NOTES ON THE NEW AMERICAN CINEMA
Durante i
due anni che separano l’ufficializzazione del N.A.C. alla messa in pratica
delle teorie e dei progetti del “Gruppo”, incominciarono a circolare
numerosi fraintendimenti riguardanti questo nuovo genere. Per far si che ogni
polemica cessasse, Jonas Mekas nel 1962 pubblicò
su Film Culture un articolo
intitolato “Notes on the New American
Cinema” , nel quale presentò una “ricerca
veloce e di prima mano delle idee, stili e regole di questo nuovo cinema”. “Ever since the article on the Cinema of the New
Generation appeared in these pages two years ago (No. 21), there has been
continuos discussion on the subject of the new American cinema. Fresh material
for this discussion was provided by the Spoleto Film Exposition, Summer,1961,
which was devoted exclusively to the American indipendent filmmakers and was the
most representative program of their work assembled for pubblic scrutiny until
now. Since
there has been much misunderstanding concerning this new cinema, it is timely to
present a fuller and firsthand investigation of the ideas, styles and
achievements of this new cinema; to inquire into the motivations behind it; to
attempt to describe what the particular style to express the physical and
psychological realities of his life.”[1] L’articolo prosegue diviso in tre parti. Nella
prima Mekas analizza il New American
Cinema dalle origini presentando le tre tendenze cinematografiche
principali: il cinema indipendente, a cui attribuisce la nascita di
un nuovo stile a basso budget, ”something that has been aften called
the New York film school”; il cinema documentaristico, con le
rivoluzionarie tecniche di Leacock grazie alle quali si sono aperte nuove
frontiere di ripresa per i giovani filmmakers. Ed infine il cinema
Underground, espressione di numerose tendenze cinematografiche che,
abbandonato il realismo, sono penetrate nelle regioni della poesia. Il cinema documentaristico americano degli anni
cinquanta e sessanta si chiama Candid
Camera, mentre i suoi innovatori sono Richard Leacock e Robert Drew. Leacock sin dai tempi in cui aveva collaborato con
Flaherty in Luisiana Story, si era
accorto delle enormi difficoltà esistenti nel riprendere in diretta e fuori dai
teatri di posa; egli aveva iniziato a sentire la necessità di un cinema
documentaristico creato con altre attrezzature che permettessero di poter
filmare qualsiasi cosa in qualsiasi condizione. Dal 1959 al 1963 Leacock incominciò a lavorare
insieme a Drew la cui società (la
Drew Associates) “produsse più di trenta film e contribuì alla rapida
evoluzione della tecnica di ripresa e di suono verso il sincrono diretto a
16mm.”[2]
Di questi anni sono Yankee No! (1960),
sulla vita della comunità di colore a New York, Eddie Sachs at Indianapilis (1961) “a documentary drama”, e
Primary
(1961), che dimostrano “the immense capabilies of the camera to
record life, its poetry and its prose _a fact often forgotten since Lumiére
took his first street shots.”[3] “The
experiences of Morris Engel with the portable syncronous sound camera,
contributed much to this new development. During the past two years, this
equipment is being constantly perfected and the experiments have been continuing.
These experiments enabled Leacock to reduce the shooting team to one man _the
film-maker himself is now the director, cameraman, and, often, sound man, all in
one. The film-maker now can go everywhere, watch the scene unobtrusively and
record the drama or the beauty of what ha sees, all in perfect sync and color.[4] Il termine “Underground film” appartiene agli
anni sessanta, ma i “personal film” che lo caratterizzano non sono un
fenomeno nuovo; esso vanta origini da una parte nel cinema sperimentale, sia
surreale che astratto, di cui ha mantenuto il formato della pellicola da 16 e 8
mm, e le tematiche sessuali; e dall’altra parte nel cinema realistico e
documentaristico degli anni cinquanta, di cui ha rielaborato le tecniche di
ripresa. “Underground film
was a term originally used by critic Manny Farber to describe low-budget
masculine adventure films of the thirties and forties. But in 1959 the term
began to have reference to personal art film. Lewis Jacobs, in an article called
“Morning for the Experimental Film” in Film
Culture (Number 19, Spring, 1959), used the words “film which for most of
its life has led an underground existance”. And film-maker Stan VanDerBeek
says that he coined underground that
year to describe his films and those like them.”
[5]
Comunque sia il termine divenne in breve di uso comune
arrivando a descrivere soprattutto un’attitudine, con la determinazione che i
film dovessero essere fatti e visti a dispetto di tutte le barriere economiche e
legali. Già all’inizio degli anni cinquanta poi, in
concomitanza con il progressivo tramonto della poetica surrealista e
l’affermarsi di uno spirito di ricerca più focalizzato sulle possibilità del
mezzo cinematografico, un folto gruppo di giovani artisti aveva iniziato ad
abbandonare l’omogeneità dei generi precedenti per creare film che fossero la
rappresentazione più pura della loro stessa coscienza . “The
film were self-consciously film.”[6] E’ impossibile catalogare i film underground sotto
un’unica etichetta, perché ne esistono talmente tanti e diversi, quanti tanti
e diversi sono i film-maker underground. In generale si può dire che i film
underground sono normalmente fatti da una persona ed esprimono la poeticità
interiore del loro creatore; sono film che
disertano ogni regola prefissata, sia essa tecnica, di forma o di contenuto. Il
budget è quasi sempre inesistente, mentre le proiezioni, se avvengono, sono
fatte in circuiti sotterranei, fuori dal canale commerciale. I soggetti di questi film sono quasi sempre presi dalla
vita reale del film-maker, il quale di norma usa quelle persone e quei luoghi
che gli sono più vicini. I ritratti di famiglia sono molto comuni, anche se le
riprese vengono poi considerevolmente elaborate attraverso variazioni che
caratterizzano ogni stile. I film-maker underground sono soliti anche riprendere e
documentare il lavoro dei colleghi che utilizzano come opera a se o come
supporto per il proprio film. Essi lavorano come pittori, fissando assieme
immagini, colori e musiche che producono un significato nascosto al pubblico, e
conosciuto solo all’autore. Una significativa minoranza di film underground include
proteste politiche (Guns of the Trees
di Jonas Mekas), mentre i soggetti
preferiti sono la guerra, la bomba nucleare e le brutalità militari
(The Brig di Jonas Mekas). Il loro stile è informale, mentre il montaggio è
frequentemente sconnesso e, raramente viene seguita una linea narrativa, perché
il film-maker è interessato alla realtà dei
sentimenti e della sua prospettiva e non alla realtà ‘ufficiale’. Il
ritmo del montaggio tende fra il veloce e il furioso ed è quasi sempre
caratterizzato dalla tecnica del single
frame shoots, mentre la velocità è aumentata dall’uso frequente di
sovrimpressioni multiple. “Some
underground film are good. Some are bad. A few are great. But whatever they are,
underground films are the film artist’s unmitigated vision. No banker, no
producer, no patron has dictated what they must be or can later change them.
Underground films are banned, but they are never cut.”[7] Fra le numerose espressioni di questa
cinematografia, Mekas, sempre in “Notes on the New American Cinema”,
cita per primo un genere che sta
tra il cinema di protesta e quello di emozioni, portando come esempio
clue il proprio “Guns of the Trees”, “Guns
of the Trees. Elimination of the plot . Film as an Emotional Statement In
my one film ,Guns of the Trees (1961), I attempted to break away from the last
remnants of the traditional manner of story telling, using single, disconnected
scenes as parts of an accumulative emotional fresco _like an action painter uses
his splashes of paint. The film departs from realism and attempt to reach into
the poetic. At a certain point, if one wants to reach down into deeper truths,
if one wants to speak indirectly, one has to abandon realism and enter the
regions of poetry. The new content asks for a new mode of artistic expression.
The artist is beginning to express his anxiety and discontent in a more open and
direct manner. He is searching for a freer form, one that allows him a larger
scale of emotional and intellectual statements, explosions of truths, outcries
of warnings, accumulations of images _not to carry out an amusing story but to
express fully the tremblings of man’s unconscious and to confront us, eye to
eye, with the soul of modern man. The new artist is not interested in
entertaining the viewer: He is making personal statement about the world today.”[8] I nuovi contenuti richiedono dunque “un
nuovo modo di espressione artistica”, che sia “una
forma più libera”, che consenta all’artista di “avere
una più vasta gamma di espressioni emotive e intellettuali”. In questo
modo le storie raccontate non sono fatte semplicemente per divertire lo
spettatore, ma per metterlo di fronte all’
“uomo moderno”. Mekas individua questa nuova forma espressiva
nell’improvvisazione: perché l’artista deve andare “più
in profondità”, ”la sua spontaneità, la sua anarchia, persino la sua passività, sono i
suoi gesti di libertà”. L’improvvisazione “is the hightest form of
condensation, it points to the very essence of a thought, an emotion, a movement”[9] “This
is the true meaning of improvisation, and it is not a method at all; it is,
rather, a state of being necessary for any inspired creation. It is an ability
that every true artist develops by a constant and life-long inner vigilance, by
the cultivation _yes!_ of his senses.” [10] Un altro genere citato nell’articolo è quello del
cinema poetico, rappresentato da Brakhage, Breer e Menken.
“Brakhage. Breer. Menken. The Pure Poets of Cinema Robert Breer, Stanley Brakhage and Marie Menken,
thematically and formally represent,in the new American cinema, the best of the
tradition of experimental and poetic cinema. Freely, beautifully, they sing the
physical world, its textures, its colors, its movements; or they speak in little
bursts of memories, reflection, meditations. Unlike
the early avant-garde film, this films are not burdened by Greek or Freudian
mythology and symbolism; their meaning is more immediate, more visual and
suggestive. Stylistically and formally, their work represents the highest and
purest creation achgieved in the poetic cinema.” [11] Essi sono secondo Mekas fra i pochi in grado di
trasformare “la realtà nell’arte”:
“cantano liberamente la bellezza del mondo fisico, delle sue strutture, dei
suoi colori, dei suoi movimenti; oppure si esprimono attraverso la memoria, la
riflessione, la meditazione.” Essi sono tra i migliori interpreti del cinema
Underground. Sulle orme di Marie Menken il pittore Robert Breer, aveva
iniziato ad usare la macchina da presa “come catalogo dei suoi dipinti e
deposito di appunti visuali”. Del 1954 è Image
by Images 1 “formato da 240
immagini una diversa dall’altra che, proiettato ad anello, congiungendo cioè
la testa alla coda del film, aveva una durata tendenzialmente infinita”[12].
L’idea che Breer voleva portare avanti consisteva nel creare una sequenza di
immagini che utilizzassero al massimo il tempo e lo spazio concessi dal mezzo
cinematografico, in modo da diminuire ogni interferenza di carattere psicologico
e narrativo. Dal 1956 Breer inizia a concentrarsi soprattutto sul ritmo
utilizzandolo “nell’animazione di linee e figure bidimensionali disegnate e
spesso multicolori” e creando “buffissime
metamorfosi ed esilaranti sviluppi di causa ed effetto”.[13] A proposito dello studio del ritmo portato avanti da Breer,
Jonas Mekas una volta ha osservato che: “la
felicità ha un suo proprio ritmo e Breer sembra averla catturata e ricreata
nella sua opera (...) attraverso uno straordinario controllo ed economia dei
suoi mezzi e l’eliminazione di tutte le solite malate scorie emozionali,
personali biografiche”.[14] Contemporaneamente a Breer, Menken
e Brakhage, negli anni cinquanta molti altri film-maker avevano
incominciato a fare film poi ascritti al genere underground. C’era Stan Vanderblek, il cui lavoro era caratterizzato
da una forte componente sociale che nelle prime opere si rivela in chiave
satirica ed ironica e poi diventa “necessità quasi pedagogica di
comunicazione universale”[15]; c’erano i fratelli
Kuchar che iniziarono a girare film in 8mm e a budget zero già
all’età di 8 anni; c’era Ken Jacobs, “uno dei più misteriosi e
influenti maestri del cinema sperimentale newyorchese”[16],
di cui si ricordano Little Stabs at
Happiness e Bloude Cobra
(1959-62), quest’ultimo filmato a tre mani con Bob Fleishner per la fotografia
e Jack Smith come attore principale. C’era lo stesso Jack Smith il quale riuscì
contemporaneamente ad essere un attore (assieme a Taylor Mead fu
l’attore underground più richiesto) ed un
film-maker; una delle sue caratteristiche principali era quella di
accompagnare i propri film con
delle fotografie che servivano come “materiale preparatorio”.
La sua opera più importante rimane Flaming Creature (1962-63), “the only underground film banned in
the State of New York”. [17] Dopo aver assistito ad una proiezione privata di questo
film Mekas riportò ai lettori del Village
Voice che “Flaming Creature” oltre ad essere un grande film, esso era
“a most luxurious outpouring of imagination, of imagery, of poetry, of movie
artistry _compartable only to the work of the greatest, like von Sternberg.”[18] Mekas pensava inoltre che questo film dovesse essere
distribuito ad ogni costo, dal momento che esso rappresentava giusto quel
passaggio che dal cinema realistico della scuola di New York
portava “toward a cinema of disengagement and new freedom”[19]. L’occasione arrivò
molto velocemente. Nel dicembre del 1963 The Third International
Competition, svoltasi a Knokke-le-Zoute, in Belgio, invitò Mekas come
giurato per quello che era una sorta di festival europeo del cinema
d’avanguardia. Mekas accettò volentieri e vi andò accompagnato da P. Adams
Sitney, Barbara Rubin e un gran numero di pellicole underground, con la speranza
di pubblicizzare Flaming Creature. Contrariamente ad ogni aspettativa, però la visione di
questo film non colpì positivamente il resto dei giurati ed ogni proposta di
mostrarlo al pubblico gli fu negata. Di fronte a
questa risposta Mekas decise di reagire: si dimise dalla
carica e incominciò a dare proiezioni private del film nella propria
camera d’albergo, “where it was seen by Jean-Luc Godard, Agnés Varda, Roman
Polanski, and other leading European cinéastes”[20]. “The
case had hit the European papers by this time, and interest in the film was
building up. On the last day of the festival, Mekas and Barbara Rubin invaded
the projection booth, overwhelmed the projectionist, and started to show
“Flaming Creature”. Theatre
personnel quickly cut off their power source and sought to eject them. At this
point, the Belgium Minister of Justice appeared onstage to calm the audiance,
and Barbara Rubin, having secured an alternative power line, started to project
the film on his face. The current was again cut off, and in the darkness and
confusion the Belgians regained control of the projection booth.”[21] Dopo di ciò Mekas tornò a New York dove incominciò a
proiettare Flaming Creature anche in alcuni teatri della città. Inizialmente
non ci fu alcun problema, poi il 15
febbraio la polizia si presentò dal proprietario del Gramarcy Theatre, dove il
film veniva mostrato, e
ogni proiezione fu vietata. A quel punto Mekas spostò tutto al New
Bowery Theatre dove Flaming Creature fu proiettato la notte del 3 marzo, ma
anche in questo caso vi furono ulteriori problemi: “_shown
for thirty minutes, that it, at which point the police rose up and arrested
everybody in sight and confiscated the film and all the projection equipment
they could lay their hands on. Mekas and others spent the night in jail, and
were released on bail the next afternoon. A week later, Mekas was arrested again,
for showing Jean Genet’s omosexual film “Un Chant d’Amour”.[22] L’ultima mossa che Mekas fece nei riguardi di questo
film fu l’assegnazione del quinto Indipendent Film Award, con la motivazione
che “con Flaming Creature Smith ha
conferito alla liberazione anarchica del nuovo cinema americano una forza visiva
e ritmica degne del miglior cinema formale.”[23] “He
has atteined for the first time in motion pictures a high level of art which is
absolutely lacking in decorum; and a treatment of sex which makes us awere of
the restaint of all previous film-makers”.[24] Il cinema
underground non si limitava comunque ad una esistenza puramente newyorchese, ma
aveva anche numerosi seguaci sulla
West Coast. Fra i più attivi ricordiamo Ron Rice e Bruce Baillie. Il primo dopo alcuni esperimenti in 8mm girati a New York,
si sposta a San Francisco e assieme a Taylor Mead realizza The
Flower Thief “uno dei più importanti film narrativi in anni e anni di
cinema underground, artisticamente equivalente come manifesto poetico e
esistenziale della beat generation a “On the Road” di Jack Kerouac”.[25] “The Flower Thief (1960) di
R. Rice è uno degli esempi più riusciti del cinema post-Pull my Daisy. Il film è stato girato nella massima libertà
creativa, nell’assoluto non rispetto dell’uso “professionale” della
cinepresa, della storia, dei personaggi tradizionali. Fonde e
combina insieme il cinema spontaneo di Pull
my Daisy, la libertà delle immagini di Brakhage, la “sporcizia”
dell’acting painting, il teatro degli happening (Kaprow) e il senso
dell’umorismo di Zen. L’immaginazione non ha legami, libera i sensi; in
questo film non c’è nulla di forzato. Riscopre la poesia e la visione
dell’irrazionale, del nonsense, dell’assurdo _una poesia che va al di là di
qualsiasi razionalità, negli stessi luoghi di Zero de Conduite, di Fireworks, di Desistfilm. Ciò
nonostante è un film che affonda le proprie radici nella realtà... E’ un
“cinema realistico” teso fino al punto di esplodere. In un certo senso, non
deve “inventare”: rivolge la cinepresa su se stesso e sulle persone vicine
per esplodere in giochi pirotecnici, senza lasciare più spazio alla fantasia.”[26] Punto di forza di quest’opera è soprattutto dato
dall’interpretazione di Taylor Mead che, assieme a Jack Smith, è uno dei
migliori attori del cinema underground. Mead era anche un musicista, un poeta e
un film-maker di divertenti Diari,
normalmente girati a scatto singolo, registrando luoghi, oggetti e persone
incontrate nel corso della propria vita. Alla base della poetica di Rice “sta un ben
conscio richiamo alle teorie di Dziga-Vertov e del suo cineocchio”
che egli applicò in modo completo in Senseless
(1962), “cronaca visiva estremamente soggettiva e slegata di un viaggio al
Messico”.[27] Nel 1963 Rice fece ritorno a New York dove
incominciò a girare The Queen of Sheba
Meets the Atom Man, che purtroppo non
venne mai completato a causa della prematura scomparsa del film-maker. Bruce
Bailie è ricordato soprattutto per aver creato nel 1961 la Canyon Film, un’organizzazione di film-maker equivalente alla Film-makers’
Cooperative di New York, che aveva lo scopo di facilitare la presentazione
di un crescente numero di film indipendenti prodotti nell’area di San
Francisco. Con il suo primo film, On Sundays, Baillie aveva incominciato una ricerca tecnica che lo
avrebbe portato a dominare il mezzo cinematografico in modo da riuscire a
“sovrapporre alla diretta percezione della realtà una sia pur moderata
costruzione drammatica”.[28] Questo discorso emotivo e visuale avrà il suo
culmine in Mass for a Dakota Sioux
(1963-64), “universalmente considerato una delle vette dell’arte di
Bruce Baillie”.[29]
“A
film dedicated to the Dakota Sioux but involving all contemporary life, showing
an alien, “canned” environment.”[30] Intorno al 1963 all’interno del cinema
underground americano stava iniziando a prendere corpo un movimento di
rivoluzione che avrebbe cambiato il modo di concepire il mezzo cinematografico,
ed Andy Warhol ne fu la guida estetica. “I
think that Andy Warhol is the most rivolutionary of all filmmakers working today”,
scriveva Mekas sul Voice. “He
is opening to filmmakers a completely new and inexhaustible field of cinema
reality.... What to same still look like actionless nonsense, with the shift of
our consciousness which is taking place will became an endless variety and an
endless excitement.”[31] Warhol ritorna
alle “origini prime del cinema, alla cinepresa immobile e distaccata di
Lumiere”[32] iniziando ad indagare e
riprendere gli atti più semplici e quotidiani dell’uomo comune. I lavori di Andy Warhol si possono dividere in
quattro periodi principali. Il
primo periodo produttivo annovera opere quali Sleep
(1963-64), in cui veniva mostrato
per sei ore, un uomo che dormiva (It is actually three hours of ten-minute
segments that were shot over a six-week period. Each segment is shown twice.[33]),
Eat, Kiss, Haircut ed infine Empire
(1964), ritratto di 8 ore della “ottava meraviglia del mondo unica del nostro
secolo” e a cui prese parte come operatore anche Jonas Mekas. Questa folta produzione (venti film in due anni) fu
premiata da Film Culture con il sesto
Indipendent Film Award con la motivazione che Warhol “nella
sua opera ha abbandonato tutti gli ornamenti “cinematografici” di cui il
cinema si era circondato” arrivando a creare “un nuovo modo di guardare le
cose e lo schermo”. ”Il cinema di Andy Warhol è una mediazione sul mondo
oggettivo; in un certo senso, è un cinema della felicità.”[34] Del 1965 è Haircut
il primo film sonoro e il primo di collaborazione con il commediografo Ronald
Travel che segna il distacco dai primi film figurativi verso prodotti più
“cinematografici”. Questo è il secondo periodo. Il terzo periodo è inaugurato da My
Hustler (1965) “a shorkish semidocumentary on omosexsual prostitutes”[35],
caratterizzato dall’uso della camera immobile sul cavalletto con uno stile da
cinema-veritè, mentre al quarto appartiene
invece il lavoro fatto
all’interno dell’Expanded Cinema ed include film come The
Chalsea Girls (1966), lungo tre ore e mezzo, “which actually used seven
hours of material, three and a half on each side of the screen”.[36] Con la nascita dell’Expanded Cinema, la terza
avanguardia (se così possiamo chiamare il New American Cinema) iniziò la
propria involuzione. Molti film-maker furono attirati dalle nuove proposte di
questo nascente genere, altri invece, come Jonas Mekas, rimasero legati
all’underground puro, fatto cioè con poco e per pochi. [1] Mekas, Jonas, “Notes on the New American Cinema” , Film Culture, No. 24, 1962, pp. 6-16. ( Anche in P. Adams Sitney, Film Culture Reader op. cit., pp. 87-107, e in Paolo Bertetto (a cura di), Il grande occhio della notte op. cit., pp. 171-178.) Traduzione: “Dal
momento in cui due anni fa in queste pagine (N° 21) apparve l’articolo
intitolato Cinema of the New Generation ci sono state continue discussioni
riguardo il nuovo cinema americano. Materiale fresco per questa discussione
fu prodotto dallo Spoleto Film Exposition dell’estate del 1961 che fu
incentrato esclusivamente sui film-maker indipendenti americani e fu il programma più rappresentativo dei loro lavori mai
riuniti per una visione prima
d’ora.
Dal momento che ci sono stati talmente tanti fraintendimenti riguardo
questo nuovo cinema, è tempo di presentare una veloce e di primamano
investigazione delle idee, stili e tendenze di questo nuovo cinema; per
addentrarci nelle motivazioni che ci stanno dietro; per cercare di
descrivere cosa sente il nuovo artista, come lavora la sua mente, perché
crea in quel modo; perché sceglie quel suo particolare stile per esprimere
le relazioni fisiche e psicologiche della propria vita:” [2] Mitry, J., La storia del cinema sperimentale op. cit., pag. 253. [3] Mekas, J., “Notes on the New American Cinema”, in P. A. Sitney op. cit., pag. 92. Traduzione: “che
dimostrano l’immensa capacità della cinepresa di registrare la vita, la
sua poesia e la sua prosa -una cosa spesso dimenticata da quando i Lumiere
girarono la loro prima scena di strada.” [4] Ibidem. Traduzione: “Le esperienze di Morris Engel con la cinepresa portabile a suono sincrono, contribuì molto a questo sviluppo. Durante i due anni passati, questo equipaggiamento è stato costantemente perfezionato e gli esperimenti sono stati continui. Questi esperimenti permisero a Leacock di ridurre la trup ad un uomo solo _il film-maker stesso è ora regista, cameraman e spesso uomo del suono, tutto in uno. Il film-maker ora può andare ovunque, vedere la scena e registrare il dramma o la bellezza di ciò che vede, tutto in perfetta sincronia di suono e colore.” [5] Renan, Sheldon, The Underground Film op. cit., pag. 22. Traduzione: “Film
Underground era un termine originariamente usato dal critico Manny Farber
per descrivere film d’avventura di genere maschile, degli anni trenta e
quaranta. Ma nel 1959 il termine incominciò ad essere riferito ai personal
art film. Lewis Jabobs in un articolo intitolato “Morning for the
expermental film” pubblicato su Film Culture (Numero 19 della primavera
del 1959), usò le parole “film che per gran parte della loro vita passano
un esistenza sotterranea”. E il film-maker Stan VanDerBeek disse che egli
coniò il termine Underground quell’anno per descrivere i propri film e
quelli a loro simili.” [6] Ibidem, pag. 101. [7] Ibidem, pag. 51. Traduzione: “Alcuni film underground sono buoni. Alcuni sono brutti. Pochi sono grandi. Ma comunque essi siano, i film underground rappresentano la visione più aperta dei loro creatori. Nessun banchiere, nessun produttore, nessun patrono ha deciso cosa essi devono essere o possono più tardi cambiarli. I film underground sono banditi, ma non sono mai tagliati.” [8] Mekas, Jonas, “Notes on the New American Cinema” in P. A. Sitney op. cit., pag. 97. Traduzione: “Guns of
the Trees. Eliminazione della storia. Film come stato emozionale.
Nel mio primo film , Guns of the Trees (1961), ho tentato di
allontanarmi da quanto ancora rimaneva del modo tradizionale di raccontare
una storia, usando delle scene sconnesse quali parti di un affresco che
raccoglie le emozioni, come un’artista dell’acting painting usa le macchie
di colore. Il film parte dal
realismo e tenta di arrivare alla poesia. A un certo punto, se uno vuole
toccare verità più profonde, se vuole parlare in modo più diretto, questo
deve abbandonare il realismo e penetrare nelle ragioni della poesia.
I nuovi contenuti richiedono un nuovo modo di espressione artistica.
L’artista sta incominciando ad esprimere la sua ansietà e il suo
discontento in una maniera più diretta ed aperta. Egli sta cercando una
forma più libera, una che gli permetta una più larga scala di emozioni e
affermazioni intellettuali, esplosioni di verità, grida d’attenzione,
accumulazioni di immagini _non per creare una storia simpatica ma per
esprimere pienamente i tremolanti inconsci dell’uomo e per confrontarci,
’eye to eye’, con l’anima dell’uomo moderno. Il nuovo artista non è
interessato nell’intrattenere lo spettatore: Egli sta facendo affermazioni
personali sul mondo di oggi.” [9] Ibidem, pag. 105. Traduzione: “è la
forma più alta di concentrazione, si rivolge alla vera essenza di un
pensiero, di un’emozione, di un movimento.” [10] Ibidem. Traduzione: “Questo
è il vero significato dell’improvvisazione, ed esso non è un metodo e
basta; esso è piuttosto un modo di essere necessario per ogni creazione
ispirata. Esso è un’abilità che ogni vero artista crea da una costante e
di lunga vita vigilanza interiore, dallo sviluppo _sì!_ dei suoi sensi.” [11]Ibidem, pp. 98-99 Traduzione:
“Brakhage. Breer. Menken. I poeti puri del cinema Robert Breer, Stanley Brakhage, e Marie Menken, tematicamente e formalmente rappresentano, nel nuovo cinema americano, il meglio della tradizione del cinema sperimentale e poetico. Liberamente, meravigliosamente, essi cantano il mondo fisico, le sue strutture i suoi colori, i suoi movimenti; oppure essi parlano in piccoli squarci di memorie, riflessioni, meditazioni. A differenza dei primi film d’avanguardia, questi non sono gravati dalla mitologia e dal simbolismo greco o freudiano; i loro significato è più immediato, più visuale e suggestivo. Stilisticamente e formalmente, i loro lavori rappresentano la più alta e pura creazione contenuta nel cinema poetico.” [12] Leonardi, a., Occhio mio dio op. cit., pag. 97. [13] Ibidem. [14] Ibidem, pag. 98. [15] Ibidem, pag. 100. [16] Ibidem, pag. 123. [17] Renan, S., The Underground Film op. cit., pag. 181. [18] Tomkins, C., “All pokets open” op. cit., pag. 38. Traduzione: “il più
lussurioso sfogo di immaginazione, di immaginario, di poesia, di artisticità
cinematografica _comparabile solo ai lavori dei più grandi, come von
Sternberg.” [19] Ibidem. Traduzione: “attraverso un cinema di disimpegno e libertà”. [20] Ibidem. Traduzione: “dove fu
visto da Jean-Luc Godard, Agnes Varda, Roman Polanski, e altri importanti
cineasti europei”. [21] Ibidem. Traduzione:
“Questo fatto aveva colpito i
giornali europei, e un certo interesse per il film crebbe. Durante l’ultimo
giorno del festival, Mekas e Barbara Rubin sequestrarono la cabina di proiezione,
misero fuori gioco il proiezionista ed iniziarono a proiettare “Flaming
Creature”. Il personale del teatro velocemente tolse la corrente e cercò
di farli uscire. A questo punto il Ministro della Giustizia Belga salì sul
palco per calmare gli spettatori, e Barbara Rubin essendosi procurata una
linea di corrente alternativa, ricominciò a proiettare il film sulla faccia
di questi. La corrente fu tolta di nuovo e nella oscurità e nella
confusione i Belga ripresero il controllo della cabina di proiezione.” [22] Ibidem. Traduzione:
“proiettato per trenta minuti, in realtà, dopo di che arrivò la polizia
che arrestò tutti e confiscò la copia del film e tutto l’equipaggiamento
per proiettare che poteva stare nelle loro mani. Mekas e altri passarono la
notte in cella, e furono rilasciati pagando una cauzione il pomeriggio
seguente. Una settimana dopo, Mekas fu arrestato ancora per aver proiettato
il film omosessuale di Jean Genet intitolato “Un Chant d’Amour””. [23] Aprà, A., New American Cinema op. cit., pag. 41. [24] Renan, S., The Underground Cinema op. cit., pag. 183. Traduzione: “Egli
aveva creato per la prima volta nel cinema un alto livello di arte che manca
assolutamente di decoro; e un uso del sesso che ci rende prevenuti
nei riguardi degli altri film-maker precedenti.” [25] Leonardi, A., Occhio mio dio op. cit., pag. 139. [26] Mekas, J., “Note sul Nuovo Cinema Americano”, in P. Bertetto op. cit., pag. 175. [27] Leonardi, A., Occhio mio dio op. cit., pag. 144. [28] Ibidem, pag. 144. [29] Ibidem, pag. 145. [30] Renan, S., The Underground Film op. cit., pag. 113. Traduzione: “Un film
dedicato ai Dakota Sioux che comprendeva tutta la vita contemporanea,
mostrando un ambiente alieno, in “scatola”.” [31] Tomkins, C., “All pokets open” op. cit., pag. 41. Traduzione: “Penso
che Andy Warhol sia il più rivoluzionario di tutti i film-maker che
lavorano oggi _ scriveva sul Voice. Egli sta aprendo ai filmmaker una strada
completamente nuova ed inesauribile del cinema della realtà....Ciò che per
alcuni sembra ancora come un
azione senza senso, con il cambiamento delle nostre coscienze che sta
prendendo piede esso diventerà un’infinita varietà e un infinito
divertimento.” [32] Leonardi, A., Occhio mio dio op. cit., pag. 167. [33] Renan, S., The underground Film op. cit., pag. 193. Traduzione: “In realtà
esso è composto da tre ore e dieci minuti di segmenti che furono ripresi in
sei settimane di lavorazione. Ogni segmento viene proiettato due volte.” [34] Aprà, A., New American Cinema op. cit., pag. 42. [35] Renan, S., The Underground Film op. cit., pag. 195. [36] Ibidem, pag. 195.
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Aggiornato il: 11-03-2000
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