mentre a New York Amos Vogel iniziò ad usare la Provincetown Playhouse come base per il suo Cinema 16, un club che si prefiggeva di mostrare,

“outstanding social documents, controversial adult screen fare, advanced experimental films, classics of the international cinema and medical-psychiatric studies.”[20]

Il successo di Meshes, ma soprattutto la fama che circolava attorno alla Deren offuscando la figura del marito, Hammid, provocarono dei problemi fra i due che comunque decisero di collaborare di nuovo assieme in The Private Life of a Cat (1946).

“This is a powerful, exlusive film, with as much tension _as much having to do with their strulling marriage_ as Meshes perhaps more.”[21]

Il film fu dunque una collaborazione, e ciò si può vedere attraverso un’attenta analisi dei due stili di ripresa, ma fu comunque presentato come un’opera di Sasha Hammid.

Nello stesso anno Maya Deren girò Ritual in Trasfiguration Time, il suo film più complesso e più ricco di teorie. Esso porta il trance film verso la forma più radicale: ci sono due protagonisti, ed evoca interpretazioni tradizionali attraverso l’uso di simboli classici. Questo genere anticipa nella forma “the architectonic or mythopoieic film”[22] che emergerà nei primi anni sessanta e si ispirerà al mito e al rituale.

Dopo la proiezione di questo film la Guggenheim Fondation propose alla film-maker un viaggio ad Haiti con lo scopo di fare delle ricerche e girare un documentario sulle danze locali. Interessata alla danza voodoo la Deren rimase sull’isola diciotto mesi, diventando l’unica donna bianca mai addentrata nei rituali religiosi voodoo.

Tornata a New York pubblicò un libro “Divine Horsemen”, la più interessante e precisa analisi antropologica mai scritta sui rituali voodou haitiani, ma dei numerosissimi metri di pellicola non fece mai nulla.

I suoi ultimi due film furono rispettivamente Meditation on Violence, del 1948, che descriveva in un singolo e continuo movimento tre diversi gradi di box tradizionale cinese, e poi The Very Eye of Night, realizzato nel1958 dopo dieci anni di silenzio, giudicato eccessivamente stilizzato sia dal punto di vista intellettuale che grafico.

Anche in questi film come nei precedenti la danza, oltre ad essere uno degli elementi della composizione filmica, diventa “addirittura l’ossatura stessa dello sviluppo discorsivo e semantico”.[23]

“E’ come se Maya Deren, nella continua ricerca di una forma filmica che soddisfacesse le sue esigenze di purezza artistica e di classicità stilistica, avesse incontrato nella visualizzazione della danza _o nell’uso della cinepresa come strumento privilegiato per dare un’autentica dimensione schermica ai passi e alle figure coreografiche_ il punto di confluenza di diverse e concomitanti esigenze poetiche ed esistenziali.”[24]

Nello stesso momento in cui Meshes veniva girato, a Los Angeles un gruppo di film-makers iniziavano ad emergere con film altrettanto nuovi ed eversivi. Fra i più famosi ricordiamo Kenneth Anger, Curtis Harrington e Gregory Markopoulos.

“All three had made films as children. All three made works that were obviously very personal. All three made works that were almost confessions.”[25]           

 Kenneth Anger  si definiva un mago; per lui i film erano la via attraverso cui fare magie, ed egli stesso intendeva i propri film, abbastanza letteralmente, come invocazioni magiche. Sergei

Ejzenstejn era l’ispirazione che stava dietro la tecnica orientata di montaggio, mentre per la magia egli pagava l’omaggio ad un passato occultista inglese Aleister Crowley (1873-1947), che conobbe in giovane età.

Anger crebbe a Hollywood apparendo in alcuni film sin da bambino, e girando la sua prima opera a nove anni. Escape Episode del 1944 fu il primo film ad essere proiettato in pubblico, ma quello che lo rese veramente noto fu Firework del 1947. In esso il film-maker tratta della nevrosi di un omosessuale che sogna di essere scovato e picchiato dai suoi compagni; “l’intensità delle immagini, la forza e l’esattezza delle inquadrature e del ritmo raggiungono un effetto d’insieme che per la sua coraggiosa onestà quanto per l’alta carica immaginativa appare strabiliante sullo schermo.”[26]

Dopo un periodo passato in Europa nel 1963 Anger gira Scorpio Rising, un film maturo, in cui i simboli sono talmente legati ai personaggi e alle loro vicende, da amplificare largamente la profondità dell’intero messaggio filmico.  “Lo straordinario valore di questo film discende dalla capacità dimostrata dal suo autore di amalgamare materiali eterogenei in un “climax” sempre più implacabilmente lacerante, fino alla sanguinosa catarsi scandita dall’intermittente faro rosso dell’ambulanza alla fine del film.”[27]

Molto vicino allo spirito di Anger si trova Fragment of Seeking (1946) del suo buon amico Harrington. In esso si ritrovano i caratteri di omosessualità e narcisismo tipici del trance film. “La

struttura del film è singolarmente semplice. L’unità e totalità di effetto lo mettono sul piano di certe novelle di Poe.”[28]Ogni aspetto e ogni ripresa infatti è scelta per creare un’atmosfera angosciante e simbolica che lasci lo spettatore turbato.

Il tema dell’omosessualità e dell’ermafroditismo si trova anche nelle prime opere di Gregory Markopoulos che creò una trilogia intitolata Du sang du la voluptè et de la mort partendo dai miti della letteratura: Psyche (1947) basato su una novella di Pierre Louys; Lysis (1948) ispirato a Platone; Charmides (1948) preso da un dialogo di Platone.

Questo stile ha continuato ad evolversi nei film seguenti come Swain (1951), che trae la sua ispirazione dal primo romanzo di Hawthorne (Fanshawe); Serenity (1954-1960), basato su un romanzo dello scrittore greco Elia Venezis, che lo vede tornare alla terra d’origine dei genitori. 

Questo film girato in trenta giorni nel 1958 “riecheggia nella composizione delle inquadrature e nel loro ritmo interno lo stile epico-tragico dei film muti degli anni venti, e anche il colore è utilizzato in modo da accordarsi al sapore e all’effetto della pellicola virata come si usava in quel periodo.”[29]

In Serenity Markopoulos  “comincia a formulare con maggior consapevolezza dei film precedenti i principi di montaggio che porterà a tanto rigorosa eccellenza in Twince a man. Uno dei più importanti consiste nella ripetizione, come segnale intermittente di una sotterranea continuità, di un’immagine chiave, che si pone come il principale accordo armonico su cui si edificano le susseguenti variazioni.”[30] Anche la colonna sonora inaugura in questo film un nuovo processo , che verrà poi portato a conclusione nel film successivo: “essa consiste di quattro commenti parlati in quattro diverse lingue”.[31]

Nel 1961 Markopoulos comincia a lavorare al progetto di Twice a man, ispirato alla leggenda di Ippolito, e che rappresenta un vero e proprio ritorno alle origini.

Uno degli aspetti principali di questo film si trova nell’elaborazione di una tecnica di montaggio estremamente efficace ed originale  che, diventerà da questo momento il “motore principale“ delle opere di Markopoulos, agendo “su personaggi luoghi e, soprattutto, colori, mescolandoli in intricati accordi ritmici e cromatici, come eloquentemente il film-maker dichiarava in una lettera a Brakhage qualche anno prima:

Che bisogno c’è degli attori, col nuovo metodo di montaggio astratto il film-maker diventa attore; ... è alla moviola che nasce il miracolo. Le inquadrature diventano come parole, e più grandi delle parole. [32]

Con Galaxie del 1966, Markopoulos arriva ad inaugurare un sistema di montaggio in macchina, sommando tutte le tecniche tradizionali, raggiungendo un risultato perfetto. Questo film è composto da una “galleria” di ritratti (tra cui anche quello di Jonas Mekas), che “si aprono al suono di un campanello indù, che li numera progressivamente, e con i rispettivi nomi, e si chiudono con una dissolvenza.”[33]

  Ma torniamo sulla West Coast; a San Francisco nel 1946 due interessanti film-maker, prima di iniziare una esistenza artistica individuale, filmarono assieme un opera molto vicina nei temi e nei propositi a quelle dei colleghi di Los Angeles. Il film si intitolava The Potted Psalm (“a widly disorganized collection of surrealistic sight gags”[34]) e gli autori sono Sidney Peterson e James Broughton.

Dopo questa comune esperienza, il primo iniziò ad insegnare alla California School of Fine Arts, istituzione che gli sponsorizzò numerosi film, tra cui The Cage del 1947, un’opera che combinava il city simphony al trance film. Il secondo invece continuò la carriera di film-maker altalenandola a quella di poeta e regista teatrale. Una delle sue opere più conosciute è Mother Day (1958), un film con la forma di un album di fotografie ed uno stile nostalgico.

Poi a metà degli anni cinquanta il Trance Film incominciò ad evolversi in una forma più matura e complessa: Deren, Anger e gli altri film-maker citati continuavano ad essere accomunati da tendenze simili, ma gli stili e le forme andavano definendosi in modo netto.

Le opere filmate in questa seconda fase vengono chiamate mitopoietiche, la cui forma cioè si “costituisce secondo un universo mitico”. Caduti gli aspetti freudiani emergono quelli junghiani, affermando quindi una forma che non si rifà più al sogno onirico, ma diviene la trasfigurazione del mito.

“Nel cinema d’avanguardia il film mitopoietico segna il passaggio da una forma lineare (quella trance), che implicava tensioni ed enigmi, ad una forma sferica dove l’unione dei vari elementi rimanda ad un movimento ritmico circolare, ad una specie di opera sinfonica. Si procede da un cinema di congiunzione ancora letterato, ad un cinema metaforico.”[35]

 

A queste due fasi cinematografiche appartengono anche alcuni film di Stan Brakhage, un importantissimo film-maker le cui teorie creeranno un nuovo stile nel panorama contemporaneo ormai fin troppo standardizzato.

Le componenti del cinema di Brakhage sono tre, “la prima definita trance, si limita alle esperienze iniziali, la seconda denominata lyrical (...), e la terza, caratterizzata da aspetti mitopoietici.”[36]

A differenza dei suoi contemporanei, Brakhage non iniziò la propria carriera brillantemente, ma solo con il suo terzo film Desistfilm egli riuscì a realizzare quello stile personale che lo contraddistingue. Egli aveva liberato la cinepresa dal cavalletto  muovendola in mezzo agli attori, usando immagini distorte e  tagli rapidi.

All’interno di un articolo intitolato A Call for a New Generation of Filmmakers (“Film Culture” n. 21, estate 1960, New York) a proposito di questo film Jonas Mekas scriveva:

“E qui dobbiamo notare un’altra importante preoccupazione del nuovo cinema americano: la liberazione della stessa cinepresa. Per il momento chi vi è riuscito meglio, quasi alla perfezione, è stato Stan Brakhage in un cortometraggio intitolato Desistfilm.

Desistfilm impiega tutte le tecniche del cinema spontaneo. Descrive la festa improvvisata di un gruppo di giovani _con i loro esibizionismi giovanili, i giochi e gli amori adolescenziali_ che è stata girata una sera a un party realmente improvvisato, con una cinepresa da 16mm tenuta per la maggior parte del tempo in mano che seguiva ogni movimento selvaggiamente e senza alcun piano premeditato. Questa tecnica della cinepresa libera consente di ricreare l’atmosfera e il tempo della festa, con tutti i suoi piccoli dettagli di azioni un po’ matte, stupide e marginali, con le sue manifestazioni di emozioni adolescenziali. La cinepresa, libera dal suo treppiede, va ovunque, senza mai invadere o interferire, avvicinandosi con dei primi piani o seguendo i giovani irrequieti in panoramiche e angolazioni veloci, a scatti. Qui sembra esservi una perfetta unità tra il soggetto, il movimento della cinepresa e il carattere stesso del regista. Si coglie il libero espandersi della vita e il film possiede la vitalità, il ritmo e anche il temperamento di una poesia di Arthur Rimbaud, di una nuda confessione _completamente improvvisata, senza che sia visibile l’intervento dell’artista, sebbene nello stesso tempo venga definita la distanza tra arte e realtà; la dinamica di Desistfilm, infatti, non è quella della realtà, ma di un’opera d’arte.”[37]

La fase trance di Brakhage va dal ’55 al ’57, ma in tutti i film girati il genere classico viene snaturato in una continua ricerca di quella forma lirica  che stenta a nascere.

Nel 1955 l’autore si trasferì a New York dove iniziò a lavorare per J. Cornell, un famoso artista per il quale girò Wonder Ring e poi Tower House. L’incontro aprì a Brakhage una nuova strada:

“The shooting of Tower House and the editing of Wonder Ring  were his first experiences with the sensuous handlying of a camera and the purely formalistic execution of montage. (...)Brakhage was striving in those years to bring into the abstract form the intensity of experience and the complexity of ideas he had achieved in his modified trance film, and he extended this effort toward syntetis into his theoretical formulations as well.” [38]

Nel 1958 Brakhage girò Anticipation of the Night, un film controverso, accusato di incomunicabilità e respinto addirittura da Cinema 16, la più importante casa di distribuzione di film sperimentali. Con questa opera egli raggiunse il suo periodo lirico.

Il lyrical film pone il film-maker dietro la camera facendolo diventare il vero protagonista; le immagini riprese diventano le immagini che il film-maker vede, come lui le vede, filmate in modo che lo spettatore non dimentichi mai la sua presenza.

Nel lirical film non esistono luoghi o eroi precisi, lo schermo viene riempito dai movimenti che produce la camera e poi il montaggio. Lo spazio non è più quello dei trance film, ma si trasforma nello spazio appiattito della pittura dell’espressionismo astratto.

Questo periodo per Brakhage è caratterizzato soprattutto da cortometraggi nei quali l’autore riunisce i propri pensieri e sentimenti più personali, registrando così esperienze di vita quali nascite, morti, sessualità ecc. Fra le opere più famose ricordiamo The Dead, che assieme a Prelude valse all’autore il  quarto Indipendent Film Award  organizzato dalla rivista Film Culture nel 1962.

Un altro artista, oltre a Cornell, che senza alcun dubbio influenzò  Brakhage è la pittrice e regista Marie Menken, la quale con l’opera Notebook (1963) diede inizio al genere poetico-lirico. 

Marie Menken ed il marito Willard Maas sono gli unici registi di rilievo che negli anni quaranta, a New York, riuscirono a girare film sperimentali dello stesso livello dei colleghi della West Coast.

Il primo film di Maas, a cui partecipò pure la moglie assistendolo alla fotografia, si intitola  Geography of Body (1943), “a series of close-up of a (collective) body photographed througt magnifying glasses, set to a poetic commentator.” [39] I suoi film seguenti furono una serie di psicodrammi basati su temi sessuali.

Marie Menken iniziò a lavorare, indipendentemente dal marito, nel 1945 con Visual Variations on Noguchi, “in which photography and editing make the sculptores of Isamu Noguchi move through light”.[40]

Questo rappresenta uno dei primi film in cui la cinepresa si muove e crea in modo libero e reale facendo dimenticare le regole hollywoodiane  riguardo le tecniche di ripresa.

Dopo questa opera ci vollero vent’anni prima che la film-maker tornasse a fare film. Nel 1957 Marie Menken girò prima Glimpse of the Gerden e poi Hurry Hurry, “a microscopy investigation of human sperm cells lashing around in search of an egg, double-exposed over flame and with a sound track of bombardament”. [41] Poi seguirono Dwightania (1959), Eye Music in Red Majer (1961), Arabesque for Kenneth Anger  (1961), Bagatelle for Willard Maas (1961), Mood Mondrian (1961-63), Drips and Strips (1961-65). Queste opere erano dei collage a forma di cartolina piuttosto che di biografia, ma tutte con in comune  una brillantezza lirica e un amore per il ritmo visuale.

Del 1963 sono Notebook, l’equivalente filmato dei resoconti di uno scrittore, composto da brevi immagini collezionate sin dall’inizio degli anni quaranta, esperimenti tecnici e capostipite forse dei “diary film”; Go Go Go, un breve city simphony che riesce a mostrare la città di New York attraverso momenti ripetitivi di persone imprigionate nella strada e nel traffico e, che l’autrice considera il suo film più impegnativo.

Seguono poi Wrestling (1964), Andy Warhol (1965) e un folto numero di film inconclusi.

Marie Menken aveva la caratteristica di porsi dietro la macchina da presa come presenza tangibile nei propri film: vedere un suo film vuol dire guardare con lei.  Questa tecnica  influenzerà non solo Brakhage ma anche Jonas Mekas, il quale durante un’intervista ricordò l’amica con queste parole:

“Oh, yes. I liked what she did and I thought it worked. She helped me make up my mind about how to structure my film. Besides, Merie Menken was Lithuanian. Her mother and father were Lithuanian immigrants, and she still spoke some Lithuanian. We used to get together and sing Lithuanian folk songs. When she’d sing them, she’d go back to the old country completely. So there might also be some similarities in our sensibilities because of that. But definitely Marie Menken helped me to be at peace enough to leave much of the original material just as it was.”[42]

Brakhage sviluppò soprattutto la tecnica di ripresa della Menken, l’uso di più elementi cinematografici e della sovrimpressione. Abbandonò poi la presenza  degli attori, rinunciò al commento e alcune volte pure alla colonna sonora, e in conclusione produsse film incentrati solo sulla vita quotidiana.

Negli anni sessanta questo film-maker entrò nel periodo metapoietico, creando opere di grande impatto visivo quali Dog Star Man (1964),

“Nel suo complesso Dog star man, a parte le caratteristiche mitopoietiche, simboliche cioè di una eterna lotta dell’uomo con se stesso e con l’ambiente che lo circonda, è un autentico, torreggiante capolavoro che porta ad un livello di estrema coscienza, controllo efficacia e raffinatezza le tecniche espressive che (...), avevano cominciato ad elaborarsi in un più articolato e comprensivo contesto in Anticipation of the night.” [43]

i Songs (1964- ?), lirici lieder, “brevi quadretti che utilizzano e incorporano i fatti più semplici e elementari della vita quotidiana di Brakhage, continuando in questo la tradizione dei film precedenti con un tono più dimesso,” [44] e Scenes from under childhood.

Ma prima di arrivare a questo periodo, dobbiamo fare un passo indietro e tornare agli anni cinquanta: fu proprio in questo periodo infatti, che ebbe inizio l’involuzione dei film sperimentali. Sebbene alcuni fossero ancora girati in nome della ricerca, molti avevano perso vitalità, la loro enfasi si era spostata verso nuovi traguardi che purtroppo non avevano portato a nulla di nuovo.

I film-makers più geniali avevano continuato a fare film evolvendo in uno stile personale e caratteristico, mentre quelli dotati di minor talento, finirono per involvere in un genere senza più futuro:

“The second avant-garde as a movement ended around 1954.” [45]



[1] Ibidem, pag. 235.

[2] Sitney, P. Adams, “L’evoluzione del cinema sperimentale americano”, in Bertetto, P. , Il grande occhi della notte op. cit. , pag. 43.

[3] Ibidem, pag. 45.

[4] Curtis, D., Experimental Cinema op. cit., pag. 58.

[5] Milani, Raffaele, Il cinema underground americano, G. D’Anna, Me-Fi, 1978, pag. 137.

[6] Leonardi, Alfredo, Occhio mio dio, Il New American Cinema, Feltrinelli, Milano, 1971, pag. 59.

[7] Sitney, P. Adams, Visionary Film, The American Avant-Garde 1943-1978, First published by Oxford University Press, New York, 1974  (Second edition, 1979), pag. 11.

Traduzione: “come chiamerò questo tipo di film in generale”.

[8]Rondolino, Gianni, “Cinema pre-underground ed esempi di cinema underground europeo ed americano” , in AAVV, Seminario internazionale di studi sul cinema underground, Ca’ Giustinian 19/23 Maggio 1970, Biennale di Venezia, pag. 59.

[9]Bertetto, P. , Il cinema d’avanguardia 1910-1930  op. cit., pag. 93.

[10] Ibidem, pag. 95.

[11] Ibidem, pag. 95.

[12] Sitney, P. Adams, Visionary Film op. cit., pag. 18.

Traduzione: “Molti film-maker sembrano essere stati incapaci di progettare il dramma fortemente psicologico che questi film rivelano in altri personaggi. Essi hanno realizzando i temi dei loro film facendoli e recitandoli. Essi erano veri drammi psicologici.”

[13] Milani, R., Il cinema underground americano op. cit., pp. 10-11.

[14] Sitney, P. A., Visionary Film op. cit., pag. 9.

Traduzione: “Questo film _scrive Maya Deren_ riguarda le esperienze interiori di un individuo. Esso non registra un evento che potrebbe essere testimoniato da altre persone. Piuttosto, esso riproduce il modo in cui il subcosciente di un individuo  svilupperà, interpreterà ed elaborerà un avvenimento apparentemente semplice e casuale in una esperienza criticamente emozionale.”

[15] Ibidem, pag. 14.

 Traduzione: “surrealismo e Freud erano i veicoli, seppure latenti o coscienti, dietro la meccanica del film”.

[16] Ibidem, pag. 13.

Traduzione: “L’intento di questo primo film, come dei successivi, è di creare una esperienza mitologica. (...).”

[17] Ibidem, pag. 21.

Traduzione: “At Land è il primo di tutti i puri trance film americani.”

[18] Ibidem, pag. 22.

Traduzione: “Meshes of the Afternoon aveva alcuni di questi elementi, ma la sua forma intricata e a spirale dava un tono più personale e meno archetipico alla narrazione.”

[19] Ibidem, pag. 24.

Traduzione: “un singolo movimento composto da una corsa, una piroetta e un balzo. Dura non più di tre minuti.”

[20] Curtis, Davis, Experimental Cinema op. cit.,  pag. 51.

Traduzione: “rilevanti documentari sociali, polemici spettacoli per adulti, avanzati film sperimentali, classici del cinema internazionale e studi medico-psichiatrici.”

[21] Brakhage, Stan, Film at Wit’s End, Eight Avant-Garde Filmmakers, Mc Pherson & Company, New York, 1989, pag. 95.

Traduzione: “Questo è un potente, esplosivo film, con tanta tensione _quanta ne stavano avendo con il loro matrimonio_  quanto Meshes e forse di più.”

[22] Sitney, P. A., Visionary Film op. cit., pag. 40

[23] Rondolino, Gianni, “Eleanora Derenkovskij detta Maya Deren”, in Paolo Bertetto, Il grande occhio della notte op. cit., pag. 120.

[24] Ibidem, pag. 120.

[25] Renan, Sheldon, The Underground Film: An introduction to its development in America, Studio Vista Limited, London, 1968, pag. 87.

Traduzione: “Tutti e tre hanno girato film da bambini. Tutti e tre fecero lavori che erano ovviamente molto personali. Tutti e tre fecero film che sono stati quasi delle confessioni.”

[26] Jacobs, Lewis, L’avventurosa storia del cinema americano, Einaudi, Torino, 1961, pag. 624.

[27] Leonardi, A., Occhio mio dio op. cit., pag. 36.

[28] Jacobs, L., L’avventurosa storia del cinema op. cit., pag. 625.

[29] Leonardi, A., Occhio mio dio  op. cit., pag. 48.

[30] Ibidem, pag. 48.

[31] Ibidem, pag. 49.

[32] Ibidem, pag. 53.

[33] Ibidem, pag. 55.

[34] Sheldon, Renan, The Underground Film op. cit., pag. 88.

Traduzione: “una selvaggia e disorganizzata collezione di gags surrealistiche.”

[35] Milani, R., Il cinema underground americano op. cit., pag. 37.

[36] Ibidem, pag. 50.

[37] Mekas, Jonas, “Il cinema della nuova generazione” in Paolo Bertetto, Il grande occhio della notte op. cit., pp. 165-166. (Il testo originale è, Jonas Mekas , “Cinema of the New Generation”, Film Culture, No. 21, 1960, pp. 1-19.)

[38] Sitney, P. A., Visionary Film op. cit., pag. 141.

Traduzione: “Le riprese di Tower House e il montaggio di Wonder Ring furono le sue prime esperienze con l’inebriante tocco della cinepresa e  l’esecuzione puramente formalista del montaggio. (...) Brakhage in quegli anni si stava sforzando di portare nella forma astratta l’intensità dell’esperienza e la complessità delle idee che aveva messo nei suoi trance film modificati, e estese questa idea verso la sintesi nelle sue formulazioni teoretiche pure.”

[39] Curtis, D., Experimental Cinema op. cit., pag. 52.

Traduzione: “una serie di primi piani di un corpo fotografato attraverso lenti d’ingrandimento, collocate da un commentatore poetico.”

[40] Renan, S., The Underground Film op. cit., pag. 170.

Traduzione: “nel quale la fotografia ed il montaggio fecero muovere le sculture di Isamu Noguchi attraverso la luce.”

[41] Ibidem, pag. 170.

Traduzione: “una investigazione microscopica di cellule di  sperma umano che va in giro in cerca di un uovo, con doppia esposizione  fuori fuoco e con una colonna sonora di bombardamenti.”

[42] Mac Donald, S., “Interview with Jonas Mekas”  op. cit., pag. 96.

Traduzione: “Oh si. Mi piace quello che ha fatto e penso che funzione. Ella mi aiutò a capire come strutturare i miei film. Inoltre, Marie Menken era lituana. Sua madre e suo padre erano immigranti lituani, e lei conosceva ancora un po’ il lituano. Noi eravamo soliti ritrovarci e cantare canzoni popolari lituane. Quando lei le cantava, tornava indietro completamente alle origini. Quindi ci deve essere stata qualche somiglianza anche nella nostra sensibilità a causa di questo fatto. Ma definitivamente Marie Menken mi aiutò ad essere in pace senza abbandonare troppo del materiale originale come era.”

[43] Leonardi, A., Occhio mio dio op. cit., pp. 77-78.

[44] Ibidem, pag. 85.

[45] Renan, S., The underground film op. cit., pag. 97.

Traduzione: “La seconda avanguardia come movimento finì intorno al 1954.”

 

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Aggiornato il: 03-03-2000 .