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Carlo Tagliabue e Flavio Vergerio (a cura di) LA FATAL QUIETE. LA RAPPRESENTAZIONE DELLA MORTE NEL CINEMA (Centro Studi Cinematografici e Lindau, Torino, 288 pagg., € 20,00) - Febbraio 2006

Tanta produzione si indirizza verso la figurazione del titolo di questo libro, sia ad opera di registi importanti che di semplici artigiani, anche perché talvolta l’argomento si presta in qualche modo ad essere spettacolarizzato, essendo in molto cinema Eros e Thánatos molto legati. Questa proliferazione non è generata tanto dalla casualità, ma da scelte di poeti che in qualche modo hanno il coraggio di distinguersi da un insieme massificato e non rifuggono dall’occultamento del tema. Non è solo il far vedere corpi morti ma riflettere sul vuoto senza istruzioni per l’uso. La sociologia dal canto suo ha studiato il rapporto tra morte e religione attraverso i riti legati alla materialità, mentre il cinema in qualche modo è più immateriale se è solo un po’ di luce inagguantabile su uno schermo, ma l’argomento è di quelli aperti alle più svariate interpretazioni. Se Cocteau sosteneva che il cinema è la morte al lavoro forse aveva intuito un fondamentale aspetto della faccenda, valere a dire che, per quanto il cinema si sforzi di dare un’immagine che possa durare per sempre, l’attore che vediamo sullo schermo adesso è più vecchio o forse non c’è neanche più. Sappiamo che il piacere di vedere del cinema è del voyeur, e il mito fondatore lo troviamo nella tradizione ellenistica, quando Atteone finisce sbranato dai cani per aver sorpreso la dea della castità Diana a fare il bagno, insomma si era permesso di guardare l’inguardabile. Nello stesso modo lo spettatore non dovrebbe permettersi di guardare al cinema un fatto che per tabù non è guardabile, come la rappresentazione della morte, ma può sempre dare la colpa al regista, che si è concesso di raffigurarla.

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Certo non è bello parlare della morte, ma solo perché nella nostra cultura la quiete senza ritorno è un blocco psichico e ci si allude spesso con giri di parole. Il fatto ovviamente deve essere relativo se sull’argomento si sono espressi registi del calibro di Ozu, Cronenberg, Bergman, Pasolini, Dreyer, Bresson, Bertolucci, Olmi, e via di questo passo, spaziando tra le produzioni hollywoodiane ma fornendo schede anche di film asiatici e africani. Qui ci si occupa di centotrenta film, schedati e accompagnati dalla fortuna critica che hanno avuto soprattutto sulle riviste di settore. Non si tratta solo dell’uomo a terra del cinema horror, ma anche un generale superamento della violenza per individuare i segni e le immagini che ci ricordano il nostro inevitabile indirizzo finale. I testi sono di Flavio Vergerio, Carlo Tagliabue, Virgilio Fantuzzi, Dario Edoardo Vigano, Francesca Feletti, Giancarlo Zappoli, Antonio Costa, Marco Dell’Oro, Silvio Grasselli, Barbara Grespi, Daniela Previtali, Ezio Alberione, Pier Maria Bocchi, Giuseppe Gariazzo e Elio Girlanda, spesso dedicati a un film, un maestro, un genere o una filmografia.

Link: www.lindau.it

Maurizio Ferrari

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