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Mauro Gervasini IL CINEMA POLIZIESCO FRANCESE (Le mani, Genova-Recco, 215 pagg., € 15,00)

Mauro Gervasini realizza un saggio sull’evoluzione del poliziesco francese, molto autonomo rispetto al noir americano, e che si ritaglia una posizione di rispetto nella storia del cinema francese. Già dagli albori, col cinema muto, si lega molto alla matrice letteraria. Questo è lo scandagliare un settore cinematografico molto popolare diversi decenni fa, il poliziesco francese, conosciuto in Francia col nome di polar, una "contrazione francese tra literature e policier", come spiega l’autore. Questo libro ha diversi pregi. Prima di tutto non è il solito catalogo di genere suddiviso in sinossi e critica, tipico dei più recenti volumi di cinema. Se eventualmente vi è contenuta qualche breve scheda, è conseguenza esplicativa dell’argomento trattato. Altra cosa affascinante è la ricerca effettuata sugli autori, siano essi registi, scrittori o sceneggiatori. Entra direttamente nelle opere cinematografiche, raccontandoci delle vicende letterarie che le hanno ispirate, degli attori che hanno incarnato questi personaggi, nonché delle musiche che li hanno accompagnati. Evidenzia l’influenza e la partecipazione di romanzi e scrittori, partendo dalla memorie di Vidocq e dalle alterne fortune del feuilleton ottocentesco: ci racconta il vissuto di film imperdibili, partendo dai feuilleton di Souvestre e Allain e di conseguenza dal loro Fantomas e dalla prima versione cinematografica dell’opera diretta da Louis Feuillade nel 1913, per attraversare un secolo di capolavori che hanno tenuto incollati alle poltrone generazioni di spettatori, con le mani avvinghiate ai braccioli, tesi nell’attesa della soluzione finale. Quelli che rimangono nella memoria sono soprattutto i film in bianco e nero, offuscati dalla nebbia, che copre strade scivolose e umide calcate dal ticchettio delle passeggiatrici; i berretti e i foulard che nascondono il volto minaccioso degli apache; disertori, emarginati e, naturalmente, poliziotti integerrimi, pronti anche a uccidere pur di incastrare il malavitoso dal cuore d’oro e lo spiccato senso dell’onore, che deturpa con i suoi crimini la misera monotonia dei bassifondi. Come dimenticare Il porto delle nebbie (1938) di Marcel Carné, sceneggiato da Jacques Prévert, interpretato da Jean Gabin e Michèle Morgan, con le musiche di Maurice Jaubert. O I diabolici (1954) di Henri-Georges Clouzot, tratto dal romanzo di Boileau e Narcejac (gli autori di La donna che visse due volte), con Simone Signoret, Paul Meurisse, Michel Serrault, e senza tralasciare l’apparizione in fotografia di un undicenne Johnny Hallyday. O magari Ascensore per il patibolo (1957) di Louis Malle, con Jeanne Moreau, Lino Ventura, Maurice Ronet e Jean-Claude Brialy musicato da Miles Davis, oppure Lo spione (1962) di Jean-Pierre Melville, con un cast formidabile del calibro di Serge Reggiani, Jean-Paul Belmondo, Michel Piccoli. Questo giusto per citare alcune pellicole di cui parla il libro. Mauro ci racconta la vita reale di alcuni autori, che sembra superare la finzione che ne segue, tipo la tormentata vicenda giudiziaria di José Giovanni, diventata in seguito un libro autobiografico, Il buco, suo primo racconto per la mitica editrice Série Noir, portato egregiamente sullo schermo da Jacques Becker. Autori letterari, quindi, da Davis Goodis (Tirate sul pianista di François Truffaut, Gli scassinatori di Henri Verneuil, Lo specchio del desiderio di Jean-Jacques Beinex, Rue Barbare di Gilles Béhat) al più popolare, anche se meno incisivo, Georges Simenon, creatore del famoso commissario Maigret. Per non dimenticare Malet, Amila, Dard, Manchette e Izzo. E gli attori che hanno prestato il loro volto al polar. Naturalmente il grande Jean Gabin, Lino Ventura, Alain Delon. E ancora da ricordare le donne, da Simon Signoret a Michèle Morgan, da Jeanne Moreau fino a Stéphane Audran, interprete dei polar "a colori" di Claude Chabrol.

Marcello Moriondo

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