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Festival Internazionale di Cannes 1997

50° Festival di Cannes

7 - 18 maggio 1997

Mezzo secolo di film

La festa c’era tutta per il compimento dei cinquanta anni del Festival di Cannes, coi colori della Croisette, le star, le celebrazioni, gli omaggi e uno stanziamento pari a quasi undici miliardi di lire. Sopra tutto i film, al solito caratterizzati da buona qualità e spettacolo, per non dire di imperativa emozione, a volte. L’apertura è stata Le cinquième element (Il quinto elemento) di Luc Besson: in un tripudio d'invenzioni narrative, Bruce Willis nel 23° secolo dovrà salvare l’umanità dal Male dopo mille avventure e la scoperta dell’amore di Milla Jovovich. Nella sezione maggiore, a concorso, da segnalare l’autobiografico Nil by mouth (Niente per bocca) di Gary Oldman, miglior interpretazione femminile per una recitazione piena di ferite e lividi, come del resto si ritrova anche lo spettatore nel seguire una famiglia della classe operaia londinese in un universo di droga, gente ubriaca, bar e compagni di disavventure. "Western" di Manuel Poirer, film on the road, sull’ovest della provincia francese popolata di anime belle che s'incontrano in avventure minime, è narrato con la grazia che hanno solo pochi registi francesi. Welcome to Sarajevo (Benvenuti a Sarajevo) di Michael Winterbottom è ambientato tra le mitragliatrici e i cecchini del novembre 1991, dove un corrispondente televisivo chiede aiuto alla comunità internazionale per portare in Inghilterra un gruppo di bambini, a metà tra grande spettacolo e impegno civile. Sempre delizioso Manoel De Oliveira con Viagem ao principio do mundo (Viaggio all’inizio del mondo) ci offre la memoria del Portogallo passato, Marcello Mastroianni e la statua di Pedro Macao, incarnazione delle sofferenze del mondo. E’ ardito (ma poi ci si sente bene) The blackout, storia di un attore e dei suoi eccessi, un’anima in cerca di salvezza per evitare l’autodistruzione e del suo fermarsi un istante prima che avvenga una tragedia, in uno dei film più riusciti di Abel Ferrara. Una del pagine migliori di Wim Wenders, molto riconoscibile per ritmo e stile, è The end of violence (La fine della violenza) su un produttore di Hollywood che ha basato il suo successo sui film violenti e adesso qualcuno lo vuole morto, in una storia di fuga da un nemico invisibile, ideatore di un sistema per la sorveglianza totale della vita pubblica nella speranza di controllare la violenza individuale. Kevin Kline e Sigourney Weawer capiscono, nel delicato The ice storm di Ang Lee, quanto possano essere fragili i rapporti emozionali di un gruppo di amici all’inizio degli anni ‘70. Unagi (L’anguilla) di Shoei Imamura è il dramma di un uomo che viene rinchiuso in prigione per avere ucciso la moglie e, non riponendo più fiducia nell’umanità, incomincia a raccontare i suoi pensieri a un'anguilla. Happy together di Wong Kar-Wai è narrato con grande inventiva ed è capace di mostrare anche un po’ di realtà quotidiana in un insipido melodramma sentimentale tra gay. Lascia invece qualche perplessità La femme defendue (La donna proibita), che ha uno sguardo sul gentil sesso esclusivamente dalla parte di Philippe Harel, regista e interprete principale, come anche L.A. Confidential (Los Angeles - strettamente riservato) di Curtis Hanson, che non mantiene totalmente le promesse iniziali di storia di molteplici delitti in una città corrotta e dalle passioni pericolose. She’s so lovely (She’s so lovely/così carina) di Nick Cassavetes è imperniato su una coppia sposata, sugli eccessi e sul passato che rimonta. Quasi un film al femminile, sporco e pazzo all’inizio, pulitino nel finale, è impressionante per le variazioni emotive. L’atmosfera è pervasa da dubbio e sospetto in The sweet hereafter (Il dolce domani) di Atom Egoyan, elementi che si dissiperanno solo quando la piccola comunità comprenderà quale deve essere il suo futuro. Infine "Assassins" di Mathieu Kassovitz racconta di come un vecchio killer professionista, Michel Serrault, abbia intenzione di tramandare il mestiere e l’etica che l'accompagna, ma i tempi non solo più quelli di una volta.

UN CERTAIN REGARD

Questa sezione, dedicata a film di grande attrattiva visiva e di contenuti, è stata aperta da The serpent kiss (Il bacio del serpente) di Philippe Rousselot, che è un intricato giallo d'inizio del diciottesimo secolo in una villa dall’incolto giardino, interpretato in punta di penna da Greta Scacchi e che ricorda, per le atmosfere che lo percorrono, I misteri del giardino di Compton House di Peter Greenaway. Da questo cesto affioravano la commedia Marius et Janette (Marius et Janette) di Robert Guédiguian, un appassionato ritratto dei sentimenti che possono animare due anime solitarie alla periferia di Marsiglia e Deux chapitres de la série Histoires du Cinema di Jean-Luc Godard, riversamento in pellicola di due capitoli della sua storia del cinema per una durata di neanche un’ora sulla "moneta dell’Assoluto" e sul "controllo dell’Universo", con la sua tipica riflessione sui massimi sistemi. "Amore e morte a Long Island" di Richard Kwietniowski è un esilarante dibattere sulla cultura inglese opposta a quella americana attraverso un attore e uno scrittore. Da non sottovalutare neanche "Mrs. Brown" di John Madden, ambientato all’inizio del secolo scorso, con la regina Vittoria e la controversa relazione con il suo servo scozzese dopo la morte del principe Alberto, film che serve a meglio comprendere la vita dei regnanti inglesi. Buona ultima Liv Ullman, che dirige Enskilda Samtal (Incontri privati), una riflessione sul rapporto di coppia con atmosfere bergmaniane ma ritmi piuttosto televisivi.

QUINZAINE DES REALIZATEURS

Questa gloriosa sezione ha presentato pellicole spesso in prima mondiale, e quanto sia appetito entrare in questo ventaglio lo dimostra il fatto che i soli Stati Uniti hanno offerto 247 titoli. Qui è difficile trovare un film concepito per la televisione come sbocco privilegiato e la scelta proviene da ogni angolo del globo. La buena vida (La buona vita), commedia di David Trueba, è uno spaccato della società spagnola imperniata più che altro sulla buona vita che un ragazzo scopre grazie a suo cugino come pure è commedia, ma su linee più divertite Ma vie en rose (La mia vita in rosa) di Alain Berliner, che racconta le tribolazioni di un bambino che sente d'essere nato in un corpo sbagliato e dei suoi comici tentativi di porvi rimedio. Crisi esistenziale anche per il protagonista adolescente di Kicked in the head di Matthew Harrison: nel Lower East Side di New York, uno sfigato e con poche speranze di successo nella vita è appoggiato da James Woods, ex-criminale. Il migliore rimane però Kissed di Lynne Stopkewich, con la protagonista così attirata dalla morte che riesce a farsi assumere in una ditta di pompe funebri. Siamo ai massimi livelli di necrofilia gioiosa, visto che se la fa coi morti, e il risultato è straordinario per equilibrio narrativo, quando sarebbe bastato pochissimo per avere un effetto sgradevole. Induce alla riflessione My son the fanatic (Mio figlio il fanatico) di Udayan Prasad, film inglese ambientato nella comunità indiana di Bradford, dove un tassista, buon padre di famiglia e lavoratore, si ritrova un rampollo dalle intransigenti pretese musulmane e dai difficili compromessi. Ho affittato un killer in versione russa è stato Priatel pakoïnika (Un amico del defunto) di Viatcheslav Krichtofovitch, con la storia principale basata sull’evitare di morire dopo aver chiesto di essere ucciso, ma con molte situazioni minori relative alla quotidianità di Kiev, raccontata anche in maniera dura e triste. Di uguale allegria è stato Savraseni krug/Le cercle parfait (Il cerchio perfetto) di Ademir Kenovic, di produzione bosniaca, su due ragazzini di Sarajevo che cercano rifugi in una città distrutta, portando ovviamente sullo schermo tutto il dolore di un'adolescenza precaria.

SEMAINE INTERNATIONALE DE LA CRITIQUE

Da sempre impegnata a trovare i migliori film della produzione mondiale, secondo un criterio di qualità molto mirato, ha dato il meglio si sé con, tanto per intenderci, Le mani forti di Franco Bernini, con Francesca Neri giovane psicanalista alle prese con una storia di terrorismo che vede il protagonista in Claudio Amendola. Insomnia di Eik Skjoldjaerg è un’opera prima norvegese, un poliziesco su un ispettore di polizia della grande città chiamato a indagare sulla morte di una giovane in un piccolo paese. Le notti bianche del Grande Nord non sono il solo ribaltamento di questo film rispetto a un noir tradizionale. Oltre all’insonnia, ci sono i ricordi fantastici e la presenza di una tormentata, se non cattiva, relazione del protagonista con i suoi incubi. Narrato per ellissi, è notevole nell’esposizione inquietante dei fatti e nell’abolizione dei tempi morti. Ma bella più di tutte è l’altra opera prima, quella di Mike Van Diem. Qui si ripercorrono le vicende di un noto best-seller olandese, cambiato solo nell’inizio e nel finale. Karakter è ambientato nel 1934 e segue il narrare di un supposto omicida interrogato dall’ispettore di polizia. L’accusato è il figlio naturale della vittima, che non l’ha mai conosciuto. Tutto il film è la battaglia tra il ricco genitore e il figlio sottoposto a tutte le tribolazioni inflitte dal tiranno, in questo gioco al massacro e a "uccidere il padre", in una sorta di metafora del conflitto bene-male. L a città portuale che fa da sfondo è una collezione di crisi economiche ed esistenziali. Lo stile affonda molto nel lirismo intimo, nel gioco di luci e ombre proprie dell’espressionismo e nella trama avvincente e ricca di colpi di scena. Molti i momenti di dialogo rarefatto e buona sicurezza nella direzione segnalano il regista per le prossime opere.

CINEMAS EN FRANCE

Come il giovane cinema straniero trova collocazione nella Quinzaine des Réalisateurs, così il giovane cinema francese di corto e lungo metraggio, può mettersi in vetrina in questa sezione. Iniziamo da Dominique Cabrera con L’autre côté de la mer (L’altro lato del mare). Si tratta di Claude Brasseur, piccolo imprenditore di un’industria conserviera d'olive. Fin qui tutto bene, ma è rimasto in Algeria dopo l’indipendenza e la sua vita è piena di guai, perennemente indeciso tra le lusinghe francesi e il tener duro in terra straniera. I mondi con i quali viene in contatto, generalmente costituiti da forti interrelazioni personali, rimandano al cinema "beur" e alla sua carica antagonista. Il quartiere di Ma 6.t va crack-er di Jean-François Richet appartiene alle periferie degradate, dove i sedicenni squattrinati cercano di organizzare feste per divertirsi, sono pronti allo scontro fisico tra bande, non trovano un lavoro e quando uno di loro muore per mano della polizia sono disposti a vendicarlo. E’ un film pessimista, dove le relazioni sociali sono demolite da una situazione economica di irrimediabile abbandono. Stesso discorso di vuoto esistenziale permea Un frere... (Un fratello...) di Sylvie Verheyde, spostato più sul lato famigliare, e La Vie de Jésus (La vita di Gesù) di Bruno Dumont, ambientato in provincia e descrittivo di un gruppo di amici, ma la malinconia è la stessa. E che dire di Sinon, oui di Claire Simon, con la protagonista che lascia credere a tutti di aspettare un figlio, compreso a quel fesso del marito, con l’ovvia conclusione che finisce in galera, con buona pace del lieto fine.

IL MERCATO

Se nessuno ti sceglie un film da mettere a concorso o nelle sezioni parallele, puoi comunque venderlo. Uno dei modi migliori è farlo vedere, e allora soccorrono le innumerevoli sale del Palazzo oppure i cinema di cui Cannes è piena. Dalla Francia arriva un cast all-stars con Alain Delon, Lauren Bacall e Arielle Dombasle che, in Jour et nuit (Giorno e notte) di Bernard-Henry Levy, sogna di diventare l’eroina di un film. Marion Vernoux propone, con Love Etcetera, una commedia romantica con un bancario che risponde ad un annuncio e dopo tre mesi si sposa con Charlotte Gaisbourg, che rivela doti di grande attrice. Ancora gente sposata in Lucie Aubrac di Claude Berry, con Carole Bouquet impegnata a salvare il marito dalla Gestapo. Sbagliava di grosso René Manzor se credeva in Witch way love, strampalato e noioso affastellato di situazioni streghesche, di attirare l’attenzione solo perché interpretato da Vanessa Paradis, che come attrice qui ci fa la figura di una schiappa. Conturbante come il solito il ritorno di Nicolas Roeg, che mette Sonia Braga in mezzo a Two deaths (Due morti), all’ombra della guerra civile, tra rivelazioni appassionate e atmosfera tesa e torbida. Una commedia coi fiocchi è Clockwatchers di Jill Specher, su quattro impiegate in perenne attesa della fine dell’orario di lavoro, da cui il titolo, e che ripensano alle loro relazioni all’apparire di un ladro. Concludiamo con la riproposizione al mercato del manifesto del trash Pink Flamingos diretto da John Waters venticinque anni prima.

Maurizio Ferrari

www.festival-cannes.org

I premi

Palma d’oro: ex aequo Il sapore della ciliegia di Abbas Kiarostami e L’anguilla di Shoei Imamura

Gran premio della giuria: Il dolce domani di Atom Egoyan

Miglior attore: Sean Penn per She’s so lovely

Miglior attrice: Kathy Burke per Nil by mouth

Migliore regia: Happy together di Wong Kar-Wai

Premio speciale per il cinquantenario: Youssef Chaine per il complesso della sua opera

Migliore sceneggiatura: The ice storm di James Schamus

Premio della giuria: Western di Manuel Poirer

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