LA RAGAZZA DEL LAGO Regia di: Andrea Molaioli I giudizi dei cervelli spenti Sin dall’incipit La ragazza del lago provoca lo spettatore: una bambina esce di casa, saluta la madre e da sola si avvia a scuola. Attraversa le vie di un paese che si sta risvegliando, saluta qualche persona. Il luogo è piuttosto desolato ed il silenzio domina incontrastato. È un paese lontanissimo da quella che era l’agorà, la piazza greca. Ogni abitante, ogni uomo vive la propria vita avvolto in un cellophane isolante, protettore. Parlare, discutere e confrontarsi sono azioni sempre più rare, che si compiono per accidente, incontrando qualcuno senza averlo programmato, andando a scuola, a lavoro, a far la spesa. Due chiacchere veloci e via, nel vortice delle nostre vite. Se l’umanità ideale è una diversità di individui raccolti ed uniti dal luogo nel quale vivono, singole persone che vivono per confrontarsi, per rispecchiarsi nell’opinione altrui, vedendo se stessi per contrasto con l’altro; se l’umanità ideale prevede il silenzio e l’isolamento solo quando ci si ritira dalla vita; La ragazza del lago offre l’immagine di un’umanità ritirata dalla vita, chiusa in se stessa, lontana dal dialogo. Non è nemmeno un’umanità. Sono singole persone, mute, sempre lontane e chiuse nelle loro abitazioni. Sono uomini separati dai silenzi, dalla valle e dalle alture del Friuli Venezia Giulia. L’assenza di confronto crea una sorta di isolamento critico. Lo stimolo per capire ciò che accade viene solo da noi stessi e, quindi, o si hanno gli strumenti critici per filtrare la realtà o si prendono per buone le opinioni espresse in televisione o sui giornali. La bambina è avvicinata da un pick-up rosso, è così minuta al fianco di quel fuoristrada. "Non salire!" o "è pericoloso!" : queste frasi echeggiano nella testa di tutti noi. Il primo pregiudizio, proposto dal regista Andrea Molaioli, è l’immagine di una vettura accostata ad una bambina. Andrea Molaioli ci segue in questo pregiudizio e, momentaneamente, lo conferma: la bambina è stata portata nella casa di Mario (Franco Ravera), lo scemo del villaggio, che vive solo col padre paralitico. Mario, il pazzo, parla tanto con la bambina. Lui, uomo non a norma per la società, sembra aver conservato l’attività della condizione umana che Hannah Arendt chiama Azione, ossia il discorso, ed alla quale attribuisce la peculiarità di rendere gli uomini umani, e non semplici animali. Quando la bambina chiede a Mario di poter andare in bagno, la porta del bagno, socchiusa ci permette di intravederla. Si avverte un secondo pericolo. Perché? A cause del secondo pregiudizio. È preoccupante anche l’accostamento bambina-scemo del villaggio. Temiamo che Mario possa fare qualcosa alla bambina. Una bambina è scomparsa. Prima l’abbiamo visto vicino ad una macchina e poi vicino ad un matto. C’è preoccupazione. |
Andrea Molaioli decide di smentirci e la bambina torna a casa, dalla famiglia che nel frattempo si era attivata denunciandone la scomparsa. Tanto rumore per nulla. Tanti pregiudizi ingiustificati. Giordano Bernacchini Questo film si trova insieme con quelli dello stesso periodo anche nell’archivio. |
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