Cinema Ritrovato di Bologna 1998

Collocato all’interno del rapporto sulla censura, il Cinema Ritrovato di Bologna ha presentato L’Italia non è un paese povero, documentario realizzato da Joris Ivens nel 1959 e con finanziamento dell’Eni. Il film è costituito da tre parti per un totale di quasi due ore. I collaboratori di Ivens erano Albeto Moravia, i fratelli Taviani, Valentino Orsini e Tinto Brass. Proprio quest’ultimo, data la censura televisiva incombente, portò una copia come valigia diplomatica alla Cinémateque Française, presso la quale era accreditato come stagista. Il film è stato presentato come a tutt’oggi inedito. I problemi censori furono determinati dai dirigenti della RAI perché non intendevano far vedere un film dove, nonostante il titolo alludesse a un ricco sottosuolo, si mostrava un’Italia con zone di terribile povertà, comprensive di una famiglia che viveva in una caverna, dove ci pagava sopra pure l’affitto. L’intenzione del film è documentaristica in senso stretto, con l’attività dell’Eni in pieno sviluppo estrattivo in Italia e all’estero, con Enrico Mattei vero capitano d’industria. Si gira lo stivale, da Cortemaggiore a Ravenna, da Venezia alla Lucania. Il film si divide in tre episodi, Fuochi nella Valpadana, Due città e Appuntamento a Gela e ha una struttura didascalica evidentemente non neutrale, considerando che vennero girate da altri scene aggiuntive con carretti siciliani per edulcorare la potenza delle immagini.

Ancora petrolio nell’altra pellicola a carattere documentario Louisiana story di Robert Flaherty per un film del 1948 di produzione della Standard Oil, che diede al regista assoluta carta bianca sui pozzi petroliferi dove ambientare la vicenda, quale tipo di avvenimenti e quali scelte tecniche. Il risultato è un film di finzione, dalla trama molto semplice e che deve fare da collegamento alle varie sequenze su come si fa a cavar petrolio dalla terra e dall’acqua, quali i pericoli e le gratificazioni derivanti dall’estrazione. L’approccio idealistico e lirico che contraddistingue tutto il film lo fa risultare di facile lettura, anche se molto datata, e in fondo si rivela una semplice lezione sull’estrazione del grezzo.

Le Histoires du cinema di Jean-Luc Godard sono costituite da otto capitoli video, Toutes les histoires, Une histoire seule, Seul le cinéma, Fatale beauté, La monnaie de l’absolu, Une vague nouvelle, Le controle de l’univers e Les signes parmi nous. Dieci anni di lavoro hanno permesso a uno degli esponenti più radicali del cinema francese di portare a termine, e mostrare per la prima volta in Italia, una storia del cinematografo dalle origini a oggi in forma lirica e romantica. Base di partenza è la caverna di Platone, dove arrivano immagini e da dove lo spettatore (se) le riproietta. La sua è una visione eurocentrica e arbitraria, dove si illustra il mondo senza mezze misure, in maniera definitiva e per partito preso. Collegando il cinema ad altre e correlate forme d’arte, soprattutto pittura e letteratura, viene costruito un universo non tanto di singoli film quanto di spezzoni che formerebbero una sorta di memoria collettiva, che informerebbe la nostra fantasia. L’uso del video gli permette la solarizzazione, il fermo immagine, il montaggio di sequenze, la voce off, pezzi e brandelli incollati in un simpatico delirio visivo-sonoro-teorico-incontestabile. Secondo Godard pochissime sono state le grandi cinematografie, inserendo film italiani, francesi, russi e un pizzico di Hitchcock. Le riflessioni di Godard spiegano che non è per caso che l’Italia è il paese che ha più sofferto per la guerra perché è stato tradito due volte, che i russi hanno fatto film di martirio e gli americani film di pubblicità, gli inglesi hanno fatto nel cinema quello che fanno sempre e cioè niente, e via così. L’ammaliante allucinazione prosegue approfittando della forza ipnotica delle immagini, spesso visibili per un solo secondo, in un'eccitazione dell’incertezza che lascia lo spettatore al punto di partenza, ma con qualche dubbio in più e, sapendone di più, sicuro di saperne meno di prima.

Maurizio Ferrari

www.cinetecadibologna.it

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