LA RAGAZZA DEL LAGO

Regia di: Andrea Molaioli
Attori: Toni Servillo, Fabrizio Gifuni, Anna Bonaiuto, Franco Ravera, Valeria Golino, Fausto Maria Scialappa, Nello Mascia, Alessia Piovan, Denis Fasolo, Marco Baliani, Giulia Michelini, Franco Ravera, Sara D’Amario, Heidi Caldart, Nicole Perrone e Omero Antoniutti
Soggetto: dal romanzo "Lo sguardo di uno sconosciuto" di Karin Fossun
Sceneggiatura: Sandro Petraglia
Fotografia: Ramiro Civita
Musica: Teho Teardo
Costumi: Jessica Zambelli
Scenografia: Alessandra Mura
Montaggio. Giogiò Franchini
Origine: Italia 2007
Distributore: Medusa
Link: www.medusa.it
Durata: 95’
Produzione: Indigo Film in collaborazione con Medusa Film, Sky e Friuli Venezia Giulia Film Commission
Programmato dal 14 settembre 2007

I giudizi dei cervelli spenti
Ampie valli, verdi, boschi tra le strade che tagliano le montagne. Silenzi tra un paese e l’altro, tra una persona e l’altra, tra le parole. Andrea Molaioli sfida gli spettatori: proponendo scene ed abbinamenti di tipologie umane, costringe gli spettatori a dire "è per forza così", "sarà stato lui". Perché?
Sin dall’incipit La ragazza del lago provoca lo spettatore: una bambina esce di casa, saluta la madre e da sola si avvia a scuola. Attraversa le vie di un paese che si sta risvegliando, saluta qualche persona. Il luogo è piuttosto desolato ed il silenzio domina incontrastato.
È un paese lontanissimo da quella che era l’agorà, la piazza greca. Ogni abitante, ogni uomo vive la propria vita avvolto in un cellophane isolante, protettore. Parlare, discutere e confrontarsi sono azioni sempre più rare, che si compiono per accidente, incontrando qualcuno senza averlo programmato, andando a scuola, a lavoro, a far la spesa. Due chiacchere veloci e via, nel vortice delle nostre vite.
Se l’umanità ideale è una diversità di individui raccolti ed uniti dal luogo nel quale vivono, singole persone che vivono per confrontarsi, per rispecchiarsi nell’opinione altrui, vedendo se stessi per contrasto con l’altro; se l’umanità ideale prevede il silenzio e l’isolamento solo quando ci si ritira dalla vita; La ragazza del lago offre l’immagine di un’umanità ritirata dalla vita, chiusa in se stessa, lontana dal dialogo. Non è nemmeno un’umanità. Sono singole persone, mute, sempre lontane e chiuse nelle loro abitazioni. Sono uomini separati dai silenzi, dalla valle e dalle alture del Friuli Venezia Giulia.
L’assenza di confronto crea una sorta di isolamento critico. Lo stimolo per capire ciò che accade viene solo da noi stessi e, quindi, o si hanno gli strumenti critici per filtrare la realtà o si prendono per buone le opinioni espresse in televisione o sui giornali.
La bambina è avvicinata da un pick-up rosso, è così minuta al fianco di quel fuoristrada. "Non salire!" o "è pericoloso!" : queste frasi echeggiano nella testa di tutti noi.
Il primo pregiudizio, proposto dal regista Andrea Molaioli, è l’immagine di una vettura accostata ad una bambina.
Andrea Molaioli ci segue in questo pregiudizio e, momentaneamente, lo conferma: la bambina è stata portata nella casa di Mario (Franco Ravera), lo scemo del villaggio, che vive solo col padre paralitico. Mario, il pazzo, parla tanto con la bambina. Lui, uomo non a norma per la società, sembra aver conservato l’attività della condizione umana che Hannah Arendt chiama Azione, ossia il discorso, ed alla quale attribuisce la peculiarità di rendere gli uomini umani, e non semplici animali.
Quando la bambina chiede a Mario di poter andare in bagno, la porta del bagno, socchiusa ci permette di intravederla. Si avverte un secondo pericolo. Perché? A cause del secondo pregiudizio. È preoccupante anche l’accostamento bambina-scemo del villaggio. Temiamo che Mario possa fare qualcosa alla bambina.
Una bambina è scomparsa. Prima l’abbiamo visto vicino ad una macchina e poi vicino ad un matto.
C’è preoccupazione.

 

 

Andrea Molaioli decide di smentirci e la bambina torna a casa, dalla famiglia che nel frattempo si era attivata denunciandone la scomparsa. Tanto rumore per nulla. Tanti pregiudizi ingiustificati.
Nel frattempo, in paese, è giunto il commissario Sanzio (Toni Servillo), anche lui avvolto nei suoi silenzi, lupo solitario, selvaggio. Chiamato per ritrovare la bambina, non gli resta che il compito di porle qualche domanda.
La bambina racconta di essere stata, con Mario, al lago del serpente e che Mario le ha narrato che in questo lago vive un serpente che fa addormentare chi lo guarda. Prosegue dicendo che il serpente ha fatto veramente un incantesimo.
Cosa sarà mai stato quest’incantesimo? Cosa sarà successo al lago tra Mario e la bambina?
Il commissario Sanzio si reca al lago coi suoi colleghi, l’ispettore Lorenzo Siboldi (Fausto Maria Scialappa) e l’aiutante Alfredo (Nello Mascia). Vi trovano una ragazza, raggomitolata, forse addormentata. Anche lei è in silenzio nel silenzio della valle. Si chiama Anna (Alessia Piovan). Il suo silenzio è giustificato perché Anna è morta. Eppure è avvolta nella pace, nel silenzio, come i vivi. Forse quei vivi sono vivi come animali ma non come uomini. Chissà Anna com’era?
E’ coperta dalla giacca di Mario. I sospetti cadono pesantemente su Mario. "I matti sono tutti buoni finché non diventano cattivi". Mario è impaurito. All’interrogatorio "le ho chiesto se dormiva, lei non mi ha risposto, allora le ho detto una cosa all’orecchio, sottovoce". Quando gli viene chiesto per quale motivo la sua giacca avvolgesse il corpo della ragazza Mario confessa "ho pensato che aveva freddo e la mia giacca è bella pesante".
Lo scemo del villaggio, il folle, colui che parla in un’umanità di muti, ha pensato di scaldare la ragazza. Fosse stata viva lo avrebbe fatto con le sue parole, come fece con la bambina. Invece si è limitato a lasciarle la giacca.
I pregiudizi su Mario dovrebbero essere terminati. Non ha fatto nulla con la bambina ed è troppo buono per aver infierito sulla ragazza trovata morta al lago. Le ha solo donato la propria giacca per non lasciarla dormire al freddo.
Le indagini del commissario Sanzio proseguono interrogando il fidanzato di Anna, Roberto (Denis Fasolo). Non aveva mai fatto l’amore con Anna. Poi si interroga il padre di Anna, Davide (Marco Baliani). Guardando le videocassette delle vacanze trascorse da Davide insieme alla figlia, si nota l’ossessione del padre per la figlia, venerata dalla cinepresa come una Lolita. Tra i sospettati rientra anche l’istruttore di hockey, che aveva proposto ad Anna di uscire ma che era stato respinto.
Ecco altre tre immagini che fanno sorgere sospetti: il fidanzato sessualmente insoddisfatto, il padre innamorato della figlia e l’allenatore di hockey respinto da Anna.
La chiave del delitto però è altrove, è lontana dal pregiudizio, dalla banalità, dalla normalità, dal sospetto facile e scontato.
Molaioli ci dice "guardate come pensate!". Siamo davvero noi che pensiamo? O il silenzio che ci avvolge e le nostre vite messe in congelatore fanno si che il nostro buon senso abbia smesso di funzionare?
Il regista italiano ci sbatte in faccia i nostri limiti, la morte del nostro pensiero, il pregiudizio pronto a giustificare tutto, ad accusare. La comodità che ci permette di restare in un tepore di non criticità.
Uomini impacchettati nella loro solitudine, incapaci di pensare, con pensieri preformati attraverso le notizie ascoltate in televisione, lette sui giornali.
Non è un caso che, oltre a Mario, l’altro personaggio che ama parlare, che agisce umanamente, è la moglie (Anna Bonaiuto) del commissario Sanzio. La moglie del commissario ha il morbo di Alzheimer. Anche lei non può pensare in modo normale, standardizzato. Proprio come Mario può essere catalogata come pazza. Eppure è più umana, nel senso che discute, degli uomini definiti normali.
Quest’umanità, abbandonata nel congelatore dei colori freddi del film, è in attesa di essere scaldata dalla giacca di qualche folle.

Giordano Bernacchini

Questo film si trova insieme con quelli dello stesso periodo anche nell’archivio.

 

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