Festival Internazionale Torino Giovani 1998

RETROSPETTIVA: LA NASCITA DEL CINEMA IN AFRICA

La retrospettiva dell’ultima edizione del Torino Film Festival è stata dedicata all’Africa e ha coperto il periodo che parte da metà degli anni ‘50 e arriva fino al 1975. Sulla pellicola il documentario e la finzione, i dialoghi in presa diretta o le voci fuori campo a ricreare i dialoghi in una specie di oversound, danno il senso della fine delle colonizzazioni e nascita, a tutti gli effetti, del cinema in Africa. Infatti fino a quel periodo se in Africa qualcuno girava film non poteva essere che uno straniero o un colonizzatore. Poi gli stati africani hanno cominciato a diventare indipendenti e di conseguenza hanno cominciato a produrre le proprie immagini. Una delle poche eccezioni è costituita da Jean Rouch, che lì era vissuto per molto tempo e aveva fatto esordire dei personaggi come Oumarou Ganda o Mustapha Alassane, che erano i due più grandi registi del Niger, in qualità di attori o assistenti. Lentamente si producono dei film e nascono cinematografie. Alcuni registi poi sarebbero diventati noti, come Sembene Ousmane e Diop-Membety, e altri (come accade ovunque) successivamente si sarebbero persi per strada. L’interessante è stato vedere i primi film di registi che poi sarebbero diventati noti al mondo intero. La selezione è stata ristretta all’Africa nera con l’esclusione del Sud Africa, che è uno stato dalla produzione immensa e che costituisce un cinema a parte. L’immagine che se ne trae è quella di un‘Africa non felice e neanche depressa, quanto molto realistica. Finalmente i neri potevano parlare di se stessi in modo vero, con piccoli e grandi problemi, con storie d’amore e di lotta, con un cinema militante, duro, che brandiva le armi in pugno. D’altra parte viene dato spazio a un cinema di piccoli racconti. Sarah Maldoror con Sabizanga o Haile Gerima con Child of Resistance sono due registi dalla dura militanza politica. Altri partono da situazioni più intime per raccontare gli scontri tra modernità e tradizione: Mahama Johnson Traoré in Diankha-bi è un senegalese che racconta con straordinaria leggerezza l’esigenza di ragazze adolescenti o poco più di vestirsi all’occidentale e di vivere in altro modo. Altri film sono ambientati nel mondo contadino: Kaddu Beykat di Safi Faye è doloroso nel descrivere la vita quotidiana delle donne nei campi. Un autore a parte è Djibril Diop-Membety, che possiede uno sguardo grottesco, ironico, allucinato, politico, che decostruisce il linguaggio e fa dei montaggi azzardatissimi, riprendendo il cinema come grande sperimentatore, quasi un Godard africano.

Spesso c’è il viaggio di un protagonista dalla campagna alla città, oppure sono ambientati altrove (in Francia o negli Stati Uniti) a testimoniare di uno sradicamento drammatico, dando ritratti di cliché esasperati. La separazione tra documentario e finzione cade in quasi tutti i film: molte sono le scene in esterni, sia nei villaggi sia nelle metropoli, le attività domestiche, le feste, i riti, le danze e alla fine non si distingue l’attimo colto al volo da quello preparato per far andare avanti il racconto.

La più parte di questi film, alcuni vere rarità, sono di provenienza parigina, in quanto in Africa poco è stato conservato, data la mancanza di musei di cinema e cineteche. La varietà di proposte, sia a corto sia a lungometraggio, ha documentato di un cinema che ormai è sparito: la bellezza e la freschezza di questo cinema degli anni ‘60 e ‘70 si è completamente persa. Attualmente qualcuno riesce ad essere fortemente autore, mentre la più parte del cinema africano è mediocre e deve sottostare alle produzioni associate con l’occidente, permettendo d’altro canto di essere molto più visibile all’estero.

Maurizio Ferrari

www.torinofilmfest.org

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