Festival Internazionale di Venezia 1997

BRITISH RENAISSANCE A VENEZIA

L’incremento produttivo dell’Inghilterra nell’ultimo periodo ha dato i suoi frutti anche durante l’ultimo festival di Venezia. Una sezione denominata British Renaissance II, a ricordo di quella più gloriosa dei tempi passati, ha visto la presentazione di otto titoli, un piccolo assaggio di un nuovo fermento che sta percorrendo la Gran Bretagna. Ovviamente con gli aggiornamenti del caso, pur all’interno di un progetto di spettacolo e cultura. Non a caso cinque film su otto sono coprodotti dalla televisione e l’impressione generale è di un cinema piuttosto laccato e senza potenzialità eversive. Su tutti spicca TwentyfourSeven (24.7) di Shane Meadows. Il ragazzaccio terribile e guastatore ha come precedenti un documentario TV sugli zingari e un paio di cortometraggi su giovani dall’aspetto irrecuperabile. Ora si cimenta con un bianco e nero che ha le stesse atmosfere degli anni arrabbiati, protagonista Bob Hoskins in piena forma, anche fisica, giacché riesce ad organizzare un club di pugilato. Lo scopo è quello di levare i ragazzi dalla strada, restituirgli dignità morale, temprarli nel fisico e fargli sentire lo spirito di gruppo. Un gradino sotto, in termini di godibilità, risulta Under the skin (Sotto la pelle) di Carine Adler: anche in questo caso l’impronta inglese è evidente. Al centro della vicenda c’è una ragazza momentaneamente incapace di sopportare che la madre è morta. Aggiunto a quello di pensare, sbagliando, che la madre le preferisse la sorella maggiore.Da un equilibrio economico e sessuale instabile passerà alla pace con se stessa solo dopo essersi messa in discussione. E’ attraversata da conflitti di valori Helena Bonham-Carter in The wings of the dove (Le ali della colomba) di Iain Softley (regista dal passato rocchettaro): sposare l’amato o affermare il suo ruolo in società? Il conflitto tra i valori del secolo passato e le passioni di questo troveranno inaspettata soluzione nel finale, grazie all’arrivo di una giovane ereditiera americana. Parte strano Wilde di Brian Gilbert: Oscar Wilde in mezzo ai cow-boys a tenere conferenze promette chissà quali avventure in mezzo ai vaccari e minatori americani, ma poi si ritorna in Inghilterra per spiegarci con didascalico puntiglio l’opera omnia dello scrittore. Il regista, già colpevole di Tom & Viv, è autore del più televisivo tra i film di questo bouquet. Mojo (Soho) di Jez Butterworth rimanda all’estate del ‘58, col Rock ‘n Roll appena sbarcato a Londra. Ma non si tratta di un film musicale, quanto delle vicende di un gruppo di ragazzi che hanno stabilito la loro base in un bar. Qui troviamo sesso, alcol, pillole, contratti musicali, impresari. Le vicende di trascinano senza troppo colpi di scena, fino alla morte di uno di loro. Tratto da una commedia teatrale, quest'opera prima ne paga tutte le conseguenze in fatto di ritmo e di attrattiva. Piuttosto allungato nei tempi risulta Metroland di Philip Saville, classe 1934, impreziosito dalla presenza di Emily Watson, quella delle Onde del destino, qui in un ruolo di tranquilla moglie e casalinga nel quartiere periferico di Londra che da il titolo alla pellicola. La tesi triste del film è che la libertà e le avventure giovanili lasciano sempre il posto a valori più tradizionali, insomma il tempo ti mette le pantofole. Buon ultimo è Regeneration (Rigenerazione) di Gilles Mackinnon, ambientato in un ospedale militare durante la prima guerra mondiale. Scopo dei medici è appunto quello di rigenerare i soldati affetti da problemi psichici o da traumi bellici, per rimetterli in condizione di ritornare al fronte. Varie sono le correnti di pensiero e le metodologie applicate, ma il fine non cambia. Il film è fortemente pacifista e rimanda a pagine dolorose con doti di gran fascinazione visiva e intrigante esposizione delle vicende, in un luogo dove apparentemente non dovrebbe succedere quasi niente.

Maurizio Ferrari

www.labiennale.org

 

 

home mail

-

-