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blue jeans, poliziotti e donne fatali

"she wore blue velvet
bluer than velvet was the night".

a indossare il velluto blu (ma non blu quanto la notte) è isabella rossellini in "blue velvet" di david lynch, del 1986. lo stesso anno gian luigi rondi, direttore della mostra del cinema di venezia, rifiuta con motivazioni bigotte di inserire il film nella rassegna lagunare. secondo rondi le nude pratiche sadomasochiste cui era sottoposta isabella, oscurano la memoria dei genitori, roberto rossellini e ingrid bergman, dei quali il direttore è stato amico. nella pellicola isabella deve soggiacere ai capricci di dennis hopper, un criminale psicopatico che gli ha rapito il figlio. e il velluto blu, oltre che capo d'abbigliamento, è usato da hopper quale strumento feticista per raggiungere il piacere. escono allo scoperto con la stoffa i traumi edipici del delinquente, accentuati dall'ascolto di un vecchio pezzo dei clovers, blue velvet, cantato con dolore anche dalla rossellini. di un'altra ossessione parla "la femme en bleu" di michel deville, quella di michel piccoli verso una misteriosa donna vestita di blu (lea massari) che appare e scompare. il cinema ha utilizzato spesso la moda e le varie vesti per raccontare storie antiche e non, a trama religiosa, laica, frivola, sociale, erotica. è così che nascono tuniche, cappotti, scarpe, mutande, sciarpe, jeans, pullover, magliette e vesti varie, in bianco e nero o in technicolor.

un indumento del quale lo schermo ha abusato è il jeans. da calzoni di fatica (nati a genova da cui deriverebbe il nome francese -genes- o nati negli usa?) indossati dai cow-boy cavalcanti i nostri schermi nei western, i blue jeans sono diventati un feticcio della moda, della comodità e dell'erotismo. non è un caso se nel 1975 gloria guida seduceva paolo carlini esponendo le parti fasciate dalla tela attillata in "blue jeans", b-movie italiano diretto da mario imperioli.

i jeans per anni sono stati associati a qualcosa di sporco e cattivo e il cinema ha sfruttato questa triste fama. nel 1955 hollywood sforna in contemporanea due film che trattano lo scottante tema del disagio giovanile, dove i blue jeans spopolano: "il seme della violenza" e "gioventù bruciata". il primo è una denuncia contro la disgregazione sociale degli slum di new york e a favore dell'integrazione razziale. per la prima volta viene evidenzata la divisione dei giovani per bande, tema che sarà ripreso più volte anche a sproposito, fino ad arrivare al 1979 e al bel film di walter hill "i guerrieri della notte", tratto dal romanzo di sol yurick. i ribelli senza causa di "gioventù bruciata" hanno segnato un'epoca e accelerato la moda dei jeans in tutto il mondo, soprattutto grazie a due giovani attori: l'inquieta natalie wood e james dean, il cui mito è salito a seguito dell'incidente mortale che lo ha visto protagonista. la francia risponde nel 1958 con "peccatori in blue jeans" di marcel carné, una storia di esistenzialismo, amori mancati, orgogli e pregiudizi, che non possono finire se non in tragedia. gli italiani la buttano sul ridere e lucio fulci gira nel 1960 "urlatori alla sbarra", dove appaiono dei giovanissimi celentano e mina che con la loro cricca girano l'italia propagandando le loro canzoni e, naturalmente, diffondendo e imponendo la moda dei blue jeans. nel film di fulci appare in sottofondo un mito del jazz e del blues (non dimentichiamo che i toni abbassati del blues sono chiamati blue notes), lo scomparso chet baker, che ci regala una struggente "arrivederci" mentre sfilano i titoli di coda. gli usa proseguono con "un poliziotto in blue jeans" del 1988, dove l'agente è evidentemente senza la divisa regolamentare e tre anni dopo un altro "poliziotto in blue jeans", christian slater, sgomina una banda di malfattori e conquista il cuore di milla jovovich.

a riportare la stoffa blu al suo uso originale, cioè indumento di fatica, ci pensa nel 1978 paul schrader con "tuta blu", ambientato in una fabbrica di auto, dove è forte il conflitto tra operai e sindacalisti in combutta coi padroni.

"soldato blu" ci ricorda nel 1970 un'altra divisa che dal secolo scorso scorrazza per le strade americane, quella che vorrebbe o dovrebbe riportare l'ordine. ma il soldatino del film di ralph nelson si trova faccia a faccia con una delle pagine più buie della storia americana: la pulizia etnica ai danni dei pellerossa, compresi donne, vecchi e bambini. "electra glide in blue, del 1973, vede un tutore dell'ordine, nella divisa blu americana, cavalcare un moderno destriero, una moto e precisamente la mitica electra glide. ancora un azzurro cavaliere, "the blue knight", sempre del 1973. stavolta è william holden, poliziotto a los angeles, che cerca l'assassino di una prostituta. nel 1988 "la sottile linea blu" denuncia un clamoroso errore giudiziario avvenuto a dallas dopo la morte di un poliziotto. "blue steel" (1990) di kathrin bigelow sposta il problema al femminile e conduce jamie lee curtis, nei panni di un poliziotto, a scontrarsi in un rapporto amore/odio con un pericoloso assassino.

marcello moriondo

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