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Comune di Lecco

LE STAGIONI DEL CINEMA

AUTUNNO 2004

Dal 12 al 30 novembre nei cinema cittadini

Ingresso libero fino ad esaurimento posti

Comune di Lecco

Sezione Teatro e manifestazioni culturali

tel. 0341 481327/481357

e-mail: teatro@comune.lecco.it

Venerdì 12 novembre Cinema Capitol ore 21

LILYA 4 EVER

di Lukas Moodysson

Martedì 16 novembre ore 21 Cinema Capitol

LA SPOSA TURCA

di Fatih Akin

Mercoledì 17 novembre ore 21 Cinema Nuovo

LA TERRA DELL'ABBONDANZA

di Wim Wenders

Sabato 20 novembre ore 15 Cinema Nuovo

OPOPOMOZ

di Enzo D'Alò

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Martedì 23 novembre ore 21 Cinema Nuovo

COME INGUAIAMMO IL CINEMA ITALIANO

di Ciprì e Maresco

Venerdì 26 novembre ore 21 Cinema Marconi

MILLE MESI

Faouzi Bensaidi

Martedì 30 novembre ore 21 Cinema Marconi

COSI' FAN TUTTI

di Agnès Jaoui

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Venerdì 12 novembre

Cinema Capitol ore 21

LILYA 4-EVER

Regia e sceneggiatura: Lukas Moodysson; interpreti: Oksana Akinshina, Artyom Bogucharsky, Pavel Ponomaryov; fotografia: Ulf Brantas; musica: Nathan Larson; montaggio: Michal Leszczylowski; produzione: Lars Jonsson; origine: Svezia, Danimarca, 2002; durata: 109 minuti.

Lilya ha sedici anni e vive in una desolata periferia nell'ex Unione Sovietica ed è stata abbandonata dalla madre che si è trasferita negli Stati Uniti con il suo nuovo compagno. Il suo solo amico è l'undicenne Volodya che a volte dorme sul suo sofà. La speranza si risveglia quando Lilya si innamora di Andrei, che le chiede di seguirlo in Svezia per rifarsi una nuova vita. Volodya è preda della gelosia e del sospetto, ma Lilya fa le valigie e parte in aereo per la Svezia ignorando ciò che accadrà in seguito.

Lukas Moodysson non è cattolico e crede negli angeli, un tocco di ali bianche e luce abbagliante per vincere su un inferno terreno che sembra senza via d'uscita, quello dell'adolescenza perduta nei paesi dell'ex cortina di ferro. Il terzo film del regista svedese, dopo Fucking Amal e Together, parla ancora una volta di adolescenti ed esplora un universo torbido spingendosi oltre i limiti, verissimi, di una cronaca dove realmente il suicidio sembra l'unica strada di fuga verso il paradiso della normalità. L'opera di Moodysson, sottolineata dalla colonna sonora allucinata di Nathan Larson, fa male come un pugno nello stomaco, e vuole farne, se possibile, ancora di più. Perché, che piaccia o no, ha detto l'autore, "questa è la vita che io vedo adesso sotto i miei occhi per questi ragazzi". A loro Moodysson non regala nessun lieto fine. O meglio, l'unico epilogo positivo il regista lo trova in una dimensione spirituale e ultraterrena. Il film non lascia scampo, il report è sulle pagine della cronaca, dove non ci sono ali sulle spalle degli adolescenti borderline.

(Isabella Marchiolo in www.tuttoqui.it 30 agosto 2002)

Martedì 16 novembre

Cinema Capitol ore 21

LA SPOSA TURCA

Regia e sceneggiatura Fatih Akin; interpreti Birol Unel, Sibel Kekilli; fotografia Rainer Klausmann; montaggio Andrew Bird; produzione Ralph Schwingel, Stefan Schubert per Wuste Filmproduktion; origine Germania, 2003; durata 123 minuti. Orso d'oro Festival di Berlino 2004, Premio Fipresci Berlino 2004.

Si può benissimo mettere fine alla propria vita senza uccidersi, sussurra il medico. E Cahit, i cui numerosi tentati suicidi lo hanno infine condotto in clinica psichiatrica, sa benissimo come: ricominciando una nuova vita. Eppure l'angoscia che gli riempie l'anima continua a renderlo schiavo di alcol e droghe, con cui spera di sedare il suo dolore. Sibel, giovane, bella e, come Cahit, turco-tedesca, ama troppo la vita per essere una brava ragazza musulmana. Per sfuggire alla prigionia impostale dalla sua famiglia, devota e conservatrice, la ragazza inscena un finto suicidio, che però la coprirà solo di vergogna, senza portarle la libertà sperata. Solo il matrimonio potrà salvarla, perciò chiede a Cahit di sposarla. Riluttante, questi alla fine accetta. Forse per salvarla, o forse solo per fare una cosa che abbia senso nella sua vita. I due giovani iniziano a vivere insieme ma c'è poco che gli unisca. Lei assapora la libertà tanto desiderata; lui ha qualche flirt occasionale. Poi………… Il regista Fatih Akin aveva in mente da diversi anni la storia di La sposa turca, la cui idea nasceva da una esperienza del tutto personale: "Tempo fa avevo una relazione per niente seria con una ragazza turca, la quale mi chiese se mi andava di fare con lei un finto matrimonio". Il regista, inizialmente, aveva pensato a una commedia su questo argomento. Se La sposa turca alla fine è diventato una struggente storia d'amore, non è solo perché l'idea di base è evoluta in una nuova direzione con il passare del tempo. Infatti, mentre preparava il film, Akin ha iniziato a confrontarsi con il nuovo cinema turco. "Il neorealismo turco ha prodotto dei veri capolavori. Film seri, molto intensi, in cui commedia e tragedia sono sapientemente mescolate fra loro. Una vera forma d'arte". (Dal press-book del film).

Mercoledì 17 novembre

Cinema Nuovo ore 21

LA TERRA DELL'ABBONDANZA

Regia: Wim Wenders; sceneggiatura: Michael Meredith, Wim Wenders; interpreti: John Diehl, Michelle Williams; fotografia: Franz Lustig; musica: Thom; montaggio: Moritz Laube; produzione: Jake Abraham; origine: U.S.A., 2004; durata: 123 minuti.

Con le strade di Los Angeles a far da sfondo, il nuovo film di Wim Wenders è un saggio pungente e cupamente umoristico sull'America contemporanea. Vediamo il paese da due diverse prospettive: da un lato, attraverso gli occhi di un patriottico ed inquieto veterano del Vietnam e dall'altro, dal punto di vista di una giovane donna americana. Berretto verde in congedo, Paul è ossessionato dall'idea di dover proteggere la terra della libertà e di fare la sua parte nella guerra contro il terrore in corso. Colpito in combattimento vicino Long Thanh a diciott'anni, ora sta vivendo i crescenti effetti psicologici dell'avvelenamento da diossina, per essere stato esposto all'agente rosa più di trent'anni fa. Lana ha vissuto in Africa e in Europa negli ultimi dieci anni e sta tornando nel suo paese dopo una lunga assenza. Vuole andare al college, ma si trova coinvolta molto presto nella 'Missione Downtown' che opera per la grande comunità di senzatetto d'America, la Hunger Capital. E' un'idealista, ancora in cerca di una collocazione nel mondo. Trova la sua fede cristiana nell'opposizione per l'atteggiamento dell'attuale amministrazione. Paul non ha amici ed ha tagliato tutti i rapporti con la famiglia. La sua esistenza da recluso, come funzionario della sicurezza del paese, vacilla nel momento in cui arriva Lana. E' una sua nipote dimenticata da tempo e lui è l'unico legame con la famiglia della madre. Entrambi sono testimoni della morte di un barbone mediorientale e decidono di indagare sull'accaduto assieme, anche se spinti da ragioni diverse. In questa ricerca della verità, le loro diverse visioni del mondo si vengono a scontrare radicalmente. Questo film si basa sulla speranza che la 'verità' non sia una nozione del tutto persa nelle realtà sociali e politiche di oggi. Anche in America, anche nel 2003. (dal press-book del film).

Sabato 20 ottobre

Cinema Nuovo ore 15

Spettacolo per bambini dai 7 anni

OPOPOMOZ

Regia Enzo D'Alò; sceneggiatura Enzo D'Alò, Furio Scarpelli, Giacomo Scrpelli; direzione animazione Alessio Giurintano; disegni: Stranemani; effetti d'animazione Fabrizio Pistone, Andrea Tubili; musica Pino Daniele; montaggio Simona Paggi; produzione Luigi Musini, Roberto Ciccutto, per Albachiara, Raicinema, Eplanet; origine Italia, Francia, 2003; durata 102 minuti.

Come spesso accade anche nelle migliori famiglie, la gelosia cova tra le pareti domestiche. Vigilia di Natale. Nel piccolo appartamento di una modesta casa napoletana, tutti sono in subbuglio per l'arrivo prossimo venturo di un nuovo figlio. Tutti, eccetto il primogenito Rocco, il quale ha paura che la nascita del fratellino gli porterà via l'affetto dei genitori. Questo timore lo spinge a firmare un patto con tre diavoletti, mandati dal signore degli inferi Sua Profondità. Il principe delle tenebre, infatti, vuole impedire la nascita del bambinello e ha bisogno di un pensiero cattivo per attuare il suo piano. La gelosia di Rocco è il tramite che potrebbe permettergli di portarlo a termine. In aiuto di Rocco arriverà la cugina Sara, saccente e petulante, pronta a mandare all'aria il piano dei demoni pasticcioni.

Una favoletta per bambini che Enzo D'Alò ha disegnato scrivendosi il testo insieme con Furio Scarpelli. Il clima è meno lirico di quello che aveva portato al successo La gabbianella e il gatto, le vicende del piccolo protagonista hanno sempre freschezza e garbo. Da una parte il problema psicologico del bambino geloso, dall'altra la caricatura di quei diavolacci uno più beffato dell'altro con malizia. Mentre la regia, con segni e disegni di livello volutamente della prima infanzia, muove l'azione con furbizia all'interno di quel presepe che via via si anima, con Rocco ridotto alle sue stesse proporzioni. (Gian Luigi Rondi, in Il tempo, 5 dicembre 2003).

Martedì 23 novembre

Cinema Nuovo ore 21

COME INGUAIAMMO IL CINEMA ITALIANO

Regia Daniele Ciprì, Franco Maresco; sceneggiatura e montaggio Daniele Ciprì, Franco Maresco, Claudia Uzzo; interpreti Franco Franchi, Ciccio Ingrassia, Tony Bruno, Gregoria Napoli, Tatti Sanguineti; fotografia Daniele Ciprì; produzione Lucky Red, Cinico Cinema, Istituto Luce; origine Italia, 2004; durata 100 minuti.

Una docu-fiction su Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. I due comici di maggior successo della storia del cinema commerciale italiano. Il documentario si divide in una prima parte con la ricostruzione dei vecchi numeri dell'avanspettacolo e del teatro di strada, e una seconda dedicata ai film e alle apparizioni televisive e ai guai giudiziari. Ci sono voluti Ciprì e Maresco a rivalutare il genio comico di Franchi e Ingrassia spremuti dai produttori, con le loro movenze meccaniche assemblate con la fame e l'arte povera dei pupari di piazza. Non è un'inchiesta ma la raccolta di una serie di aneddoti veri, ma soprattutto inventati, per i due amici nemici. Interviste, ricordi, filtrati dal vitale sarcasmo in cui il cinema maschile dei due registi trova forza appoggiandosi alle libere elaborazioni biografiche. Come nelle migliori produzioni dei fratelli La Marca della Trinacria Film, con Gregorio Napoli cicerone enciclopedico, divenuto presenza fissa del gruppo, il film tradizionale e folle resta in bilico tra verità e cialtroneria. Ricordi di Monicelli, Fulci e pentimenti tardivi di Kezich per ricordare l'arte di arangiarsi tra Rinaldo in campo, i successi al cinema e la covata amarezza per il massacro dei critici. Ciprì e Maresco ridanno voce al cinema popolare dileggiandolo con eleganza, tra bugie e contraffazioni ma pieni di affetto e nostalgia. (Domenico Barone in www.kwcinema.kataweb.it).

Venerdì 26 novembre

Cinema Marconi ore 21

MILLE MESI

Regia: Faouzi Bensaidi; sceneggiatura: Faouzi Bensaidi, Emmanuelle Sardou, interpreti: Fouad Labied, Nezha Rahile, Mohamed Majd; fotografia: Antoine Héberlé; montaggio: Sandrine Deegen; produzione: Souad Lamriki, Bénédicte Bellocq; origine: Marocco, Francia, 2003; durata: 124 minuti.

Presentato al festival di Cannes dello scorso anno nella sezione 'Un certain regard', Mille mesi è l'opera prima del regista, attore e sceneggiatore marocchino Faouzi Bensaidi. La storia è ambientata nel 1981 in un piccolo villaggio immerso in un paesaggio duro e desolato, situato a ridosso dell'Atlante. E' un periodo storico confuso e il padre di Medhi, un attivista comunista è in carcere, ma la ragazzo, che vive nella casa del nonno con la madre, viene fatto credere che è emigrato in Francia. Medhi è un ragazzo dolce e intelligente e il maestro gli ha conferito "l'onore" di custodire e portare ogni mattina la sua sedia e per questo i compagni non lo amano. Nel frattempo intorno a lui il villaggio continua a vivere la propria quotidianità fatta di povertà, preghiera e pettegolezzi amorosi. Si tratta di un film curioso e in cero modo sperimentale, che inizia con un tono di puro realismo, focalizzato su Medhi e la sua famiglia, per poi poco a poco allargare e moltiplicare la prospettiva all'intero villaggio, raccontato in modo quasi surreale, con una macchina da presa che non indulge a movimenti complessi e che sceglie di posizionarsi sul totale piuttosto che sul primo piano. Nel complesso si avverte qualche incertezza nella sceneggiatura, ma Bensaidi regala alcune immagini di grande suggestione, come quella del piccolo Medhi e dei suoi precari equilibri alle prese con la sedia del maestro, metafora della vita. (Fabrizio Liberti in Film Tv).

Martedì 30 novembre

Cinema Marconi ore 21

COSI' FAN TUTTI

Regia Agnès Jaoui; sceneggiatura Jean-Pierre Bacri, Agnès Jaoui; interpreti Marilou Berry, Agnès Jaoui, Jean-Pierre Bacri, Laurent Grèvill; fotografia Stéphane Fontaine musica Philippe Rombi; montaggio Francois Gédigier; produzione Jean-Philippe Andraca, Christian Bèrard; origine Francia, 2004; durata 110 minuti.

Lolita, 20 anni, non ha il fisico esile che sognano le ragazze della sua età e neppure la bellezza della giovanissima seconda moglie di suo padre, uno scrittore affermato. Per dimenticare i suoi complessi si va a lezione di canto da un'insegnante sposata a uno scrittore senza successo. Che, introdotto nel salotto di quello affermato, si ritrova sotto la luce dei riflettori. Anche Lolita conosce una svolta nella sua vita innamorandosi di un giovane disinteressato. Il padre di Lolita rischia invece di perdere la sua giovane moglie. La vita scorre, si ferma, continua. Così fan tutti parte da una situazione qualunque, poi sviluppa una sceneggiatura dove i protagonisti si incontrano, si scontrano, si allontanano, un po' feriti un po' incompresi. Agnès Jaoui, qui al suo secondo lungometraggio dopo Il gusto degli altri, evita il dramma, ma esplora nei meandri del quotidiano fino ad immergervisi. La scrittura è sottile e intelligente. Analizza i legami di soggezione che si creano nella loro vita familiare, sociale e professionale. Come un romanzo, il film propone all'inizio tanti temi confonde le carte e solo dopo aver introdotto lo spettatore nell'ambiente, indica i suoi scopi. E' così la crisi di una giovane troppo grassa diventa un discorso sul servilismo e il potere. I personaggi sono veri, i dialoghi giusti, le situazioni credibili. Tutto si incatena logicamente. E i dettagli si riflettono l'un l'altro, rafforzando il quadro d'assieme. La regista, che ha ben appreso la lezione di Claude Sautet, equilibra toni agrodolci, battute e motti filosofici con la leggerezza di Rohmer. Amaro il finale: la solitudine e il non ascolto degli altri sono intrinseci alla natura umana. (Giorgio Rinaldi in Cineforum n° 436).

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