Festival Internazionale Torino Giovani 1996 – Retrospettiva sul nuovo cinema ungherese degli anni ’60

In Italia si conoscono sempre le stesse cinematografie, mentre quella ungherese viene mostrata solo ai festival e in qualche rassegna. Conferma alla regola è stata la retrospettiva durante il 14° Festival Internazionale Torino Giovani. Col titolo di "Nuovo cinema ungherese degli anni '60" è stata presa in considerazione la nouvelle vague che ha attraversato un intero decennio. Attraverso le maglie della distribuzione nazionale non passa quasi nulla e solo per caso si conoscono i nomi di Miklós Jancsó, István Szabó, István Gaál, Pál Sándor o Károly Maak. La grande qualità di questa cinematografia è di essere sempre stata su livelli medio-alti negli anni '60, e anche successivamente.

Forse perché ogni anno venivano prodotti pochi film, caratteristica costante è sempre stato l'impegno, lo stile, la qualità morale, le idee e il grande interesse. Le personalità di questi registi e degli altri meno noti sono state molto differenti, e questo ha arricchito la varietà del prodotto.

Punto di partenza sono le tradizioni storiche e musicali, le cerimonie tradizionali e la riflessione sul passato recente o lontano per pensare sul presente e sul futuro, magari tutti insieme. Rappresentare la realtà del paese è invariabilmente presenza attiva in ogni film, paragonabile al nostro neorealismo. Questo solo grazie al fatto che lo Stato produttore non chiedeva il successo commerciale, bastava fossero bei film. L'unico prezzo da pagare era la censura in sede di soggetto, sceneggiatura o realizzazione, e il bello di tutto questo naturalmente è stato un uso intelligente di allusioni e metafore. Era meglio evitare di accennare ai rapporti con l'Unione Sovietica o del fatidico 1956 o dell'Armata Rossa entrata in Ungheria. Alcuni registi ricevevano grandi aiuti, qualcuno era sopportato e altri vedevano i propri film finire nel congelatore. Dalla settantina, tra corto e lungometraggi, di film presentati durante la retrospettiva traspare comunque la certezza della giustizia, uguaglianza e solidarietà tra gli individui, mentre individualismo e egoismo non hanno grande spazio. Questo amore-odio nei confronti dello Stato si avverte soprattutto nello studio Béla Bálazs, fucina di talenti ribelli diplomati nelle scuole di cinema e in continuo confronto con l'oggetto desiderato: i risultati sono inizialmente i riconoscimenti ai loro cortometraggi nei festival internazionali, ottenendo quindi successivamente i finanziamenti per opere ardite, decisamente complesse e artisticamente critiche. Punto d'orgoglio comune resta comunque raccontare il vero, mostrare la realtà e i suoi problemi, dicendo più chiaramente possibile che il passato contiene errori e crimini. Tutto questo sembrerebbe portare a un cinema pesante e dai finali tragici, e in parte è vero, ma stranamente il più delle volte scienziati e operai, amanti e bagnanti, contadini e cittadini, comunisti e indifferenti ci portano in un mondo felice, dove è possibile costruire il proprio futuro gioioso, producendo grande spettacolo intelligente.

Di sicuro ogni retrospettiva ha i suoi limiti, non tutto è stato visto, ma è stata confermata la certezza che l'ispirazione e lo stile comune a tutti i registi è un dato consolidato per l'intera Ungheria a cavallo tra il dramma del '56 e i decenni successivi, dove si acuisce l'economia di mercato e la diversità di tematiche e di talenti.

 

Maurizio Ferrari

 

www.torinofilmfest.org

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