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INTERVENTO DIVINO

Regia di: ELIA SULEIMAN

Attori: Elia Suleiman e Manal Khader

Titolo originale: YADON ILAHEYYA

Distributore: WB

Link: www.warnerbros.it

Durata: 100’

Premio della giuria al 55moFestival del Cinema di Cannes

Programmato dal 8 novembre 2003

La Warner distribuisce un film visto poco che meriterebbe assai più che una sparuta uscita in sala prima del mercato home video.

"Sono un palestinese, nato a Nazareth nel 1960.Sono cresciuto con parole come "Palestina" e "palestinese" che erano proibite. Queste parole non esistevano per la mia generazione. La mia giovinezza era dunque svuotata di un grande e misterioso tabù riguardo la mia identità. Noi eravamo generalmente qualificati come arabi e gli israeliani ci consideravano arabi-israeliani."

Elia Suleiman, regista di "Intervento divino", è cresciuto così, nei territori occupati, condizione che non ha mai accettato, "noi eravamo i "negri" d’Israele, ma sulla nostra propria terra". L’infanzia l’ha passata in Palestina. A 14 anni ha scritto una novella sull’omosessualità, poi a 17 ha lasciato la sua terra, esiliato, per Londra prima e New York poi, dove ha avuto l’iniziazione cinematografica.

Dopo qualche corto e alcuni documentari per la televisione, è approdato a Venezia con "Chronique d’une disparition", dove ha stupito critica e pubblico per il suo modo ironico di osservare e raccontare gli avvenimenti. Ma è "Intervento divino" l’opera che gli ha fatto portare a casa il Premio della giuria al Festival di Cannes.

Le riprese sono iniziate nell’autunno 2000, quindici giorni dopo la dichiarazione della seconda Intifada. Proibitivo dunque girare dove Suleiman aveva previsto, niente check point, ricostruire altrove. E anche il budget è stato dimezzato, da 3 milioni a 1,5 milioni di euro. Solo dopo un anno è stato possibile realizzare, vicino a Marsiglia, la scena ninja: gli effetti speciali costavano troppo per poter essere usati prima.

Con la leggerezza e l’umorismo che lo contraddistinguono racconta una storia ambientata nel mezzo di una tragedia storica: la guerra in Palestina. Filma la sua città, Nazareth, ridotta a un grande ghetto, attraverso gag che ricordano Buster Keaton, e il regista non nega un’appartenenza anche a a Jacques Tati: "Dopo le riprese, ho visto "Mon oncle". Sono rimasto stupito di vedere le somiglianze col mio film. Ho visto anche "Il cameraman" e qui mi ha sorpreso la mia somiglianza fisica con Keaton." Ma l’umorismo non riesce a nascondere e a cancellare la repressione israeliana sempre presente, ovunque, nei territori. Da Nazareth la scena si sposta per raccontare la storia di due innamorati, lui palestinese che vive a Gerusalemme, interpretato dal regista, lei palestinese di Ramallah, ragazza dallo sguardo profondo, incarnata da Manal Khader. Il check point divide i due giovani. Entrambi non lo possano valicare. I loro incontri avvengono su un’auto, in un parcheggio deserto, nei pressi del controllo militare, una sorta di no man’s land, una terra di nessuno. L’incontro dei due amanti è circondato dalle violenze psicologiche quotidiane subite da un popolo occupato. Così, mentre in auto si scambiano le loro effusioni, il check point prosegue con perquisizioni, repressione e varie umiliazioni. Le mille difficoltà cui sono sottoposti i palestinesi che vogliono passare il posto di blocco. Umorismo e tragedia si intersecano e la violenta voce che urla attraverso il megafono sta a testimoniare l’abuso di potere che un popolo sta consumando verso un altro popolo.

Il film è costellato da gag, gli scherzi cattivi tra israeliani e palestinesi, tipo i sacchetti della spazzatura gettati da un cortile all’altro, il selciato distrutto per creare trappole micidiali agli automobilisti, il pallone con l’effigie di Arafat che circola per Gerusalemme (se lui non può circolare liberamente, almeno la sua immagine dimostra di fregarsene delle frontiere), il nocciolo di albicocca che fa esplodere il tank israeliano. "A causa della guerra, dice il regista, non ho potuto farlo in Israele, ma in un campo militare francese. L’ho fatto di proposito, ho compiuto la mia missione durante la visita di Ariel Sharon all’Eliseo. Con una miscela di 75 chili d’esplosivo e sei chili di polvere. Un lavoro ben fatto, senza lasciare tracce. Addio al tank! Se mio padre fosse ancora vivo, sarebbe molto fiero di me, lui che ha combattuto la resistenza nel 1948 ed è stato torturato dai soldati israeliani fino a cadere in coma".

Ma c’è anche il forte senso di orgoglio che si sprigiona dalla figura spavalda dell’interprete femminile, una meravigliosa immagine di resistenza e riscatto. Un riscatto che arriva direttamente dai ripostigli più nascosti dell’animo dei due protagonisti e che esplode all’esterno grazie alla spinta propulsiva generata dal loro amore.

Diversi generi sono toccati da Suleiman, dai videoclip alla pubblicità, dalle acrobazie ninja alla rappresentazione tipo telegiornale. Le parole si limitano all’essenziale, il più è relegato alle immagini, fin troppo eloquenti.

Marcello Moriondo

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