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Cannes 2003 - 56ª edizione ::: 14 –25 maggio 2003

Da sempre festival caratterizzato dalla continuità della cifra stilistica dei grandi registi che partecipano a questo (diciamolo pure) evento, ma anche luogo per una sana rilettura della nostra storia, questa volta è stato anche un’occasione di confronto tra la cinematografia francese e quella italiana, molto più che in altre occasioni. Pur con un numero basso di opere presentate (probabilmente per scarsa unità da un punto di vista politico-istituzionale e con un’Italia Cinema in un momento di passaggio di maggioranze azionarie), comunque gli italiani sono approdati sulla Croisette con un grande impatto artistico e produttivo. L’opposto invece stato il numero di film francesi, che arrivavano al numero di quattordici, e con cinque in concorso. L’apertura del cinquantaseiesimo Festival di Cannes è stata col film fuori concorso Fanfan la Tulipe, rifacimento del film che nel 1952 vide protagonisti Gérard Philipe e Gina Lollobrigida e adesso diretto da Gérard Krawczyk con Vincent Perez e Penelope Cruz, e tra l’altro segna l’inizio di una collaborazione triennale tra Rai Cinema (e quindi il suo braccio distributivo 01 Distribution) e Europa Corp, la società francese guidata dal produttore-regista Luc Besson. A seguire sono partiti i cinquantadue film della selezione ufficiale a rappresentare ventiquattro paesi. Di questi erano venti i film del concorso, con la giuria presieduta da Patrice Chéreau. A vincere sugli altri è stato, in opposizione a quanto previsto inizialmente e dopo una lunga polemica Francia-Usa molto basata sulla posizione francese sulla guerra all'Iraq, Elephant di Gus Van Sant. La Palma d’Oro per il miglior film e miglior regia è finita a un film che per quanto pensato e girato inizialmente solo per un passaggio televisivo, risulta distaccato, violento, teso e tutt’altro che prevedibile, e contemporaneamente molto riflessivo e che stimola molte reazioni, ricevendo due premi maggiori in deroga al regolamento che non ne consente la possibilità. Tutto è incentrato sul forte senso di angoscia che va a precedere l’imminente massacro del liceo Columbine. Non si cercano soluzioni definitive a problemi che riguardano la società tutta, nello specifico quella americana, ma si scava nella psiche dei giovani studenti. Alle cinque della sera di Samira Makhmalbaf è stato accolto molto favorevolmente da pubblico e critica. La ventitreenne regista ha vinto il Premio della Giuria pensando a un monito sulla condizione della donna con le immagini del paesaggio afgano, ripreso dopo l’intervento militare americano. Si vede povera gente e qualche carretto, una donna che allatta in mezzo alla strada, siamo in città ma sembra campagna, e su tutto una realtà di solidarietà femminile, dopo le mille coercizioni del regime talebano. Eventualmente sembra troppo generosa l’assegnazione dei Gran Premio della Giuria e miglior interpretazione maschile ai due attori dell’intimista e piuttosto lento Uzak del regista turco Nuri Bilge Ceylan: si tratta di Muzaffer Ozdemir e Mehmet Emin Toprak, deceduto in un incidente d’auto dopo la fine del film e che forse proprio a Cannes avrebbe passato la luna di miele. Al centro della vicenda c’è la storia di un fotografo costretto, controvoglia ma alla fine con grande amicizia, ad ospitare un giovane parente alla ricerca di un lavoro su una nave che gli permetta di lasciare la Turchia. Les Invasions Barbares del canadese Denys Arcand ha ricevuto il premio per la migliore sceneggiatura e quello per la migliore attrice (Marie-Josée Croze) con un racconto commovente e divertente, con la riconciliazione fra un padre e un figlio che ci fa tutti ritrovare ad affrontare la morte in faccia; ma in modo leggero, ironico, spiritoso e irriverente, ma pure intenso, corposo, pieno di sentimenti, di rimandi al passato e all'amore.

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Les invasions barbares

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Fra quelli rimasti a mani vuote da segnalare Pupi Avati, che con l’unico film italiano in concorso Il cuore altrove si è sentito in diritto di lamentarsi dopo che i dieci minuti di standing ovation della proiezione pubblica l’aveva fatto ben sperare. La storia di un sentimento contrastato dai genitori di entrambi è un viaggio nostalgico nella memoria, che ribadisce con poca novità la sua maniera di filmare, con il cuore proiettato in un'altra dimensione, in impaccio e difficoltà nei confronti del modo esterno, ostinatamente sognando sogni e illusioni: forse per questo alla giuria non è piaciuto. E così anche Nicole Kidman, inarrivabile protagonista di Dogville di Lars von Trier, che si inventa una cittadina americana (lui che non prende mai l’aereo!) creandola dentro ad un capannone e disegnandola semplicemente per terra in maniera molto credibile. E’ un film di stampo teatrale, decisamente anti commerciale, dove in tre ore di dramma si comprendono le paure dell’America d’oggi. Le premesse poi di pubblico e critica avevano fatto ben sperare anche il Mystic River di Clint Eastwood, su tre amici seguiti da piccoli e ora grandi, molto spostato sull'indagine, che permette un insolito approfondimento psicologico, ci si affida al genere tradizionale del poliziesco classico per far riaffiorare i fantasmi del passato, dove c'entrano anche il sonno, i sogni, la notte. Molto intenso, crudo, drammatico e tragico, mette in scena un dolore cupo e la nevrotica voglia di vendetta o di espiazione, ma anche coraggio, onore, amicizia e solidarietà. Piace ricordare anche lo scandaloso Swimming pool di François Ozon, riuscito contrasto di un’attempata scrittrice inglese di romanzi gialli, spedita del suo editore nella villa francese, e dalla tranquillità rovinata dell’esuberanza sensuale della figli di questi. C’erano anche Père et fils di Alexander Sokurov e The Tulse Luper’s Suitcase, prima parte della nuova trilogia di Peter Greenaway. Di passaggio anche Nanni Moretti, con un paio di cortometraggi e The Last Customer, una ventina di minuti sull’ultimo giorno di attività di una farmacia di N.Y. in un edificio prossimo alla distruzione e con tanta commozione di proprietari e clienti Attesi ma assenti perché non pronti per le date del festival c’erano i film di Angelopoulos, Bergman, Bertolucci, Campion, Coen, Kusturica, Wong Kar Wai e Tarantino.

Un certain regard

Nella selezione di "Un certain regard", una sezione che si caratterizza per essere giostrata su grande professionalità di selezione e poco incline ai giochetti di premiazione geopolitica, sono state selezionate venti pellicole di quattordici nazionalità e sono state proiettate le sei ore del film per la tv di Marco Tullio Giordana La meglio gioventù. E’ proprio lui che alla fine vince il primo premio, ribaltando per certi versi i linguaggi e i formati televisivi, con un fiume di immagini sempre proposte a bassa voce per descrivere quarant’anni di vita italiana che rifiuta di subire il destino. Inizialmente pensato solo per una programmazione televisiva, il premio porta soddisfazione e riflessione presso i vertici Rai, che rimandano di qualche mese la visione sul piccolo schermo per aprire alla distribuzione nelle sale italiane e alle vendite all'estero.

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La meglio gioventù

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Il premio della Giuria è invece finito nella mani dell’iraniano Jafar Panahi per Sangue e oro. Da questa sezione una delle opere più convincenti appare American splendor di Shari Springer Berman e Robert Pulcini, innovativo nel proporre la storia di Harvey, che, oltre al suo lavoro nell’ospedale di Cleveland, si occupa di leggere, scrivere e ascoltare jazz col suo amico Robert Crumb, quello mitico dei fumetti alternativi.

Quinzane des réalizateurs

Nella sezione "Quinzaine des réalisateurs" troviamo L’isola, opera prima della regista Costanza Quatriglio, grazioso nel presentare l’idea della favola e dalla magia dei paesaggi attraverso Turi, quattordici anni, che vede il padre pescatore di tonni alle prese con questa pesca, appunto la "mattanza", sotto la sguardo incantato della sorellina Teresa. Probabilmente i due opposti di questa sezione, sempre molto aperta a un cinema anche alternativo, sono stati da una parte Osama del regista di scuola russa Sedigh Bermak, alle prese, all'inizio del periodo talebano, con le mille avventure di una ragazza che si traveste da maschietto per cercare un lavoro: il sonoro talvolta è incerto e neanche il girato video aiuta molto, ma basta l’intenzione. Dall’altro Interstella 5555 di Leiji Matsumoto, cartone animato assolutamente senza parole e di sola musica, che attraverso le immagini offre una visione interstellare di un gruppo musicale di un’altra galassia e dei sui rapporti col pubblico.

Con il supporto del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e una serie di enti legati al regista, il festival è stato dedicato a Federico Fellini nel decennale della scomparsa. Probabilmente grazie anche alla Palma d’oro ricevuta nel 1960 con La dolce vita, a Cannes viene ricordato col manifesto ufficiale, la prima retrospettiva completa (comprensiva di venti film e tre episodi) sottotitolata in francese in copie nuove o restaurate, versioni inedite, documentari e immagini di Fellini al lavoro. Ben 15.000 giorni da regista che iniziano con Luci del varietà del 1950 e finiscono con La voce della luna del 1990. In questo senso appare molto interessante il film di Mario Sesti L’ultima sequenza e che si riferisce al finale diverso di 8 ½, che Felini aveva immaginato nel vagone ristorante di un treno dove comparivano molti dei personaggi del film. Sul set c’era anche il giornalista americano Gideon Bachman quale fotografo di scena e tra le migliaia di scatti sono saltate fuori anche quelli relativi appunto a quella sequenza poi tagliata in fase di montaggio ma che è ben presente nella sceneggiatura. Il film si muove secondo i modi dell’inchiesta e con l’aggiunta delle voce dello stesso regista, che commenta proprio quel girato. Molti sono stati quelli che hanno lamentato scarsa vitalità del concorso, ma la soddisfazione sul numero dei buoni film sembra innegabile, anche se indubbiamente non tutti i film presentati rientravano in un’ottica festivaliera, ma questo accade sempre. E comunque, come recitava il manifesto del Festival di quest’anno, "Viva il Cinema!".

Maurizio Ferrari

I premiati

Palma d’oro: Elephant di Gus Van Sant

Gran premio: Uzak di Nuri Bilge Ceylan

Premio della giuria: Alle cinque della sera di Samira Makhmalbaf

Miglior attore: Mehmet Emin Toprak e Muzaffer Ozdemir per Uzak

Miglior attrice: Marie-Josee Croze per Les Invasions Barbares

Migliore regia: Gus Van Sant per Elephant

Migliore sceneggiatura: Denys Arcand per Les Invasions Barbares

Link: www.festival-cannes.org

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