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Cannes 2004 57a edizione 12-23 maggio

L’edizione 2004 si è preoccupata di ridimensionare il numero dei film di tutte le sezioni e quindi anche per quelle in concorso, per un totale di 18 pellicole, e quindi da questo scremare è stato puntato molto sui grandi nomi e su titoli attesi da anni, tutti dentro al più grande festino cinematografico possibile, naturalmente con annessa Montée des Marches. Non si è trattato solo di grandi firme ma anche di sostanza, infatti in questo armamentario ci si è preoccupati di attraversare il mondo con uno sguardo attento. Il Festival di Cannes è stato insolito e audace, levandosi quella patina che lo aveva offuscato nell’allestimento precedente. Laura Morante è stata la madrina che ha accolto Quentin Tarantino, presidente della giuria, a decidere le sorti delle pellicole in concorso, insieme a Tsui Hark, la Béart e Kathleen Turner tra gli altri. Il tutto si è aperto col bramato La mala educacion di Pedro Almodovar, storia in larga parte autobiografica di pedofilia, omosessualità e movida, partendo da una scuola religiosa, retta da Padre Manolo, coi due protagonisti che scoprono il cinema e l’amore negli anni ’60. I francesi sono rimasti sorpresi ad avere soltanto tre film in concorso e in Italia si è gridato al miracolo per Le conseguenze dell'amore di Paolo Sorrentino.

 

Le conseguenze dell'amore

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In realtà il risultato finale è stato la qualità oltre le nazionalità. Il concorso ha visto l’assegnazione della Palma d’oro al documentario: Fahrenheit 9/11 di Michael Moore, dove si raccontano gli interessi privati del presidente Bush, la sua inettitudine, gli affari con la famiglia Bin Laden e la guerra in Iraq, con narrare umoristico e abilità nell’associare le informazioni a un montaggio veloce e un commento deridente, effetti comici, ironia, provocazione e sarcasmo.

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Fahrenheit 9/11

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Il Gran premio della giuria è andato al violento film "Old Boy" del regista sud-coreano Park Chan-wook, che opera un travolgente adattamento da un manga, conquistando il presidente della giuria, che ha voluto attribuire parecchia parte del Palmares agli asiatici. Infatti il premio per la migliore interpretazione maschile è andato al dodicenne Yagira Yuya per il film Nobody knows del regista Kore-Eda Hirokazu, bravo nel rappresentare la storia di un’evoluzione, e per quella femminile alla straordinaria cinese Maggie Cheung, per il film Clean lussuoso melodramma diretto dal suo ex marito Olivier Assayas, che per riprendersi il fratello requisito dai genitori adottivi dovrà rifarsi una vita e diventare, appunto, pulita.. E ancora è tailandese il gran premio della giuria Tropical Malady di Apichatpong Weerasethakul, coprodotto da Marco Müller e lungamente segnalato tra i favoriti. Il premio per la regia è andato a Tony Gatlif per il film Exils, probabilmente il più vitale di tutti, con una coppia di fidanzati che da Parigi, passando per la Spagna, percorre il tragitto inverso dei genitori emigrati dall’Algeria. Il premio per la sceneggiatura è andato meritatamente a Agnes Jaoui e Jean-Pierre Bacri, un padre egocentrico e distratto per Comme une image/Così fan tutti.

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Comme une image

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Infine si segnala l’attrice afro-americana Irma P. Hall per il film dei fratelli Coen in un racconto gotico relativamente geniale e lontano dal capolavoro, piuttosto una commedia graziosa con una comitiva di tipi buffi e originali, The Ladykillers. Gli altri erano dall’Inghilterra The Life and Death of Peter Sellers secondo Stephen Hopkins, libera ricostruzione di uno dei più grandi artisti del secolo scorso, e l’irriverente e politicamente scorretto Bad Santa-Babbo bastardo di Terry Zwigoff. Wong Kar-wai in 2046 riprende i personaggi dell’ottimo In the mood for love.

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2046

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I diari della motocicletta di Walter Salles meritava certo di vincere qualcosa, con Gabriel Garcia Bernal a cavallo di peculiarità, superiorità e armonia nel tratteggiare la presa di coscienza politica del Che alla scoperta di una realtà sociale e politica in un film emozionante che non lascia indifferenti, poetico anche quando racconta delle miserie umane, cantore di un’utopia sempre viva. Dal tanto cinema orientale almeno il Wu Xian di Zhang Yimou, quel divertito The House of the Flying Daggers-La forestadei pugnali volanti, con la notevole prova dell'affascinante Zhang Zizy e che va a seguire Hero, precedente Wu Xian recentemente giunto anche a noi. Alla fine sono rimaste Alanis Morrisette e Sheryl Crow a cantare Cole Porter, protagonista della biopic di chiusura De-lovely, rigorosamente fuori concorso. Jean-Luc Godard ci ha raccontato la guerra in Notre Musique, un inferno di distruzioni di villaggi, un purgatorio della Sarajevo odierna e Mostar, col ponte ricostruito e simbolo del tragitto dalla colpa al perdono. Blockbusters erano il Tarantino della vendetta della Sposa in Kill Bill 2 e Brad Pitt il guerriero quasi tutto digitale dell’Iliade in Troy.

Da segnalare il ritorno delle star americane, dopo il forfait dell’anno prima, con Brad Pitt, Jennifer Aniston, Tom Hanks, Catherine Zeta-Jones, Cameron Diaz, Antonio Banderas e Penelope Cruz. E’ stato anche il Festival della protesta, coi precari dello spettacolo che gridavano "Abrogation no, negociation oui", con incidenti, preoccupanti ma contenuti, in una manifestazione dei lavoratori francesi dove Michael Moore partecipava in nome della solidarietà, quello stesso signore bonaccione e impacciato e che a fatica contiene l’emozione del ritirare il maggior premio grazie a un film sul suo peggior nemico.

Un certain regard

Miglior film è stato giudicato Moolaadè del senegalese Ousmane Sembène, che racconta tristi storie del terribile tema dell’infibulazione. A tout de suite di Benoît Jacquot è un film sulla "donna del bandito" molto lancinante, con un lungo peregrinare per l’Europa nella speranza di nascondersi. Sempre dedito a ruoli scomodi, Sean Penn in The assassination of Richard Nixon di Niels Müller ha dimostrato di essere attore inarrivabile. In questa prestigiosa sezione partecipava anche Non ti muovere di Sergio Castellitto, pellicola insolita, intensa e quel che più conta visivamente emotiva, sofferta, dal poco romanticismo, per riconsegnare la varietà di sinuosità del romanzo premiato con lo Strega. Hotel di Jessica Hausner sembra un film minore per via di quell’innocua impiegata d’albergo dalle giornate tutte uguali, e invece ha tantissima forza espressiva. Dall’oriente almeno il Wu Xian dell’incantevole sud-coreano Sword on the Moon.

Quinzaine des réalisateurs

Nella 36a edizione della Quinzaine des réalisateurs, vetrina non competitiva dedicata ai registi, c’era anche Asia Argento con lo statunitense The heart is deceitful... above all things/Ingannevole è il cuore più di ogni cosa, tribolata vicenda, peraltro ben narrata, di padri sostituiti e madre calata nel tormento della biografia di J.T. Leroy. E’ solo un documentario l’italiano, Oh, uomo! di Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian, ma la terza parte di una trilogia sulla Prima Guerra Mondiale, sulle sofferenze fisiche, fa ancora impressione. Dal libro omonimo di Goffredo Parise, Mario Martone con L’odore del sangue tratta di un disordine sessuale e una ricerca esistenziale. Al di là degli aspetti scandalistici, resta la ricerca dell’amore, il tormento dei sentimenti, la gelosia e la paura di essere lasciati soli. Bravissimo e divertente Paul Vecchiali, che in A vot’ bon cœur è tragicomico nel dire di un regista alla ricerca di un finanziamento statale e che comincia a far fuori i membri della commissione.

Semaine de la critique

Era la 43a volta di questa collezione di bei titoli. Tra gli altri si segnala la Camera d’Or per la migliore opera prima a Or/Mon Tresor di Keren Yedaya, una regista israeliana americana che è commossa per la situazione palestinese, lavora in direzione della pace e racconta di Ruthie, di Tel-Aviv che si prostituisce da vent’anni, e della figlia Or che cerca di farla smettere.

Ha chiuso Sotto falso nome di Roberto Ando’, interpretato da Daniel Auteuil che vive una doppia vita, la sua e quella di un misterioso scrittore di fama mondiale che nessuno ha mai visto. Film ambiguo e misterioso, raffinato, e apparentemente perfetto.

L'appuntamento per la prossima edizione è dal 11 al 22 maggio 2005

Maurizio Ferrari

I premi

Palma d’oro a Fahrenheit 9/11 di Michael Moore (Usa).
Premio per la Regia a Tony Gatlif per Exils (Francia).
Premio per il miglior attore a Yagira Yuya per Nobody Knows di Kore-eda Hirokazu (Giappone).
Premio per la migliore attrice a Maggie Cheung per Clean di Olivier Assayas (Francia).
Premio della Giuria a Ladykillers di Ethan e Joel Coen (Usa) e Tropical Malady di Pichatpong Weerasethakul (Thailandia).
Premio per la Sceneggiatura a Jean-Pierre Bacri e Agnes Jaoui per Comme une Image di Agnes Jaoui (Francia).
Gran Premio della Giuria a Old boy di Park Chan-wook (Corea del Sud).
Camera d’Or per la migliore opera prima a Or/Mon Tresor di Keren Yedaya (Israele).

Link: www.festival-cannes.org

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