Festival del Cinema Africano a Milano 1997

7° Festival cinema africano Milano

Milano 14 - 20 marzo 1997

Un continente tra arcaico e urbanità

Il C.O.E. (Centro Orientamento Educativo) è riuscito per la settima volta a organizzare a Milano l’unico festival cittadino a portata di pubblico e critica, con i suoi bravi registi presenti e a disposizione di tutti, tre sale per mostrare i film, ufficio stampa, ospitalità e annessi. Il concorso lungometraggio non ha riservato grandi sorprese perché buona parte dei film interessanti erano quelli che stavano già a Torino, a Cannes, a Berlino, a Tunisi e altrove e quindi non erano delle novità assolute, ma potevano esserlo per il pubblico italiano. La giuria, presieduta da Alain Robbe-Grillet ha fatto una scelta abbastanza coraggiosa: ha premiato (primo premio AGIP di £ 15.000.000) Chevaux de Fortune (I cavalli della fortuna) del marocchino Jillali Ferhati, che è abbastanza rischioso e personale, non da premio, e non ci si aspettava che avrebbe vinto quel film, ma qualche altra pellicola che mediasse tra impegno e pubblico, quindi bella la giuria e bello il film con la storia in particolare di una persona e intorno a lui di altre persone che vorrebbero lasciare il Marocco per andare in Europa, con motivi diversi: il protagonista, che è lo stesso regista, che sogna di andare in Francia per scommettere sulle corse dei cavalli, un anziano cieco che sogna di raggiungere il figlio che sta dell’altra parte de mare; una ragazza che vorrebbe raggiungere la madre che sta a Gibilterra: nessuno riesce però a partire: i sogni sono interrotti perché poi all’atto pratico ci sono mille problemi. Molto personale come stile d'esposizione, è un’ossessione su motivazioni più private che politiche. Tra i lungometraggi Essaïda film tunisino (presente anche a Bergamo) di Mohamed Zran, su un quartiere popolare, i ragazzi, le amicizie, i rapporti con la famiglia, ricorda alla lontana Accattone, anche se più patinato. Milano come recupero di buona parte della produzione africana ha visto il primo lungometraggio di Capo Verde, Ilheu de contenda (L’isola della contesa) molto interessante soprattutto per vedere una realizzazione nuova, unita al fatto che la retrospettiva era proprio su quei paesi; infatti tra i titoli non nuovissimi ma visti poco, c’erano i film dell’Africa lusofona, con dei capolavori assoluti, come il film Nelisita di Rui Duarte in Angola. Era molto affascinante vedere questi film ormai "quasi archeologici", soprattutto perché, come hanno chiamato la retrospettiva (cinema di guerriglia e di combattimento) erano veramente quasi tutti, attraverso il cinema, desiderosi di portare sullo schermo l’espressione di una repressione molto forte subita da parte dell’esercito portoghese ai danni di quei paesi. I film erano quindi dei testi di lotta e di notevole consapevolezza filmica e non solo di militanza fine a se stessa, sia nei documentari, sia in quelli sia s'allungavano nella fiction. Sorprese molto attraenti dai cortometraggi. Notevolmente migliorata la produzione, anche solo rispetto ad un anno fa. Perplessità sul corto vincitore, si chiama Tourba, del tunisino Moncef Dhouib, leggenda di una donna che non riesce a piangere la morte del padre e deve arrivare in tutti i cimiteri, piangere sulle tombe di tutti i morti e riempire sette fiale di lacrime sue. Riesce nell’impresa dell’espiazione, allorquando arriva un uomo misterioso che sta morendo di sete e le dona le sue lacrime, salvandolo. Il film risulta fin troppo poetico e laccato. Molto meglio allora Chiens errants (Cani erranti) della marocchina Yasmine Kassari, alla sua opera prima, senza dialoghi, dove si racconta di un uccisore di cani in un villaggio dove esiste la tradizione di uccidere cani randagi: strutturato come un western, si dipana su tre piani, il cacciatore che arriva col fucile, i cani che cercano di nascondersi e infine un’anziana e un uomo che sono paragonati ai cani. La carne, gli odori e i sapori contrappuntano la mancanza di terra e di radici. Il suo opposto è un film che si chiama Idylle (Idillio) di Dominique Camara, tutto girato in studio, con un appartamento dove vive una coppia, e un palcoscenico dove questa coppia recita a teatro le prove di una coppia in crisi: i loro problemi personali sono gli stessi che recitano, con la realtà e la finzione che si toccano. Molto pulito nella descrizione, è un perfetto esercizio di stile, quasi asettico. Tra i corti, Les oubliés (I dimenticati) della regista del Togo Anne Laure Folly, una da sempre impegnata in documentari sulle donne e su aspetti problematici della realtà africana. Girato in Angola con i protagonisti reduci dalla esistenza quotidiana della guerra, è un ritratto di molte donne, raggiunte e poi messe davanti alla cinepresa, con una aderenza totale che supera il documentario classico dell’intervista per arrivare all’abolizione appassionata della distanza, visitando le loro case e il loro stile di vita. Uno egiziano notevole è The Kite (L’aquilone), che espone i vari momenti di presa di coscienza della propria femminilità da parte di una giovane: la famiglia, le mestruazioni, il primo ragazzo e la repressione totale da parte di suo padre, ingabbiandola e impedendole di vivere le esperienze adolescenziali. Raccontato dal punto di vista della ragazza, è ricco di sensibilità. La selezione a tema di sette film della commedia all’africana, l’Africa felix, dagli anni ‘70 ad oggi, ha offerto scoperte importanti. Un regista egiziano, Daoud Abdel Sahed, con Kit Kat, tutto ambientato nel quartiere omonimo del Cairo con molti personaggi. Rispetto al resto del cinema egiziano, un po’ "tramandato", il regista è molto attento sia ai personaggi, esposti con occhio critico e affettuoso, senza strafare, sia al lato visivo, con notevoli capacità di inquadratura.

Maurizio Ferrari

www.festivalcinemaafricano.org

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