-

Festival Internazionale Torino Giovani 1997

LE ETA’ D’ORO DEL CINEMA MESSICANO E ARTURO RIPSTEIN

al 15° Festival Internazionale Torino Giovani

Anche per il Messico l’avvento del cinema sonoro ha segnato una rivoluzione importante, e la retrospettiva che il Festival di Torino Giovani gli ha dedicato ne ha permesso una fruttuosa rivisitazione, esplorando il periodo migliore. L’eldorado filmico ha inizio nel 1933 e s'allunga fino alla fine degli anni cinquanta. Trentacinque film sono stati l’asse portante di una panoramica dedicata alle opere più innovative o rappresentative di quella produzione.

La svolta parte con La mujer del puerto di Arcady Boytler, eccellente film da un soggetto di Guy de Maupassant su una prostituta che si uccide dopo aver commesso adulterio col fratello. E’ un film personale, pieno di atmosfere e personaggi, raccontato con insolita intensità. In quel periodo si porta a compimento anche Redes di Emilio Gómez Muriel e Fred Zinnemann, fotografato da Paul Strand, prodotto dal Ministero dell’Educazione, in un progetto governativo di girare un film "con la gente e per la gente". Il risultato, deciso a diventare esempio per un buon cinema nazionale, è una storia di pescatori che si ribellano ad un mercato monopolistico che è deciso a tenerli in uno stato di perenne schiavitù economica. Sotto la guida del presidente Lázaro Cárdenas (1934-1940), si crea l’Union de Trabajadores de Estudios Cinematográficos, che fa crescere l’industria del film, e si creano gli studios della Cinematográfica Latino Americana, che realizzeranno ¡Vamonos con Pancho Villa! Il film viene diretto da Fernando de Fuentes nel 1935, i campesiños e i proletari hanno un atteggiamento mai enfatico e racconta le gesta di sei contadini che raggiungono la Divisione del Nord e muoiono valorosamente. Un reggimento dell’armata regolare, l’artiglieria, le uniformi, i cavalli e i cannoni fanno il resto. Lo stesso regista l’anno seguente realizza Allá en el Rancho Grande, altro film innovativo perché battezza il genere del genere comedia ranchera, apre il Messico a tutti i mercati dell’America Latina e cambia il corso dell’industria.. Il candore delle ragazze, il temperamento paesano, la baldoria ininterrotta, il canto, la generosità del padrone e la cortesia generalizzata saranno la base per successivi drammi e commedie.

I temi folclorici o nazionalistici perdono peso durante il periodo che precede la Seconda Guerra Mondiale, quando molta della popolazione rurale si riversa nelle grandi metropoli. Vanno quindi di moda i film melodrammatici o di costume sociale. Tipici di questo fenomeno sono Distinto almanecer di Julio Bracho, storia d’amore con annessi dirigente sindacale assassinato e governatore corrotto, e Nosotros los pobres di Ismael Rodríguez, storia a lieto fine con poveri buoni e ricchi cattivi, amore e canzoni. In quegli anni arriva anche l’esule di guerra Luis Buñuel, scappato dal dittatore Franco, transitato per Hollywood e approdato a Città del Messico, presente in retrospettiva con due commedie urbane, El gran calavera e La ilusion viaja en tranvia, mordenti abbastanza da dire a modo suo grazie dell’ospitalità.

In quel periodo la popolazione bianca era di neanche il 15% del totale, eppure la presenza schermica era la più rilevante, mentre gli amerindi e i meticci, pur essendo in maggioranza, avevano poco spazio sul bianco telone. A rimediare ci pensa soprattutto Emilio "Indio" Fernandez, figlio di un messicano e una india. E’ lui che traduce in immagini un’idea di paese primitivo e mitologico, in ambienti assolati e rurali, con ragazze sfortunate. Il film che lo fa notare è Flor silvestre (Messico insanguinato), uno dei cinque lavori presentati a Torino. E ancora Enamorada, sorta di Bisbetica domata in chiave rivoluzionaria e con la coppia Pedro Amendariz e María Félix, e soprattutto Marìa Candelaria (La vergine indiana), che rappresenta l’estetica dello spirito autoctono. Altri sono in ogni caso i film interpretati dagli stessi volti, come Raíces del ‘53, diretto da Benito Alazraki sui problemi e modi di vita dei nativi.

Nel dopoguerra si affacciano nuove esigenze di divertimento, che favoriscono la raffigurazione della civiltà barocca e latina, che esplodono in un’esasperazione dell’inattendibile: il melodramma diventa il contenitore per storie sulla famiglia, sul fato, sulla religione e sulla debolezza umana. Tanto basta a riempire le sale. Tutto questo cinema attualizza il modello industriale statunitense, proponendo stili e generi, e creando un fenomeno divistico che risponde al nome di María Felix, Dolores del Río, Columba Domínguez, Ninón Sevilla, Jorge Negrete, Pedro Amendariz, Arturo de Córdova, Pedro Infante. Il macho è perfettamente riconoscibile e la donna può essere madre affettuosa ma più spesso donna perduta, per scelta o necessità. La tradizione ha lo stesso valore della modernità. Ci si rivolge agli analfabeti con un cinema popolare e alla classe media col melodramma, si mescola il tutto con il modo di vita nazionale, ardente e folle, insomma si diversifica il mercato.

Sul finire degli anni ‘50 il Messico comincia un periodo di decadenza creativa e di frequentazione del pubblico. A risollevare in parte le sorti si inventa il cinema del terrore, ad opera principalmente di Fernando Méndez con El vampiro e Ladrón de cadáveres, film che poi troveranno un posto anche nel mercato internazionale.

Dopo quest'eldorado, il degno erede prende il nome di Artuto Ripstein. La sua ispirazione parte dal filtro della coscienza: quando il soggetto di un film supera questa fase è già a buon punto per essere trasposto in cinema. Se alcuni personaggi gli provocano anche una pur lieve emozione, terribile o dolce che sia, forse li vedremo anche noi. Ripstein reinventa il melodramma e pare interessato soprattutto da storie e personaggi marginali, sopravvissuti, perdenti, disperati, in un mare di miseria, al limite delle forze e del crollo psicofisico. Imperante nel suo cinema è l’amore, che supera ogni ostacolo e peccato, fa compiere atti selvaggi e infine diventa amore folle. I personaggi sono guidati dall’essere e non dall’apparire, questa è la forza penetrante del suo cinema, quella che trasforma persone normali in sovversivi (si veda ad esempio La mujer del puerto o Profundo carmesi), guidate da paure e desideri. La famiglia, l’ordinamento costituito, la civiltà, l’educazione, cedono il posto ad atti sfrenati e incontrollati. Il destino incombe senza pietà sulle vicende, segnando un percorso che non è possibile evitare.

Ripstein appartiene alla seconda generazione dei registi messicani ed è considerato tra i sette più importanti del Messico. Ha conosciuto e frequentato i "padri fondatori" dell’età d’oro di questa fabbrica e ha lavorato accanto a loro. Ha cominciato facendo da assistente a Buñuel per L’angelo sterminatore e Simon del deserto (evidentemente questo inizio deve averlo marcato profondamente anche come modo di intendere il cinema). Il passo successivo è la realizzazione di Tiempo de morir (1965), che lo segnala all’attenzione della critica. Tirato da un soggetto di Garcia Marquez, affronta le vicissitudini di un omicida che esce dalla galera e deve sfidare i figli del morto. Altra mirabile opera è El castillo de la pureza, del 1972, incentrato su una famiglia tenuta in completo isolamento in pieno centro di Città del Messico. Il padre ha un potere assoluto su moglie e figli, deciso a non farli contaminare dal mondo esterno e curandone l’educazione. Dopo un po’ le cose girano nel modo storto: fratello e sorella cominciano a toccarsi reciprocamente, e successivamente la casa va a fuoco per concludersi con l’arresto del padre. La pellicola è un violento attacco contro l’istituzione famigliare, vista come luogo di nascita di tutte le malattie sociali, a cominciare dall’alienazione e dalla desolazione. Successivamente Foxtrot, ambientato a cavallo tra i due conflitti mondiali, segue una coppia che si rifugia su un’isola deserta per sfuggire alla guerra, ma l’ingratitudine degli eventi porta i due a rovinare il loro rapporto. Qui sono i valori della proprietà e dell’intolleranza a farne le spese, dimostrando che è inutile cercare di conservare uno stile di vita non consono alla situazione reale. Il successivo Lecumberri appartiene all’attività parallela di Ripstein, attivo anche nel campo del cortometraggio e del documentario. Conosciuto anche come El palacio negro, è una lunga indagine sulla prigione della capitale, i detenuti, come sono finiti dentro, la corruzione, le ore della giornata. Un lugar sin limites è un ambiguo triangolo sanguigno che coinvolge il modello dell’uomo maschio, la ragazza tenutaria del postribolo e il papà omo. Una descrizione ruvida e inquadrature fisse interpretano la desolazione di un paese inerte e di una etnia ancorata alla propria sorte. Ancora la fatalità è il segno sotto il quale si pone Cadena perpetua, su un ex-ladro costretto a riprendere il vecchio mestiere, spinto dalla polizia corrotta. Dopo tre precedenti versioni, anche il nostro si cimenta con La mujer del puerto. La storia è quella di un incesto fraterno e inconsapevole, condita con istinti primordiali, amoralità e suicidio finale. L’amore impossibile ha un vago sapore mitologico e rimanda al porto, visto come luogo di frontiera dove tutte le azioni appartengono contemporaneamente al Bene e al Male. Attualmente l’ultima fatica si chiama Profundo carmesi, anche questo tratto, come spesso gli succede, da un fatto realmente accaduto. Lui, nullafacente, e lei, grassona poco attraente, diventano una coppia dedita all’omicidio ai danni di vedove, una necessità conseguente all’amore ebbro e inattuabile.

In Italia è un regista tutto da scoprire: anni fa è uscito in cassetta Foxtrot, ma solo perché è stato una coproduzione statunitense con Peter O’Toole e Charlotte Rampling, e adesso Profundo carmesi, ma solo perché è stato al Festival di Venezia nel 1996. Bene quindi che il Festival di Torino Giovani abbia affiancato alla retrospettiva sul cinema messicano, ai tempi del suo massimo splendore, la possibilità di conoscere questo regista internazionalmente conosciuto e attivo da oltre tre decadi, tramite una personale a lui dedicata.

 

Maurizio Ferrari

www.torinofilmfest.org

home mail

-

-