Da zero a dieci di Luciano Ligabue www.dazeroadieci.com www.ligabue.com

Trascrizione di Anna Perciante della conferenza stampa del venerdi 1 febbraio 2002 al cinema Odeon di Milano.

D. Radiofreccia finiva un minuto prima di compiere i diciott’anni. Nelle tue canzoni parli spesso anche della tematica della fuga. In questo film ci sono 8 protagonisti che hanno paura di crescere o perlomeno hanno un punto interrogativo su quello che li aspetterà varcata la soglia dei 40. Tu che quella soglia l’hai varcata guardi le cose più in prospettiva? Nelle prossime canzoni e nel prossimo film ci sarà ancora la tematica della fuga e della paura di crescere oppure ti dai un 10 anche tu?

R: Questi 4 intanto non hanno paura di crescere, sono stati costretti a crescere. Sono 4 ragazzi che quando avevano 15 anni hanno subito un evento tragico (si allude al 2 agosto 1980, il giorno della strage di Bologna, n.d.r.) che è un evento sociale che si è riflesso nel loro privato e che li ha costretti a crescere da un giorno all’altro. Sono persone estremamente cresciute, che hanno molto chiaro come è la loro vita e come la vogliono e che non hanno più tempo per le balle. Quindi direi che sono lontane da persone che hanno paura di crescere e anzi vogliono andare a vedere com’era quel tipo di sviluppo fisiologico che loro hanno dovuto saltare, per quello provano a recuperare organizzando questo week-end a Rimini. Per quello che riguarda il discorso della fuga, questo film finisce con uno che è seduto sulle scale di casa sua con la moglie incinta e dice che mi spettano altrettanti anni come quelli che ho vissuto e devono essere come si deve, e quindi con una prospettiva molto lontana da qualsiasi tipo di fuga. Per quello che mi riguarda è troppo difficile fare progetti di vita a lungo termine. Uno dei temi del film è sicuramente comunque il dover andare avanti facendo a meno di un sogno grosso che è il sogno in cui abbiamo creduto in tanti che era la possibilità, l’accesso a un futuro fatto di un mondo più giusto, più equo, in cui comunque la differenza tra chi ha tantissimo e chi non ha niente fosse smussata, in cui la tua felicità passasse anche attraverso la felicità degli altri. Diciamo che è molto faticoso oggi come oggi pensare di dover fare quasi a meno di quel sogno lì, di crederci meno, di dovere sperare che cambino i tempi per pensare che si possa produrre un sogno che abbia delle affinità e nel frattempo però questo non toglie che uno con determinazione cerchi di prodursi altri sogni forse meno importanti, forse meno nobili, forse meno potenti che però sono quelli che nel frattempo ti fanno andare avanti.

D: Il bar questa volta è diventato un luogo dove si litiga però..

R: ..non a caso è un pub.

D: La provincia nei tuoi film sembra essere il luogo sia della realtà che dell’immaginario. Tu pensi che in un tuo prossimo film potrai pensare a un film nella città o pensi che in fondo la provincia sia l’unica isola di salvezza o comunque l’unica dimensione che tu puoi pensare in senso artistico?

R: Intanto sul fatto che faccia o meno altri film, altri dischi o altri libri non mi pronuncerò mai più. Sull’opera rock si può.. Io credo di descrivere la provincia perché è l’unico mondo che conosco bene e comunque non è che descriva La Provincia, non ce la farei nemmeno a descrivere la provincia ligure. Io ho sempre pensato che uno debba raccontare le cose che conosce, è per quello che io non ti so dire se sono davvero un regista o sono davvero un autore; sono uno che ci tiene a raccontare le cose che conosce. Probabilmente anzi sicuramente un regista deve essere uno che ha le capacità di misurarsi su temi che forse neanche lo toccano così tanto da vicino, che non lo coinvolgono emotivamente ma ha la possibilità di muoversi anche in vari generi esprimendo cose che gli stanno a cuore.

D: In questo film hai parlato della generazione dei 35-40enni. Non hai paura di deludere i tuoi fans musicali che sono un target forse un po’ più basso?

R: Una volta che è uscito Radiofreccia lo definirono un film generazionale. Io non è che avessi intenzione di farlo, ho raccontato una storia molto precisa, molto specifica, io racconto le cose che vedo, come faccio a parlare a nome di un 35enne calabrese? Io sono un po’ annoiato dell’idea che col termine generazione alla fine noi facciamo credere alla gente che chi ha 18 anni ed è figlio di un artista di Cuneo abbia la stessa vita, gli stessi desideri, gli stessi sogni, le stesse speranze, le stesse aspettative, lo stesso quotidiano di uno che è costretto a fare il malavitoso nel Salento perché non ha sbocchi e però ha gli stessi anni di lui. A me ‘sta roba qua della generazione mi sembra una roba un po’ loffia. Io nel film sono stato anche molto chiaro, per me questo è un concetto che ha molto a che fare con il mercato. Perché fino a quando hai 30 anni tu comunque fai parte della generazione dei 30enni che leggono questo, ascoltano questo, vedono questo, pensano questo e soprattutto comprano questo; chi ha 20 anni se non si ritrova in questo quadro dice "eh no, adesso compro anch’io questa roba qua, se no sono fuori dal mondo". Curiosamente dopo i 30 non si parla più di una generazione ma di quelli che cominciano ad aver colpa di qualche cosa, dei 40enni non se ne parla neanche. Se parliamo di genericità nel concetto di generazione ancora di più sul concetto di mio pubblico perché vi garantisco che se ti dovessi descrivere a proposito del mio pubblico non saprei perché io spero che siano persone molto diverse fra di loro, spero che siano persone diverse dal punto di vista anagrafico, dal punto di vista dei desideri, dei sogni e che ci tengano a mantenere la loro diversità. Sarebbe un mondo molto noioso se fossimo tutti uguali, se pensassimo tutti le stesse cose e se avessimo tutti le stesse voglie. Mi piace pensare che uno voglia con determinazione difendere la propria diversità.

D: Uno dei personaggi ad un certo punto dice non si può cambiare il mondo con le idee.

R: Io sono uno di quelli che hanno creduto molto forte che quel sogno lì fosse accessibile, che quella cosa lì fosse possibile anche attraverso la politica; in questo momento è molto difficile crederlo così forte, è molto difficile anche sperarlo. Sono fra quelli che prendono atto di questa cosa, non c’è da fare molto altro di diverso; speriamo che cambino i tempi.

D: Ed essere ottimisti in qualche modo?

R: Su questo tipo di sogno non posso essere ottimista. Voglio sperarci perché quando ci hai creduto così tanto continui a volerci sempre sperare però è difficile essere ottimisti. Non è il momento migliore per questo.

D: E’ per questo che sei passato al blues dal rock?

R: Non è che mi sono spostato dal punto di vista musicale; nel film ci sono 2 pezzi miei che sono Questa è la mia vita e Libera uscita che credo siano in piena linea con quello che.. Però il film è un film blues, è un film che ha molto a che fare col blues, con tutto quello che poi vuol dire quel concetto musicale, non è solo di umore malinconico ma anche di essenzialità.

D: All’inizio del film dai continuità a Radiofreccia nella biografia di Giove. E’ un puro omaggio, una citazione o volevi dire questo è quello che è successo 20 anni dopo?

R: E’ la grande passione in comune di Procacci e mia per il mondo Marvel ossia per la voglia di giocare. E’ un gioco, abbiamo deciso che i personaggi partissero da Correggio ma che praticamente Correggio non si vedesse mai. C’è un musical che è fatto per fare dire delle cose ad un ragazzo però ballando e cantando e c’è stata anche la voglia, visto che mi mettono in grado di farlo, di poter giocare con elementi del cinema che ti mettono in una condizione di poterlo fare.

D: Le vicende personali dei personaggi del film ruotano molto intorno alla strage fascista di Bologna. Tu direttamente hai rischiato di essere coinvolto nella strage. Questa tragedia come ti ha cambiato e come ha cambiato i personaggi che rappresenti nel film?

R: Intanto è stato un atto di terrorismo grave anche come numero di vittime. Io ho avuto la fortuna quel giorno lì che sono andato a Rimini di decidere di andare in macchina; ho avuto modo di fare una riflessione sulla casualità degli eventi. In questo film non si cerca di andare a spiegare come mai può capitare una roba del genere, è una roba che io non riuscirei mai a poter spiegare, ma si cerca di andare a spiegare gli effetti che può produrre una roba del genere che non sono solo effetti di 85 morti e 200 feriti ma sono effetti sulle vite delle persone che sono attorno alla tragedia, che sono vite che non potranno mai più essere le stesse. Questi 4 ragazzi vedono cambiata radicalmente la propria vita e sono costretti a crescere da un giorno all’altro e si presentano con delle caratteristiche molto forti di gente solida, determinata ma anche gente che umanamente ha voglia di poter recuperare un po’ di adolescenza perduta. Io personalmente faccio il tifo per Giove perché comunque in ogni caso io sono ovviamente per la vita e ho voluto fortemente che il film finisse con lui che opera una scelta fortemente per la vita mettendo incinta la moglie però credo che uno debba interpretare il film come meglio crede. Quando rappresento la morte in un film la mia intenzione è sempre mettere lo spettatore di fronte a quanto prezioso sia quello che hai prima di quell’evento di cui ci si scorda troppo facilmente e troppo velocemente. Rappresentare le morti nel film può avere la funzione di riportarti l’attenzione su quello che ti sta passando di fianco e che tu dai per scontato e nel frattempo ti scappa dalle mani.

D: Perché hai scelto di non fare ascoltare il pezzo che suona Stefano Pesce?

R: Perché non sarebbe mai stato all’altezza del sogno. No, scherzo. Tra l’altro il nostro buon Pesce suona realmente. Nel film i ragazzi del gruppo suonavano You gotta move, un traditional che è stato usato anche in Sticky finger dei Rolling Stones e Stefano cantava quel pezzo.

D: Dovendo scegliere tra 2 apprezzamenti: bello il tuo ultimo film, bello il tuo ultimo cd, quale preferisci?

R: Se fosse possibile non dover scegliere.. in questo momento sta uscendo il film ma sto lavorando con grande attenzione al disco. Se non avessi un disco fra le mani avrei fatto uscire una colonna sonora. Ed invece evidentemente ho delle canzoni che voglio fare uscire velocemente e quindi considera che sto andando a cantare nei buchi fra una conferenza stampa e l’altra e quindi evidentemente ci tengo. E poi ognuno avrà delle preferenze personali.

D: Tra gli attori si è parlato di gioco, di malinconia, magari c’è anche stato lavoro duro. Com’è lavorare con Ligabue?

R: E’ un lavoro duro, serio ma bello, lui è alla ricerca della qualità, o si fa in un modo o non si fa. Entusiasmo. Siamo rimasti sorpresi perché lo conoscevamo come una rockstar ed è un po’ difficile pensarlo come regista. Ma vedendo Radiofreccia, lavorandoci insieme, siamo rimasti totalmente conquistati perché ha una grande abilità, una grande comunicazione fisica. Abbiamo provato molto, abbiamo lavorato sulla sceneggiatura con Luciano. E anche il team Fandango, la produzione del film, è un set tranquillo, abbiamo lavorato con tempi tranquilli, nessuno ci ha imposto ritmi frenetici, c’è stato rispetto dei tempi di tutti. Collaborazione in tutti i sensi.

D: La scelta dell’attrice Cavallotti che rivediamo molto volentieri sullo schermo è della Fandango o di Ligabue?

R: Tutti gli attori sono una scelta mia che poi naturalmente ho proposto anche a Domenico Procacci; abbiamo fatto molti provini e questo ci ha messo nella condizione di vedere che effettivamente siamo in un bel momento a livello di qualità in Italia. Loro veramente sono quelli fra tutti quelli che ho visto che più avevano a che fare con l’aderenza al personaggio che avevo in testa.

D: Gli hai dato la possibilità di metterci qualcosa di loro?

R: Sì, ce l’ha data.

D: Tu hai un sito particolarmente ricco. Potrebbe essere quello un modo, un terreno per fare incontrare la tua musica col cinema o solo per dare una serie di informazioni?

R: Io non sono molto bravo in quel mondo lì però ho la fortuna di avere un fratello che gestisce il mio fan club e fa in modo che le cose che finiscono nel sito siano le cose che hanno veramente a che fare con come sono io e con le cose che voglio io. E poi ho un bel gruppo di collaboratori che stanno lavorando sul sito e io non faccio altro che fargli i complimenti sul lavoro svolto.

D: Come mai non compari mai nei tuoi film, anche in un ruolo cameo alla Hitchcock?

R: Hai praticamente perso il cuore del film! Ci siamo io e Procacci nei panni di musicisti della strada. Ero apparso anche in Radiofreccia, i miei camei li faccio sempre.

D: Come vivi l’uscita di questo film rispetto a Radiofreccia che comunque ha avuto un enorme successo di pubblico, vivi un po’ l’ansia da prestazione?

R: Speriamo che non ci venga l’ansia da prestazione per i film. E’ ovvio che sia agitato per l’uscita del film, un film alla fine è una cosa che ti mette nella condizione di venire ossessionato da questa roba qua per più di un anno. Abbiamo fatto 10 settimane in cui comunque vai a letto alle 5 di mattina, ti alzi all’una, mangi un toast e alle 2 sei sulla scena del giorno. Alle 3 e mezza sei sul set e riprendi a lavorare quindi non hai più una vita privata, è una vitaccia davvero ma è una vitaccia anche quella degli attori che tutti pensano che sia una vita figa ma alle 6 devi essere in piedi cioè non è facile, è una roba fatta comunque di impegno, di concentrazione ed è ovvio che ogni tanto ti metti lì e dici quale è stato il dottore che mi ha fatto la ricetta per fare sta roba qua e vedi che non c’è nessun dottore e tendi a darti un po’ dell’asino ma poi capisci che evidentemente ti sta molto a cuore dire quello che stai dicendo ed è ovvio però che siccome io non ho ambizioni particolarmente masturbatorie nel senso che per me le cose che faccio hanno senso soltanto se entrano in contatto con la gente; per me la musica deve essere comunicazione popolare così come il cinema e però se la gente non apprezza il tuo film quel presupposto lì viene a cadere quindi comunque hai fallito, hai sbagliato, almeno per come intendo io esprimermi. Comunque fra un po’ il film esce e vedremo.

D: Alla tua vita quanto dai da 0 a 10?

R: Io vengo da un momento in cui è venuto a mancare mio padre quindi non può essere molto alto.

D: Il film è stato visto da qualcuno a Rimini tipo Ente provinciale del turismo e come è stato recepito?

R: Ci sarà un’anteprima a Rimini mercoledi prossimo.

D: Questa storia dei voti come è nata?

R: Dalla realtà di tutti i giorni, basta mettersi lì per rendersi conto che.. in modo particolare se fai un mestiere pubblico cioè io oramai vedo ogni volta che incontro una persona capisco se questa persona è simpatica o sta sui maroni e capisco anche se questa persona può aver approfondito o meno la sua sensazione su quello che faccio. A volte basta una fotografia, un atteggiamento per arrivare ad un giudizio. Io credo che questa roba del giudizio condizioni un po’ troppo le nostre vite ma purtroppo è impossibile uscirne fuori, comunque funziona così fin da quando nasci, tu prova a fare un giro alla nursery……

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