SENZA DESTINO
Presentato in concorso al 55° Festival di Berlino 2005

Regia di: Lajos Koltai
Attori: Marcell Nagy (Gyuri Koves), Béla Dóra, Bálint Péntek, Áron Dimény, András M. Kecskés, József Gyabronka, Endre Harkányi e Daniel Craig
Soggetto: dal romanzo Essere senza destino (Sorstalanság) di Imre Kertész (Feltrinelli editore)
Sceneggiatura: Imre Kertész
Fotografia: Gyula Pados (H.S.C.)
Colonna sonora: Ennio Morricone
Montaggio: Hajnal Sellö (H.S.E.)
Suono: Simon Kaye (Amps, Cas)
Costumi: Györgyi Szakacs
Scenografie: Tibor Lazar
Prodotto da: Andras Hamori
Produttore: Peter Barbalics
Produttore (Gb): Ildiko Kemeny
Produttore (Germania): Jonathan Olsberg
Produttori esecutivi: László Vincze, Bernd Hellthaler e Robert Buckler
Supervisore alla produzione: Lajos Szakácsi
Produttori Associati: Tibor Krskó, Endre Sik, Jonathan Haren, Michael Reuter, Károly Varga, András Benyó e Miriam Zachar
Con il sostegno di: Motion Picture Public Foundation Of Hungary, (Magyar Mozgókép Közalapitvány), Ministero Dei Beni Culturali (Nemzeti Kulturális Örökség Minisztériuma), Eurimages, Hungarian Historic Foundation (Magyar Történelmi Film Alapitvány), Mfg Filmförderung Baden Württemberg, Mitteldeutsche Medienförderung, The Rabinovich Foundation Cinema Project, The Recanati Foundation, The Israel Film Council, The Ministry Of Education, Culture And Sport e Ingenious Media Plc.
Titolo originale: Sorstalanság
Titolo internazionale: Fateless
Origine: Ungheria, Germania e Gran Bretagna 2005
Distributore: Medusa
Link: www.medusa.it www.fatelessethemovie.com
Durata: 133’
Produzione: Andras Hamori Production, Hungarian Motion Picture Ltd., Magic Media Ltd., EuroArts Medien GmbH, Renegade Films Limited, Hungarian Television e Mitteldeutscher Rundfunk
Programmato dal 27 gennaio 2006

A Budapest in Ungheria sono tutti in fermento perché il padre di Gyuri il giorno dopo deve partire per un trasferimento obbligatorio. Affida il negozio a un dipendente, non ebreo e passa la giornata col figlio. Questi è contento di stare vicino al padre, preferendo la sua compagnia a quella della madre, che sente solo al telefono. I due genitori sono separati ma il ragazzo regge bene la situazione, ha quattordici anni e tanta voglia di vivere. Non sa che il giorno dopo al padre spetta la deportazione e non semplici campi di lavoro. Di lì a poco Gyuri trova un lavoro, ma un giorno qualsiasi viene rastrellato sull’autobus, infilato su un carro bestiame e dopo quattro giorni arriva ad Auschwitz, dove la gente viene gasata. In un certo senso è fortunato, passando a Buchenwald e poi in un campo periferico, dove si lavora duro ma non si viene sterminati. Qui c’è un kapò ungherese che si diverte a perseguitare tutti con sadismo. Le giornate passano all’insegna delle sfacchinate con sacchi pesantissimi da spostare e sassi da levare. Tutti devono sopportare tutto, ma quel che più fa male è l’atmosfera di peggioramento del morale e dello scoramento. Una volta aveva lunghi riccioli neri, ma adesso dimagrisce a vista d’occhio, come tutti. Perde anche la voglia di lavarsi e quindi prende la scabbia, un ginocchio gli si gonfia a dismisura e gli va in cancrena. Trasferito nell’ospedale del campo, deve dormire vicino ai moribondi. Arriva al cinismo di non avvisare che il suo compagno di letto è morto solo per poter mangiare la sua colazione. In tutta questa tragedia anche la luce si fa rada, i colori progressivamente vanno scemando. Certamente cerca di abituarsi anche alle condizioni più spaventose, trovando salvificamente qualche motivo di conforto in rari momenti di umanità che ogni tanto succedono. Il corpo però è arrivato agli ultimi istanti di vita quando viene inaspettatamente prelevato dalle truppe americane da una fossa comune. Il colore ritorna con l’arrivo delle truppe alleate, che liberano quel campo. O per lo meno ritorna un poco di luce. Un militare americano gli offre di imbarcarlo per il mondo occidentale, ma lui rifiuta, preferendo tornare a casa a cercare i suoi genitori. Dresda è ridotta a un cumulo di macerie. Il ritorno dal lager non è dei migliori: lontano dalla Shoah, ritornato a Budapest, ancora con addosso l’uniforme del lager, trova solo freddezza e durezza di quelli che abitavano il suo quartiere. Trova casa sua occupata da perfetti sconosciuti, ma almeno i suoi vicini di casa di casa ci sono ancora, e gli possono raccontare che il padre è morto e la madre si è risposata.

 

 

E’ un film che ti porta lentamente alla tragedia, con un inizio piuttosto morbido e che quasi non fa presagire quello che farà vedere in seguito. Ben confezionato e sebbene il ritmo a volte sembri quasi televisivo, con delle dissolvenze al nero buone per infilarci la pubblicità, alla fine ci si ritrova cambiati e più consapevoli. Il regista Lajos Koltai è uno dei più internazionalmente famosi direttori della fotografia, avendo collaborato con Giuseppe Tornatore per La leggenda del pianista sull’oceano e Malena. Con Istvan Szabo, con il quale ha realizzato 14 film. Con gli americani. Qui passa alla regia con il film ungherese più costoso in assoluto e con il romanzo autobiografico Essere senza destino del premio Nobel Imre Kertesz per una storia dolorosa e impressionante di separazione dalla famiglia e tormento della prigionia da uno degli scampati all’olocausto.

Maurizio Ferrari

Fino al 6 luglio 2006 questo film si trova insieme con quelli dello stesso periodo anche tra i film già usciti e successivamente nell'archivio.

 

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