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Festival Internazionale del Film di Cannes 2002 - 55ª edizione

15 –26 maggio

Cannes si è portato via tutti gli altri festival con un cinema di grande interesse culturale e di grande impegno civile, in un ambiente peraltro elegante e di glamour. In mezzo ai molti registi importanti che nella decina di giorni della manifestazione si sono avvicendati, quello che è balzato in evidenza è stato l’Uomo e il suo modo di confrontarsi col mondo, ribadendo il festival nella tradizione di evento imperdibile, famoso e interessante.

Hollywood ending

Con il film di apertura Hollywood ending, Woody Allen nei panni di un regista pasticcione, e oltretutto bloccato da una temporanea cecità psicosomatica, è stato oltremodo divertente. C’è stato un piccolo assaggio di una ventina di minuti di Gangs of New York di Martin Scorsese, imponente epopea dalla gestazione difficile e soprattutto lunga, rivisto in più parti, con un magnifico Leonardo Di Caprio deciso a vendicarsi della morte del padre a tutti i costi contro il cattivissimo Daniel Day Lewis, ma distratto da Cameron Diaz, dove si comincia a comprendere in periodo di formazione di Amsterdam e con la grande battaglia delle due bande predominanti a Five Points. Ma soprattutto il concorso è la parte che occupa la fetta più grossa dell’attrazione generale. Predominanti come numero le opere da Francia, Inghilterra e Stati Uniti, David Lynch (regista che si occupa di estetica ma che come giurato si è interessato alla realtà e al politico) è stato chiamato a presiedere la giuria.

Il pianista

Alla fine la Palma d'oro è andata al film più emozionante, lo spettacolare Il pianista di Roman Polanski, con la persecuzione degli ebrei e l'Olocausto con la storia vera di Wladislaw Szpilman, il pianista che sopravvisse nel ghetto di Varsavia, sfuggendo alla deportazione, in un film che se non ci fosse stato bisognava crearlo, molto coinvolgente e che tocca il fondo del cuore, con Polanski che per realizzarlo ha aspettato decenni prima di sentirsi pronto, partendo dal bambino nel ghetto di Cracovia, tra persecuzione contro gli ebrei e Olocausto, ma senza fare autobiografia.

Bowling a Columbine

Altro bel premio è stato il premio speciale all'americano Michael Moore con il documentario riflessivo ma leggero nella narrazione sulla libera detenzione di armi da fuoco Bowling a Columbine partendo dalla strage del 1999 al liceo Columbine, in Colorado, per parlare di violenza e più in generale di stile di vita yankee e in controtendenza rispetto al sogno americano portato avanti dall’amministrazione Bush. Elia Suleiman ha vinto il premio della giuria con Intervento divino sull’interminabile conflitto fra palestinesi e israeliani e con un modo di raccontare tra il divertito e il surreale, sicuramente antinarrativo. Aki Kaurismäki con L’uomo senza passato ha composto una favola di grande trasfigurazione poetica, sicuramente una delle sue pellicole meglio riuscite e che ha conseguito il gran premio speciale della giuria e per la migliore attrice, dopo un’assenza dalle scene internazionali per oltre quattro anni, si ripresentava con un film epico, sopra le righe e di grande ammaliamento. Sweet sixteen di Ken Loach ha premiato l’elaborazione della sceneggiatura imperniata sulla disoccupazione della gioventù scozzese e sulla denuncia delle influenze nefaste della globalizzazione su certa parte della gioventù. Infine i fratelli Dardenne con Il figlio hanno fatto vincere il protagonista maschile, figura tribolata e portatrice di un grande e tragico peso, a tre anni dalla controversa Palma d'oro ottenuta con "Rosetta", in un percorso essenziale nello stile con una particolare relazione tra un falegname divorziato e solitario ed un giovane che fa apprendistato presso di lui: potrebbe essere la storia di un padre e di un figlio se non fosse che il ragazzo è anche l’omicida del figlio del falegname.

L’ora di religione

L’ora di religione di Marco Bellocchio, con Sergio Castellitto, è stato l’unico film italiano a partecipare al concorso e non ha vinto niente, ma anche altri meritevoli di attenzione non hanno potuto richiamare la successiva attenzione, come i francesi Robert Guédiguian con Marie-Jo e i suoi due amori, Gaspar Noé e il suo film-scandalo Irreversible con Monica Bellucci in ben nove minuti di violenza carnale da parte di uno sconosciuto, col film che comincia dalla fine con la punizione delllo stupratore, che nelle intenzioni voleva "choccare", ma che è riuscito solo vagamente, strappando soltanto qualche applauso.

Demonlover

Olivier Assayas con Demonlover e Nicole Garcia con L'Adversaire, o Mike Leigh con All or Nothing, David Cronenberg, Manoel De Oliveira Amos Gitai e il suo riflettere sulla creazione dello stato palestinese in Verso oriente, Abbas Kiarostami, o Alexandr Sokurov e il suo Arca russa, dal finale strepitoso.

Un certain regard

Il film d’apertura è stato Balzac et la petit tailleuse chinoise di Dai Sijie, divertita riflessione sulla Rivoluzione Culturale. Dubbi invece permangono su uno dei film più attesi di questa sezione, quel Ten Minutes Older – The Trumpet di Herzog, Jarmush, Kaige, Kaurismäki, Spike Lee, Erice, Wenders, dove ognuno aveva appunto dieci minuti per definire la propria idea di tempo. Le pellicole provenivano da tutto il mondo, e dagli angoli più remoti sono saltati fuori El bonaerense di Pablo Trapero, che già si era fatto piacevolmente conoscere anche in Italia per "Mondo Grua", il drammatico L’angelo della spalla destra del virtuoso Djamshed Usmonov e Double vision di Chen Kuo-Fu.

Quinzane des réalizateurs

La pellicola iniziale è stata Sex is comedy di Catherine Breillat, che si è dimostrata una delle migliori registe, e non solo francesi, con un film che è anche una arguta riflessione di cinema e metacinema. Pescando da ogni dove la "Quinzane des réalizateurs" ha dimostrato di essere come sempre interessante, con il premio della Camera d’or per la miglior opera prima del festival per Japon diretto dal messicano Carlos Reygadas e Bord de mer della francese Julie Lopes-Curval con una intensa Bulle Ogier, presente anche in Deux di Werner Schroeter, madre di due sorelle (Isabelle Huppert) separate alla nascita, tra instabilità, disperazione e incapacità di amare. Se Welcome to Collinwood non raggiunge lo status di mito di "I soliti ignoti" con George Clooney nella parte che fu di Totò, per lo meno il road-movie della ventunenne Morven Callar di Lynne Ramsay è relativamente spensierato nel concedersi una vacanza dalla nebulosa Scozia alla solare Spagna. Nutrita la presenza italiana, con Roberta Torre a ritrarre in Angela un ritratto di delinquenza mafiosa dove la quotidianità di una donna d’onore si scontra con i suoi più profondi sentimenti di desiderio femminile, L’imbalsamatore di Matteo Garrone con un terzetto dove l’amore negato comporta violenza, in un viaggio all’interno dei sentimenti, le incomprensioni dei protagonisti, piuttosto anormali, fanno diventare un incubo la vita degli altri. I personaggi sono pieni di sfumature, il nano vuole il ragazzo ma mostra anche sentimenti paterni, il giovane è ingenuo ma cauto, la ragazza è contenta del poco che possiede ma dà anche sfoggio di prepotenza. Il noir assume le tinte della fiaba cupa e la tragedia finale è inevitabile.

Semaine de la critique

Bella ciao di Roberto Torelli e Marco Giusti ha mostrato scene inedite e tremende delle giornate di Genova e di Carlo Giuliani, con Vittorio Sgarbi che è stato cacciato in malo modo dalla sala a suon di fischi , mentre vale la pena di ricordare almeno Hundstage – Dog days dell’austriaco Ulrich Seidl, presentato come il film-rivelazione dell’anno dalla FIPRESCI e incentrato su sofferenza, sesso e musica di sei anime solitarie nella periferia viennese. Per l'Italia, dopo il premio della "Semaine de la critique" a Crialese e al suo Respiro quale miglior film, altra bella soddisfazione è stata affidare la chiusura della sezione al rocker emiliano Luciano Ligabue, che con Da zero a dieci ha confermato le modulazioni giovanilistiche attraverso le quali si organizza questa sezione.

Questa kermesse, in mezzo a tanti lustrini e star e feste e denaro e pubblico che vuole vedere qualcosa e giovani di belle speranze, si propone di dare il piacere di scoprire la novità, determonata dalla varietà di proposte e di messaggi, dove la tradizione e la cultura esistono ancora, al di là delle voglie commerciali che possono trovare o meno una loro soddisfazione. L’appuntamento per la prossima edizione è dal 14 al 25maggio 2003.

Maurizio Ferrari

I premiati

Palma d’oro: Il pianista di Roman Polanski

Gran premio: L’uomo senza passato di Aki Kaurismäki

Premio della giuria: Intervento divino di Elia Suleiman

Miglior attore: Olivier Gourmet per Le fils

Miglior attrice: Kati Outinen per L’uomo senza passato

Migliore regia: ex aequo a Paul Thomas Anderson per Punch-Drunk love e Kwon-Taek Im per Ivre de femmes et de peinture

Migliore sceneggiatura: Sweet sixteen di Ken Loach

Premio della Giuria: Elia Suleiman per Intervento divino

Premio speciale: Michael Moore per Bowling a Columbine

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